Visualizzazioni totali

22 maggio 2015

Pascoli e "l'impressionismo poetico":


Claude Monet, "Stagno con ninfee", 1900, olio su tela, Parigi, "Musée d'Orsay"
Sicuramente, durante il vostro percorso scolastico, avete avuto modo di conoscere i pittori impressionisti e alcune loro celebri opere. 



Forse potrebbe sembrarvi strano l'accostamento dell'aggettivo "poetico" al termine "impressionismo"...Eppure, se si leggono attentamente alcuni componimenti di Pascoli, ci si accorge della presenza di immagini fuggevoli, parziali, accostate attraverso un sistema sintattico basato sulla coordinazione. In certe poesie infatti, questo nostro grande poeta giustappone simultaneamente una serie di immagini visive e uditive; ciò accade ad esempio ne "Il temporale", ma anche in altre due liriche, ovvero, "Il lampo" e "Il tuono".
Prima però di analizzare i tre componimenti, vorrei delineare in modo abbastanza sintetico la sua poetica.

Innanzitutto è utile precisare che il tema più ricorrente in Pascoli è il mondo rurale, quindi, la natura. 
Nel corso della sua carriera letteraria, egli si è sempre posto l'obiettivo di mettersi in ascolto del battito del cuore della Natura per comprendere il suo oscuro linguaggio e le sue misteriose corrispondenze. Nelle sue poesie, Pascoli cerca di manifestare i suoi ideali, le sue sensazioni i suoi ricordi, ovvero: l'aspirazione alla purezza, il sogno, l'incombere della morte, la memoria di un'infanzia dolorosa (la prematura e improvvisa perdita del padre assassinato provoca nell'animo di questo poeta una ferita molto profonda, che il poeta non è mai riuscito a rimarginare).
Pascoli ci ha lasciato anche una testimonianza di dichiarazione poetica: si tratta del "fanciullino". Egli, in questo documento, sostiene che: "E' dentro di noi un fanciullino. (...). Quando noi cresciamo, egli resta piccolo; noi accendiamo negli occhi un nuovo desiderare ed egli vi tiene fissa la sua antica serena maraviglia; noi ingrossiamo e arrugginiamo la voce, ed egli fa sentire tuttavia e sempre il suo tinnulo squillo come di campanello. (...)" Il fanciullino è la capacità di osservare il mondo con stupore e meraviglia. Questa facoltà è dentro ognuno di noi, anche se nel poeta è una vera e propria inclinazione. Il fanciullino è in grado di provare paura, di sognare, di piangere e di ridere, di trovare relazioni originali tra le cose e di nominarle in modo evocativo.

Ecco le tre poesie che propongo (tratte da "Myricae"):

 IL TEMPORALE:


Un bubbolio lontano...

Rosseggia l'orizzonte,
come affocato, a mare;
nero di pece, a monte,
stracci di nubi chiare:
tra il nero un casolare:
un'ala di gabbiano.


Dunque, in questa lirica è evidente la convivenza tra sensazioni uditive e sensazioni visive.
Ogni volta che recito mentalmente questa poesia, penso al tramonto di un sole che, prima di scomparire all'orizzonte, dipinge nel cielo suggestive lingue di fuoco. I colori del tramonto si riflettono sulle acque del mare. Il cielo però non è sereno: vi sono molte nubi, alcune bianche, altre "nere", minacciose, che annunciano un violento temporale in arrivo.
Tre sono i colori che animano il componimento: il rosso, che indica la quiete di un tramonto sul mare, il nero, che indica il temporale, ma che è anche simbolo di angoscia e di dolore e il bianco, colore delle" nubi chiare". Alla fine del componimento, compare il casolare, elemento che allude al desiderio di rifugio e di protezione dalla malvagità del mondo esterno.



 IL LAMPO:


E cielo e terra si mostrò qual era:

la terra ansante, livida, in sussulto;
il cielo ingombro, tragico, disfatto:
bianca bianca nel tacito tumulto     
una casa apparì sparì d'un tratto;
come un occhio, che,largo,esterrefatto,
s'aprì si chiuse, nella notte nera. 


Questo invece è un notturno tempestoso, in cui la Natura, alterata e sconvolta, rivela nel chiarore del lampo tutto il male del mondo.
Il cielo e la terra sembrano addirittura un'unica entità: anziché scrivere "si mostrarono qual'erano", il poeta dice: "si mostrò qual'era"!  
La lirica presenta due climax: la Terra è ansante (= come se stesse respirando con affanno), livida (=plumbea), in sussulto (=inquieta); il cielo è ingombro (=di nuvole), tragico (=sconvolto), disfatto (=aggettivo che allude alla violenza del vento, che tenta di squarciare le nubi).
Il "tacito tumulto", ossimoro evidente con allitterazione della "t", è il momento che segue il lampo ma che precede il tuono. 
La casa che appare e sparisce nel giro di pochi secondi é simbolo della presenza umana. E' paragonata ad un occhio che si apre e si chiude di fronte ad una Natura violenta, che rivela un dolore incomprensibile. Tra l'altro, il colore bianco della casa è in contrasto sia con l'aspetto cromatico del cielo, sia con quello della Terra (plumbei e dunque violacei).



IL TUONO:

E nella notte nera come il nulla,
 

a un tratto, col fragor d'arduo dirupo
che frana, il tuono rimbombò di schianto:
rimbombò, rimbalzò, rotolò cupo,
e tacque, e poi rimareggiò rinfranto,
e poi vanì. Soave allora un canto
s'udì di madre, e il moto di una culla.


Questa poesia, lo dico sinceramente, è quella che mi piace di più delle altre due. 
Già, con l'allitterazione della "n" al primo verso, l'autore riesce a trasmettere al lettore un senso di inquietudine...  La notte è "nera come il nulla"; ovvero, è una notte senza stelle, rivelatrice di morte, in attesa del fragore del tuono. ( lo spazio bianco tra primo e secondo verso è stato creato per esprimere l'idea dell'attesa). 
Dal verso 2 al verso 6, Pascoli descrive gli effetti del tuono, attraverso l'introduzione di figure retoriche di suono come onomatopee, climax e allitterazioni.
Il tuono sopraggiunge improvvisamente e genera un rumore simile a quello di un burrone che, candendo, dà origine ad una frana. 
... poi però , il tuono tace, e, prima di svanire, genera una debole eco. 
L'ultima frase della poesia è confortante: il dolce canto di una madre cerca di calmare il pianto di un bimbo che giace in una culla, spaventato a causa della violenza della natura. Il canto della madre allude all'amore, sentimento che mitiga le sofferenze e l'angoscia.
L'ultimo verso di questo componimento mi ha ricordato un'altra breve lirica delle "Myricae", intitolata "Notte dolorosa":

 Si muove il cielo, tacito e lontano:

la terra dorme, e non la vuol destare;
dormono l'acque, i monti, le brughiere.
Ma no, ché sente sospirare il mare,
gemere sente le capanne nere:
v'è dentro un bimbo che non può dormire:
piange; e le stelle passano pian piano.
da PensieriParole <http://www.pensieriparole.it/poesie/poesie-d-autore/poesia-17742>

Anche qui Pascoli delinea un paesaggio notturno che non è sconvolto dal temporale: gli elementi della Terra dormono placidamente, soltanto le onde del mare "sospirano", infrangendosi rumorosamente contro dei probabili scogli.
Singolari le "capanne nere", e riconducibili a tre interpretazioni: Esse sono nere perchè il materiale con il quale sono state costruite è nero, oppure perché sono oscurate dal buio della notte, oppure perché (e questo è più probabile), evocano il dolore e la solitudine del bambino? Queste tre interpretazioni potrebbero però essere complementari...
Qui, al contrario del "Tuono", è assente l'elemento consolatorio: nessuna donna canta per rassicurare il bambino, che sembra abbandonato a se stesso... anzi, le stelle, incuranti del suo dolore, si muovono lentamente nel cielo.



Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.