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22 gennaio 2014

Schopenhauer: la sofferenza universale, il piacere effimero. Le mie critiche alla sua concezione dell'uomo


Arthur Schopenhauer
In questo periodo sto studiando importanti pensatori tedeschi del XIX secolo e tra questi, anche Schopenhauer, del quale non condivido alcuni aspetti della concezione dell'uomo. In questo post vorrei tralasciare le notizie biografiche, la teoria del velo di Maya e il rifiuto dell'ottimismo da parte di questo filosofo per focalizzarmi invece sulla questione della sofferenza universale e sulle mie obiezioni riguardo al pessimismo schopenhaueriano.

Schopenhauer riteneva che l'essere umano, in quanto"animale metafisico", fosse capace di stupirsi della propria esistenza e quindi, al contrario degli altri animali, fosse portato ad interrogarsi su di essa.
Secondo Schopenhauer, noi non siamo soltanto conoscenza e non ci limitiamo a "vederci" dal di fuori. 
In effetti, siccome siamo anche corpo, ci viviamo anche "dal di dentro"; dunque godiamo e soffriamo.
Ripiegandoci su noi stessi ci accorgiamo che siamo caratterizzati da un'insopprimibile voglia di vivere (conatus essendi) che ci spinge ad agire. Noi siamo volontà di vivere e il nostro corpo è la manifestazione esteriore dell'insieme delle nostre brame interiori.
La volontà di vivere è il fondamento della Natura, l'essenza di tutte le cose. Inoltre, pervade ogni essere della natura.
Ne consegue quindi che il Principio Assoluto del mondo non è Dio ma la volontà. Per Schopenhauer Dio non esiste.
Egli nutriva infatti questa convinzione: tutti gli esseri viventi vivono per continuare a vivere e Dio rappresenta, per alcuni di loro, il fine della vita e il senso della vita stessa. Ma Dio è solo un'illusione.

L'essere è la manifestazione di una volontà infinita, quindi la vita è dolore per essenza. Volere significa desiderare e, quando un essere umano desidera, entra in uno stato di tensione e di angoscia e anela a ciò che non ha ma che vorrebbe avere.
Il desiderio è quindi assenza, insoddisfazione e dolore. Nell'uomo, la volontà è più cosciente ed egli risulta quindi il più bisognoso e il più mancante degli esseri, destinato a non trovare mai un definitivo appagamento.
Nel saggio "Il mondo come volontà e rappresentazione", Schopenhauer scrive:
" Ogni volere scaturisce da un bisogno, da una mancanza, ossia da sofferenza (... ); tuttavia, per un desiderio che venga appagato, ne rimangono almeno altri dieci insoddisfatti; inoltre la brama dura a lungo, le esigenze vanno all'infinito; l'appagamento è breve e misurato con mano avara. Anzi, la stessa soddisfazione finale è solo apparente: il desiderio appagato dà tosto(=subito) luogo ad un desiderio nuovo." 
Quindi, ciò che gli uomini chiamano godimento fisico è in realtà soltanto una momentanea cessazione del dolore, dal momento che il piacere è effimero e momentaneo. 
E qui mi sento in dovere di fare un breve accenno a Leopardi, il quale, nella seconda strofa della poesia intitolata " La quiete dopo la tempesta", riflette sulla condizione dell'uomo ponendo a se stesso e al lettore alcune domande retoriche che suscitano l'impressione che tutte le piacevoli immagini descritte poco prima siano soltanto delle illusioni. Effettivamente, per Leopardi il piacere è figlio del dolore ed è una gioia illusoria che deriva da una sofferenza passata. La tempesta del primo verso simboleggia la condizione angosciante di un passato travagliato e doloroso; mentre il sereno dopo un violento temporale allude al desiderio dell'uomo di provare una sensazione di piacere e di gioia. 
Affinché comprendiate meglio la mia spiegazione, riporto le prime due strofe del componimento:

"Passata è la tempesta:
Odo augelli far festa, e la gallina,
Tornata in su la via,
Che ripete il suo verso. Ecco il sereno
Rompe là da ponente, alla montagna;
Sgombrasi la campagna,
E chiaro nella valle il fiume appare.
Ogni cor si rallegra, in ogni lato
Risorge il romorio
Torna il lavoro usato.
L'artigiano a mirar l'umido cielo,
Con l'opra in man, cantando,
Fassi in su l'uscio; a prova
Vien fuor la femminetta a còr dell'acqua
Della novella piova;
E l'erbaiuol rinnova
Di sentiero in sentiero
Il grido giornaliero.
Ecco il Sol che ritorna, ecco sorride
Per li poggi e le ville. Apre i balconi,
Apre terrazzi e logge la famiglia:
E, dalla via corrente, odi lontano
Tintinnio di sonagli; il carro stride
Del passegger che il suo cammin ripiglia.

Si rallegra ogni core.
Sì dolce, sì gradita
Quand'è, com'or, la vita?
Quando con tanto amore
L'uomo a' suoi studi intende?
O torna all'opre? o cosa nova imprende?
Quando de' mali suoi men si ricorda?
Piacer figlio d'affanno;
Gioia vana, ch'è frutto
Del passato timore, onde si scosse
E paventò la morte
Chi la vita abborria;
Onde in lungo tormento,
Fredde, tacite, smorte,
Sudàr le genti e palpitàr, vedendo
Mossi alle nostre offese
Folgori, nembi e vento."


La vita umana, dice Schopenhauer, è "un pendolo che oscilla incessantemente tra il dolore e la noia, passando attraverso il breve intervallo del piacere".
Affinché vi sia piacere bisogna che in precedenza vi sia stata una sensazione dolorosa. (il godimento del bere presuppone la sete, che è uno stato di sofferenza).  Il dolore dell'esistenza investe ogni creatura; riguarda il bambino che nasce, l'anziano che muore, il fiore che appassisce. 
Secondo Schopenhauer, l'amore è uno dei più forti stimoli dell'esistenza, ma anch'esso è un'illusione: alla natura interessa soltanto la sopravvivenza della specie.
Il fine dell'amore è solo l'accoppiamento. Dietro il fascino di un bel volto c'è in realtà il desiderio di procreare. L'amore ingannerebbe quindi gli umani con lusinghe e dolcezze, facendoli diventare "zimbelli" della Natura. Il filosofo afferma:"Ogni innamoramento, per quanto etereo voglia apparire, affonda sempre le sue radici nell'istinto sessuale". L'amore è "due felicità che si incontrano, due infelicità che si scambiano e la terza infelicità che si prepara".
L'amore commetterebbe quindi un grave errore: la procreazione di altri individui destinati a soffrire.

Secondo il mio umile parere, ho dei seri dubbi sul fatto che, sia la teoria della "volontà di vivere" sia la teoria dell'illusione dell'amore siano esatte. Ma a Schopenhauer era ben chiara la distinzione tra animale e uomo? Non credo proprio!
Io mi sto chiedendo:
A) Se afferma che l'uomo si distingue dagli altri animali per il fatto che si stupisce della propria esistenza ed è in grado di interrogarsi su di essa, come è possibile che l'unico scopo dell'amore sia l'accoppiamento, ovvero la sopravvivenza della specie? Possibile che l'amore non possa essere anche e soprattutto un sentimento profondo tra due persone, affascinate l'uno dall'altra, che condividono ideali e opinioni?!! Mi sembra sbagliato affermare prima che l'uomo è un essere che si interroga e che quindi è in grado di pensare e poi asserire che l'amore è finalizzato solo ed esclusivamente a riprodursi. L'uomo è molto diverso da un animale. L'uomo, se utilizza la propria intelligenza nel modo giusto, arriva a capire i tre veri motivi della propria esistenza: egli esiste per credere fermamente in alcuni valori che lo aiutano a realizzare i suoi progetti di vita, per riflettere su se stesso attraverso le esperienze di vita e per instaurare relazioni con gli altri (l'uomo desidera infatti amare ed essere amato, con tutta la pienezza del suo essere. Amare non solo per generare figli, ai quali insegnare la bellezza della vita ma anche per condividere con l'essere amato dei valori importanti).

B) Concludo questa lunghissima riflessione con un'altra mia teoria, in contrasto con Schopenhauer: ma siamo proprio sicuri che "Volontà di vivere" e "schiavitù dei propri istinti" siano sinonimi?!! La prima credo rappresenti sia il nostro desiderio di godere di ciò che la vita ci offre ogni giorno sia l'entusiasmo nel progettare l'avvenire; la seconda  è invece un elemento negativo che rende l'uomo insensibile, egoista e schiavo appunto delle proprie passioni, di se stesso.



2 commenti:

  1. La ringrazio Anna per aver sollevato un tema profondamente interessante sul quale disquisire. Le rispondo, innanzitutto, alla riflessione B da lei sovvenzionata. Non si soffermi sulle parole, Schopenhauer intendeva la volontà di vivere come vera e propria schiavitù dei propri istinti. Inutile affermare che ad oggi volontà di vivere nel gergo comune assuma un'accezione positiva. La volontà di vivere nel filosofo non è nient'altro che una prigionia, una moltitudine di catene che si intersecano e ci ingabbiano. L'individuo in Schopenhauer è un individuo eterodiretto. Per quanto concerne la riflessione A, mi trova concorde sulla visione positiva e sognante sull'amore da lei sopracitata, ma mi dichiaro concorde anche con Schopenhauer in quanto, molto probabilmente, la base dell'amore è la riproduzione. Solo sopra di essa nascono le famose trame che rendono affascinanti gli ideali, la visione del mondo dell'oggetto amato (in sintesi, il suo mondo interiore). Mi viene in mente un paragone con la teoria della struttura e sovrastruttura di Karl Marx. Egli riteneva struttura di una società il sistema economico e sovrastruttura il modello organizzativo politico, gli ideali, i valori, l'arte, la religione, come se tutti quest'ultimi elementi siano determinati dalla struttura. Ecco, in Schopenhauer immagini come struttura la cosiddetta volontà di vivere, di riproduzione, l'amore prettamente fisico e come sovrastruttura l'amore romantico.

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  2. Sono io che devo ringraziare Lei per il Suo contributo a questo post! Con il Suo commento, Lei mi ha permesso di approfondire il pensiero di Schopenhauer e di comprendere bene una teoria che, fino a ieri mi era sembrata piuttosto discutibile.
    Ha ragione, io sono una ragazza romantica e sognante... E' dall'inizio dell'adolescenza che coltivo questa visione dell'amore!

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