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11 luglio 2016

"Non chiedere perché"- Franco Di Mare/ Ventunesimo anniversario della Strage di Srebrenica:


Per commemorare la durata della guerra in Bosnia (aprile 1992- novembre 1995) e il ventunesimo anniversario della Strage di Srebrenica, riporto i passi più significativi di questo romanzo, quelli che invitano il lettore a riflettere seriamente e malinconicamente sulle atrocità e sulle assurdità della violenza.
Da questo libro è stata tratta anche la stupenda minifiction "L'angelo di Sarajevo",  trasmessa su Rai Uno nel gennaio 2015.

Il romanzo racconta una storia vera; la storia di Marco, un bravissimo giornalista che è appena stato lasciato dalla moglie dopo quattro anni di matrimonio in cui lei continuava a lamentarsi delle sue frequenti assenze, dovute al lavoro che svolgeva.
All'inizio del libro, Marco appare semi-depresso: è l'estate del 1992, si trova solo in casa davanti alla televisione, pieno di malinconia e di risentimento.
Egli in effetti vive dei ricordi del suo matrimonio fallito.
Ad un tratto, il caporedattore gli lancia una proposta folle, accattivante: partire come inviato di guerra in Bosnia.
Marco accetta di andare, dal momento che in Italia non crede di aver nulla da perdere.
Accompagnato da Luciano, un vivace fotografo, egli inizia la sua avventura in una regione che, già nel luglio 1992, a soli tre mesi dall'inizio della guerra, è distrutto dalle granate e dai bombardamenti.

"Il bilancio della guerra, alla fine di giugno, a tre mesi dall'inizio del conflitto, registrava 350.000 profughi, oltre 30.000 dispersi, 7200 vittime di cui oltre 700 bambini. I feriti erano 25.000, oltre la metà dei quali aveva subito l'amputazione di un arto. Il venti per cento di questi erano bambini."

E tutto questo soltanto in Bosnia, tenetevelo in mente.

Una mattina, in seguito ad una pioggia di granate sull'orfanotrofio di Sarajevo, Marco ha modo di vedere per la prima volta Malina, una bambina di dieci mesi.
Il loro primo incontro fa venire i brividi, anzi, mette una strana sensazione nell'animo. Coinvolge, indubbiamente.

"(...) La prese in braccio. La fece sedere sull'avambraccio, tenendola per le gambe, di modo che non cadesse all'indietro: era un po' scomodo ma gli sembrava di ricordare di aver visto fare proprio in quel modo. (...) Con attenzione la spostò appena un po' dal suo corpo: venti, trenta centimetri, quel tanto che bastava per ottenere un'inquadratura autonoma. Fu in quel momento che la bambina allungò il braccio. Fu forse un gesto istintivo, forse lo fece perché si sentì in equilibrio precario. O forse fu qualcos'altro. Ma quel braccio gli si infilò piano dietro il collo e sembrò tirarlo a sé, come se volesse abbracciarlo."

Subito dopo quella specie di abbraccio nasce l'idea di adottarla. E il nostro Marco, sfidando il terribile caos in Bosnia e le complicazioni burocratiche, ci riuscirà.

Da precisare che Marco è in realtà lo stesso Franco Di Mare.
Proprio Franco Di Mare è stato inviato di guerra in Bosnia negli anni Novanta, quando ha deciso di adottare una bambina che ora è una ragazza di venticinque anni.
Lo ammiro molto, ha davvero un cuore d'oro!


RIFLESSIONI SULLA NATURA DELLA GUERRA:

1) Violenza sulle donne.
"Nessuno sembrava far più caso all'orrore, né in Bosnia né altrove. Nell'indifferenza generale, l'Onu aveva denunciato l'esistenza di stupri etnici. La notizia era finita sulle pagine interne dei quotidiani, ma in basso, schiacciata dall'annuncio del primo esodo estivo. Le milizie serbe facevano prigioniere donne bosniache e le davano in pasto a sotto ufficiali e soldataglia che le violentavano per settimane. Le rilasciavano quando rimanevano incinte, ma solo dopo in quinto mese, così non potevano più abortire. Nel frattempo, già che c'erano, continuavano a stuprarle. Una volta tornate a casa, molte di loro si toglievano la vita, incapaci di sopravvivere agli incubi."

Non esiste porcata peggiore, almeno a mio avviso. La violenza sulle donne è l'aspetto peggiore che possa accadere in una guerra. La conseguenza più deleteria che un conflitto possa mai portare. La più grave violazione della dignità individuale. Che schifo!


2) La religione come pretesto.
"La propaganda dice che i serbi a Sarajevo combattono contro i musulmani. Questo non è vero. I serbi a Sarajevo combattono contro i serbi. I serbi sostenitori del cosmopolitismo e della civiltà combattono contro i serbi che vengono dalle campagne e sostengono il nazionalismo. Quella che si combatte a Sarajevo, in realtà, è una guerra tra due idee, quella cosmopolita e quella nazionalistica."

La religione viene utilizzata al fine di spezzare un'armonia che per molto tempo ha caratterizzato lo stile di vita di popoli che convivevano pacificamente, senza prestare particolare attenzione al fatto di essere cattolici, musulmani, ortodossi.
La religione, nel corso del Novecento, è stata spesso utilizzata come pretesto per fomentare l'odio razziale, per avviare tremendi conflitti etnici e per affermare la presunta superiorità di un popolo su un altro. E così, sono saliti al potere individui diabolici, pericolosi, imbottiti di pregiudizi, capaci di seminare rancori di ogni sorta, di stimolare le contese, di esasperare gli animi con le loro assurde teorie sulle "razze pure".

 Vi rendete conto a che punto è arrivata la storia dell'umanità?

E' possibile pensare a Dio dopo orrori di questo genere? Non lo so. Ho fatto delle ipotesi tempo fa su questo blog, a favore della teoria del libero arbitrio, ma è una "soluzione" che non sempre mi convince.
In che modo e fino a che punto Dio interviene nelle vicende umane? Ci considera marionette oppure umani dotati di intelligenza e di libertà di scelta? Voleva davvero la morte di tutte quelle persone innocenti? Se è vero che Egli guida tutti gli uomini nel cammino della vita, perché ha permesso a gente come Milosevic e Mladic di creare un clima infernale in quelle zone vent'anni fa?
Ma è veramente un Dio che ci lascia davvero liberi oppure è un Dio debole? O è un Dio che, dopo aver sacrificato il Figlio sulla croce e dopo averlo fatto ascendere al cielo, ragiona così: "Bene, ho mandato mio Figlio ad indicarvi la retta via, a insegnarvi l'amore e la carità fraterna, ora arrangiatevi" e se ne sta chissà dove a osservare i disastri che ancora oggi accadono, le sofferenze che molte persone devono patire? Ma che cosa significa veramente la frase:"Dio parla al nostro cuore?"
In che senso?  Sarcasticamente parlando, non credo proprio che Dio si sia messo in contatto con il cuore di Milosevic o peggio, con quello di Mladic...
Molti sacerdoti negli ultimi anni cercano di convincere noi giovani di questo, ma non ci spiegano mai come Dio possa mettersi in contatto con noi. A me Dio non sussurra nulla, non lo sento, non ho mai sentito la sua voce. Magari si manifesta nella luce degli occhi di certe persone, o nelle loro buone azioni quotidiane, o nei loro gesti di solidarietà.
Queste sono domande e pensieri che mi frullano spesso per la testa ultimamente.

Le guerre dividono. L'odio che esse portano si protrae anche dopo la fine dei bombardamenti e delle sparatorie. Anzi, si potrebbe dire che l'odio diviene diffidenza, sospetto verso l'altro, risentimento.
La Bosnia ora è praticamente uno Stato-Nazione, nel senso che vivono soprattutto bosniaci di religione musulmana. I pochissimi serbi che vi risiedono sono malvisti.  Mentre, fino al 1990, Sarajevo era una capitale multiculturale, animata da individui con origini differenti. Ora invece, dopo la ricostruzione, è diventata una città in cui soltanto i bosniaci possono riconoscersi.


3) Il passato storico dei popoli:

"Quei bambini e quelle bambine bionde, con gli occhi chiari, erano la migliore risposta all'Accademia delle Scienze di Belgrado, che parlava di turchi quando si riferiva ai musulmani di Bosnia, come se la dominazione ottomana avesse causato la sostituzione in massa delle genti slave con quelle di Istanbul. E invece i musulmani di Bosnia erano i discendenti dei Bogomili, cristiani di radici slave che si erano insediati nel Sud dell'Europa dell'Est mille anni fa, dunque cinquecento anni prima che l'Impero Ottomano occupasse quelle terre. I turchi tanto odiati da Milosevic, da Mladic e da tutto l'armamento paranazista che li accompagnava non erano nient'altro che slavi convertiti all'Islam durante la dominazione ottomana".

Questa è la riflessione di Marco quando per la prima volta percorre i corridoi dell'orfanotrofio.
"I turchi tanto odiati da Milosevic, da Mladic e da tutto l'armamento paranazista che li accompagnava non erano nient'altro che slavi convertiti all'Islam durante la dominazione ottomana."
Non esistono le "nazioni etnicamente compatte", non sono mai esistite. Come la Francia non è popolata da soli francesi e come in Italia non vivono soltanto gli italiani, così nell'intera Jugoslavia, negli anni Novanta, non vivevano soltanto i serbi ortodossi e i matrimoni misti erano praticamente all'ordine del giorno.

Il nazionalismo aggressivo, le idee di presunta purezza e superiorità dei serbi, la guerra, le granate sui bambini, le sparatorie, le battaglie... eccoli qui quei lampi che hanno squarciato la chiarezza di un cielo limpido.
 


SREBRENICA, LUGLIO 1995:

Proposta per voi. Riporto qui la mia poesia "Addio, ragazzo". E' vero, molti di voi la conoscono bene, però provate a leggerla molto lentamente, mettendo come sottofondo "River flows in you"- basta premere play al centro di questo video.
Io ci ho provato e mi sono venute le lacrime agli occhi ancora, nonostante siano passati poco più di due anni dal giorno in cui l'ho scritta.





Addio, ragazzo!
I tuoi grandi occhi
luminosi
come le stelle
che rischiarano la notte,
non vedranno
mai più
i dolci colori del tramonto,
i delicati petali
di piccoli fiori,
gli amabili volti
delle persone care.

Addio, ragazzo!
Il tuo corpo
ora trema
come una foglia
scossa
con violenza
da un gelido vento autunnale
e subisce
le ingiurie
di mani impietose e implacabili.

Addio, ragazzo!
Le tue braccia
non potranno
mai più
stringere
le persone che ami.

Addio, ragazzo!
Del tuo limpido sorriso
non godrà più
la brillante luna
che risvegliava
i tuoi innocenti desideri.

Addio, ragazzo!
I tuoi sogni
svaniranno
per sempre
come una leggera nube
di fumo
che si solleva
verso l'alto cielo
e si dilegua nell'aria.

Addio, ragazzo!


Ciao, fiorellini. 
Già 21!
Siete stati massacrati dalla follia di efficienti mitragliatrici, dall'odio insensato e ingiustificato di quei nazionalisti che vi hanno sottratto alle vostre famiglie. Eravate molto giovani quando siete stati uccisi. Avreste potuto studiare, laurearvi, diventare ingegneri, architetti, avvocati, operai, idraulici. Avreste potuto sedervi al bar o in qualche ristorante con i vostri coetanei serbi e croati, in pace e in amicizia. Avreste potuto sposarvi, prendere in braccio i vostri figli, accarezzare i genitori anziani.  Ma la storia è terribilmente ingiusta. 
Siete sottoterra, anzi; o siete chiusi in bare anguste oppure siete dispersi nelle fosse comuni. E questo è maledettamente ingiusto!
Addio, fiorellini! Che tutta l'umanità non vi dimentichi.



Mladic è in carcere ora e ci resterà fino alla fine dei suoi giorni, ma ancora non si è reso conto di ciò che ha ordinato di fare in quel giorno maledetto, esattamente 21 anni fa; al punto tale che sostiene ancora: "Erano dei bosniaci musulmani, dovevano essere eliminati".


Srebrenica
Eccola qui, Srebrenica nel 2016. Una cittadina tranquilla, circondata dal verde delle colline.
Con casette e condomini che ricordano un po' quelli del Nord Europa. Con quelle cupole coniche, sottili e alte... ma con una ferita profonda e con famiglie distrutte, dal dolore e dall'assurdità di quel genocidio.

Questa commemorazione passerà per lo più inosservata, ma la Strage di Srebrenica è stata l'evento più orribile che sia mai accaduto dopo la seconda guerra mondiale. E' un evento recentissimo, "vecchio" quasi quanto me, eppure sembra quasi che l'Europa tutta si sia già dimenticata di quegli 8372 bosniaci musulmani assurdamente trucidati. Sembra quasi che nessuno voglia ricordarli. Perché risulta troppo doloroso o forse addirittura, risulterebbe troppo assurdo il solo pensiero.

La mia filosofia della storia è sempre la stessa, da qualche anno ormai: ricordare il passato per riflettere sul nostro presente, al fine di rendere migliore il futuro.






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