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12 agosto 2016

"Doppio sogno", Arthur Schnitzler:


Libro stranissimo! Eppure, devo ammettere che merita di essere letto!
Può anche non piacere; ma io l'ho proprio letto volentieri dal momento che ho una particolare predilezione per i romanzi psicologici e di formazione. Se in questo siete simili a me allora ve lo consiglio.

In poco meno di cento pagine, questo autore austriaco condensa una serie di pulsioni, di emozioni e di desideri repressi che due giovani coniugi si rivelano.

I protagonisti sono due esponenti dell'alta borghesia: il medico Fridolin e sua moglie Albertine, i quali, al ritorno da una festa in maschera prendono a raccontarsi episodi che fino a quel momento non si erano reciprocamente confessati. Si tratta per lo più di occasioni di "mancato adulterio":  Albertine racconta al marito la sua forte attrazione per un giovane ufficiale incontrato durante il loro breve soggiorno in Danimarca l'estate precedente: 
" (...) Non sorrise, mi sembrò, anzi che il suo volto si rabbuiasse, e lo stesso capitò a me, poiché ero agitata come non mai. Me ne stetti tutto il giorno trasognata sulla spiaggia. Se mi avesse chiamata non avrei potuto resistergli. Ritenevo di essere pronta a tutto: mi credevo disposta a sacrificare te, la bambina, il mio avvenire e allo stesso tempo, -puoi capirlo?- tu mi eri più caro che mai. Proprio quel pomeriggio, devi ancora ricordartene, capitò che parlassimo di mille cose, anche del nostro comune futuro e della bambina, così intimamente come non accadeva più da tempo."

 Il marito a sua volta le confida di essere stato attratto per pochi istanti da una giovane ragazza in una delle sue passeggiate mattutine sulle spiagge danesi:"... Alzò gli occhi e improvvisamente si accorse di me. Un tremito la scosse, quasi dovesse cadere o fuggire. (...) Ad un tratto però sorrise, sorrise meravigliosamente, nei suoi occhi c'era un saluto, un invito e allo stesso tempo una leggera derisione. (...) Restammo così, l'uno di fronte all'altra, forse dieci secondi, le labbra semiaperte e gli occhi scintillanti. tesi istintivamente le braccia verso di lei, nel suo sguardo si leggevano passione e gioia. ma all'improvviso ella scosse violentemente la testa, staccò un braccio dalla parete e mi fece imperiosamente segno di allontanarmi."

Ad un tratto però, il loro dialogo viene interrotto dall'ingresso della cameriera in salotto, la quale annuncia che le condizioni di salute di uno dei pazienti di Fridolin sono drasticamente precipitate.
Il medico esce di casa, ma giunge alla dimora del malato quando quest'ultimo è già deceduto. Marianne, la figlia del defunto, pur essendo addolorata per la morte del padre, non rinuncia a dichiarare il suo amore per Fridolin. Sconcertato, egli esce da quella dimora descritta come buia e angusta. Ma non torna a casa.
Durante la notte, il protagonista di questo racconto, vive una serie di singolari avventure e viene catturato da una vorticosa spirale di emozioni e di impulsi che precedentemente non aveva mai provato.
Ad un certo punto, si introduce in un bar dove incontra Nachtigall, un ebreo polacco che alcuni anni prima era stato suo compagno di corso alla facoltà di Medicina e che aveva programmato per sé di trascorrere quella notte in una villa fuori città, dove si stava svolgendo una festa in maschera, o meglio, un'orgia carnevalesca.
Eccitato all'idea di partecipare, Fridolin riesce a procurarsi un costume di carnevale svegliando il proprietario di un negozio. Ma alla festa tutti i presenti si accorgono che egli è un intruso e che quindi si è introdotto nelle stanze della villa senza esplicito invito...
In questo punto lo scrittore sfocia nell'erotismo e tocca l'ambito della sensualità femminile capace di attrarre istantaneamente...
Un passo però lo scrivo: "Gli occhi di Fridolin erravano cupidi dalle formose alle snelle, dalle delicate alle splendidi e fiorenti; e poiché ognuna di quelle figure nude restava pur sempre un segreto e dalle mascherine nere grandi occhi si volgevano raggianti verso di lui come il più insolubile degli enigmi, l'ineffabile piacere della vista gli si trasformava in un quasi insopportabile tormento di desiderio."

Ad ogni modo, Fridolin riesce a uscire salvo e senza aver consumato alcun rapporto da quella casa di campagna. Torna a casa dopo le quattro della mattina. Al suo ritorno la moglie si risveglia e gli
racconta angosciata il suo incubo: mentre lei lo tradiva tra le braccia dell'ufficiale danese, Fridolin veniva flagellato e crocifisso.
In quel momento il medico inizia a provare una sorta di disgusto e di rancore verso la moglie, fino a pensare addirittura alla possibilità di divorziare.
Il giorno seguente tutto si svolge normalmente nella consueta quotidianità. Fridolin si reca all'ospedale e i suoi colleghi notano che egli svolge il suo lavoro in modo più scrupoloso del solito.
La sera, rientrato a casa, vede sul proprio cuscino la maschera che aveva indossato la sera precedente.
Temendo l'ira della moglie, egli le racconta tutto ciò che gli è accaduto la notte. Ma la moglie non si arrabbia né si indigna anzi... dopo averlo ascoltato attentamente, afferma:
"Sai che dobbiamo fare, ora? Ringraziare il destino, credo, di essere usciti incolumi da tutte le nostre avventure... da quelle vere e da quelle sognate.(...) La realtà di una notte, anzi, neppure quella di un'intera vita umana non significa, al tempo stesso anche la sua più profonda verità."

"E nessun sogno è interamente sogno", Ribatte Fridolin.

Accantonando le avventure sentimentali e le storie d'amore, devo riconoscere che questo è uno degli aspetti che caratterizza ogni esistenza umana. Lo affermava anche Freud con i suoi studi.
Il divario tra sogno e realtà non è mai netto, anche perché attraverso i sogni si manifestano alcuni aspetti della nostra personalità che magari gli altri non conoscono oppure che noi stessi ignoriamo o facciamo fatica a comprendere. Talvolta i sogni sono molto legati alla quotidianità, talvolta invece ci appaiono come fiabe velate da una nebbiolina di mistero. Sono strani e affascinanti i sogni.

Cercate di pensare a dei momenti in cui nella vostra vita non risultava molto chiaro il confine tra sogno e realtà. Io vi dico i miei.
Nel dicembre 2008 avevo tredici anni ed ero ancora alle medie. Era l'ultimo giorno di scuola prima delle vacanze natalizie. La notte precedente avevo sognato di camminare in una campagna  avvolta da una nebbia che gradualmente copriva i rami spogli delle viti. Ad un tratto avevo intravisto una casetta di legno e, infreddolita, ero entrata. Una volta entrata in quella piccola casa avevo deciso subito di avvicinarmi al fornello per farmi una cioccolata calda. Avevo trovato alcune bustine di polvere di cacao su una seggiola di paglia. La mattina dopo ero piuttosto assonnata.
C'era freddo e nuvoloso quel giorno. Dopo pranzo, ricordo che sia mia madre sia mio padre erano usciti di casa per impegni di lavoro (i soliti pesanti consigli di classe straordinari che opprimono tutti i prof!). Rimasta sola, avevo passeggiato per un po' nei campi di casa mia. Ma, al sopraggiungere della nebbia, ero rientrata e avevo cucinato un budino al cioccolato con i mezzi che avevo.
Ciò che avevo sognato la notte prima era divenuto realtà il giorno seguente. O meglio, la casetta di legno si è tramutata nella realtà in casa mia. Avevo ben presente il sogno, anche se quel giorno non avevo l'intenzione di farmi un dolce. Quel pomeriggio avevo improvvisato tutto! Ero così stanca che non avevo voglia di programmare proprio nulla. E, ad essere del tutto sincera, ricordo che non avevo nemmeno fame. Avevo preparato il budino soltanto perché all'epoca (e anche ora!) detestavo l'idea di starmene con le mani in mano.

E ora racconto del dicembre 2014. Un ricordo più recente e anche più emozionante di questo. Avevo diciannove anni, avevo appena passato il test di ingresso all'Università. Mancava circa una settimana alla pausa natalizia dalle lezioni. La notte avevo sognato di trovarmi in una campagna innevata e immersa nel silenzio dell'inverno, che faceva cadere bianchi e delicati fiocchi di neve dal cielo. Ad un tratto avevo sentito qualcuno che piangeva alle mie spalle. Mi ero voltata e avevo visto un ragazzo al quale mi ero avvicinata. Già mi aveva profondamente commossa il suo "ciao". Dopo avermi detto che era solo al mondo, io gli avevo risposto:"ma se vuoi ci sono io!"e mi ero messa a piangere.
L'ho già raccontato qui (http://riflessionianna.blogspot.it/2014/12/il-santo-natale-il-valore-della.html) questo sogno, ma ora voglio proprio svelarvi l'analogia che ha avuto con la realtà.
Alle sette della mattina di quella giornata uggiosa ero già sull'autobus che mi avrebbe portata in città.
Mi sentivo molto triste. Ricordo che, al momento di obliterare il biglietto l'autista mi aveva salutata con un semplice "ciao". E io avevo sussurrato un buongiorno. Ero rimasta un po' stupita da quella sua voce malinconica ma piacevole da sentire, quasi dolce. Mi ricordava proprio la voce del ragazzo del sogno. Se fossi stata di buon umore avrei aggiunto: "Levataccia anche per lei stamattina, eh?!"  Aveva gli occhi tristi, l'ho notato. Bell'uomo dagli occhi tristi. Ricordo bene che quella mattina ad ogni fermata salutava i passeggeri che scendevano. Ogni volta. Mi veniva da piangere: un uomo che guida per molte ore al giorno saluta gente che non conosce mentre molte delle amiche che io ho avuto, quando mi incrociano per strada neanche rispondono ai miei saluti. Come se per loro non avessi avuto alcun valore come persona.
Per tutto il viaggio comunque continuavo a pensare al "ciao" del ragazzo che avevo sognato e  soprattutto alla mia frase: "Ma se vuoi ci sono io". Quelle parole me le ero ripetute per tutta la durata del tragitto. Poco prima di scendere dalla porta anteriore mi ero voltata verso l'autista e gli avevo sorriso con le lacrime agli occhi.
A volte prendo l'autobus proprio quando è in turno di lavoro. E gli sorrido, ma senza lacrime, come per dirgli: "Mi hai fatto del bene e non lo sai".

E ora pensate alle storie scritte o ai nodi essenziali della trama di un romanzo: quanto c'è di vero e quanto c'è di fittizio? Molto spesso in letteratura non c'è un chiaro confine tra il vissuto dell'autore e la sua fantasia.
Pensate al mio racconto "La vigilia di Laura": quanto c'è di reale e quanto di inventato? I nomi dei due ragazzi sono nomi di fantasia. Ma la verità è che i sentimenti e i pensieri di Laura sono i miei. I suoi modi di parlare e di comportarsi sono i miei. La sua malinconia è la mia. E, di conseguenza, le nostre esperienze di dolore sono uguali. La ragazza presentata è reale, ma nella realtà non si chiama Laura. Anche Giulio, il giovane organista, è reale ma non si chiama Giulio. E sono reali anche la sua gentilezza e la sua bontà.
Quanto c'è di vero e quanto di inventato? Inventata è anche la campagna innevata e rischiarata dalla luna, visto che da alcuni anni a questa parte non nevica più sotto Natale.
Ho dimenticato di scriverlo nel post di una settimana fa, ma lo aggiungo adesso: durante la sua passeggiata in campagna in perfetta solitudine, Laura entra in contatto con l'infinito. Mi spiego: la ragazza ammira e contempla la Natura con tutta la sensibilità di cui è capace, ma non riesce a comprendere l'infinito, e questo lo si nota quando chiede alla luna: "Nonna, dove sei andata?". Si sente triste e fragile, di fronte a un cielo immenso di cui forse anche la nonna fa parte. Ma si rialza perché crede nell'amore e nella rinascita. E anche questo è importante.


IL TITOLO DEL ROMANZO:

Il concetto al quale il titolo "Doppio sogno" fa riferimento non è tratto dalla teoria psicoanalitica, è anzi un conio dell'autore: si tratta  infatti del "Mittelbewusstsein", ovvero, del "medioconscio".
Ecco che cosa afferma Schnitzler a tal proposito:

« si tratta di una specie di territorio intermedio fluttuante tra conscio e inconscio. […] Tracciare quanto più decisamente è possibile i limiti fra conscio, semiconscio e inconscio, in ciò consiste soprattutto l'arte del poeta. »






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