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18 aprile 2014

Riflessione sulla Pasqua


Naturalmente, anche quest'anno sul mio blog non poteva mancare una riflessione sulla Pasqua!
Quest'anno vorrei proporvi alcuni testi letterari e biblici che, in questi giorni, mi hanno aiutata a riflettere su questa festività così importante:


Gesù (di Giovanni Pascoli)

E Gesù rivedeva, oltre il Giordano,
campagne sotto il mietitor rimorte:
il suo giorno non molto era lontano.

E stettero le donne in sulle porte
delle case, dicendo: «Ave, Profeta!»
Egli pensava al giorno di sua morte.

Egli si assise all’ombra d’una meta
di grano, e disse: «Se non è chi celi
sotterra il seme, non sarà chi mieta».

Egli parlava di granai ne’ Cieli:
voi fanciulli, intorno lui correste
con nelle teste brune aridi steli.

Egli stringeva al seno quelle teste
brune; e Cefa parlò: «Se costì siedi,
temo per l’inconsutile tua veste».

Egli abbracciava i suoi piccoli eredi:
"Il figlio" Giuda bisbigliò veloce 
"d’un ladro, o Rabbi, t’è costì tra’ piedi:

Barabba ha nome il padre suo, che in croce 
morirà". Ma il Profeta, alzando gli occhi, 
«No», mormorò con l’ombra nella voce;

e prese il bimbo sopra i suoi ginocchi.


La poesia inizia con la congiunzione “e” , che sembra voler continuare un discorso interrotto.
Il protagonista della lirica è Gesù che passeggia lungo il Giordano e vede i campi che, dopo la fioritura, a causa del lavoro del mietitore, sono tornati a morire e sente che il giorno della sua morte è vicino.
Nella seconda strofa del componimento, le donne, sulle porte delle case, acclamano il Signore. E' un'immagine gioiosa, che mi ricorda l'episodio dell'ingresso di Gesù a Gerusalemme, narrato nei Vangeli e celebrato da noi cristiani una settimana prima della Domenica di Pasqua.

Bisogna precisare che, sia le campagne alle quali viene tolta la vita dai mietitori sia l’ombra generata dalle pile di grano accatastate dai contadini sono elementi che inducono il Messia a considerare che, se il seme non viene sotterrato da nessuno, non potrà esserci lavoro per i mietitori.

Gesù, nel corso della sua esistenza, parlava spesso "di granai dei Cieli", granai che non necessitano del lavoro dell'uomo. Qui notiamo che ne parla ai bambini che gli corrono incontro; a questo proposito, trovo molto dolci le espressioni: "Egli stringeva al seno quelle teste brune" e "Egli abbracciava i suoi piccoli eredi". Uno dei bambini, Cefa (nome ebraico di Pietro), gli si rivolge esprimendo il timore che la Sua veste "inconsuntile", ovvero, senza cuciture, possa rovinarsi sedendosi sull’arida terra. In seguito, Giuda, un altro bambino,
allude a Barabba e alla morte di Gesù in croce. Ma Gesù, pur conoscendo il Suo destino e pur sapendo che il popolo (purtroppo) sceglierà di far rimettere in libertà Barabba al posto suo, di fronte a Pilato, solleva gli occhi verso il cielo e mormora un "no".
Mi piace molto l’espressione “mormorò con l’ombra nella voce” , dal momento che rende molto umana la figura di Cristo. L'espressione infatti rivela il timore e l'angoscia di Gesù che è Figlio di Dio e si è fatto uomo per noi e, nel corso della sua vita, accoglie e accarezza i bambini, riservando loro molto affetto.


Un altro testo (che a me piace molto) relativo alla natura di Gesù si trova al secondo capitolo della lettera di San Paolo Apostolo ai Filippesi (versetti 6- 11):

"Cristo, pur essendo di natura divina,
non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio;
ma spogliò se stesso,assumendo la condizione di servo
e divenendo simile agli uomini.
Apparso in forma umana,
umiliò se stesso facendosi obbediente
fino alla morte e alla morte di croce.
Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome
che è al di sopra di ogni altro nome;
perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra;e ogni lingua proclami
che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre."


Cristo Gesù, nonostante sia di natura divina, sceglie di farsi uomo e di accettare la «morte di croce».Cristo infatti non ha intenzione di approfittare della sua condizione divina, ma addirittura vi rinuncia in modo totale, libero e volontario. Durante la sua vita terrena ha voluto assumere il comportamento di un servo completamente dedito al servizio degli altri. L’auto-umiliazione di Gesù consiste sia nel radicale rifiuto dell’ambizione e dell’orgoglio sia nell’adozione di una ammirevole mitezza, estranea alla violenza e all'aggressività. Gesù ha portato a termine la sua umiliazione "facendosi obbediente fino alla morte" (v. 8). L’aggettivo obbediente indica una fedeltà totale alla volontà di Dio Padre da parte di Gesù. La sua è un’obbedienza che non cede davanti a nessun sacrificio personale, compreso anche quello supremo della propria vita. Egli si mostra dunque nostro redentore, dal momento che decide di partecipare alla nostra realtà di dolore e di morte.
Dopo la morte, si manifesta nuovamente nello splendore della sua maestà divina. Il Padre, che aveva accolto l’atto di obbedienza del Figlio nell’Incarnazione e nella Passione, ora lo «esalta» in modo sovraeminente. Questa esaltazione è espressa non solo attraverso l’intronizzazione alla destra di Dio, ma anche con il conferimento a Cristo di un «nome che è al di sopra di ogni altro nome» (v. 9).
Lo scopo dell’esaltazione di Cristo viene poi descritto in questi termini: «perché nel nome di Gesù  ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra » (v. 10). Il «nome di Gesù»  gli appartiene perché gli è stato dato da Dio e quindi indica la sua signoria universale. Perciò ad esso, in segno di profonda adorazione, "si piega ogni ginocchio... e ogni lingua proclama".
L’inno termina con l’espressione "a gloria di Dio Padre" (v. 11). Con queste parole San Paolo vuole affermare che Gesù non è il sostituto né il concorrente di Dio, in quanto la confessione della sua signoria torna in ultima analisi a gloria di Dio Padre. Questa frase è più che altro riferita all’esaltazione di Gesù. Ma Egli, anche come esaltato, continua a mantenere un atteggiamento umile, lo stesso che lo ha portato a non servirsi del suo essere pari a Dio per il proprio vantaggio personale.

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