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12 ottobre 2015

"Corri, ragazzo, corri!", Pepe Danquart:


 “Srulik, non c’è tempo.  Devi essere forte. Devi sopravvivere, è un ordine! Voglio che ascolti bene tutto quello che ti dirò.  Trova qualcuno che ti insegni a farti il segno della croce e a pregare, così che potrai restare da qualche contadino fino alla fine della guerra. Vai sempre dai poveri, sono più disponibili. E non fare mai il bagno nel fiume con altri bambini. Se ti inseguono con i cani entra nell’acqua o nel fango, per far perdere le tracce. E soprattutto, Srulik, scordati il tuo nome, il tuo cognome, tua madre e me. Devi nascondere a tutti chi sei veramente, anche se non devi mai dimenticare che sei ebreo.
Queste sono le ultime parole che un uomo, con voce angosciata e piena di dolore, dice al figlioletto di nove anni. Entrambi si trovano alla periferia di Varsavia, sotto un ponte circondato da soldati nazisti che li stanno cercando.
"Io comincio a correre. Quando i soldati mi correranno dietro, tu scapperai nell'altra direzione. Finché non ce la farai più, non ti voltare. Non smettere mai di correre, ce la farai."
Poi, con un ultimo abbraccio, forte, caldo e straziante, l'uomo inizia a correre. Ma la sua corsa viene fermata dalle pallottole dei fucili dei soldati.
Srulik scappa nell'altra direzione, con il volto bagnato di lacrime.
E' l'estate del 1942.

Con questo tragico episodio iniziano le travagliate avventure di un bambino ebreo polacco che è costretto a nascondere le proprie origini, la propria identità e la propria religione per sopravvivere alla guerra e per non essere catturato dai nazisti.
Dapprima, il povero ragazzino cerca, insieme ad altri bambini fuggiti da un campo di concentramento, di sopravvivere nella foresta. Vivono di caccia e di raccolta e dormono sugli alberi, fino al giorno in cui i soldati nazisti entrano nella foresta armati di fucili.
Vengono arrestati tutti i ragazzini tranne Srulik, che rimane solo proprio quando sopraggiunge l'autunno e le foglie colorate scendono dagli alberi, silenziose come fiocchi di neve; sfiorando il suo corpo magro.
Proprio a partire dall'autunno del 1942,  Srulik decide di vagare di fattoria in fattoria per cercare ospitalità e lavoro, sotto il falso nome di Jurek Stanjack.
All'inizio dell'inverno, viene accolto da una donna povera ma piena di generosità che lo nutre, lo consola dagli incubi notturni e gli insegna a pregare.
Jurek rimane per alcune settimane a casa di questa meravigliosa signora, poi continua il suo faticoso viaggio nelle campagne polacche, fingendosi un orfano cattolico.

E' molto difficile per un ragazzino ebreo cercare di nascondersi in un paese fortemente antisemita, come lo era la Polonia negli anni quaranta. Alcuni contadini lo aiutano, gli offrono un lavoro per qualche tempo, ma altri invece lo tradiscono, consegnandolo alla polizia, dalla quale Jurek fortunatamente riesce a scappare, seguendo uno dei consigli del padre: nascondersi nelle acque delle paludi per non farsi trovare dai cani.

Il protagonista di questo film è un ragazzino molto sveglio, molto tenace, molto maturo (costretto a maturare molto velocemente a causa della crudeltà della guerra) e molto sensibile. In quei durissimi tre anni che lo separano dalla fine della guerra, commette soltanto un errore, ma grave: nei pochi momenti di felicità, quando si accinge a fare il bagno con i ragazzini non ebrei, si spoglia con loro... E' una delle poche ingenuità che il bambino commette; è un atto innocente che purtroppo rivela apertamente la sua identità: d'altra parte, tutti sanno che la circoncisione è praticata soltanto tra gli ebrei. Tuttavia, anche in questi casi, Jurek si difende coraggiosamente, dicendo: "Sono stato operato quando ero piccolo", cosa alla quale però nessuno crede.

IL MOMENTO PIU' TRAGICO DEL FILM:

Durante la sua permanenza in una delle fattorie, Jurek rimane vittima di un incidente di lavoro: una trebbiatrice gli schiaccia la mano. Viene portato immediatamente all'ospedale più vicino con una carrozza, ma una volta giunto, il medico, terribilmente malvagio e convinto antisemita, si rifiuta di operarlo.
Una mia riflessione che confido soprattutto a chi tra i miei lettori ha avuto l'occasione di vedere questo film: notate bene che il medico dice: "Io non opero un ebreo". Nel riferirsi a Jurek, il medico filo-nazista non pronuncia mai le parole "bambino"/"ragazzino". Dice soltanto "ebreo". Come se gli ebrei fossero qualcosa di diverso dagli esseri umani, qualcosa di infimo, un popolo che vale molto meno dei vermi, una "razza" indegna di esistere. Quindi, anche un bambino ebreo gravemente ferito non ha diritto di ricevere cure sanitarie. All'epoca, un bambino ebreo doveva soltanto morire.

Jurek trascorre una notte terribile: in stato di dormiveglia, lotta tra la vita e la morte sussurrando, con ammirevole tenacia: "Te lo prometto, papà, te lo prometto! (=Ti prometto di non morire)".
La mattina dopo, un altro medico, decisamente più umano del suo collega, decide di operarlo immediatamente, commentando con evidente indignazione: "Ieri avremmo potuto salvargli la mano. Oggi invece, dovremmo impegnarci per salvargli la vita."
Jurek sopravvive all'operazione.

E' dura, a soli undici anni, accettare di dover campare senza un braccio. E in effetti Jurek non riesce ad accettarlo subito: è veramente tragico il momento in cui egli si accorge, davanti allo specchio, che gli sono rimasti soltanto la spalla e un breve moncone. Non c'è più nemmeno il gomito.
Nonostante ciò, il nostro protagonista non perde né il suo sorriso, né la sua grandissima determinazione. Anzi, sembra quasi che l'amputazione del braccio alimenti non soltanto la sua voglia di sopravvivere, ma anche il suo desiderio di vivere. E così continua la sua dolorosa fuga verso la libertà.

Poco prima della fine della guerra, quando i sovietici invadono la Polonia, Alina, l'unica figlia di un umile fabbro, offre ospitalità a Jurek. Bionda, carina, genuina e sensibile, la ragazzina si affeziona molto presto a Jurek, il quale diventa praticamente il fratello maggiore che lei non ha mai avuto.

 IL RECUPERO DELL'IDENTITA':

Nell'estate del 1945 però, il direttore dell'orfanotrofio di Varsavia per bambini ebrei rimasti orfani, giunge a casa della famiglia di Alina dal momento che vorrebbe prendere con sé Jurek.
Jurek inizialmente lo segue malvolentieri; dalle sue parole infatti si comprende che egli non vuole assolutamente né essere considerato ebreo, né ritornare ebreo. D'altronde, come può Jurek/Srulik essere orgoglioso delle proprie origini, quando, durante quei tre anni di fuga, la sua identità ebraica ha comportato terribili sacrifici per la sopravvivenza, come soffrire il freddo e la fame, imparare a sopravvivere in una foresta fitta d'alberi e piuttosto inospitale, sperimentare la cattiveria di contadini antisemiti e perdere anche un braccio??!!
La mente del ragazzino aveva attuato una sorta di "rimozione": dal punto di vista storico e letterario, questo termine indica l'atteggiamento di una persona che non vuole ricordare delle angherie terribili subite in passato, oppure di un individuo che si rifiuta di riconoscere la propria identità etnico-religiosa, dal momento che questa gli ha procurato  persecuzioni e innumerevoli disgrazie.

Quando Srulik giunge con il direttore dell'orfanotrofio al ghetto di Varsavia, riaffiorano nella sua mente ricordi felici e momenti di serenità vissuti con i genitori e con i due fratelli. Gli ritornano alla mente anche le ultime parole che il padre gli aveva detto prima di farsi uccidere. E, a quel punto, scoppia in una violenta crisi di pianto.
Così il protagonista della storia recupera la sua identità che aveva voluto dimenticare, che durante la guerra era stato costretto a dimenticare poiché aveva giurato al proprio padre di sopravvivere.

SRULIK, EMBLEMA DELLA LIBERTA':

Ad ogni modo, Srulik può essere considerato l'emblema della libertà e dell'intelligenza che lotta con spirito battagliero contro la crudeltà nazista.
Srulik ha fame di vita; "si aggrappa" alla vita con tutte le sue forze non soltanto per mantenere una promessa fatta al padre, ma anche perché dentro di sé mantiene viva la speranza di potersi costruire un futuro dopo la guerra e di poter riconquistare il suo posto nel mondo. Ecco il motivo per cui il bambino è tremendamente tenace.

ISPIRATO AD UNA STORIA VERA:

"Corri, ragazzo, corri!" è un'opera cinematografica ispirata alla vera storia di Yoram Fridman.
Yoram è un ebreo che, proprio durante la seconda guerra mondiale è stato costretto a separarsi dai genitori e dai fratelli per poter sopravvivere. Ha vissuto per molti mesi nella foresta, ha vagato per le campagne in cerca di ospitalità e di lavoro, fingendosi un piccolo mendicante cattolico.
E ha perso per davvero il braccio, quando aveva appena dodici anni.
Yoram Fridman
Terminata la guerra, a tredici anni Yoram è stato portato in un orfanotrofio, dove ha potuto studiare e laurearsi in Matematica con il massimo dei voti e la lode (per conseguire sia il diploma di liceo sia la laurea ci ha messo la metà del tempo!).
Nel 1962 si è trasferito in Israele e qui ha trovato l'amore di Sonja con la quale si è sposato e ha avuto due figli. Per molti anni, Yoram è stato docente ordinario di Matematica all'Università Ebraica di Gerusalemme. E' in pensione dal 2010.
Quest'anno ha compiuto 83 anni. E' molto affezionato ai suoi sei nipoti.
Potete trovare alcune di queste informazioni sulla vita di Yoram alla fine del film, prima dei titoli di coda.

... Quando penso che un bambino scampato alla Shoah è divenuto un ragazzo incredibilmente intelligente e un uomo realizzato sia dal punto di vista professionale che dal punto di vista affettivo, allora sono convinta che Dio doni a certi uomini una straordinaria forza d'animo e un'ammirevole capacità di accettare e di elaborare le atrocità della storia.

Anche se credo che per un po' di tempo non vedrò più film di storia, perché nel 99% dei casi narrano grosse disgrazie. Sono avvincenti, è vero, ma decisamente tremendi.
Il ragazzino rimasto senza braccio mi ha davvero impressionata e rimarrà per molto tempo nel mio cuore.



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