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26 gennaio 2016

Shoah- la preziosa testimonianza di Yoram Fridman:


Esultate e gioite con me! Perché, dopo molte ricerche online, sono riuscita a trovare un'intervista che è stata fatta poche settimane fa a quest'uomo meraviglioso! Yoram Fridman, la tenacia fatta persona.

Per chi non lo conoscesse: su questo blog, in data 12 ottobre 2015, ho svolto una recensione sul film "Corri, ragazzo, corri!" (http://riflessionianna.blogspot.it/2015/10/corri-ragazzo-corri-pepe-danquart.html), opera cinematografica che racconta la dolorosa, travagliata e angosciante infanzia di un ragazzino ebreo che deve sopravvivere alla guerra e che si trova costretto a cambiare identità per non farsi scoprire dai nazisti. Il nome del ragazzino-attore è Srulik, ma è Yoram che ha realmente vissuto tutte quelle numerose e terribili peripezie.

Dunque, è dalla metà di dicembre che pensavo di pubblicare qui, in occasione del 27 gennaio 2016, un'intervista a Yoram. Ero proprio determinata a farlo! E insomma, la mia indole testarda e determinata mi ha portata pochi giorni fa su un sito gestito da alcuni docenti universitari attivi a Gerusalemme e dediti non soltanto all'insegnamento e alla ricerca ma anche a mantenere viva la memoria dell'Olocausto. Proprio qui, tra le pubblicazioni più recenti, sono incappata in un video in cui un giornalista poneva delle domande al signor Fridman. Yoram è di madrelingua ebraica, ha  dimenticato il polacco e non parla inglese. Anche se, per mia somma gioia, i sottotitoli erano in inglese. Non ho fatto altro che tradurli per poterveli proporre per iscritto in questo post!
Naturalmente riporto le parti più significative del dialogo tra il giornalista e il matematico ebreo. Tra un discorso e l'altro, inserisco alcuni miei commenti e impressioni evidenziati in blu.


INTERVISTA DEL 12 GENNAIO 2016:

1) Signor Fridman, quando ha iniziato a raccontare la sua storia?

Alla fine della guerra del Kippur e alcuni anni prima di divenire docente universitario.  Nel 1974 insegnavo matematica e fisica in un liceo molto grande, di circa 1300 studenti. In quell'anno, durante un'assemblea di istituto, venne in questo liceo un ex-soldato con le protesi alle gambe, per raccontare ai ragazzi la sua storia. Io ero seduto in un angolo e vidi al mio fianco un collega che non era interessato ad ascoltare. Allora alla fine di quella mattinata di scuola mi venne un'idea: andai dal Preside della scuola e gli dissi che l'anno successivo io avrei raccontato la mia storia ai ragazzi.
E così ho iniziato. Pian piano. -e a questo punto, con l'unica mano che ha gesticola, quasi come se volesse appiattire e placare una tempesta che è da tempo dimora nel suo cuore, colmo di ricordi tragici. Quasi come se volesse bilanciare due forti emozioni: il dolore verso il passato e il desiderio di raccontare per tramandare. -

2) Ha mai avuto l'occasione di recarsi in Polonia molti anni dopo la fine della guerra?

Sì. Ci andai con mia figlia più di vent'anni fa. A Varsavia incontrai un mio amico di infanzia, che mi disse:"Ci conosciamo da sempre, ma non sappiamo l'uno dell'altro. Scriviamo un libro sulle nostre storie". Io gli risposi: "Scrivo solo in ebraico". Ma mi assicurò che avrebbe pensato lui stesso alla stesura. Questo mio amico pubblicò un libro intitolato :"I bambini della Shoah", che raccontava le storie di 150 bambini sopravvissuti. Tra queste storie c'era anche la mia. Il libro arrivò qui in Israele. E un giorno, un dirigente scolastico mi invitò nella sua scuola perché voleva conoscermi. Io non avevo molta voglia di essere intervistato. Ma sa...  -e qui sorride con fare un po' ironico e un po' bonario- dietro il successo di un uomo c'è sempre una donna! Mia moglie. Mia moglie Sonja mi disse: "Quando sarai morto qualcosa resterà". E allora ho pensato ai miei figli e ai miei sei nipoti.  -sorseggia tranquillamente il suo caffè, per poi riprendere il discorso- Hanno tradotto il libro del mio amico in 17 lingue. E poi, con questo film di Danquart sono praticamente diventato un uomo di fama mondiale- e a questo punto sorride con umiltà, arrossendo un po' e sistemandosi il colletto della camicia- Lo scorso anno c'è stata una proiezione del film addirittura in Thailandia. Non avrei mai pensato.

3) Prima di cominciare a raccontare la sua storia, Lei pensava che fosse così d'impatto che tutti avrebbero voluto sentirla e parlarne?

No, no, no. Assolutamente no. -qui sorge sulle sue labbra una smorfia di dolore- Almeno non all'inizio. Dopo che iniziai a parlare capii. Quando incontro i giovani studenti, loro restano senza parole alla fine del mio racconto. Vado nelle scuole a parlare del mio passato e vedo dei ragazzi che piangono mentre racconto. Ricevo molte lettere di ringraziamento dai Presidi delle scuole. -e qui, anche lui con gli occhi lucidi, si accarezza la spalla e il moncone e sospira profondamente. Poi, con una voce un po' tremula che tradisce la sua emozione, dice anche- penso che per noi ebrei sopravvissuti sia molto importante parlare delle nostre storie, perché tra alcuni anni non ci saremo più. Siamo rimasti in pochi, io quest'estate compio 84 anni. Non mi rimane moltissimo tempo da vivere. Naturalmente possiamo leggere libri, consultare archivi storici ma io ritengo che chi ha memoria, chi ha realmente vissuto l'inferno, deve condividere i ricordi. Deve esprimersi. -socchiude gli occhi per qualche istante e sorseggia di nuovo il suo caffè.- La capacità di coinvolgere le altre persone quando racconto, mi viene dall'anima.

4) Se la sente di parlarmi di come era il regime di vita dei bambini nel ghetto?

Sono stato quasi due anni nel ghetto. Eravamo molto poveri, non c'era niente da mangiare. C'erano molti furti per strada. C'erano molte malattie, colera, tifo. Facevamo di tutto per sopravvivere: rovistavamo nella spazzatura, rubavamo dai negozi... i bambini erano bande dedite al furto. E' così che persi mia madre: andammo un giorno a cercare da mangiare, entrai in un bidone e quando uscii non la trovai più. Non l'ho più vista.
Ho più di ottant'anni, ma ho una grande nostalgia di lei e una gran voglia di abbracciarla e di baciarla. -solleva lo sguardo un po' in alto, come per cercare comprensione da parte di Dio-
Sa cos'era una minestra all'epoca? Acqua calda con una patata e un pezzo di pane dentro!

5) Pensa che la sua storia sia un esempio per quella degli altri?

Ogni buon film basato su una storia vera, se è un buon film, lascia il segno. Sa anche Lei che cosa è accaduto nella ex-Jugoslavia nel '95. La storia si ripete se si perde la memoria.
Il film è davvero ben riuscito, soprattutto è stato reso bene un aspetto molto realistico: infatti pur dovendo prendere delle decisioni da adulto istantaneamente, sono rimasto un bambino che cercava altri bambini per giocare. Vede, io avevo un motto: "Vivere". Vivere. Ho fatto di tutto per rimanere vivo. Se mia moglie fosse qui potrebbe spiegarglielo meglio di me, perché è una psicoterapeuta in pensione. Lei mi ha detto che c'è qualcosa di molto primitivo nei bambini. Sono mossi dall'istinto di sopravvivenza. Io volevo solo sopravvivere e questo avevo promesso a me stesso e a mio padre. Mi ricordo che non mi preoccupavo se l'acqua era fredda e profonda, semplicemente entravo.
Non sono andato a vedere la proiezione a Berlino, perché lo scorso inverno non sono stato bene.
Però sono andato con mia moglie a vedere quella trasmessa in Polonia. C'erano molti giornalisti che volevano intervistarmi.  I giornalisti, che categoria particolare! Si avvicinano dicendo: "Signor Fridman, permette una piccola domanda?" Poi in realtà dura almeno mezz'ora! -e l'intervista si interrompe qui, con la risatina bonaria di Yoram.-



Devo dirvi la verità, il film sulla sua storia è stato come una pugnalata nello stomaco; ma quest'intervista... molto di più. La prima volta che l'ho ascoltata mi veniva proprio da piangere. Vedere un anziano che, nel ricordare, continua ad accarezzarsi la spalla e il moncone come se volesse dire anche: "La guerra e l'antisemitismo mi hanno tolto una parte di me" è davvero struggente.
Però Yoram è da ammirare. Bisognerebbe inchinarsi di fronte a una persona che, dopo aver vissuto vicende del genere, non è caduta in depressione e ha trovato la forza per andare avanti.
Questo è tremendamente straordinario!

Se Yoram conoscesse l'italiano e gli capitasse di incontrarmi, probabilmente mi direbbe: "Esagerata! Non sono un uomo straordinario; é da una vita che cerco di farmi forza".
Ma per diventare così forte, chissà quanti fiumi di lacrime avrà versato nel corso dei suoi quasi 84 anni...



20 gennaio 2016

I notturni da Alcmane a Van Gogh:

Esame di lingua greca, superato! E con un voto che è andato al di sopra anche delle mie più rosee aspettative! 
In questo post volevo proporvi il parallelismo tra una lirica del poeta greco Alcmane (ad essere sincera, l'unico frammento che mi piace di questo poeta!)  e due opere pittoriche incredibilmente suggestive di Van Gogh.

                   ALCMANE, FRAMMENTO 159:
                    
                          "Eὕδουσι δʼ ὀρέων κορυφαί τε καὶ φάραγγες
           πρώονές τε καὶ χαράδραι
                      φῦλά τʼ ἑρπέτ' ὅσα τρέφει μέλαινα γαῖα
                      θῆρές τʼ ὀρεσκώιοι καὶ γένος μελισσᾶν
                       καὶ κνώδαλʼ ἐν βένθεσσι πορφυρέας ἁλός·
                          εὕδουσι δʼ οἰωνῶν φῦλα τανυπτερύγων."

                    "Dormono le cime dei monti e le gole,
            i picchi e i dirupi,
                    le selve e gli animali, quanti ne nutre la nera terra,
                     le fiere montane e la famiglia delle api, 
                     i pesci nel profondo del mare purpureo;
                            dormono le stirpi degli uccelli dalle lunghe ali."        


Eccolo qui di nuovo, il tema del notturno, sempre capace di affascinarmi e di farmi riflettere. 
La natura addormentata è descritta in modo analitico: i vari elementi vengono menzionati con un criterio che parte dall'assoluta immobilità che caratterizza oggetti inanimati (le cime dei monti, le gole, i picchi, i dirupi) e continua con l'evocare creature animate e vivaci. Il massimo della mobilità è rappresentato dagli uccelli che però, anch'essi assopiti, ribadiscono l'idea della quiete universale della notte.
Giovanni Pascoli si era laureato in Lettere Classiche nel 1885 con una tesi sulla metrica di Alceo, lavoro che gli permise tra l'altro di ottenere una cattedra di Grammatica e Lingua greca all'Università.
Abile e appassionato traduttore di liriche antiche, anch'egli, come altri studiosi, ha fornito una sua particolare versione del testo:


"Dormono de' monti le vette e le valli
e i picchi e i burroni
e quanti esseri, che fogliano e che serpono, nutre la nera terra,
e le fiere montane e la schiatta delle api
e i mostri nei gorghi dell'iridato mare, 
e dormono degli uccelli 
i popoli, dall'ampio alare."


Seppur abbastanza letterale, questa traduzione è molto attenta alle valenze poetiche e ritmiche della lirica. Da notare al verso 3 sia la perifrasi verbale "quanti esseri che fogliano", sia la resa etimologica "serpono" del sostantivo "ἑρπέτα". E comunque, personalmente, io preferisco "iridato mare" a "mare purpureo". "Iridato mare" è un'espressione più profonda perché mi fa pensare ai riflessi della luna piena sulle onde.


VAN GOGH, NOTTE STELLATA

Stupenda... Mozzafiato... Mi si stringe il cuore ogni volta che la vedo!

Questa l'ha dipinta circa due anni prima di morire... ed è la rappresentazione di una notte di fine settembre! (Alcuni illustri critici d'arte del calibro di Flavio Caroli e Philippe Daverio affermano che Vincent avrebbe realizzato il quadro nella notte tra il 25 e il 26 settembre 1889- esattamente 106 anni prima che io nascessi, che coincidenza!!) 
In una piccola valle si adagia un paesino, delimitato a destra da un oliveto. Sullo sfondo, le colline tagliano la tela diagonalmente. Ma se osservate bene l'andamento delle loro linee, vi tornerà alla mente l'immagine delle onde impetuose di un mare molto mosso e agitato. Sempre in primo piano, ma a sinistra, si erge un cipresso il cui aspetto della punta ricorda quello di una fiamma. L'albero comunque è simbolo dell'aspirazione alla pace interiore e all'armonia con l'Universo... sensazioni che quest'artista non riuscirà mai a raggiungere, almeno in maniera stabile e duratura.
Uno sguardo superficiale di pochi secondi o comunque globale suggerisce calma e silenzio; uno sguardo più attento alle forme degli elementi del paesaggio invece fa pensare all'angosciosa inquietudine e infelicità di Van Gogh.
Le stelle presentano un aspetto vorticoso e sono diverse l'una dall'altra (alcune più grandi e più luminose, altre meno/alcune bianche, altre gialle).
Altroché la tranquillità espressa nel componimento di Alcmane! ...

Ma c'è anche un altro spettacolare notturno, decisamente meno inquietante anche se malinconico:

NOTTE STELLATA SUL RODANO:


Dipinta nella notte tra il 7 e l'8 aprile del 1888, la tonalità dominante di quest'opera è il blu, soprattutto in due gradazioni: il blu oltremare delle acque del fiume e il blu cobalto del cielo.
Le luci della città che si riflettono nell'acqua brillano di un arancio intenso. Le stelle sembrano dei piccoli diamanti che risplendono nel cielo. Una coppia passeggia sulle rive del fiume. 
Io credo che le luci dei lampioni che si riflettono sulle acque potrebbero alludere al desiderio di una tacita e profonda armonia con la Natura. 
L'essere umano, consapevole della precarietà dell'esistenza, aspira a raggiungere l'autentico e l'infinito proprio mentre contempla le bellezze del cosmo, le quali lo inducono a praticare l'introspezione. Ecco ciò che scrisse Vincent al fratello Theo, pochi giorni dopo aver dipinto la "Notte stellata" del 1889:

 "Spesso ho l'impressione che la notte sia più ricca di colori se paragonata al giorno".

  

8 gennaio 2016

Frozen: il regno di ghiaccio

 E' una mia impressione o per davvero queste due settimane di pausa natalizia sono volate via come piume al vento??


Dai, almeno ho avuto tempo per provare la pista di pattinaggio di Peschiera qualche giorno fa. Era dalla fine del 2011 che non pattinavo più e in effetti, appena mi sono messa i pattini ho pensato: "Adesso farò sicuramente un disastro!" ... invece è andata molto bene: ho passato i primi due minuti sempre attaccata al bordo della pista, dopodiché ho detto a me stessa: "Adesso prova a lasciarti andare". L'ho fatto; e ad un certo punto sono diventata così sicura del mio costante equilibrio che mi sono messa a correre da un lato all'altro della pista (ovviamente prestando attenzione ai bambini). Il pattinaggio sul ghiaccio mi ha fatto venire l'idea di scrivere le mie considerazioni su questo capolavoro cinematografico originale ed emotivamente coinvolgente e, a mio avviso, destinato non soltanto ai bambini ma anche e soprattutto ad adolescenti e giovani.

 Anche se la sapete bene, è importante scrivere la trama perché le mie riflessioni comportano un continuo e stretto confronto con essa. Dunque, siamo probabilmente nel pieno del XIX secolo ad Arendelle, un regno situato su un fiordo della penisola scandinava e governato da un mite sovrano che vive con la moglie e le due figlie, Elsa e Anna. Elsa, al contrario della sorella minore, è dotata del potere di creare e di manipolare il ghiaccio. Anche se una notte, proprio durante uno dei loro giochi all'interno del palazzo, accade un incidente che cambia la loro vita e che le separa per molti anni... 






In effetti, il re e la regina, preoccupati del fatto che Elsa non sia in grado di controllare le sue straordinarie capacità, decidono di segregarla in una stanza, lontana dal mondo esterno e purtroppo anche lontana da Anna. Questa separazione, dolorosa per entrambe, è la causa delle loro differenti personalità; Elsa diviene una ragazza dolce, sensibile, piena di buon senso (è dotata di quella saggezza che tutte le regine dovrebbero avere!) ma malinconica e cupa, dal momento che da anni convive con la paura di poter fare del male agli altri con i suoi poteri. 


Anna invece, estroversa e vivace sin da piccola, cresce felice, gioiosa e solare, piena di fiducia verso la vita e verso tutte le persone che conosce e che incontra.
Io ho sempre ritenuto che i loro genitori abbiano commesso un gravissimo errore nell'isolare Elsa; innanzitutto perché l'hanno privata del confronto e della relazione con la sorella (che sarebbe stato fondamentale per farle comprendere che nelle sue magie c'è molto fascino e molta bellezza) e poi perché, nel rinchiuderla in camera e nel trasmetterle la loro paura verso le sue capacità congenite, hanno alimentato in lei l'insicurezza e la paura verso se stessa. Insomma, la bambina diviene una buona ragazza sicuramente, ma tormentata e restia nelle relazioni con gli altri. Cresce con l'idea di essere un mostro pericoloso per il mondo esterno.


Il re e la regina perdono la vita in un naufragio... e tre anni dopo la loro morte, Elsa diviene regina. Nel giorno della sua incoronazione, viene organizzata una festa alla quale partecipano molti esponenti della nobiltà; e tra questi, il Principe Hans delle Isole del Sud, con il quale Anna trascorre praticamente l'intera giornata. Dopo nemmeno un giorno di compagnia, il principe le chiede di sposarlo. Il punto è che Elsa si rifiuta di dare il suo consenso al matrimonio: "Non puoi sposare un uomo che conosci appena", dice. Anna allora replica con parole pesanti: "Io dell'amore ne so sicuramente più di te. Tu sai solo chiudere le porte in faccia". Queste parole suscitano l'esasperazione di Elsa, la quale, nel bel mezzo di uno sfogo isterico, rivela i suoi "poteri glaciali" davanti agli invitati perdendone completamente il controllo e causando un inverno perenne e freddissimo. Accortasi della terribile conseguenza del suo scatto di rabbia, la giovane regina fugge sconvolta dal palazzo. Ma ricordiamoci che Elsa non teme la solitudine, anzi... proprio la solitudine le permette di acquisire la consapevolezza di essere straordinaria, unica, capace di grandi cose. Insomma, per la prima volta in tutti i suoi 19/20 anni (osservandola le si darebbe quest'età), si rende conto del fatto che i suoi poteri costituiscono anche una grande risorsa creatrice. 


L'ingenua Anna, che nutre da sempre un amore quasi incondizionato verso Elsa, si mette alla ricerca della regina, per farsi perdonare e per riportarla al trono. Durante il viaggio incontra Kristoff, un giovane venditore di ghiaccio in viaggio con la sua renna Sven. Kristoff le fa da guida verso la montagna presso cui si trova il castello di ghiaccio di Elsa. nell'accompagnarli verso la meta c'è anche Olaf, il pupazzo di neve al quale Elsa ha inconsapevolmente donato le funzioni vitali. Sapete, una signora che conosco da alcuni anni e che ha tre figli, tutti ancora abbastanza in tenera età, mi ha confidato che "Frozen" la commuove e, ciò che la fa piangere, è proprio il simpatico pupazzo di neve. A me invece colpisce moltissimo il momento in cui Elsa canta "All'alba sorgerò". Quella canzone è il suo grido di libertà e rappresenta tutto l'impegno che lei mette nella ricerca di se stessa, lontana da pregiudizi, da condizionamenti e soprattutto, da paure. 
Una volta giunta nella nuova dimora di Elsa, Anna la invita a ritornare alla reggia, ma quest'ultima rifiuta perché ha ancora un'incredibile paura di poterle fare del male. Nell'agitazione e nel bel mezzo dell'imbarazzo, Elsa colpisce involontariamente Anna al cuore con un getto di ghiaccio. Anna e Kristoff si allontanano dalla reggia: il ragazzo si accorge che i capelli della principessa stanno diventando bianchi e così la porta dai Trolls per poterla guarire nuovamente. I Trolls comprendono la gravità della situazione e dicono a Kristoff che soltanto un atto di vero amore potrebbe salvare Anna da una morte orribile e incombente... la ragazza infatti è in procinto di divenire una statua di ghiaccio. Anna congeda Kristoff e si reca alla reggia, credendo invano che Hans possa salvarla. Invece scopre con grande dolore che egli è interessato soltanto alla conquista del trono di Arendelle. Il perfido principe inoltre è riuscito a imprigionare Elsa e sta escogitando un piano per poterla uccidere e per porre fine all'implacabile tormenta di neve che sconvolge la città. 

E' Olaf che apre gli occhi ad Anna, perché ammettiamolo, dai: la principessa di Arendelle è simpatica, genuina, cordiale... ma non molto sveglia e non molto brava a valutare le reali intenzioni degli altri. Comunque, è proprio Olaf che le rivela l'amore di Kristoff che si sta dirigendo verso la reggia per poterla salvare. Anna, nonostante le debolissime forze rimaste, esce per cercare il venditore di ghiaccio. Nel frattempo, Hans insulta Elsa e le fa credere che la sorella sia morta per colpa sua. Sconvolta e distrutta dal dolore, Elsa si accascia a terra. Proprio nel momento in cui Hans è pronto a ucciderla con la spada, Anna si interpone tra i due per salvare la sorella; così ferma il colpo di spada diventando una statua di ghiaccio. Ecco qui l'atto d'amore che fa piangere Elsa, la quale abbraccia la sorella immobile. Proprio l'abbraccio ridona la vita ad Anna, con grande gioia di Elsa e di Kristoff. Grazie a questo atto d'amore, Elsa riesce a sciogliere l'incantesimo dell'inverno perenne. Intanto, mentre si organizza il fidanzamento tra Anna e Kristoff, il principe Hans  viene ricondotto nel suo regno, dove subirà il carcere a vita. Infine, la regina di Arendelle decide di non nascondere più i suoi poteri e di utilizzarli per il bene comune e per la felicità dei suoi sudditi.




 Il Morandini; ovvero, il dizionario dei film che ho a casa, commenta così il finale di "Frozen": "Con un 3D ben usato, questo prodotto Disney punta su un'attualizzazione dei personaggi femminili e una ricerca di originalità dei ruoli maschili: non è il bacio del principe a risolvere la situazione, bensì l'abbraccio della sorella." Proprio questo è l'aspetto che rende originale il lungometraggio.


LA PERSONALITÀ DI ELSA:

Nell'esporre la trama ho già scritto alcune importanti considerazioni su Elsa, il mio personaggio preferito. Nonostante le sue angoscie e le sue paure, ha una personalità molto forte, certamente in conflitto con se stessa ma determinata a conquistare un posto nel mondo. Decisa e convinta delle sue scelte, difficilmente si lascia persuadere. Non è fredda, è soltanto impaurita e poco esperta nelle relazioni con gli altri. Non a caso proprio lei è la protagonista del film; infatti questa storia fa vedere tutte le tappe del suo percorso di maturazione nelle relazioni con gli altri: prima segregata nella sua stanza con la convinzione di essere soltanto cattiva e temibile, poi, sola nel suo bellissimo castello, diviene consapevole delle sue innate virtù (capaci di creare meravigliose opere d'arte architettoniche) ma incapace di perdonarsi per ciò che è accaduto durante la festa e ancora incapace di controllare la sua emotività (perché è soltanto quella che provoca sempre i disastri e i negativi colpi di scena del film). E infine, commossa dall' affetto che Anna nutre per lei, comprende che l'amore e la solidarietà rendono l'esistenza degli esseri umani degna di essere vissuta. Questa è una delle poche certezze che io ho. Oltre al fatto che l'autostima e la determinazione permettono a chi le possiede di "scalare le montagne" con impegno e con zelo.



4 gennaio 2016

Due capolavori artistici... che "fanno molto pensare":


Primo post del 2016: descrizione e interpretazione di due opere drammatiche che però contengono anche elementi che mi fanno pensare alla speranza.


LA ZATTERA DELLA MEDUSA-GERICAULT:

Per dipingere quest'enorme tela (491x 716 cm), l'artista si è ispirato ad un fatto di cronaca relativo al naufragio della fregata francese "Medusa" che si era inabissata al largo delle coste africane nell'agosto del 1816. Vengono raffigurati in primo piano i pochi superstiti proprio nel momento in cui avvistano la nave che dovrebbe portarli in salvo. (è un piccolo puntino all'orizzonte).
Tutti gli uomini sono disposti nell'unica porzione ancora solida del relitto e tutti i loro sguardi sono rivolti verso il puntino che rappresenta la loro salvezza: alcuni di loro sventolano dei fazzoletti per cercare di rendersi visibili. All'interno del quadro sono presenti dei particolari molto realistici: a sinistra, un giovane morto (con i calzini arrotolati) è sorretto da un anziano che indossa un mantello rosso, a destra invece un altro cadavere è ricoperto da un drappo bianco che fa pensare al lenzuolo funebre degli antichi. I corpi sono attraversati da una luce che conferisce loro solidità.
Le punte delle onde alte e minacciose sembrano quasi sfiorare il cielo ancora piuttosto plumbeo.
Il soggetto è tragico e la violenza della Natura sembra sovrastare le energie umane.


A dire il vero, questo quadro è di grande attualità dal momento che fa pensare a ciò che succede ogni giorno sulle coste siciliane: migliaia di immigrati che tentano di fuggire da paesi disastrati in cui le dittature militari sono interessate soltanto a favorire la guerra, l'odio razziale e l'integralismo religioso, intraprendono un lungo e faticosissimo viaggio verso l'Europa, verso una terra che potrebbe dar loro una vita decisamente migliore... e potrebbe anche imparare ad ascoltare il loro grido di dolore... Certo, loro sono portatori di tradizioni culturali e religiose profondamente diverse dalle nostre e questo crea spesso diffidenza da entrambe le parti. Però impariamo ad accoglierli con un po' di calore umano, mettendo in primo piano la generosità e la solidarietà e in secondo piano invece la diffidenza e il pregiudizio.
Durante la mia esperienza di volontariato con "Libera", ho avuto l'occasione di conoscere un giovane ragazzo nigeriano ospitato da una comunità locale che si prende cura dei rifugiati. Anche la Nigeria, ricca di petrolio che le multinazionali europee e nordamericane rubano agli abitanti, non offre futuro ai giovani, nemmeno ai ragazzi che con molti sacrifici hanno portato a termine gli studi.
Nel nostro dialogo, tutto in lingua inglese (era arrivato in Italia da poco), mi ha raccontato le sue travagliate avventure di un viaggio durato ben sei mesi. Ha impiegato circa tre mesi per attraversare il deserto del Sahara, luogo inospitale, il luogo più arido di questo pianeta. Nel deserto purtroppo suo fratello e i suoi genitori hanno perso la vita. Pensate a cosa mi ha raccontato... io credo che ci voglia un gran bel fegato a narrare queste grosse disgrazie ad una sconosciuta, che però è tutta orecchi e si dimostra aperta al dialogo.
Incontrare un rifugiato disposto a raccontare il suo faticoso viaggio verso l'Europa ti cambia un po' la vita. Sul serio, perché vi assicuro che nell'ascoltarlo, ho provato proprio compassione ed empatia e alla fine del nostro colloquio avevo gli occhi lucidi. Ero riuscita quasi a immedesimarmi in lui, nel suo dolore, nella sua nostalgia per il luogo natale, nelle sue speranze.

La luce chiara che si intravede sullo sfondo di questo dipinto, insieme al puntino che indica la nave all'orizzonte sono gli unici elementi positivi, che comunque bastano a dare sollievo allo spettatore del quadro...riconducendo anche questi particolari all'attualità, io li associo alla grande tenacia e forza d'animo di molti profughi che in questi anni stanno lottando per trovare il loro posto nel mondo e per realizzare il sogno di un'esistenza dignitosa e gratificante.



CAMPO DI GRANO CON VOLO DI CORVI-VAN GOGH:

Van Gogh dipinse quest'opera poche settimane prima di suicidarsi, nel luglio del 1890. Egli raffigura qui l'incombere di un violento temporale: il campo di grano, scosso dal vento e raffigurato con nervose pennellate di un giallo luminoso, quasi dorato, è tagliato da tre viottoli dai quali si leva uno stormo di corvi neri (realizzati con delle w rovesciate).
Nonostante sia evidente l'avvicinarsi di nubi minacciose, il cielo è ancora luminoso (il colore azzurro occupa circa 1/3 della tela), anche se prima o poi sarà coperto dal colore scuro.

In questo dipinto traspare quasi un sentimento di impotenza dell'artista, il quale, nel luglio 1890, scrive al fratello Theo:" (...) a osservare il cielo turgido, carico di tempesta, sento dentro di me la rivolta contro la mia fatalità... (...) E così mi sono rimesso al lavoro anche se il pennello mi casca quasi di mano e ho ancora dipinto tre grandi tele. Sono immense distese di grano sotto cieli tormentati, e non ho avuto difficoltà ad esprimere la mia tristezza, l'estrema solitudine..."



Quest'opera, suggestiva e struggente, rimanda a situazioni senza dubbio dolorose, come ad esempio una malattia grave e incurabile... faticosa da accettare per qualsiasi persona, che si sente quasi "schiacciata dal destino", si sente più precaria e più fragile dei petali di una margherita...
Il grano lucente e l'azzurro del cielo però potrebbero alludere all'affetto e alla vicinanza di familiari, amici e conoscenti, che in qualche modo alleviano la sua sofferenza spirituale. Anche se la loro vicinanza non impedirà l'approssimarsi della morte.
In compagnia di un parente o amico molto malato si mescolano le lacrime ai sorrisi... Gioia e dolore, condivisione e solitudine... ma è proprio questa la vita?! Credo di sì. Difficile da programmare, ma facile da vivere intensamente.
Theo è sempre stato pronto ad aiutare Van Gogh. Theo sosteneva il fratello non soltanto dal punto di vista economico... era l'unica persona che ai quei tempi riusciva a comprendere la profondità di Vincent, il quale però è stato sopraffatto dalla sua depressione e dalla sua schizofrenia. In effetti era troppo geniale e dunque troppo tormentato.
Theo rappresenta probabilmente la profondità del cielo azzurro e la bellezza del campo di grano, che però verranno sopraffatti da nubi che scateneranno la loro violenza sul paesaggio.