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24 dicembre 2016

Laura e Giulio a pochi giorni dal Natale:


Non so se si possa chiamare veramente racconto questo scritto che sto per proporvi. Sicuramente si tratta di riflessioni significative e belle.
Sarò sincera fin da subito: le ho scritte la notte scorsa di getto, su un quadernino perché ero proprio in preda ad un'ispirazione alla quale il mio cervello e il mio cuore non hanno potuto resistere. 
Ho terminato la stesura stamattina prestissimo (poco dopo le 2!). Alcune ore dopo, l'ho riletta un paio di volte e ne ho apportato alcune piccole modifiche. E adesso mi ritrovo qui a riscriverla in formato digitale per voi.

NOTA IMPORTANTE: Pensieri dedicati soprattutto a Luca, il mio migliore ed unico vero amico.


RACCONTO/RIFLESSIONE DI NATALE:

Parte prima-Laura:  
(questo è stato più che altro un esercizio introspettivo su di me, in terza persona però!)

Le acque del fiume scorrono placide e tranquille.Accarezzano le rocce e bagnano le esili foglie di piccoli alberelli allietati dal flebile canto della brezza. All'orizzonte il sole tramonta lentamente. I suoi riflessi dorati illuminano il percorso delle acque e ingentiliscono le forme delle vecchie case
incastonate tra dolci e verdi colline. Il cielo, attraversato da vivaci lingue di fuoco, attende in silenzio la nascita delle stelle. Laura cammina lungo le rive del fiume. Sorride serenamente mentre i suoi piedi calpestano le ultime foglie secche cadute dagli alberi. "E con oggi ho terminato le lezioni accademiche di dicembre!"- sospira- "Ciao, Università, ci vediamo nel 2017 con gli esami ormai!".                                  Giunge la sera. Laura sente vivo dentro di sé il desiderio di contemplare il fascino della sua città alle luci di un meraviglioso tramonto dicembrino.
Alcune automobili percorrono l'asfalto, sembrano indifferenti al brillante luccichio dei festoni e delle decorazioni natalizie appese alle vetrine dei negozi. Da bambina, Laura subiva il fascino delle decorazioni di Natale. Ora invece, l'arrivo del Natale costituisce per lei un'ottima occasione per ripensare ad alcuni piacevoli ricordi di infanzia. La ragazza si ferma un istante a lato del marciapiede. Dapprima volge lo sguardo verso il fiume. Poi, con un sorriso che mette ben in risalto l'espressività dei suoi occhi lucidi e trasparenti come cristalli, sussurra: "Ah, le belle passeggiate che facevamo sotto Natale nei paesini di montagna quando ero piccola!" La sua mente, con pennellate rapide e decise, dipinge allora una famiglia unita e felice: una giovane madre dai capelli dorati, un uomo alto accanto a lei che le tiene la mano mentre sulle spalle porta una piccola creaturina intenta a massaggiare i suoi capelli ricci e folti.
"Com'era bello vedere il mondo seduta sulle tue spalle, papà!", pensa Laura con un pizzico di nostalgia. "Luoghi inviolabili, della memoria... soltanto gli orli un po' sfuocati ma così indissolubili e così...troppo intensi da dirsi". Senza accorgersene, Laura inizia a cantare la prima strofa di "Dimentica", una canzone di Raf.
"Questi ricordi sono parte di me! Nessuno me li ruberà mai." Quei pochissimi ricordi che la giovane conserva della sua prima infanzia appaiono chiari e lucidi.
"In questo momento vorrei proprio essere in Trentino, magari all'interno di una piccola casetta di legno affiancata da due cipressi. Leggere a lume di candela davanti ad un caminetto le poesie più passionali che siano mai state scritte nella storia della letteratura. E lasciare fuori neve e nebbia!". La ragazza sospira nuovamente. I suoi occhi si incrociano con i rami degli alberi spogli protesi verso il cielo. "Ma secco è il pruno e le stecchite piante di nere trame segnano il sereno", recita mentalmente. Poi si dirige verso un ponte che unisce le due rive del fiume e di conseguenza due parti della città.  Lo percorre. Arrivata a metà, però, si ferma nuovamente per ascoltare la melodia delle acque che continuano a scorrere sotto di lei.
"Negli stessi fiumi scorriamo e non scorriamo, siamo e non siamo, diceva Eraclito di Efeso. E' fin troppo chiara l'allusione al tempo della vita che scorre incessantemente, perché noi siamo in continuo divenire e il presente è sempre costituito da un istante.", pensa Laura tra sé.
Una volta, Giulio le aveva detto che, secondo lui, questo concetto filosofico era stato reso molto bene in "Donnie Darko". "Hai presente quella grande porta ad arco preceduta da una grande scalinata, quella porta dalla quale entrano ed escono frettolosamente molte persone? Ecco, anche quello rappresenta il fluire della vita e il presente che ci sfugge continuamente." A volte quel ragazzo sapeva sorprenderla per davvero! Ora ingenuo e genuino come un bambino, ora invece saggio e maturo come un uomo adulto.
Percorsa da un leggero soffio di vento che penetra prepotentemente nei suoi occhi, Laura si dirige verso la macchina. Mentre percorre altre vie della città, i suoi occhi inevitabilmente incontrano quelle luminarie sgargianti che pendono dall'alto di fili elettrici.                                                          "Anche il Natale, come molte persone, ha la doppia faccia. Da una parte, le grandiose luci simbolo del benessere, del lusso ma anche dell'indifferenza verso la miseria delle popolazioni del sud del mondo, dall'altra invece... i pranzi in famiglia, i baci, gli abbracci, il calore dell'amore sincero. Ma d'altra parte, le luci sono necessarie per un clima festoso e il Natale non sarebbe Natale senza gli affetti più cari!" E con questo pensiero, Laura sale sulla sua auto e prende la strada verso casa.


Parte seconda- Giulio:
Non me ne sono accorta mentre scrivevo, ma poco prima di addormentarmi. Questa parte è scritta un po' alla Joyce, nel senso che vi sono alcuni scarti dalla terza alla prima persona e di conseguenza improvvisi scarti di focalizzazione, da esterna a interna. Quel che è buffo è che non l'ho fatto intenzionalmente! Ho pensato mentre chiudevo gli occhi: "Oddio! Nella parte di Giulio ci sono salti di focalizzazione!" e un secondo dopo: "Beh, meglio così, sono venuti bene".

 Le stelle sono già alte e risplendono al di sopra della tacita campagna. La luna piena illumina i tetti delle case e crea le ombre degli alberi sulla fresca erba. 
All'interno di una casa, di fronte al divano del salotto, c'è un grazioso presepe meccanico in cui le pale dei mulini a vento si muovono e il canto del gallo annuncia l'inizio del giorno, secondo ritmi ben precisi.                                                                                   Su una poltrona, accanto ad un abete decorato con eleganti fiocchi rossi, un ragazzo, assorto e zelante nello studio della musica, fa vibrare con un archetto le corde di un violino. Le struggenti note del preludio della Traviata si diffondono nella calda atmosfera della stanza. E' una delle melodie preferite di Giulio: l'andamento malinconico gli ricorda sempre quel famosissimo dipinto di Friedrich intitolato: "Viandante sul mare di nebbia", con l'uomo visto di spalle e un paesaggio marittimo avvolto in un leggero manto nebbioso che avvolge in un abbraccio cielo, terra e mare.                                                                           Il ragazzo, ogni volta che suona questo preludio, immagina di trovarsi sulle rive del mare in una fredda e grigia mattina di inverno a contemplare un'aurora un po' offuscata da una sottile nebbiolina. Laura però non lo interpreta così... Laura! Ma quanto è sensibile quella benedetta ragazza!! Ogni volta che le suono questo preludio le viene da piangere e mi dice: "Penso ai bambini rimasti orfani a causa dei bombardamenti, abbandonati a loro stessi". 
Giulio è decisamente geniale: mentre i suoi occhi svegli seguono attentamente lo spartito e le note sul pentagramma, mentre le sue mani bianche danno vita a quel piccolo strumento a corda in contatto con un archetto, ride dolcemente tra sé pensando alle lacrime facili della sua cara amica. 
Ad un tratto però, una voce lo interrompe: "Giulio! Per favore, vieni nella camera del nonno." Il ragazzo lascia malvolentieri il materiale musicale per raggiungere l'altra stanza, in modo tale da poter obbedire al richiamo della madre. "Giulio! Mancano tre giorni a Natale, potresti suonare qualcosa di più natalizio della melodia di un'opera di Verdi!"
"Mamma... nulla è più natalizio della Traviata". Allo sguardo un po' perplesso della madre, il giovane aggiunge sorridendole: "L'ha detto Laura!"
"Dille che venga a trovarci durante le feste. Io ora corro in ospedale, fai compagnia al nonno". 
Giulio si avvicina al letto del nonno che lo osserva con i suoi grandi occhi, azzurri come un limpido cielo d'estate.
Poverino! E' completamente infermo, a letto. Mangia come un uccellino ed è privo di forze. Eppure, come fa a sorridermi così? Possibile che sia proprio io per lui un motivo di gioia? Povero nonno! Gli rimangono ancora pochi mesi di vita. Lo scorso anno è morta la nonna di Laura e tra poco se ne andrà anche il mio. 
"Tua mamma... tua mamma sta facendo un sacco di sacrifici per te, per me, per questa famiglia! Con dei turni estenuanti all'ospedale." Giulio prende una mano del nonno, la accarezza e se la appoggia su una guancia. 

Nonno, che vita difficile hai avuto anche tu! Da ragazzino vivevi nell'inferno della guerra civile italiana. La guerra ha ucciso tuo padre. Tu, il maggiore di cinque fratelli, subito dopo la quarta elementare, sei dovuto andare nei campi a lavorare per mantenere la famiglia.                                                       "Testa piena di pensieri, Giulio?" Il nonno lo scruta in modo un po' curioso e un po' interrogativo.
"Nonno, come trascorrevi il Natale quando eri ragazzino?" A quella domanda, gli occhi del nonno si illuminano, divengono brillanti come quel fascio di luce lunare che illumina le loro mani solidamente intrecciate.
"Quando ero ragazzino non c'era tutto questo lusso..." e, nel dirlo, con un cenno di capo indica tutti i mobili che arredano la camera. 
"Alla Vigilia, dopo una cena molto frugale che consisteva in un po' di minestra con un pezzo di pane, andavamo in chiesa ad ascoltare il parroco. Poi ci si scambiavano gli auguri. La notte di Natale era la più bella dell'anno! La mattina di Natale, se durante la notte era nevicato, io , i miei fratelli e i miei cugini scendevamo in strada a giocare con la neve..." 
Sul viso di Giulio è stampato un placido sorriso, un sorriso pieno di vita e di tenerezza. La sua mente lo riporta per alcuni istanti alla sua infanzia, quando, durante il periodo delle vacanze natalizie costruiva con suo padre un grande pupazzo di neve in mezzo al giardino.
Ma le parole del nonno lo riportano al presente. "Avevo imparato a memoria una bella poesia di Natale di Umberto Saba. Ma ora ricordo soltanto alcuni versi che dicevano:
Tu, Re dell’universo,
ci hai insegnato
che tutte le creature sono uguali,
che le distingue solo la bontà,
tesoro immenso,
dato al povero e al ricco.
Gesù, fa’ ch’io sia buono,
che in cuore non abbia che dolcezza."

Le mani di Giulio, che poco prima erano fredde, sono ora calde come quelle del nonno che continua a stringergliele. 
Mentre fuori, un freddo vento soffia e scuote i rami secchi degli alberi, come se volesse infondere in loro la speranza nell'arrivo della primavera.


I miei auguri di Buon Natale a tutti voi, ma con un consiglio: non andate in discoteca stasera. Dico sul serio! Andate a vedervi la Traviata. Non a teatro, ma su Youtube. Commuovetevi, emozionatevi, perché è vero, Violetta Valery è una figura natalizia. E' una donna buona e generosa che per amore compie un grande sacrificio. La trama già la sapete, perché l'avete letta su questo blog all'inizio del mese. Se non capite alcune parole letterarie o rese un po' incomprensibili dai cantanti, non preoccupatevi. Emozionatevi e basta.

Qui sotto vi lascio una canzone romantica di Michael Bublè (Cold dicember night). Io la adoro!




3 dicembre 2016

Letteratura e drammaturgia musicale a confronto:


In questo semestre accademico sto seguendo anche un paio di corsi di Storia della Musica. Non potete immaginare quanto questa nuova disciplina mi abbia stimolata a trovare significativi parallelismi letterari.
Suddivido il post in due parti: la parte A è relativa al confronto delle trame di due opere particolarmente affascinanti, la parte B invece è una breve riflessione su un'importante opera di Verdi che devo portare come programma d'esame per il modulo introduttivo della materia.


A) CONFRONTO TRA "IL RINALDO" DI HANDEL E "LA GERUSALEMME LIBERATA" DI TASSO:


HANDEL -IL RINALDO:


"Il Rinaldo" è un'opera in tre atti musicata da Handel, compositore vissuto a cavallo tra XVII° e XVII° secolo. Il libretto dell'opera è stato scritto dal letterato Giacomo Rossi, il quale, per comporre i versi, si è liberamente ispirato al poema di Tasso.

Linee generali della trama:

Siamo negli ultimi anni del XI secolo. Goffredo di Buglione conduce l'esercito cristiano contro i Saraceni. Giunto a destinazione, Goffredo riesce ad ottenere l'aiuto di Rinaldo, giovane e valoroso cavaliere templare, promettendogli, dopo la conquista di Gerusalemme, le nozze con la figlia Almirena.
Rinaldo e l'esercito cristiano penetrano in Palestina e giungono a Gerusalemme, mettendo così a rischio l'incolumità del re saraceno Argante. La maga Armida, amante di Argante, con alcuni sortilegi riesce a imprigionare Almirena nel suo castello incantato e ad attirare poi anche Rinaldo, del quale si invaghisce.
Armida è un personaggio molto negativo: ingannatrice, perfida e malvagia. Una sorta di strega malefica che istruisce delle Furie al suo servizio.
Dopo molte peripezie, Rinaldo riesce ad espugnare Gerusalemme, a catturare sia Argante che Armida e a convertirli al Cristianesimo. L'opera si conclude con le tanto agognate nozze tra Rinaldo e Almirena.

Aria di Almirena:
Qui sotto vi propongo l'ascolto dell'aria di Almirena (Atto I, scena sesta). La ragazza si trova in un locus amoenus, ovvero, in un giardino pieno di meraviglie, allietato dal canto degli uccelli.
In questo contesto quindi, la melodia dei flauti imita la piacevole realtà di un giardino popolato di creature soavi. Ho inserito anche le parole cantate da Almirena per permettervi di comprendere cosa sta cantando. Nelle arie spesso i contenuti verbali risultano indistinti e confusi, dal momento che il compositore vuole mettere in risalto attraverso la musica le sensazioni e gli stati d'animo dei personaggi.




ALMIRENA
Augelletti, che cantate,
Zefiretti che spirate
Aure dolci intorno a me,
Il mio ben dite dov'é!



TASSO E LA GERUSALEMME LIBERATA:

"La Gerusalemme Liberata" è un poema epico-cavalleresco di Torquato Tasso organizzato in 20 canti, formati da delle ottave (strofe di otto versi ciascuna).

Linee generali della trama:
Nel corso della prima crociata (1096-1099), a Goffredo di Buglione appare in sogno l'arcangelo Gabriele che gli consiglia di marciare verso Gerusalemme per poter liberare il Santo Sepolcro di Cristo dal dominio pagano. I cavalieri cristiani si mettono allora in cammino verso la Città Santa. All'interno dell'esercito cristiano si distinguono Rinaldo e Tancredi, tra i pagani invece Clorinda e Argante. Dall'alto delle mura della città, la principessa Erminia assiste allo scontro tra i due eserciti.
Successivamente, la maga Armida si serve di un incantesimo per imprigionare i guerrieri cristiani in un castello.
Riporto alcuni eventi essenziali del poema che forse conoscete o comunque ricordate, memori di alcune lezioni di letteratura alle scuole superiori: Erminia, innamorata di Tancredi, indossa le armi di Clorinda, della quale Tancredi è innamorato, per fuggire dalla città e recarsi al campo cristiano in modo tale da poter curare le ferite del suo amato. Durante il tragitto però viene notata al chiaro di luna e si trova quindi costretta a fuggire, trovando rifugio presso i pastori.
Tancredi, credendo che la donna a cavallo sia Clorinda, la insegue ma viene fatto prigioniero da Armida nel castello.
Goffredo ordina al suo esercito di costruire una torre per poter dare l'assalto a Gerusalemme, ma di notte Argante e Clorinda incendiano la torre. Poco dopo Clorinda viene uccisa in duello, proprio da colui che la ama, Tancredi, il quale non l'ha riconosciuta dal momento che l'aspetto della giovane era coperto dalla corazza.
Tancredi, oltremodo addolorato per aver ucciso la donna che amava, viene salvato dai suoi propositi di suicidio grazie all'apparizione in sogno di Clorinda.
Nel frattempo, la maga Armida è riuscita a sedurre Rinaldo con le sue arti magiche, in una selva incantata, altro locus amoenus descritto mirabilmente da Tasso.
In seguito però, due guerrieri vengono inviati da Goffredo per cercarlo e, dopo averlo trovato, lo liberano. Rinaldo, sinceramente pentito e pervaso da sensi di colpa per essersi lasciato incantare da Armida al punto tale da trascurare il suo dovere di guerriero e di cristiano, vince gli incantesimi della selva e permette ai crociati di assalire e conquistare Gerusalemme.
Il poema si conclude con la scena in cui Goffredo pianta il vessillo cristiano all'interno delle mura della città santa.


Rinaldo e Armida nella selva incantata- "Gerusalemme Liberata", canto XVI, strofe 17-23 : 


"Rinaldo e Armida", Ludovico Carracci
E' un passo che adoro alla follia! Molto sensuale, romantico e idilliaco.
Vi consiglio di leggerlo due volte: (non ci metterete moltissimo, sono soltanto sette strofe)
durante la prima lettura cercate di capire bene il contenuto, nella
seconda invece mettete come sottofondo l'aria di Almirena e immaginate di trovarvi di fronte ai due amanti Rinaldo e Armida.


 "Fra melodia sì tenera, fra tante vaghezze allettatrici e lusinghiere,
va quella coppia, e rigida e costante
se stessa indura a i vezzi del piacere.
Ecco tra fronde e fronde il guardo inante
penetra e vede, o pargli di vedere,
vede pur certo il vago e la diletta,
ch’egli è in grembo a la donna, essa a l’erbetta.


Ella dinanzi al petto ha il vel diviso,
e ’l crin sparge incomposto al vento estivo;
langue per vezzo, e ’l suo infiammato viso
fan biancheggiando i bei sudor piú vivo:
qual raggio in onda, le scintilla un riso
ne gli umidi occhi tremulo e lascivo.
Sovra lui pende; ed ei nel grembo molle
le posa il capo, e ’l volto al volto attolle,


 e i famelici sguardi avidamente
in lei pascendo si consuma e strugge.
S’inchina, e i dolci baci ella sovente
liba or da gli occhi e da le labra or sugge,
ed in quel punto ei sospirar si sente
profondo sí che pensi: "Or l’alma fugge
e ’n lei trapassa peregrina." Ascosi
mirano i due guerrier gli atti amorosi.


Dal fianco de l’amante (estranio arnese)
un cristallo pendea lucido e netto.
Sorse, e quel fra le mani a lui sospese
a i misteri d’Amor ministro eletto.
Con luci ella ridenti, ei con accese,
mirano in vari oggetti un solo oggetto:
ella del vetro a sé fa specchio, ed egli
gli occhi di lei sereni a sé fa spegli.


L’uno di servitù, l’altra d’impero
si gloria, ella in se stessa ed egli in lei.
"Volgi," dicea "deh volgi" il cavaliero
"a me quegli occhi onde beata bèi,
ché son, se tu no ’l sai, ritratto vero
de le bellezze tue gli incendi miei;
la forma lor, la meraviglia a pieno
più che il cristallo tuo mostra il mio seno.


Deh! poi che sdegni me, com’egli è vago
mirar tu almen potessi il proprio volto;
ché il guardo tuo, ch’altrove non è pago,
gioirebbe felice in sé rivolto.
Non può specchio ritrar sí dolce imago,
né in picciol vetro è un paradiso accolto:
specchio t’è degno il cielo, e ne le stelle
puoi riguardar le tue sembianze belle."


Ride Armida a quel dir, ma non che cesse
dal vagheggiarsi e da’ suoi bei lavori.
Poi che intrecciò le chiome e che ripresse
con ordin vago i lor lascivi errori,
torse in anella i crin minuti e in esse,
quasi smalto su l’or, cosparse i fiori;
e nel bel sen le peregrine rose
giunse a i nativi gigli, e ’l vel compose."


Certamente si tratta di abbracci passionali. Vorrei inoltre che teneste ben presente alcuni particolari per una più completa comprensione del passo:

1) Il poeta mette in evidenza il tema dello specchio: in esso Rinaldo vede la bellezza della maga e la esalta in modo dolcissimo e sincero. Lei si specchia, lui invece è incantato dalla brillantezza degli occhi dell'amata. Gli occhi ridenti di Armida e quelli innamorati di Rinaldo sono protagonisti della descrizione di questo idillio. Gli occhi dei due amanti rendono ancora più bello e suggestivo l'ambiente che li circonda.

2) "L'uno di servitù, l'altra di imperio/si gloria": Rinaldo si gloria della sua servitù d'amore, Armida invece del potere incantatore che ha sul cavaliere: lei si compiace di se stessa e Rinaldo di lei.

3) "Quegli occhi onde beata bei" significa, parafrasato nel miglior modo possibile: " gli occhi grazie ai quali tu, beata, rendi beato chi ti contempla".




B) "LA TRAVIATA":

"La traviata" è un dramma musicale in tre atti. Il libretto è stato realizzato dal poeta Francesco Maria Piave, le partiture musicali da Giuseppe Verdi.
L'opera si ispira al romanzo "La dame aux camèlias"- "La signora della camelie" e all'omonima opera teatrale di Alexandre Dumas figlio, scrittore francese operativo nel pieno del XIX° secolo.
Il romanzo era uscito nel 1848, l'opera teatrale era stata rappresentata per la prima volta nel 1852.





Brevi linee di trama dell'opera:
Non esporrò le differenze tra il dramma di Dumas e l'opera di Verdi, ma riassumerò le vicende principali di ognuno dei tre atti.
Ho visto la versione dell'opera rappresentata nel 2006 al "Teatro della Scala" di Tokyo e ogni volta che la vedo sprofondo in una valle di lacrime, perché è davvero davvero stupenda! A metà del secondo atto attorno a me ci sono circa 3-4 fazzoletti inzuppati di lacrime.
L'opera di Verdi è introdotta da un preludio:


Il preludio inizia in Do diesis minore e termina in Mi maggiore. Tradotto in un linguaggio psicologico-sentimentale: la melodia ha un inizio malinconico e struggente ma termina in modo abbastanza vivace. La tristezza e l'alone decisamente drammatico che caratterizzano il tema introduttivo ritornano poi all'inizio del terzo atto, quando Violetta, la protagonista dell'opera, giace malata, inferma e dimenticata dagli amici nel suo appartamento parigino. Violetta ha la tisi, malattia dei polmoni che nel XIX° secolo mieteva molte vittime soprattutto tra i giovani di età compresa tra i 18 e i 30 anni.
Verdi ha creato questo preludio introduttivo che precede il sollevarsi del sipario per fissare i due poli attorno ai quali gravita l'azione dell'opera: amore e morte.

A che cosa avete pensato mentre lo ascoltavate? O meglio, che cosa avete immaginato durante l'ascolto?
A mia mamma è venuta in mente un'atmosfera fiabesca, io invece ho pensato a un bambino solo, abbandonato e infreddolito per le strade di una cittadina indifferente e insensibile. Una specie di piccolo fiammiferaio, ecco.
Questo per farvi notare che l'atto del sentire la musica è diverso da persona a persona. Non c'è un'interpretazione esatta e una sbagliata.

Atto I: Un clima festoso aleggia nel lussuoso appartamento di Violetta, una prostituta di alto bordo molto omaggiata dai suoi clienti. La serata è scandita da momenti di piacevoli conversazioni, ottimi cibi in tavola e balli. Ma ciò che più è importante, è che avviene il primo fortunato incontro verbale tra Violetta e Alfredo, giovane uomo appartenente alla classe borghese.
Proprio in quella allegra serata Alfredo dichiara il suo amore a Violetta (Atto I, scena IV): " (...) e da quel dì tremante/vissi di ignoto amor. /Di quell'amor che è palpito/ dell'Universo intero, / misterioso, altero, / croce e delizia al cor". 
Non è la sciocchezza un po' sdolcinata dell'istantanea scintilla amorosa, occhio: nel corso del primo atto Verdi e Piave ci informano che Alfredo conosceva di vista la giovane prostituta già da un anno. Non per niente ho scritto "primo incontro verbale"! 
Ad ogni modo, Violetta, la quale non ha mai avuto l'occasione di sperimentare un amore autentico, rimane certamente sorpresa nello scoprire quale grande affetto il giovane nutre per lei ma al contempo ne è anche entusiasta e felice, al punto tale che decide di unire la sua vita a quella di Alfredo accettando di trasferirsi in campagna e cambiando inoltre il suo stile di vita.
 
Mi soffermo sul valzer del brindisi della seconda scena del Primo Atto. E' famosissimo, sicuramente lo avrete sentito ancora.
In questo video vi sono le scene 2-3 e 4 del Primo Atto. E' la rappresentazione di Tokyo sopra menzionata.
Fermate pure il video quando arrivate al minuto 3.12, quello che interessa in questa parte del post è l'analisi delle parole che Alfredo e Violetta cantano nel compiere il brindisi.
Certo, Mariella Devia non è bellissima (anzi, con i boccoli sta veramente male!) e non è molto credibile come "la giovane Violetta" (nel 2006 aveva 58 anni), però è bravissima. Ci vuole sempre il massimo rispetto per un soprano di fama internazionale!



I Versi di Piave:

          Alfredo:
Libiamo, libiamo ne' lieti calici,
che la bellezza infiora;
e la fuggevol' ora
s'inebrii a voluttà.
Libiam ne' dolci fremiti
che suscita l'amore,
poiché quell'occhio al core
onnipotente va.
Libiamo, amore; amor fra i calici
più caldi baci avrà.

 Tutti:
Libiam, amor fra i calici
Più caldi baci avrà.

Violetta:
Tra voi, tra voi saprò dividere
il tempo mio giocondo;
tutto è follia follia nel mondo
Ciò che non è piacer.
Godiam, fugace e rapido
è il gaudio dell'amore;
è un fior che nasce e muore,
né più si può goder.
Godiam c'invita c'invita un fervido
accento lusighier.

Tutti:
Ah! Godiamo, la tazza e il cantico
la notte abbella e il riso,
in questo in questo paradiso
ne scopra il nuovo dì.

Violetta:
La vita è nel tripudio...

Alfredo:
Quando non s'ami ancora...

Violetta:
Nol dite a chi l'ignora,

Alfredo:
È il mio destin così...

Tutti:
Godiamo, la tazza la tazza e il cantico
la notte abbella e il riso,
in questo in questo paradiso
ne scopra il nuovo dì.
Chiaramente questo momento di brindisi si richiama alla logica oraziana del "carpe diem".
Ho trovato un sacco di riferimenti letterari soprattutto per quel che riguarda la parte di Alfredo:

1) "...che la bellezza infiora": Richiama naturalmente al concetto delle poesie di Poliziano sulla giovinezza, periodo della vita in cui gli uomini e le donne godono dei piaceri dell'amore. La giovinezza, per Poliziano è delicata e bella come un fiore, ma è fugace.

2) "e la fuggevol ora": Forse Piave, mentre scriveva questa espressione pensava al madrigale di Tasso: "Ore, fermate il volo". Il brindisi caratterizzato dal ritmo di valzer si svolge di notte, in un ambiente interno. Non soltanto Alfredo, ma anche tutti gli altri presenti vorrebbero che quell'ora, o meglio, quella notte di letizia durasse il più a lungo possibile. Ma come tutte le gioie della vita, quel momento sereno è destinato a finire e ad essere archiviato nel passato.
In quel componimento di Tasso, la notte è simbolo di serenità, di quiete. Il poeta chiede alle Ore, divinità classiche che scandiscono il Tempo, di far durare il più a lungo possibile la notte, momento in cui egli può pensare in pace e in solitudine alla sua amata Laura Peperara.
Insomma, in entrambi i casi la notte è vista come un elemento piacevole che permette di gustare i propri sogni d'amore e che quindi proprio per questo si vorrebbe durasse più a lungo.

3)"Poiché quell'occhio al core/onnipotente va." Frase che rimanda al concetto stilnovistico già elaborato dal poeta duecentesco Guido Cavalcanti: "Voi che per li occhi mi passaste il core". 
E' la concezione dell'amore che ha caratterizzato la poesia italiana per molti secoli: il senso della vista suscita sentimenti di passione che fanno battere forte un cuore innamorato. Secondo i poeti, occhi e cuore comunicano, sono tra loro in stretta relazione quando l'individuo innamorato incontra la persona amata.


Atto II:   Nel primo quadro dell'atto, Violetta e Alfredo convivono in una graziosa villa di campagna già da tre mesi. Sono felici. Lei, molto generosamente, per mantenere sia se stessa che l'amante, sta vendendo tutti i beni che possiede in città.
Una mattina però giunge Giorgio Germont, il padre di Alfredo, uomo anziano, indifferente al sentimentalismo e sinceramente fedele alle convenzioni borghesi. Quella mattina Alfredo è assente e avviene un drammatico colloquio tra Violetta e Germont padre. Quest'ultimo desidera che la giovane prostituta rinunci all'amore per Alfredo, in modo tale da non compromettere il matrimonio dell'altra figlia. Violetta, disperata e piangente, abbandona Alfredo.
Nel secondo quadro invece, durante una festa in maschera a casa di Flora, una conoscente di Violetta, Alfredo, pieno di rancore per essere stato lasciato dall'amante senza spiegazioni, insulta pubblicamente Violetta, la quale si trova in compagnia del barone, uno dei suoi clienti. Sopraggiunge però Giorgio Germont alla festa, il quale, dopo aver sentito le parole di risentimento che Alfredo ha appena rivolto a Violetta di fronte agli altri invitati, pronuncia un aspro rimprovero indirizzato al figlio.

Atto III:
Vi sembra una ripresa esattamente fedele dell'andamento che caratterizza il preludio dell'opera che precede il Primo Atto? Ve lo dico io, non lo è. Questa melodia è struggente e dolente dall'inizio alla fine, perché allude già all'atmosfera di dolore che caratterizza tutto quest'atto finale. La morte della protagonista si avvicina.



Violetta, nelle prime 4 scene dell'atto, si trova sola, sdraiata a letto, priva di forze e priva della compagnia degli amici. E' assistita soltanto dal dottore e dalla serva Annina.
Poi sopraggiungono Alfredo e Germont, entrambi addolorati e dispiaciuti: il primo per averla offesa in pubblico, il secondo per aver interrotto il loro amoroso idillio in campagna.
E Violetta spira tra le loro braccia.



24 novembre 2016

"Il sabato del villaggio", Leopardi:


Dedico quest'analisi letteraria ad una ragazza che dovrebbe aver compiuto 22 anni proprio il mese scorso.
Lo so: conduciamo stili di vita diversi e lei ha intrapreso delle scelte di vita molto diverse dalle mie. 
Nonostante ciò, proprio lei è stata quasi l'unica figura positiva che ho conosciuto nel periodo del liceo. Era l'unica che sapeva ascoltarmi con un sincero sorriso sulle labbra, l'unica che con i suoi occhioni scuri a volte mi suggeriva di calmarmi e di fare un respiro profondo quando parlavo in modo concitato e senza pause. Era l'unica che non credeva nei cattivi, stupidi e maliziosi pettegolezzi che facevano su di me perché in fin dei conti questa ragazza aveva capito molto ma molto meglio degli altri la mia interiorità. Parlava con gli occhi e non con la bocca, almeno con me.
Starle seduta accanto anche soltanto per dieci minuti era come sentirmi a casa, al riparo dalle cattiverie e dalle falsità di tutti gli altri. 



 IL SABATO DEL VILLAGGIO:

"La donzelletta vien dalla campagna,                    1
In sul calar del sole,
Col suo fascio dell'erba; e reca in mano                 3
Un mazzolin di rose e di viole,
Onde, siccome suole,
Ornare ella si appresta
Dimani, al dì di festa, il petto e il crine.                 7

Siede con le vicine                                                  8
Su la scala a filar la vecchierella,
Incontro là dove si perde il giorno;
E novellando vien del suo buon tempo,
Quando ai dì della festa ella si ornava,                 12
Ed ancor sana e snella
Solea danzar la sera intra di quei
Ch'ebbe compagni dell'età più bella.                     15

Già tutta l'aria imbruna,                                         16
Torna azzurro il sereno, e tornan l'ombre
Giù da' colli e da' tetti,
Al biancheggiar della recente luna.                       19

Or la squilla dà segno                                             20
Della festa che viene;
Ed a quel suon diresti
Che il cor si riconforta.                                           23

I fanciulli gridando                                                 24
Su la piazzuola in frotta,
E qua e là saltando,
Fanno un lieto romore:                                           27

E intanto riede alla sua parca mensa,                    28
Fischiando, il zappatore,
E seco pensa al dì del suo riposo.                          30

Poi quando intorno è spenta ogni altra face,
E tutto l'altro tace,
Odi il martel picchiare, odi la sega                         33    
Del legnaiuol, che veglia    
Nella chiusa bottega alla lucerna,                          35
E s'affretta, e s'adopra
Di fornir l'opra anzi il chiarir dell'alba.                  37


Questo di sette è il più gradito giorno,                  38
Pien di speme e di gioia:
Diman tristezza e noia
Recheran l'ore, ed al travaglio usato
Ciascuno in suo pensier farà ritorno.                    42

Garzoncello scherzoso,                                          43
Cotesta età fiorita
E' come un giorno d'allegrezza pieno,                  45
Giorno chiaro, sereno,
Che precorre alla festa di tua vita.
Godi, fanciullo mio; stato soave,
Stagion lieta è cotesta.
Altro dirti non vo'; ma la tua festa                        50
Ch'anco tardi a venir non ti sia grave. "               51


RECITAZIONE DEL CANTO DI ARNOLDO FOA:



Prima di "addentrarmi" nei paragoni filologici e prima ancora di riferire le varie interpretazioni di questo articolato componimento, devo citare ciò che scrisse lo stesso Leopardi a pagina 532 dello "Zibaldone": 
"Il piacere umano (...) consiste solamente nel futuro. L'atto proprio del piacere non si dà. Io spero un piacere e questa speranza in moltissimi casi si chiama piacere: ciascun individuale istante dell'atto del piacere è relativo agli istanti successivi. (...) Tutti i desideri umani non sono mai assolutamente chiari, distinti e precisi; ma contengono sempre un'idea confusa e si riferiscono ad un oggetto che si concepisce confusamente. Per questo e non per altro la speranza è meglio del piacere, contenendo quell'indefinito che la realtà non può contenere."

Sembrano teorie contorte e prive di fondamento. Per poterle comprendere profondamente bisogna riflettere bene sui contenuti proposti ne: "Il sabato del villaggio".

Io ho diviso questa poesia in sette sequenze che elenco qui sotto:

1) vv.1-7: La donzelletta che ritorna dalla campagna dopo un'intensa giornata di lavoro rappresenta l'adolescente che attende con gioia ed entusiasmo il futuro, coltivando i suoi sogni. Questa giovane è dunque l'esempio del piacere proiettato nel futuro.
Vi sono due dettagli piuttosto importanti in questi versi: il primo è il fascio d'erba, simbolo del lavoro concluso; il secondo invece è il mazzo di rose e viole.
E' vero che le viole e le rose non fioriscono nella stessa stagione ma, al di là di questo preciso dato scientifico, i fiori colorati sono per Giacomo Leopardi l'emblema della festa che si prospetta.

2)vv.8-15: La vecchia seduta su un gradino della scala ricorda il suo passato con nostalgia, mentre le compagne la ascoltano. In un certo senso, io ho immaginato la vecchia come una dama abbandonata sia dalla grazia che dalla giovinezza la quale, seduta mestamente sul divano di una grande sala da ballo in un palazzo, contempla, sola e senza amante, le gioie altrui, rievocando una fresca giovinezza ormai sbiadita.
Ad ogni modo, questo è un esempio di piacere proiettato nel passato, esempio che non si trova nel passo dello "Zibaldone" citato sopra. E' utile ricordare che quella pagina filosofica è stata scritta nel 1821, da un malinconico Leopardi ventitreenne che aveva idealizzato il mondo esterno e che nutriva ancora grandi aspettative verso il suo avvenire. "Il sabato del villaggio" invece è stato scritto nel 1829, ovvero, in una fase diversa del pensiero leopardiano. Molti storici della letteratura la chiamano "la fase del pessimismo cosmico", ovvero, quando Leopardi comprende che la vita umana è caratterizzata dall'angoscia, da una vana e disperata ricerca sia della felicità che dell'appagamento dei desideri. Io invece la chiamerei "la fase della fame di vita". Leopardi non era un depresso. Era piuttosto un poeta e un filosofo che, pur avendo preso coscienza sia del dolore che del male del mondo, non si rassegnava a soccombere ad essi ma ricercava continuamente degli attimi e delle occasioni che gli dessero la possibilità di sfiorare una scintilla di gioia in mezzo a un mare di inestinguibili speranze.

3) vv.16-23: Il poeta dipinge con tratti delicati pervasi da stupore lirico un paesaggio notturno in cui le ombre, scomparse dopo il tramonto, ritornano a formarsi sotto la luce lunare. "Imbruna" è una voce poetica piuttosto frequente nei madrigali di Tasso. D'altra parte, Leopardi era un grande ammiratore dell'autore della "Gerusalemme Liberata". 
Non è però un notturno in cui è evocata l'interiorità del poeta in dialogo con gli elementi naturali. E' piuttosto un notturno "allegro e gioioso", in cui si sente il suono della campana che ravviva negli animi il desiderio di festa. (Leopardi scrive sempre "squilla" per campana).


4) vv. 24-27: Si passa dalla descrizione di un villaggio che attende il giorno di festa agli schiamazzi dei bambini in piazza. Si passa dall'attesa dell'alba di un giorno di festa alla vera e propria alba della vita, direi io. Per il poeta, la mente del bambino non è in grado di concepire il futuro come tempo dell'esistenza, anche se l'infanzia in sé è un periodo della vita che si proietta verso un avvenire indefinito.


5) vv.28-37: Vengono evidenziate l'operosità e il solerte lavoro del contadino e del falegname. "E' spenta ogni altra face" è un'espressione che, nella tradizione letteraria italiana indica una passione amorosa languente. Qui invece Leopardi le dà un significato nettamente differente, perché la inserisce in un contesto di quiete e di silenzio, contesto in cui opera il falegname. L'anafora al verso 33 del verbo "odi" è presente anche in un passaggio de: "Il passero solitario". Eccolo qui: "Odi per lo sereno un suon di squilla, odi spesso un tonar di ferree canne che rimbomba lontan di villa in villa."

Qui ho pensato anche a due passi del "Mattino" di Parini che fanno:
" Allora il buon villan sorge dal caro/ letto cui la fedel moglie e i minori/suoi figlioletti intiepidir la notte:/poi sul dorso portando i sacri arnesi (che prima ritrovò Cerere o pale/ move seguendo i lenti bovi (...)"

"Allora sorge il fabbro, e la sonante/ officina riapre, e all'opre torna/l'altro dì non perfette (...)"

Anche Parini, poeta neoclassico del XVIII° secolo, presenta gli umili come zelanti nel loro lavoro e contenti delle loro modeste condizioni di vita.

6) vv. 38-42: La domenica è un giorno di riposo; è il giorno in cui solitamente si accantona la propria vita lavorativa (fosse così anche per commesse e cassiere dei supermercati, si vivrebbe già in un mondo migliore!) per recuperare il valore delle relazioni umane. Però, la domenica non dura in eterno: dopo di lei c'è sempre il noiosissimo e deprimente lunedì che obbliga tutti a tornare "al travaglio usato". La prova schiacciante del fatto che la gioia e il piacere non sono affatto duraturi!

7) vv. 43- 51: Apostrofe "garzoncello scherzoso". Ammonimento al ragazzino che si traduce sostanzialmente in un caldo invito a godere appieno delle illusioni fanciullesche e dei propri giovanili sogni di vita. Da notare l'espressione: "età fiorita", che allude alla letizia di una ingenua e inconscia stagione della vita che non conosce, o meglio, non dovrebbe conoscere né i travagli né il dolore. 

Quanto Leopardi è vicino ai giorni nostri con questo componimento? Tutti, se pensiamo alla nostra realtà quotidiana, non possiamo dargli torto sul carattere effimero delle gioie. 

L'avevo già trascritto un paio d'anni fa in un post in cui nutrivo delle perplessità sulla filosofia di Schopenhauer, ma riporto queste frasi che ben si attengono 
all'argomento presentato:

" Ogni volere scaturisce da un bisogno, da una mancanza, ossia da sofferenza (... ); tuttavia, per un desiderio che venga appagato, ne rimangono almeno altri dieci insoddisfatti; inoltre la brama dura a lungo, le esigenze vanno all'infinito; l'appagamento è breve e misurato con mano avara. Anzi, la stessa soddisfazione finale è solo apparente: il desiderio appagato dà tosto(=subito) luogo ad un desiderio nuovo."





17 novembre 2016

"Difret, il coraggio di cambiare":


 "Le parolacce abbondano sulla bocca dei maleducati".  Su questo siamo tutti d'accordo, spero.
A questa affermazione io ne aggiungo un'altra:"Le parolacce riempiono la mente dell'indignato e gli avvelenano l'anima." Bene, sappiate che è il mio caso.

L'altro ieri è stata una giornata molto impegnativa all'Università. Il martedì torno a casa sempre tardi.
Ad ogni modo, l'altra sera avevo deciso di partecipare al festival del cinema africano per un ulteriore arricchimento culturale.
Al cinema del mio paese davano infatti un film ambientato in Africa intitolato "Difret" ed elegantemente accompagnato dall'espressione: "il coraggio di cambiare".
Non mi aspettavo certo un film divertente, rilassante e comico; in effetti ero ben consapevole di
andare a vedere una storia decisamente drammatica. Non mi sono impressionata, però non potete minimamente immaginare quante parolacce ho pensato durante la visione, che è durata meno di due ore. Saranno state almeno il triplo di quelle che penso e pronuncio nell'arco di una settimana, ve l'assicuro. Li ho odiati, li ho odiati a morte certi personaggi.
Anche se prevedevo che quella storia mi avrebbe riempito l'animo di rabbia, ugualmente sono voluta uscire di casa.
Il cinema africano è informazione, dal momento che permette agli spettatori di allargare i propri orizzonti e anche di osservare, attraverso uno schermo piatto, le tragedie delle popolazioni che vivono in quelle terre calde e soleggiate.

Una piccola ma importante precisazione linguistica: la parola "difret" in amarico ha due significati, molto diversi l'uno dall'altro: il primo è "coraggio", il secondo "violenza sessuale".


L'ETIOPIA:


"Difret" è ambientato in Etiopia.
Mi sembrava dunque opportuno descrivere alcune caratteristiche fisiche, economiche, storiche e politiche di questo stato.
L'Etiopia, situata nel territorio denominato "il Corno d'Africa", confina ad est con il Gibuti e la Somalia, a ovest con il Sudan, a nord con l'Eritrea e a sud con il Kenya. 
Il territorio etiope appare esteso in gran parte sull'altopiano, ove spiccano vette che raggiungono addirittura i 4000 metri di altitudine. 
L'altopiano è solcato a nord-ovest dalla Rift Valley che ospita diversi laghi, mentre verso l'Oceano Indiano l'altopiano digrada nei pressi le coste somale. Dall'Acrocoro etiopico hanno origine diversi fiumi. 
Il clima risulta essere piuttosto mite e temperato.
Probabilmente la regione etiopica è stata, tre milioni di anni fa, la culla dell'umanità. Secondo diversi storici e scienziati, proprio qui sarebbero comparsi i primi ominidi. 
Gli Etiopi hanno alle spalle un passato caratterizzato dal susseguirsi di regni sia cristiani che islamici, fino all'invasione dell'Italia che riuscì a conquistarla nel 1936, durante gli anni del fascismo.
L'Etiopia è indipendente dal 1952. Nel corso del secondo Novecento si sono susseguiti dei regimi dittatoriali. Bisogna inoltre ricordare la sanguinosa guerra di indipendenza dell'Eritrea, durata dal 1993 al 1998. 
La popolazione etiope è etnicamente complessa, come quella di molti altri stati africani: vi sono sia cristiani sia musulmani. Il tasso di natalità, molto elevato, ha portato ad un raddoppiamento della popolazione negli ultimi vent'anni. Questo significa che il 45% degli Etiopi ha meno di 16 anni.
L'economia è basata soprattutto su un'agricoltura di pura sussistenza e sull'allevamento di bovini. 
La speranza di vita è di soli 54 anni, mentre il tasso di mortalità infantile è dell'80 per mille, uno dei più alti del continente. 

Paesaggi etiopi

Lago Tana

TRAMA:

La protagonista del film è Hiruth, una ragazzina di quattordici anni, secondogenita di una famiglia di poveri ma saggi contadini.
Un giorno, mentre attraversa un vasto campo saltellando, contenta di aver ottenuto dei buoni voti per l'ammissione alla classe successiva, viene rapita da un gruppo di uomini a cavallo che la conducono in una capanna. Nella scena del rapimento, il montaggio indugia per alcuni secondi su quel foglio di carta abbandonato tra l'erba. E' il compito svolto da Hiruth, quel compito in classe che aveva decretato la sua idoneità alla promozione. Quel foglio di carta è un simbolo: rappresenta il sacrosanto diritto all'istruzione, spesso violato nei paesi asiatici e africani.
Quella ragazzina aspirava a diplomarsi per poi accedere all'Università di Addis Abeba e invece, un uomo sulla trentina voleva sposarla con la forza. Mi riferisco a Taddele Kebedè, uno dei sequestratori a cavallo. Per assecondare un suo capriccio egoistico, ovvero, l'essersi stupidamente invaghito di una giovanissima studentessa, ha rapito Hiruth facendosi aiutare da altri uomini.
Durante la notte ha abusato della ragazzina, togliendole la verginità, ovvero, il bene più prezioso che ogni essere umano deve saper custodire.
Molte ragazze occidentali della mia generazione la buttano proprio via, magari per accontentare i desideri e i ricatti di un imbecille oppure per "provare il sesso". Ma dai... ma si può provare il sesso? Si può andare a letto con un ragazzo conosciuto da pochissimo? Si può andare a letto con una persona che ti piace soltanto? Se amare è diverso dall'invaghirsi anche il piacersi è diverso dall'innamorarsi. Se un ragazzo ti piacesse per davvero non dovresti nemmeno riuscire a guardarlo in faccia. Lo so per esperienza personale. Come mai ora dilaga questa concezione di immediato possesso dell'altra persona?
Prima di dire definitivamente addio alla verginità, bisogna conoscere il più profondamente possibile l'anima della persona a cui si tiene. Prima ci si spoglia dei segreti dell'anima, poi si donano i corpi.

Ad ogni modo, per impedire la ribellione della ragazzina, Taddele la schiaffeggiava durante il rapporto sessuale. Oh, ma quanto amore!  Non mi venite a dire che era innamorato... L'innamoramento è una scintilla che porta al rispetto, all'ascolto, alla sete di conoscenza dell'altro.
L'innamoramento prepara all'amore, ad un progetto, al dono di sè.

La mattina dopo, Hiruth era ridotta così, osservate bene la foto e ingranditela a schermo intero se necessario:



 LE TRADIZIONI CHE VIOLANO I DIRITTI DELLE DONNE:

Questa era la tradizione etiope nel 1996, esattamente vent'anni fa: "carissimo uomo, vuoi possedere una ragazza ma i suoi genitori non acconsentono al tuo matrimonio con lei? La soluzione è semplice: la rapisci quando si trova da sola in mezzo ai campi, la stupri nottetempo e la tieni imprigionata per delle settimane. Quando ti accorgi che è incinta, allora la sposi."

Ecco come funzionava quella marcia e schifosa tradizione rurale etiope, ora severamente punita dalle leggi.  La donna, o meglio, la ragazza, è vista come un oggetto di piacere per il prepotente e arrogante uomo, che può fare di lei quello che vuole. E' una macchina che genera un figlio dopo l'altro, attraverso atti sessuali frequenti, obbligati e dolorosi.
L'umanità a misura di maschio. Che novità! E' così da cinquemila anni, praticamente dal neolitico.
Il maschio umano è stato spesso la causa di violenze inaudite a danno dei suoi simili e a danno della donna, che avrebbe invece dovuto e che tuttora dovrebbe invece amare e rispettare.
Sia ben chiaro, non sto generalizzando, anche perché, se generalizzassi, mancherei certamente di rispetto a una componente maschile sensibile e decisamente intelligente. Però questa è stata la storia.
La storia della donna è una storia di sottomissioni, di soprusi, di mancati diritti e di lotte per poterli ottenere. Per favore, ragazze, questo teniamolo bene in mente! Teniamoci stretti i nostri diritti, e non dimentichiamo mai che dobbiamo esigere il rispetto come persone. Non siamo le bamboline da vetrina di un negozio di giocattoli. Siamo fatte di carne, non di plastica. E il nostro corpo è fatto per interiorizzare l'amore sincero di un uomo amabile e rispettoso in modo tale da poterlo tramutare in una nuova vita.

La mattina dopo la violenza, mentre al di fuori della capanna quei porci uomini fanno tra loro discorsi oltremodo volgari su di lei, la ragazzina prende un fucile ed esce di nascosto dalla capanna. Mentre corre attraverso i vasti campi etiopi, i sei uomini la inseguono. Arrivati in un bosco, per impedire ai suoi inseguitori di farle di nuovo del male, Hiruth impugna un fucile e spara al suo futuro marito, provocandogli una morte istantanea.
Secondo alcune leggi etiopi in vigore negli anni Novanta, Hiruth avrebbe dovuto essere condannata a morte per questo atto di legittima difesa. Invece, è ancora viva ed ha più di trent'anni.
Ci ha pensato una giovane, energica e agguerrita avvocatessa a salvarle la vita; la signora Meaza Ashenafi, la quale le ha offerto un'assistenza legale gratuita. E' riuscita prima a ottenere il permesso di portare in ospedale la sua assistita, in modo tale da poterla curare da graffi, lividi e fratture e poi ha ottenuto anche la sua scarcerazione.

Infine, dopo molti mesi, l'udienza in tribunale aveva definitivamente confermato l'innocenza di Hiruth.
Per restituire la vita ad una ragazzina, Meaza ha rischiato di perdere il lavoro, il sostegno dei suoi colleghi e addirittura anche la tutela di Hiruth, la quale, nel periodo successivo alla scarcerazione, abitava con lei in una casa ad Addis Abeba. La giovane ragazza non poteva tornare a vivere nel villaggio dei suoi genitori subito dopo essere stata liberata perché altrimenti i compagni dell'assassinato le avrebbero tagliato la gola.

Il film, seppur oltremodo drammatico, è a lieto fine. Hiruth ha vinto la causa, ma dovrà convivere con il trauma della violenza sessuale fino alla fine dei suoi giorni.
Colpa dell'egoismo e della cattiveria di un uomo, che tra l'altro ha sottratto una figlia adolescente a due genitori, senza nemmeno lontanamente pensare al dolore e all'angoscia che ha suscitato in loro con questo suo atto. Ecco che cosa mi fa imbestialire di questa storia. Credo sia impossibile guarire da certi traumi psicologici.

"E' stata liberata, è tornata a casa con la sua famiglia, cosa volevi di più?", mi ha chiesto mia madre alla fine della proiezione.

Nulla. Volevo soltanto che una ragazzina non soffrisse così tanto per vedersi riconoscere la sua dignità e i suoi diritti. Avrei voluto che non l'avessero mai rapita.
Ma senza rapimento non ci sarebbe stato alcun film su di lei, la prima donnina africana ad essere scampata ad un'ingiusta pena di morte!



8 novembre 2016

"Into the wild": i grandi valori



Ho già scritto di questo film?! Bene, a maggior ragione allora vi propongo ulteriori riflessioni, a distanza di tempo. D'altronde, chi ha mai detto che le recensioni di un film devono essere scritte una volta sola?!!




Sapete che più cresco e più mi rendo conto di assomigliare molto a quel ragazzo che dal 1990 al 1992 ha percorso da solo le terre più vaste e più pericolose degli Stati Uniti?
Vi dirò di più: solo adesso, a poco più di vent'anni, dopo aver letto il libro e dopo aver rivisto il film, sono riuscita a capire davvero il senso della storia di Alex; o almeno, ho colto più significati ora rispetto a quando ero nel pieno dell'adolescenza.
Il giovane protagonista di "Into the Wild" è praticamente la mia versione maschile: determinato, sveglio, simpatico, intraprendente e amante della cultura. Ma soprattutto, io e Alex condividiamo l'amore per la verità e la semplicità. Detestiamo doppie facce e menzogne, soprattutto se prolungate nel corso del tempo.

La storia di Chris McCandless è destinata ai ventenni, perché lancia un messaggio ben preciso, anzi, fa di più: suggerisce un progetto di vita autentico, imperlato di grandi ideali e di relazioni profonde.
Il film non vuole esortare tutti i neo-laureati a compiere un viaggio nei luoghi più solitari e desolati allo scopo di fuggire dai legami familiari e dalle responsabilità. Piuttosto, direi che consiglia alle giovani generazioni di aspirare alla sobrietà, alla sincerità nei rapporti con gli altri, all'ascolto e al dialogo. E' un film che invita continuamente all'empatia: Alex, durante i suoi estenuanti ma avventurosi viaggi incontra diverse persone. Tutte loro hanno un passato alle spalle, dei ricordi dolorosi e dei ricordi piacevoli. Il giovane in un certo senso si nutre di tutte le loro storie e cammina, cammina continuamente alla ricerca di nuovi orizzonti, alla ricerca di luoghi suggestivi, alla ricerca di altre vite. D'altra parte, sa benissimo che:"la libertà e la bellezza sono troppo importanti per lasciarsele sfuggire".  
Sia chiaro questo: libertà non di fare esattamente tutto ciò che voglio senza pensare alle conseguenze delle mie azioni, ma libertà di godere di ogni respiro di questa vita.

"Se ammettiamo che l'essere umano possa essere governato dalla ragione, ci precludiamo la possibilità di vivere." ; così pensava il mitico Alex Supertramp quando, con un piccolo kayak sfrecciava sulle rapide del fiume Colorado.
Questa affermazione mi ricorda una frase pronunciata in un altro film relativo al tema del viaggio, ancora più recente però. Mi sto riferendo a "Il cammino di Santiago". Nella scena iniziale infatti, il figlio del protagonista della vicenda dice: "La vita non si sceglie, papà. La vita si vive".
E secondo voi??! Io sono per il fifty-fifty, ovvero, cinquanta e cinquanta. Credo che nessuno, in certi momenti cruciali dell'esistenza, possa permettersi di sfuggire di fronte alle scelte; e ad ogni modo, ognuno di noi è chiamato a scegliere nella vita: da un semplice gusto di gelato a una facoltà universitaria, da una pizza a un tipo di professione. A volte mi verrebbe da dire che la nostra vita è un mosaico le cui tessere sono le nostre decisioni.
Il giovane Chris McCandelss (questo il suo vero nome), quando ha deciso di partire da Annadale (Virginia) per condurre uno stile di vita lontano dagli agi, dalla ricchezza e dall'ipocrisia familiare, ha compiuto una scelta. Una scelta fondamentale per riscoprire non soltanto il valore della sua persona nella solitudine e nella meditazione ma anche l'inestimabile ricchezza dei rapporti umani.


D'altro canto però, la vita si vive. Sembra banale, ma credo che non ci sia nulla di più vero!
Le scelte sono spesso dettate dalla razionalità e dal buonsenso, ma i sentimenti... i sentimenti invece si vivono. O meglio, si dovrebbero vivere. Come dice un racconto di Davide Bernasconi intitolato: "Le parole sognate dai pesci", "I sentimenti non si possono stirare". E' vero. Se sono sinceri ti accompagnano nella tua quotidianità e tu non puoi pretendere di reprimerli. Se cerchi di reprimerli, se ti mostri piuttosto rigida con le persone a cui vuoi un mondo di bene sono cavoli amari, perché in questo modo condanni te stessa alla sofferenza e a volte anche a crisi di pianto inarrestabili.
Questo accade perché pensi di essere troppo strana e troppo originale per poter meritare la gentilezza del prossimo oppure anche per il fatto che non sei abituata ad essere ascoltata e compresa dai tuoi coetanei. Riconosco di essere sempre stata poco espansiva. Sono brava a scrivere i sentimenti, ma molto meno a esprimerli vocalmente.
A questo proposito, trascrivo un'altra frase piuttosto profonda del giovane viaggiatore:
"Ci sono persone convinte di non meritare l'amore. Loro si allontanano in silenzio dentro spazi vuoti cercando di chiudere le brecce al passato."
E' una frase che fa venire i brividi: lo spettatore particolarmente attento che, dalle poltroncine del cinema o dal divano del salotto, ascolta attentamente queste frasi pensa o comunque ricorda, con una preghiera silenziosa, le persone che non vorrebbero essere mai nate, ovvero, tutte quelle persone che probabilmente hanno avuto un'infanzia difficile e hanno perso la speranza di poter ammirare l'arcobaleno con le stelle. Tutte quelle persone che hanno perso la fiducia nella vita e negli altri. Tutte quelle persone che hanno bisogno di essere sorrette, accompagnate a braccetto o, in casi seri di depressione nera, di essere portate in braccio.
"Non conta essere forti, ma sentirsi forti", dice qualche minuto dopo il ragazzo. Con l'autostima e la motivazione si riescono a scalare le montagne, dice mio padre. Almeno su questo non ha affatto torto. "Se vuoi una cosa nella vita, allunga la mano e prendila!" Certamente. Niente di più semplice. Perché complicarsi la vita con complessi inutili??!

La colonna sonora è a dir poco stupenda! Sono quasi tutte canzoni di Eddie Vedder eseguite alla chitarra. Tutte bellissime, soprattutto "No ceiling", "Long nights", "Society", "Hard sun", "Guaranteeed". Le ho scaricate tutte e ultimamente sono diventate anche la colonna sonora dei miei piccoli viaggi in automobile. Tenete presente che sono una patita proprio di questo genere musicale che si colloca a metà strada tra il pop e il country.

Il film inizia con "Guaranteed", brano perfetto per introdurre l'indole e i comportamenti del protagonista:


"Sono indignato ma sono puro in tutti i miei pensieri... Sono vivo." Proprio come me.
Indignata lo sono sì, e confesso di avere accumulato parecchia rabbia negli ultimi anni, per vari motivi e per esperienze oltremodo deludenti. Ad ogni modo, mi ritengo una persona viva perché non rinuncio mai a cercare piacere e serenità, anche nella contemplazione di un tramonto.
Leggetevi l'omonimo libro di John Krakauer! Ve lo consiglio caldamente.
Cito qui alcuni passi del romanzo che mi hanno seriamente fatto pensare di assomigliare a Chris McCandless.
"La personalità di McCandless era talmente complessa da risultare sconcertante. Era molto introverso, ma sapeva diventare socievole e comunicativo fino all'eccesso. Possedeva un' acuta coscienza sociale, ma non era certo il benefattore taciturno e scontroso che disapprova il divertimento."

"Se cercavi di dissuaderlo da qualcosa, non si metteva a discutere. Educatamente ti rispondeva con un cenno e poi faceva esattamente quello che voleva."

"Ancor più degli adolescenti in genere, Chris vedeva solo il bianco e il nero e giudicava se stesso e gli altri secondo un codice morale di insostenibile rigore. Curiosamente però, non con tutti usava gli stessi rigidi parametri. (...) Chris era consapevole dei molti difetti di alcuni suoi conoscenti e amici, ma a loro riuscì a perdonare. (...) Chris sembrava giudicare le persone in base alle loro opere e non alla loro vita. "
Però non è riuscito a perdonare gli errori di un padre adultero e ipocrita.

Nel suo romanzo "Cose che nessuno sa", Alessandro D'Avenia cita la canzone "No ceiling".
E' Giulio, il ragazzo innamorato di Margherita, che cita il film come uno stupendo capolavoro e che, durante il loro viaggio alla ricerca del padre di lei, carica sul lettore CD dell'auto la colonna sonora di "Into the Wild".




Forse non ci avete fatto caso, ma in "Into the wild" c'è anche un messaggio evangelico. Soprattutto nel dialogo con Ron, il vecchio scorbutico, emergono le tematiche dell'amore e del perdono, tanto care al cristianesimo.
Eccolo qui, e con questo concludo davvero: