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30 agosto 2014

"La chiave di Sara", la tragedia di un atroce senso di colpa


 "La chiave di Sara" è un film che quest'anno è stato trasmesso su La7 in occasione della giornata della Memoria.  E' ambientato a Parigi nell'estate del 1942, periodo in cui la polizia francese collaborazionista aveva arrestato tredicimila ebrei e li aveva ammassati nel Velodromo d'Inverno. La protagonista della storia è Sara, una bambina che vive in un elegante appartamento francese con i genitori e con il fratellino. Nel film si intrecciano due storie: la drammatica vicenda di Sara e le ricerche storiche di Julia, una giornalista di origini americane trasferitasi in Francia alla quale è stato affidato il compito di realizzare un servizio sul rastrellamento del Velodromo d'Inverno.

Ma la storia di Sara è ciò che vale la pena esporre in questo post.
I primi tre minuti del film costituiscono l'unica scena veramente felice del film: infatti, poco prima dell'arrivo dei gendarmi, vediamo Sara e suo fratello Michel giocare felicemente nella loro camera. Improvvisamente, a rovinare la mattinata dei due bambini, arrivano i militari che annunciano l'intenzione di arrestare l'intera famiglia. Pensando di poter salvare il fratello, Sara decide di chiuderlo a chiave nell'armadio a muro della loro camera. 
In seguito, la bambina e i suoi genitori vengono portati, insieme a molti altri ebrei, in una struttura chiamata "Velodromo". 
Nel "Velodromo" gli ebrei vivevano in condizioni igieniche penose, soffrendo il caldo, la fame e la sporcizia. Qualche giorno dopo, i nazisti, tristemente famosi per la loro infamia, separano i bambini dagli adulti.
Anche Sara viene separata dai genitori e rinchiusa con altri ragazzini in un campo di concentramento simile ad una stalla.  Con un'altra bambina, Sara riesce a fuggire dal campo e a trovare ospitalità presso una coppia di contadini. Purtroppo l'altra bambina morirà di difterite, mentre Sara viene adottata e nascosta, dai due coniugi, che acconsentiranno anche di riportarla nel suo appartamento a Parigi per ritrovare Michel. Ma, una volta entrata nell'appartamento affidato dai nazisti ad una famiglia francese non ebrea, la bambina scopre con strazio il cadavere del fratello nell'armadio.

... Il tempo passa, la guerra finisce e i contadini continuano a prendersi cura di Sara.
Finché un giorno, la ragazza decide di lasciare la famiglia adottiva e di partire per gli Stati Uniti con la speranza di poter dimenticare ciò che le è accaduto durante la guerra.


Proprio in un locale pubblico di Manhattan, un giovane si innamora a prima vista di lei: "Era la donna più incredibilmente bella che avessi mai visto. Ma dietro al suo sorriso, nascondeva qualcosa. Sentivo che lei era a disagio con il mondo circostante e sembrava la persona più triste che io avessi mai incontrato." - dice il suo futuro marito. Dalle loro nozze nasce un figlio, che Sara lascerà orfano a nove anni. 
In effetti, la donna, consapevole della sua incapacità di sopportare il suo atroce senso di colpa, si suicida a soli trentadue anni, schiantandosi volontariamente con la sua auto contro un autocarro. 

Il finale della storia di Sara mi ha sconvolta e amareggiata. Molti pensieri hanno attraversato la mia mente.
All'inizio, ho pensato:" Ma non poteva farsi aiutare da uno psicanalista per poter superare il suo senso di colpa e per imparare a perdonarsi? Quello era un rimorso inutile, tanto suo fratello sarebbe morto comunque nei campi di concentramento! E lei era solo una bambina poco più grande, nascondendolo pensava solo di poterlo proteggere dalle mani dei nazisti! Non lo ha fatto per cattiveria!"
 Poi però, provando molta compassione per la protagonista mi sono detta: " E se io fossi stata nei panni di Sara? Sarei stata capace di perdonarmi? A volte una buona famiglia adottiva, una nuova vita negli Stati Uniti e l'amore che un giovane uomo nutre nei tuoi confronti non bastano per ricucire le lacerazioni interiori. Decidendo di partire per gli Stati Uniti, Sara pensava di poter cancellare il passato e di realizzare il sogno di una nuova vita. Ma è impossibile pensare di poter cancellare il passato, anche il passato più orribile. Il passato riaffiora continuamente nella vita di ogni essere umano. E sono proprio le vicende che noi abbiamo vissuto nell'infanzia a determinare il nostro atteggiamento verso la vita. E che atteggiamento può avere verso la vita una persona che da bambina ha subito la deportazione, è riuscita a fuggire per caso dal campo di concentramento e ha nascosto il fratellino in un armadio e, una volta tornata, lo ha trovato morto? Senza dubbio tutti questi eventi generano in chi li ha vissuti pessimismo, disperazione e angoscia. E se io fossi stata nei panni di Sara? Non so cosa avrei fatto; è molto difficile per me immaginarlo. Non so se mi sarei tolta la vita, ma sicuramente sarei impazzita di dolore..."

Dico dunque ciò che segue in qualità di spettatrice del film: a volte mi capita di pensare che Sara abbia fatto male a suicidarsi. Lei doveva continuare a vivere. Doveva vivere per suo marito, per suo figlio... oltre che per se stessa anche per la memoria di suo fratello. Ma non ce l'ha fatta. Ecco uno dei casi in cui il rimorso e la disperazione sono molto più forti della speranza nel futuro... 

A proposito di speranza; la vera fine del film contiene una nota piuttosto positiva: la giornalista Julia, alla fine delle ricerche, partorirà una bambina e la chiamerà Sara, in onore della vera protagonista della storia.
Il film delinea con molta lucidità i sentimenti dei personaggi; riesce a coinvolgere e a commuovere. Ma la scena più straziante è proprio quando la bambina, una volta rientrata nell'appartamento, corre verso l'armadio della camera e lo apre trovando il cadavere del fratellino. Comunque, anche il punto in cui i soldati tedeschi separano le madri dai bambini alle porte del campo di concentramento non è da meno.

"La chiave di Sara" è anche un film sull'importanza della verità. E questo elemento è visibile soprattutto nel personaggio di Julia, che, alla fine delle ricerche, per le quali ha dedicato molto impegno, trova la forza di compiere le proprie scelte senza compromessi.





24 agosto 2014

"Il colombre" e la scelta di una "non-vita":


Ho letto più volte questo racconto. Lo aveva scritto Dino Buzzati alla fine degli anni Sessanta, probabilmente allo scopo di far comprendere ai lettori che è importante valorizzare ciò che ci appare affascinante ma al contempo misterioso.

Nel giorno del suo dodicesimo compleanno, Stefano Roi, il protagonista del racconto, chiede al padre, capitano di mare e proprietario di un elegante veliero, di accompagnarlo in uno dei suoi viaggi. Il padre esaudisce volentieri la richiesta del figlio. Durante il viaggio, però, Stefano intravede dalla poppa della nave uno strano pesce che sembra inseguire la nave.
Poco dopo, il padre gli rivela con angoscia che quel pesce è un colombre, animale molto temuto dai marinai, divoratore di uomini, visibile soltanto dalla vittima e dai suoi più stretti familiari.
Il capitano decide dunque di far sbarcare subito il figlio e di fargli proseguire gli studi in una città lontana dal mare.
Ma, con il passare degli anni, Stefano diviene sempre più ossessionato dal pensiero del colombre e, dopo la morte del padre, lascia l'ambiente cittadino e decide di intraprendere la vita dei marinai.

"Egli navigava, navigava e sulla scia del suo bastimento, di giorno e di notte, con la bonaccia(stato di mare calmo) e con la tempesta, arrancava il colombre. Egli sapeva che quella era la sua maledizione e la sua condanna, ma proprio per questo, forse, non trovava la forza di staccarsene."

"... navigare, navigare era il suo unico pensiero. Non appena, dopo lunghi tragitti, metteva piede a terra in qualche porto, subito lo pungeva l'impazienza di ripartire. Sapeva che fuori c'era il colombre ad aspettarlo e che il colombre era sinonimo di rovina. Niente. Un indomabile impulso lo attraeva senza requie(senza pace), da un oceano all'altro."

Divenuto anziano, si accorge di essere molto infelice e di aver consumato la sua esistenza nella fuga dal colombre attraverso i mari. Così una sera, sale su un barchino, si fa calare in mare e rema verso il colombre per colpirlo con un arpione. Ma il colombre, stanco e affaticato, gli dice: "Quanto mi hai fatto nuotare! E tu fuggivi, fuggivi. E non hai mai capito niente. Non ti ho inseguito attraverso il mondo per divorarti, come pensavi. Dal Re del mare avevo avuto soltanto l'incarico di consegnarti questo." Prima di scomparire tra le onde, l'animale trae fuori la lingua e porge al vecchio capitano una piccola sfera fosforescente, ovvero, la Perla del Mare, conosciuta dai marinai come la perla che dà agli uomini amore, fortuna e pace nell'animo.

Stefano, amareggiato, riconosce di aver vissuto una non-vita e di aver rovinato la propria esistenza con una fuga inutile.


Questo è uno dei racconti più famosi di Buzzati e, piuttosto spesso, gli insegnanti delle scuole medie lo leggono agli allievi.
Ma non penso che questo sia un racconto riservato esclusivamente ai ragazzini.

A dire il vero, lo trovo piuttosto complesso per i preadolescenti; sono infatti convinta che il contenuto sia molto più adatto ai giovani della mia età e anche agli adulti. E' infatti necessario che questi ultimi riflettano ponderatamente sulle proprie azioni, sui loro obiettivi e sulle loro scelte.

Potrei provare a dare una mia interpretazione del racconto.
Credo che il misterioso animale rappresenti il futuro. Stefano si sente attratto dal futuro, ma, dal momento che prova anche un incontrollabile timore verso di esso, continua a viaggiare per fuggire dal proprio destino, in preda ad un assurdo pregiudizio trasmessogli dal padre.
Stefano desidera la felicità, l'amore e la pace, ma non è in grado di coglierle laddove sono presenti, dal momento che è succube dei propri timori infondati. Fuggendo nega a se stesso la gioia di vivere.
Certo, egli riesce a realizzarsi dal punto di vista professionale, ma muore solo e infelice, consapevole della propria irrequietudine. Egli diviene ricco materialmente ma povero spiritualmente perché non é abbastanza coraggioso e tenace per poter affrontare le proprie paure e i propri conflitti interiori, anzi, continua a scappare, sia dal colombre che da se stesso.
Io penso che Stefano rappresenti tutte quelle persone che non sanno vivere e che quindi sono incapaci anche di approfittare delle buone opportunità, delle "occasioni d'oro" che la vita potrebbe offrire.






16 agosto 2014

"Logico", l'ultimo singolo di Cremonini e la mia concezione dell'amore


 "Logico" è il singolo più recente di Cesare Cremonini, cantante originario di Bologna che, negli ultimi anni, sta meritatamente godendo di una buona fama.
Penso che molti di voi conoscano questa canzone, dal momento che ha riscosso un successo grandioso! E' ormai dal mese di marzo che viene trasmessa frequentemente dalle radio italiane e, in molte classifiche, ha conquistato posizioni rasenti al primo posto.
Ho amato questo brano sin dalla prima volta che l'ho ascoltato; è diventato uno dei miei preferiti, anche perché, al di là del fatto che la melodia è stupenda, il contenuto fa riflettere sul sentimento dell'amore.



Dunque ho scoperto che la concezione dell'amore di Cremonini è simile alla mia: una concezione realistica e disillusa. "Logico" è una canzone per disillusi, ma soprattutto per i disillusi come me che rifiutano di farsi abbattere dalla malinconia e che sono disposti ad affrontare gli ostacoli della vita.
"Logico" è un singolo che, a mio avviso, insegna a vivere bene e ad amare... e non credo proprio di esagerare!

 Provo a spiegare le mie impressioni e a commentare alcune frasi.
 All'inizio, Cremonini canta:"ragazza dagli occhi caleidoscopio". L'aggettivo "caleidoscopico" è sinonimo di "multiforme" e di "versatile". E qui, credo proprio che sia riferito a tutte coloro che sanno cogliere le varie sfumature della realtà, che spesso è piena di contraddizioni. Il caleidoscopico è dotato di una mente molto aperta: non solo comprende che la vita umana è costituita sia da aspetti positivi che da aspetti negativi ma si impegna anche a valutare con equilibrio le circostanze della quotidianità. Il caleidoscopico è colui che integra lacrime e sorrisi, gioia e dolore, pessimismo e ottimismo, speranza e delusione.

Il testo della canzone prosegue così:" Non succede quasi mai a due come noi di credere che sia possibile trovare un complice in questo disordine". Sembra una frase contorta, in realtà non lo è affatto. Cremonini vuole forse criticare l'eccessiva idealizzazione dell'amore, secondo la quale, l'essere umano diviene felice quando incontra la sua "anima gemella". Inverosimile!                           Il carattere della persona amata non dev'essere perfettamente uguale a quello dell'amante. Io, come tutti del resto, non posso pretendere di trovare la mia versione maschile; semplicemente per il fatto che non esiste!! E poi, sai che noia divenire la compagna di vita di un uomo che caratterialmente è identico a te e che la pensa sempre come te!! Le persone che formano una coppia sono diverse: condividono, è vero, alcuni interessi e passioni, hanno delle qualità caratteriali simili, ma su alcuni aspetti della realtà si ritrovano, sempre e comunque, ad avere una visione diversa ed è proprio questa loro diversità che li arricchisce e che fa fruttificare il loro rapporto!

Cremonini parla di "complice" nel "disordine". Non l'anima gemella, ma il "complice". La persona amata dovrebbe essere un complice, ovvero, un individuo che aiuta ad affrontare le difficoltà della quotidianità e gli imprevisti della vita. Il "complice" è anche colui che accetta di condividere il futuro con l'altro.
Ne consegue quindi che:"La logica non è sincera". Questa canzone è intrisa di razionalità e l'artista sottolinea anche il fatto che la logica umana non è attendibile per quanto riguarda i desideri d'amore: noi umani infatti, soprattutto durante l'adolescenza, fantastichiamo sul nostro ragazzo o ragazza ideale, spesso ci illudiamo di averlo o di averla trovata ma poi quando scendiamo a patti con la realtà, ci accorgiamo che nessuno incarna perfettamente il nostro modello di amante ideale. Questa frase mi ricorda anche un'altra espressione contenuta nel testo della canzone intitolata: "L'essenziale" di Mengoni, vincitrice del Festival  di Sanremo 2013, che diceva: "L'amore non segue le logiche".  Sono convinta che entrambi i cantanti intendano dire che l'amore non si merita, che un individuo non ne ama un altro perché se lo merita, ma perché ne è attratto. L'amore si dà e si riceve, perché è un sentimento e non una logica. Innamorarsi succede e basta, anche se talvolta può riservarci delle vere e proprie delusioni.

"Siamo molecole oltre le nuvole, corsie chilometriche, raggi di luce, di bombe atomiche pronte ad esplodere; stasera la logica non è sincera", nonostante l'abbondanza di termini scientifici e tecnici, trovo poetica questa parte della canzone. Probabilmente contribuiscono a renderla tale sia la dolce voce di Cremonini sia la piacevole melodia di sottofondo.


"Chissà se amare è una cosa vera", è quello che il cantante dice alla fine del ritornello. Ed è la domanda che io mi faccio spesso ultimamente. Chissà se l'amore è un sentimento di affetto sincero verso l'altro e chissà se dura per sempre... o forse è una passione che riserva più delusione che gioia. Non lo so con esattezza, anche perché sono giovanissima: devo ancora compiere 19 anni.
Tutto quello che so è che sono una ragazza piena di energie che ha voglia di vivere e soprattutto di incontrare l'alterità.




13 agosto 2014

"Blue Jasmine": una vita fatta di menzogne e di fallimenti


"Blue Jasmine" è il film più recente di Woody Allen, uscito nelle sale cinematografiche all'inizio del 2014. Il titolo mi incuriosiva e mi faceva pensare a una storia piacevole, divertente e romantica.
In realtà, in questo capolavoro, viene presentata la miseria morale 
di molti ricchi e la loro totale mancanza
di onestà e sincerità. 


La protagonista del film è Jasmine, una donna avvenente e viziata che, da giovane, aveva lasciato l'Università per sposare Hal, un uomo molto ricco. Io non prenderei mai una decisione del genere! Io al suo posto non avrei mai lasciato l'Università a un passo dalla laurea soltanto per maritarmi con un uomo ricco, perché ritengo che il completamento della formazione culturale di un individuo debba avvenire prima del matrimonio. 
Tra l'altro, non vorrei mai che l'uomo della mia vita fosse ricco sfondato. Mi basta che sia molto sensibile, generoso, gentile, capace di ascoltarmi... vorrei che il suo sorriso riuscisse ad affievolire i miei pensieri malinconici.
Gli uomini molto ricchi invece, sono, nella maggior parte dei casi, superficiali e arroganti. Portano molti regali alle loro mogli e pensano di renderle felici riempiendole di oggetti materiali. Gli uomini ricchi pensano che i soldi siano l'unica fonte di felicità, ma non conoscono il valore inestimabile di un amore forte e sincero.
In effetti Hal tradiva spesso Jasmine e si occupava di finanza spregiudicata e "sporca". Jasmine era sempre stata al corrente della disonestà del marito; ma anche a lei faceva comodo condurre una vita molto agiata con i soldi rubati ad altri. Tuttavia, non appena scopre che Hal progetta di divorziare per risposarsi con una modella francese, mossa dal desiderio di vendetta, lo denuncia all'FBI e lo fa quindi arrestare. Poco tempo dopo, Hal si suicida in carcere.

E questo è il passato della nostra protagonista, rivelato agli spettatori del film attraverso molti flashback. 

Nella prima scena del film, la troviamo in un aereo diretto a San Francisco per raggiungere la sorella Ginger, molto meno ricca di lei, separata con due figli ancora bambini e con un nuovo fidanzato. Ginger è una donna poco intelligente e per nulla raffinata. E il suo nuovo amante è, secondo i miei canoni, perfettamente degno di lei. 
Jasmine si trova molto a disagio con la sorella, con i due nipoti (che tra l'altro la criticano perché hanno sempre sentito parlare male di lei dalla madre), con gli amici di Ginger e vagheggia dapprima di ritornare all'Università, pur sapendo di non avere i soldi per pagarsi gli studi e le possibilità economiche di un tempo. Poi, su consiglio della sorella, decide di ottenere il diploma di arredatrice d'interni online, ma, essendo una  "totale analfabeta del computer" si iscrive a dei corsi di informatica, e per pagarseli, accetta un posto di lavoro 
come segretaria di un dentista.
 
Dopo un po' di tempo, una signora che, come lei, frequenta i corsi di informatica, la invita ad una festa e Jasmine vi si reca. Proprio in quell'occasione, conosce Dwight, un vedovo che si innamora di lei a prima vista. Però, Jasmine gli racconta un sacco di bugie sul suo passato e sul suo presente. Ben presto, Dwight se ne accorge e, arrabbiatissimo, rompe il fidanzamento.
Questo non succede soltanto nei film; anche nella realtà si verificano spesso casi in cui uno dei due membri della coppia mente all'altro e gli fa la "doppia faccia".

La scena finale del film comunque è desolante: Jasmine, seduta su una panchina di un parco vicino alla casa della sorella, parla da sola dei suoi problemi e del suo passato.
Jasmine soffre infatti di esaurimenti nervosi e di crisi isteriche.

Jasmine fa più rabbia che pena: è un'egoista viziata che credeva dei potersi permettere tutto, e ora non ha la minima percezione della realtà; vive nella falsità, nella superficialità, nello squallore morale, nell'ipocrisia dei rapporti umani (quando era ricca contestava pesantemente la sorella, quando è al verde invece, le chiede aiuto e ospitalità). Jasmine è vuota. 
Da giovane, non aveva progetti particolarmente interessanti per se stessa, non pensava minimamente a sfruttare le proprie risorse intellettuali per trovare un lavoro soddisfacente. Si è automortificata sposando un riccone immorale. 






7 agosto 2014

"Povera gente", romanzo meraviglioso che scuote le fondamenta dell'animo!


Rieccomi, cari lettori!! Sono appena tornata da una piacevole e rilassante vacanza in una località collinare della provincia di Arezzo. Con i miei zii, ho fatto delle lunghe passeggiate, ho visitato monumenti di grande valore artistico e ho letto moltissimo.


Ho infatti da poco concluso la lettura del romanzo epistolare "Povera gente", opera scritta nel XIX secolo dal celebre autore russo Fedor Dostoevskij.
I protagonisti del libro sono Makar Devuskin, un modesto impiegato di mezza età e Varvara Alekseevna, una ventenne orfana e cagionevole di salute, che vive in un modesto alloggio con la sua vecchia governante e guadagna pochissimi denari con i suoi lavori di ricamo e cucitura.
Varvara e Makar sono parenti lontani e vivono uno di fronte all'altro. Tuttavia,  per paura dei pettegolezzi, si scrivono delle lettere e si incontrano raramente.
Dalle lettere emergono le misere condizioni di vita di entrambi: lo stipendio di Makar é appena sufficiente per permettergli di sopravvivere, ma in realtà, il pover'uomo spende i suoi pochi soldi per acquistare dei regali (confetti, profumi, libri, fiori, seta, abiti) da donare alla ragazza, la quale si sente in colpa per le serie ristrettezze economiche in cui versa il suo amato:

"Vi giuro, mio buon Makar che a me riesce proprio penoso accettare i vostri regali. So quello che vi costano, quali privazioni e quali rinunce anche nelle cose più indispensabili. Quante volte vi ho detto che non ho bisogno di nulla, assolutamente di nulla; che io non sono in grado di ricambiarvi di tutte le gentilezze di cui mi avete colmata!... E' chiaro che voi vi private del necessario per me. (...)Ancora una volta vi supplico di non spendere tanti denari per me! So che mi amate, ma voi stesso non siete ricco. (lettera dell'8 aprile)".
Makar

"... Io vedevo di essere molto obbligata a voi quando mi assicuravate di spendere per me solo i vostri denari di riserva... Ora poi, quando ho scoperto che questi denari non li avevate affatto, che voi, avendo inteso per caso della mia misera condizione ed essendone stato commosso, avete deciso di spendere tutto il vostro stipendio, dopo averlo riscosso in anticipo, ed avete venduto persino un vostro abito, ora io, alla scoperta di tutto questo, sono stata gettata in una situazione così dolorosa che non so ancora come prenderla e che cosa pensare. Ah, Makar! Voi dovete fermarvi ai vostri primi benefici (...) e non dissipare il denaro per cose inutili. ...pago ben caro tutto questo col pentimento per la mia imperdonablie leggerezza perchè ho accettato tutto senza darmi pensiero di voi... (lettera del 27 luglio)".

Nelle lettere traspaiono sinceri sentimenti di affetto, di stima e di solidarietà nel dolore e nella povertà economica:

"Piccolo angelo mio, Varvara Alekseevna! Mi affretto a comunicarvi piccola vita mia, che mi è venuta qualche speranza. Ma permettete, angelo mio, mi scrivete di non prendere denari a prestito? Non è possibile farne a meno, già a me la va male, e anche a voi (...) Voi siete debolina; così vedete, è per questo motivo che io scrivo che prendere del denaro a prestito è assolutamente indispensabile (...) (lettera del 3 agosto)".
Varvara


"Gentilissimo Makar Devuskin! Se almeno non vi disperaste! Anche così di dolore, ce n'è abbastanza. Vi mando trenta copeche d'argento, di più non posso in alcun modo. Compratevi ciò che vi è più necessario per arrivare a domani... (lettera del 6 agosto)".


Non voglio raccontare in modo dettagliato l'evolversi della loro storia sentimentale, tantomeno il finale; piuttosto; preciso il fatto che i due protagonisti, all'interno dei loro scritti, nel menzionare le tristi vicende passate, raccontano le storie di altri personaggi da loro incontrati nel cammino della vita. 
Una di queste è la storia di Petenka, un ragazzo poco più che ventenne.
Petenka aveva avuto un'infanzia molto travagliata a causa di drammatiche vicende familiari: la madre era morta quando aveva solo tre anni, il padre, un fragile ubriacone, si era risposato con una donna cattiva che odiava il bambino con tutta se stessa. Tuttavia, grazie ad un lontano parente, il ragazzino era riuscito a frequentare prima il liceo e poi anche l'Università. Petenka era divenuto molto colto e, per un certo periodo, era anche stato il precettore privato di Varvara. 
Il padre, sebbene fosse proprio come l'ho descritto poche righe fa,  nutriva un amore infinito verso quel figlio studioso e sensibile e inoltre assecondava volentieri la sua passione per la lettura regalandogli dei libri.
Proprio nel momento in cui la vita economica e relazionale di questo ragazzo inizia a migliorare in modo significativo, sopraggiunge una grave malattia che lo porta alla morte nel giro di poche settimane. Straziante è la scena del funerale di Petenka: la bara viene trainata su un carro verso il cimitero e il padre del ragazzo, disperato e piangente, rincorre il carro sotto la pioggia battente di una giornata grigia autunnale mentre i libri che porta nelle tasche del soprabito scivolano sulla strada fangosa.

In una lettera, Makar narra la vicenda di Gorskov, un misero padre di famiglia disoccupato e accusato ingiustamente di furto dal Tribunale di San Pietroburgo. Il generoso Makar, pur vivendo anch'egli nella miseria nera, lo aiuta donandogli pochi spiccioli e recandosi spesso a fargli visita.
Gorskov viene in seguito totalmente assolto, ma muore nel sonno poche ore dopo la fine del processo. (Probabilmente era molto malato da tempo a causa della fame e degli stenti. Penso a questo perchè Makar, nel giorno dell'assoluzione, lo descrive "pallido come un cencio di bucato" e con le labbra tremanti).

Lo so, i libri scritti da Dostoevskij sono sempre così tristi. Ma scuotono le fondamenta dell'animo, coinvolgono il lettore, penetrano negli angoli più segreti del cuore e della mente.
D'altra parte, vi ricordo un passo di Fahrenheit 451, quando Faber diceva a Montag: "I buoni scrittori toccano spesso la vita. I mediocri la sfiorano con mano fuggevole. I cattivi scrittori la sforzano e poi l'abbandonano. Capite ora perché i libri sono odiati e temuti? Perché rivelano i pori sulla faccia della vita".
Dostoevskij scrive in modo splendido... ve lo consiglio.  E' molto realista nel delineare le situazioni di povertà e la vita degli uomini socialmente degradati. A me piace molto.