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31 ottobre 2016

I fenomeni sismici:


 (Post dedicato alle popolazioni del Centro Italia colpite da terremoti forti in questi ultimi due mesi).

Ieri mattina mi sono svegliata intorno alle sette e mezza. Per alcuni secondi ho avuto la netta sensazione che il letto tremasse: "Oddio, cosa sta succedendo?", ho pensato. Mi sentivo in equilibrio precario. Poi ho visto la luce del sole già sorto che illuminava i vetri della mia finestra. E a quel punto mi sono calmata e il letto ha smesso di tremare. Dopodiché mi sono riaddormentata: ho un gran bisogno di riposo, anche perché questi continui sbalzi di temperatura sono riusciti a farmi ammalare di nuovo!
Ieri mattina i telegiornali e le radio hanno comunicato che un terremoto di magnitudo 6.5 ha fatto crollare la chiesa di San Benedetto a Norcia. E' rimasta in piedi soltanto la facciata.
Prima Amatrice e Arquata del Tronto, poi Visso e ora anche Norcia e Castelluccio. La terra è impazzita e, nella sua follia, distrugge le testimonianze artistiche più suggestive del nostro paese.
Tutto il centro Italia ultimamente è sconvolto: crepe in alcuni palazzi a Roma, crollo di una parte del Gran Sasso in Abruzzo, numerosi calcinacci caduti ad Ancona, crepe anche nel duomo di Urbino (no!!! Giuro che se crolla anche il Duomo di Urbino mi suicido! Quell'edificio e quella cittadina marchigiana per me sono l'emblema della Bellezza: in Veneto non abbiamo nulla di così stupendamente meraviglioso).

 Questo video mostra gli ingenti danni provocati a Norcia dal terremoto del 30 ottobre.



Recupero un argomento che ho studiato in Geografia I al primo anno di Università, visto che la gente non dispone di informazioni chiare ed esatte a proposito dei fenomeni sismici.
Sarà un post un po' scientifico.

I terremoti sono vibrazioni naturali del sottosuolo, rapide e violente, provocate dalla liberazione di energia meccanica all'interno della litosfera. (=parte più rigida del nostro Pianeta che comprende la crosta terrestre e la porzione più superficiale del mantello).
I terremoti sono molto frequenti: in tutto il mondo se ne verificano almeno un milione all'anno, ma la maggior parte di questi è avvertita soltanto dagli strumenti e non dagli uomini. Sempre annualmente, sono circa una ventina i terremoti di grande intensità che provocano conseguenze disastrose.
Quando si verifica un terremoto l'energia viene liberata in modo repentino: le rocce si fratturano e l'energia viene dissipata in parte sotto forma di calore, in parte sotto forma di onde elastiche le quali, dopo essere giunte in superficie, generano le scosse.
Il termine ipocentro viene utilizzato per indicare il luogo in profondità in cui viene liberata l'energia. Dall'ipocentro partono le vibrazioni elastiche che si propagano verso l'interno e verso la superficie della Terra.
L'epicentro invece è il punto della superficie terrestre che viene raggiunto per primo dalle vibrazioni. E' situato verticalmente sopra l'ipocentro. All'epicentro le scosse sismiche sono avvertite con maggiore intensità.


Diverse sono le cause che scatenano un sisma. In Centro Italia stanno purtroppo avvenendo dei terremoti tettonici, ovvero, dei sismi causati dalla frattura improvvisa di masse rocciose in zone della litosfera sottoposte a forti tensioni.

IL "RIMBALZO ELASTICO":

E' una teoria formulata nel 1906, a seguito dell'attenta osservazione degli effetti provocati dal disastroso terremoto di San Francisco.

Secondo questa teoria, quando un blocco di rocce è sottoposto a pressioni di forte intensità, si deforma lentamente e, nel deformarsi, accumula energia.
Se la forza continua ad agire e la tensione accumulata supera il limite di elasticità, il blocco roccioso si spacca nel punto più debole generando una faglia lungo la quale due blocchi rocciosi si muovono in senso opposto e subiscono spostamenti orizzontali, verticali e obliqui. Nel momento in cui si forma la faglia, le rocce slittano lungo i margini della frattura e liberano l'energia accumulata nel corso di molti anni sottoforma di calore e di rapide vibrazioni.
L'energia accumulata in genere si libera con una forte scossa principale che talvolta può essere preceduta da scosse premonitrici di intensità piuttosto debole che possono verificarsi alcuni giorni prima. Di solito alla scossa principale si susseguono molte repliche, ripetute anche nel corso dei mesi successivi. Non sempre le scosse successive presentano un'intensità decrescente: ciò è accaduto in Abruzzo nel 2009 e in Emilia nel 2012, ma quest'anno, nel "cuore" dell'Italia, si sta sviluppando un vero e proprio sciame sismico costituito da una serie di forti scosse, tutte di intensità abbastanza simile (Amatrice 5.9, Visso 5.4 e Norcia 6.5).
La registrazione delle onde sismiche viene effettuata con strumenti chiamati sismografi. Il tracciato che invece registra le onde sismiche rilevate con un sismografo è detto sismogramma.

Sismogrammi per Amatrice


INTENSITÀ DEI TERREMOTI- SCALA MERCALLI:

La scala Mercalli assegna ad ogni sisma un valore numerico che corrisponde al grado di intensità, determinato in base agli effetti delle scosse sul territorio. Eccovi la tabella:

GradoScossa Descrizione
I impercettibile Avvertita solo dagli strumenti sismici.
II molto leggera Avvertita solo da qualche persona in opportune condizioni.
III leggera Avvertita da poche persone. Oscillano oggetti appesi con vibrazioni simili a quelle del passaggio di un'automobile.
IV moderata Avvertita da molte persone; tremito di infissi e cristalli, e leggere oscillazioni di oggetti appesi.
V piuttosto forte Avvertita anche da persone addormentate; caduta di oggetti.
VI forte Qualche leggera lesione negli edifici e finestre in frantumi.
VII molto forte Caduta di fumaioli, lesioni negli edifici.
VIII rovinosa Rovina parziale di qualche edificio; qualche vittima isolata.
IX distruttiva Rovina totale di alcuni edifici e gravi lesioni in molti altri; vittime umane sparse ma non numerose.
X completamente distruttiva Rovina di molti edifici; molte vittime umane; crepacci nel suolo.
XI catastrofica Distruzione di agglomerati urbani; moltissime vittime; crepacci e frane nel suolo; maremoto.
XII apocalittica Distruzione di ogni manufatto; pochi superstiti; sconvolgimento del suolo; maremoto distruttivo; fuoriuscita di lava dal terreno.


SCALA DELLE MAGNITUDO:

Questa scala è più rigorosa di quella illustrata sopra. Si basa essenzialmente su questo principio: più è maggiore l'energia liberata da un sisma, tanto più ampie sono le oscillazioni registrate dai sismografi.
La prima scala delle magnitudo è stata introdotta da Richter nel 1935. Egli sosteneva che la magnitudo dei terremoti poteva essere ottenuta confrontando l'ampiezza delle oscillazioni registrate in una stazione  di rilevamento con quella delle oscillazioni di un sismogramma di riferimento.
Teniamo presente però che la scala delle magnitudo non ha dei valori predefiniti e quindi sono possibili valori di magnitudo inferiori a 0. La maggior parte dei terremoti registrati in un anno ha magnitudo inferiore a 5. I terremoti disastrosi prevedono un valore superiore a 6.



L'ALTO RISCHIO SISMICO IN ITALIA:


Come potete vedere, la zona Rieti- Macerata- Norcia è una delle più instabili della nostra penisola.
Il nord-ovest, l'estremo settentrione (Trentino) e la Puglia meridionale presentano un rischio minimo. Una regione molto stabile è anche la Sardegna.

L'Italia si trova in un'area geologicamente attiva che attraversa il Mediterraneo. La nostra zona è particolarmente instabile anche per un'intensa attività vulcanica. I terremoti sono più frequenti lungo le linee di tensione della crosta, dove sono in corso fenomeni di assestamento. Tenete presente che la catena degli Appennini è formata da montagne relativamente giovani, di qualche milione di anni e quindi per questo soggette a grandi sconvolgimenti.

Un mio sincero pensiero di vicinanza di va a tutti gli umbri, i marchigiani e i laziali che stanno vivendo sulla loro pelle i tremendi danni degli ultimi terremoti.

Però è proprio subito dopo l'avvento di queste calamità naturali che gli italiani mostrano all'estero (che invece di ridere e di supportare vignette offensive per la memoria dei morti dovrebbe dolersi e darci una mano economicamente!) il loro lato migliore, fatto di generosità e di solidarietà.
Molti miei corregionali si trovano nelle zone del centro Italia per aiutare come possono.

Ma l'aiuto più prezioso finora lo hanno dato i trentini, i quali hanno ricostruito in diciotto giorni con grande impegno le scuole di Amatrice:

(Servizio di TG del 26 agosto 2016)




22 ottobre 2016

La (quasi) santità di Fra' Cristoforo:


Padre Cristoforo, che gran personaggio!! Ah sì, che figura straordinaria!
Nel romanzo di Manzoni, intitolato "I Promessi sposi", egli svolge il ruolo di aiutante dei protagonisti Renzo e Lucia, due giovani e umili popolani.
Il programma dell'insegnamento denominato "Letteratura italiana II" prevede anche un approfondimento sull'opera più famosa di Manzoni.

Bene, bando ad ulteriori preamboli, dal momento che voglio intessere una presentazione intelligente di Fra' Cristoforo, in modo tale che anche voi possiate "innamorarvi" o perlomeno apprezzare la sua personalità. Non preoccupatevi, farò del mio meglio: ho già (ri)letto il romanzo e sto finendo di studiare anche i saggi di commento alla prosa manzoniana. Quindi mi troverete seriamente preparata!


CARTA DI IDENTITÀ DI  FRA' CRISTOFORO:

Affinché possa risultare un post piacevole, ho pensato di mettere in atto un'idea abbastanza originale: creare una specie di carta d'identità del frate.


NOME: Fra' Cristoforo/ Precedentemente Lodovico.

ETA': Approssimativamente 58 (Manzoni afferma che era vicino alla sessantina).

PERIODO STORICO: XVII° secolo. (Seicento)

RESIDENZA: Convento di Pescarenico, territorio di Lecco.

CLASSE SOCIALE: Borghesia (era figlio di un mercante di seta).

PROFESSIONE: Frate cappuccino e confessore di Lucia.

TRATTI SOMATICI: Capo rasato con una piccola corona di capelli, rughe sul viso, barba lunga e bianca, occhi incavati.



 RIFERIMENTI STORICI:  

Forse sapete che l'Innominato, la Monaca di Monza e il cardinal Borromeo sono personaggi storicamente esistiti. Ebbene, mi sono documentata e ho scoperto che  nemmeno Fra' Cristoforo era un personaggio proveniente dalla fantasia di Manzoni.  Lo storico seicentesco Pio La Torre attesta infatti l'esistenza di Padre Cristoforo Picenardi, originario di Cremona e figlio di un ricco e influente mercante di seta. 
Padre Picenardi avrebbe dedicato gran parte della sua esistenza al servizio dei più poveri. Nel 1630, anno in cui infuriò un terribile epidemia di peste nel nord Italia, egli stesso chiese di essere trasferito nel lazzeretto di Milano per assistere i malati e confortare i moribondi. Morì di peste in quello stesso anno, contento di aver dedicato la sua vita alla carità verso il prossimo.

Ma chi era il Padre Cristoforo?! Perché aveva deciso di entrare in convento e farsi frate? 
E soprattutto, come mai in lui convivono sia lo spirito ardente e infuocato del cavaliere difensore dei deboli, sia l'animo misericordioso di un religioso incredibilmente altruista, umile e saggio?

LA STORIA DI PADRE CRISTOFORO:

Se non la ricordate bene vi consiglio caldamente di rivedervi il capitolo 4 del romanzo. Lì è descritta nei dettagli, qui a grandi linee e con l'ausilio di alcune citazioni tratte sia dal romanzo sia dalle riflessioni di critici letterari.
Trovo sia molto interessante confrontare l'etimologia dei due nomi che questo personaggio ha portato: Lodovico, nome di origine medievale, significa "guerriero valoroso", tradotto dall'antico alto tedesco.
Cristoforo invece ha origini greche: "Xριστòs" (Cristo) "φερω" (lat. "fero", portare); quindi, letteralmente: "portatore di Cristo", portatore del messaggio evangelico di pace e di amore.

Scrive Francesco De Sanctis a proposito di questo personaggio: "(...) La sua vita è stata una lunga espiazione, una reazione contro l'uomo antico. Quel suo umore battagliero diviene poi energia e iniziativa del bene. L'orgoglio prende forma di ardente carità, di olocausto della sua persona al bene dei prossimi. Sotto un altro nome è sempre lo stesso Lodovico, anche se ha mutato scopo e indirizzo."

Fra' Cristoforo sacrifica infatti la sua persona per la consolazione dei malati e degli afflitti.

Nel suo saggio intitolato: "La tabacchiera di Don Lisander", Salvatore Silvano Nigro riassume la vita di Fra' Cristoforo con queste parole: "Fra' Cristoforo è assurto dal sangue alla missione religiosa. Prima di indossare il sacco era stato al secolo Lodovico: il figlio unico di un ricco mercante. Già nella vita laica (snobbato dall'aristocrazia in quanto borghese) si era dimostrato onesto ma violento, protettore degli oppressi e vendicatore dei torti, e aveva impiegato le sue sostanze in opere buone.  Lodovico aveva infine ucciso in duello un nobile arrogante che avrebbe voluto imporgli un feudale codice di precedenza pedonale. (...) Lodovico ha ammazzato. La folla accorsa consegna il giovane omicida ferito ai cappuccini di un vicino convento, per sottrarlo alla vendetta della potente famiglia dell'ucciso. In questo asilo, Lodovico matura la sua conversione: prende il sacco cappuccino, assume con umiltà il nome di un suo servitore morto nello scontro con il nobile prepotente e si reca nella casa del fratello dell'ucciso per chiedere pubblicamente perdono. "

Ecco qui il punto in cui il frate novello chiede umilmente perdono alla famiglia dell'ucciso:
"(...) Quando (Fra' Cristoforo) vide l'offeso, affrettò il passo, gli si pose in ginocchioni ai piedi, incrociò le mani sul petto, e, chinando la testa rasa, disse queste parole: "Io sono l'omicida di suo fratello. Sa Iddio se vorrei restituirglielo a costo del mio sangue; ma, non potendo altro che farle inefficaci e tarde scuse, la supplico d'accettarle." Tutti gli occhi erano immobili sul novizio, e sul personaggio a cui egli parlava; tutti gli orecchi eran tesi. Quando fra Cristoforo tacque, s'alzò, per tutta la sala, un mormorio di pietà e di rispetto. Il gentiluomo, che stava in atto di degnazione forzata, e d'ira compressa, fu turbato da quelle parole; e, chinandosi verso l'inginocchiato, - alzatevi, - disse, con voce alterata: - l'offesa... il fatto veramente... ma l'abito che portate... non solo questo, ma anche per voi... S'alzi, padre... Mio fratello... non lo posso negare... era un cavaliere... era un uomo... un po' impetuoso... un po' vivo. Ma tutto accade per disposizione di Dio. Non se ne parli più... Ma, padre, lei non deve stare in codesta positura -. E, presolo per le braccia, lo sollevò. Fra Cristoforo, in piedi, ma col capo chino, rispose: - io posso dunque sperare che lei m'abbia concesso il suo perdono! E se l'ottengo da lei, da chi non devo sperarlo? Oh! s' io potessi sentire dalla sua bocca questa parola, perdono! - Perdono? - disse il gentiluomo. - Lei non ne ha più bisogno. Ma pure, poiché lo desidera, certo, certo, io le perdono di cuore (...) " 
-A. Manzoni, "I Promessi sposi, ultime pagine del capitolo IV".

Notate bene che per tutta la sala si leva un mormorio di pietà e di rispetto. Pochi istanti prima, la folla presente nella stanza squadrava Lodovico con curiosità, rivelando tra l'altro lo stretto servilismo nei riguardi del fratello dell'assassinato. Ora invece comprende profondamente la sincera vocazione del giovane, il quale ha appena pronunciato parole di sincero pentimento. Le parole del padrone di casa fungono da eco alle reazioni della collettività.
In effetti, poche righe dopo, Manzoni scrive: "(...) Il gentiluomo, trasportato dalla commozione generale, gli gettò le braccia al collo e gli diede e ne ricevette il bacio di pace."
Questa è la vittoria dell'umanità del religioso contro le vanità formali del XVII secolo: è utile notare che in questo punto non vengono più osservate le regole del cerimoniale cavalleresco, dal momento che il nobile abbraccia il borghese come se fosse un suo pari dal punto di vista dello status sociale.


ALTRE CITAZIONI UTILI PER COMPRENDERE BENE LA FIGURA DI PADRE CRISTOFORO:

Ho copiato e incollato qui sotto uno spezzone trovato su YouTube del film di Mario Camerini. E' una pellicola che ha ormai i suoi settant'anni, ma intrattiene con l'opera letteraria un rapporto piuttosto fedele. Mi è stato utile come ripasso dopo la lettura.
Questa parte comprende i capitoli 5-7 del romanzo, che includono anche il momento in cui Fra' Cristoforo si reca a casa di Don Rodrigo per convincerlo a desistere dai suoi capricci. Perché effettivamente, l'aristocratico si era invaghito di Lucia ma... invaghirsi è ben diverso dall'innamorarsi!

Sono 14 minuti di film. Durante il pranzo, Don Rodrigo, il cugino Attilio, il Podestà e l'Azzecca-Garbugli parlano di c*zz**e da signorotti egoisti e perdigiorno. Nonostante ciò, vi invito caldamente a notare cinque aspetti, per quando arriverete ai minuti del loro dialogo:

1) I due uomini non si siedono ma stanno entrambi al centro della sala, come dei duellanti che stanno per affrontarsi. D'altra parte, sta per esplodere un concitato conflitto verbale.
2) "Vengo a proporle un atto di giustizia, a pregarla di una carità", dice il frate, con atteggiamento antidiplomatico. E' vero, pronuncia queste frasi con tono pacato e moderato, senza alterarsi, ma pensate che già qui sembra, almeno a mio avviso, ritornare l'antico Lodovico: dapprima infatti il personaggio pronuncia la parola "giustizia", poi menziona la "carità". Ricordate bene che l'indignato Lodovico nutriva amore per la giustizia, mentre invece al magnanimo Fra' Cristoforo sta a cuore la carità.
3) Non potete vederlo bene, ma ve l'assicuro io: il frate stringe tra le dita il piccolo teschio attaccato alla corona del rosario, simbolo di un "memento mori" che già anticipa l'ammonimento "Verrà un giorno..." che risuona qualche minuto dopo.
4)Don Rodrigo si dimostra malizioso, polemico... Non affronta seriamente l'argomento perché non è abituato ad assumersi le proprie responsabilità. E' sfacciato e ingiusto.
5) Entrambi gli uomini escono sconfitti dal colloquio: Fra' Cristoforo non riesce a far cambiare idea al nobile e inoltre arriva a un punto in cui non trattiene più lo sdegno: urla e minaccia. Don Rodrigo, sebbene abbia maltrattato il religioso, alla fine del conflitto ripensa preoccupato al suo ammonimento.



Al capitolo ottavo, poco prima che Renzo, Lucia e Agnese partano dal convento di Pescarenico, Frate Cristoforo rivolge questa preghiera a Dio:
"(...) il padre, con voce sommessa, ma distinta, articolò queste parole: - noi vi preghiamo ancora per quel poveretto che ci ha condotti a questo passo. Noi saremmo indegni della vostra misericordia, se non ve la chiedessimo di cuore per lui; ne ha tanto bisogno! Noi, nella nostra tribolazione, abbiamo questo conforto, che siamo nella strada dove ci avete messi Voi: possiamo offrirvi i nostri guai; e diventano un guadagno. Ma lui!... è vostro nemico. Oh disgraziato! compete con Voi! Abbiate pietà di lui, o Signore, toccategli il cuore, rendetelo vostro amico, concedetegli tutti i beni che noi possiamo desiderare a noi stessi." 
-A. Manzoni, "I Promessi sposi", cap.VIII.

In questo passo, Lucia, Agnese e Renzo sembrano assenti. Il frate prega da solo. In lui convivono diversi sentimenti: l'affetto per il due giovani popolani, la malinconia per il matrimonio non celebrato, la pietà per Don Rodrigo, causa delle tribolazioni dei protagonisti.


LA PROFONDITÀ DEL MESSAGGIO EVANGELICO DI FRA' CRISTOFORO:

(...) "Guarda, sciagurato!" - e mentre con una mano stringeva e scoteva forte il braccio di Renzo, girava l'altra davanti a sé, accennando quanto più poteva della dolorosa scena all'intorno.- "Guarda chi è Colui che gastiga! Colui che giudica, e non è giudicato! Colui che flagella e che perdona! Ma tu, verme della terra, tu vuoi far giustizia! Tu lo sai, tu, quale sia la giustizia!(...) Ardiresti tu di pretendere ch'io rubassi il tempo a questi afflitti, i quali aspettano ch'io parli loro del perdono di Dio, per ascoltar le tue voci di rabbia, i tuoi proponimenti di vendetta? T'ho ascoltato quando chiedevi consolazione e aiuto; ho lasciata la carità per la carità; ma ora tu hai la tua vendetta in cuore: che vuoi da me? vattene. Ne ho visti morire qui degli offesi che perdonavano; degli offensori che gemevano di non potersi umiliare davanti all'offeso: ho pianto con gli uni e con gli altri; ma con te che ho da fare? (...) Tu sai perché io porto quest'abito. Ho odiato anch'io: io, che t'ho ripreso per un pensiero, per una parola, l'uomo ch'io odiavo cordialmente, che odiavo da gran tempo, io l'ho ucciso. (...) credi tu che, se ci fosse una buona ragione, io non l'avrei trovata in trent'anni? Ah! s' io potessi ora metterti in cuore il sentimento che dopo ho avuto sempre, e che ho ancora, per l'uomo ch'io odiavo! S' io potessi! io? ma Dio lo può: Egli lo faccia!... Senti, Renzo: Egli ti vuol più bene di quel che te ne vuoi tu: tu hai potuto macchinar la vendetta; ma Egli ha abbastanza forza e abbastanza misericordia per impedirtela; ti fa una grazia di cui qualchedun altro era troppo indegno. Tu sai, tu l'hai detto tante volte, ch'Egli può fermar la mano d'un prepotente; ma sappi che può anche fermar quella d'un vendicativo. E perché sei povero, perché sei offeso, credi tu ch'Egli non possa difendere contro di te un uomo che ha creato a sua immagine? Credi tu ch'Egli ti lascerebbe fare tutto quello che vuoi? No! ma sai tu cosa puoi fare? Puoi odiare, e perderti; puoi, con un tuo sentimento, allontanar da te ogni benedizione. Perché, in qualunque maniera t' andassero le cose, qualunque fortuna tu avessi, tien per certo che tutto sarà gastigo, finché tu non abbia perdonato in maniera da non poter mai pii dire: io gli perdono."
(...)
"Tu vedi!" - disse il frate, con voce bassa e grave.- "Può esser gastigo, può esser misericordia. Il sentimento che tu proverai ora per quest'uomo che t'ha offeso, sì; lo stesso sentimento, il Dio, che tu pure hai offeso, avrà per te in quel giorno. Benedicilo, e sei benedetto. Da quattro giorni è qui come tu lo vedi, senza dar segno di sentimento. Forse il Signore è pronto a concedergli un'ora di ravvedimento; ma voleva esserne pregato da te: forse vuole che tu ne lo preghi con quella innocente; forse serba la grazia alla tua sola preghiera, alla preghiera d'un cuore afflitto e rassegnato. Forse la salvezza di quest'uomo e la tua dipende ora da te, da un tuo sentimento di perdono, di compassione... d'amore!"
Tacque; e, giunte le mani, chinò il viso sopra di esse, e pregò: Renzo fece lo stesso."

-A. Manzoni, "I Promessi sposi", capitolo XXXV.-
A tre capitoli dalla fine del romanzo, Renzo si trova nel lazzeretto a Milano per cercare Lucia. Proprio in questo luogo di dolore, egli incontra Fra' Cristoforo che, come fanno altri religiosi, presta il suo generoso aiuto ai malati. Fra' Cristoforo però porta i segni della peste: è pallido, stanco e si regge a stento in piedi. E' un malato tra i malati. Ma non è certo l'incombere di una grave malattia a fermare il suo splendido animo colmo di carità fraterna. 
Nel narrargli tutte le sue spiacevoli avventure accadute dopo l'allontanamento dal territorio di Lecco, Renzo "si lascia scappare" anche delle frasi inappropriate, che manifestano ancora odio per Don Rodrigo e che rivelano un desiderio di vendetta nel confronti del nobile.
Per questo il frate pronuncia un discorso molto severo, di cui sopra ho trascritto alcune parti. 
La vista di un Don Rodrigo steso su un pagliaio sudato, pallido, incosciente dal respiro affannoso suscita in Renzo quella vera compassione che ogni cristiano, secondo l'etica manzoniana, dovrebbe provare di fronte ad un individuo agonizzante e sofferente. 

Ho voluto riportare queste frasi pronunciate da Fra' Cristoforo perché, secondo il commento di Luigi Russo, esse trasmettono un potente messaggio cristiano di perdono. 
Proprio nel personaggio di fra Cristoforo si esprime il grande ma difficile valore del perdono.
Russo sostiene che Don Rodrigo, anche se in quel punto della storia appare incosciente, soffre tutto dentro di sé dal momento che sente la lontananza dell'Eterno. Certamente Don Rodrigo è stato in vita un prepotente che cercava di affermare il proprio potere e i propri privilegi con la forza. Però, è importante considerare che, pur essendo stato un oppressore, nella sua sofferenza vi è forse una sorta di riscatto: infatti, il peccatore sofferente si perde nell'umanità stessa che subisce le fatiche e le calamità della storia.
 Questo passo chiama inoltre in causa anche il tema della giustizia. Per Manzoni, la giustizia divina è la sola possibile, poiché quella umana è spesso iniqua e venata da corruzione e da sentimenti di vendetta o comunque di rivalsa.

... Credo di essere affetta dalla sindrome di Stendhal... Forse da sempre. Non potete immaginare nemmeno lontanamente quanto mi abbia commossa questa figura che ho cercato di presentare in maniera decente. Dai, è bello, è decisamente bello Fra' Cristoforo.
Quando leggevo anche altri passi del romanzo, come l'addio monti di Lucia, Renzo che cammina solo nel bosco in piena notte per raggiungere l'Adda, l'incontro tra l'Innominato e il Cardinal Borromeo e la morte di Cecilia... beh... ammetto che a volte sentivo accelerare i battiti, talvolta invece mi veniva la pelle d'oca per l'emozione.



14 ottobre 2016

"Il riccio":


"Il riccio" è il sesto in classifica tra i miei film preferiti; una posizione al di sotto di "Basta guardare il  cielo".
E' dall'inizio dell'estate che miei lettori attendono questo scritto. L'ho promesso ed eccolo qui!
Sto scrivendo in una giornata di ottobre in cui piove a catinelle!

Permettetemi però di dedicare la presente recensione al mio amico organista e al nostro rapporto particolare, fondato sul rispetto, sull'ascolto reciproco e su interessanti discussioni culturali.
Ah, ultimo aspetto ma non meno importante: scrivo questo post anche in ricordo di quelle volte in cui, tempo fa, andavamo a cenare in un ristorante giapponese, in compagnia di altre persone.

L'inizio del film inquadra il viso molto serio di una ragazzina che dice davanti ad una telecamera:
"Mi chiamo Palomà. Ho dodici anni. Vivo a Parigi, in un appartamento da ricchi. I miei genitori sono ricchi, la mia famiglia è ricca. Io e mia sorella, perciò, siamo virtualmente ricche. Ma malgrado ciò, malgrado tutta questa fortuna e tutta questa ricchezza, da molto tempo, so che la destinazione finale è la boccia dei pesci: un mondo in cui gli adulti passano il tempo a cozzare come mosche contro lo stesso vetro. Ma una cosa è certa: io nella boccia non ci vado! E' una decisione ben ponderata. Alla fine dell'anno scolastico, il giorno 16 giugno, giorno del mio tredicesimo compleanno, tra centosessantacinque giorni,  io mi suiciderò."

E, dichiarate le sue intenzioni, esce dalla sua camera portando la telecamera in mano.
Vi ricordate il titolo di un post che ho scritto qualche anno fa? Faceva così: "Inseguire le stelle... volare leggeri nel cielo notturno... Non vivere come un uccello in gabbia!".
Bene, ora vi rivelo che questa frase me l'aveva ispirata proprio il personaggio di Palomà.
Palomà
Lei ha utilizzato la metafora dell'acquario con i pesci, io invece l'immagine dell'uccello in gabbia.
Ma entrambe, anche se in modi diversi, esprimiamo lo stesso concetto.
Palomà non è una pazza psicotica, anzi, è una ragazzina molto più matura della sua età, molto intelligente e anche molto sensibile. Perché allora non vuole crescere? Perché non condivide affatto i principi della società in cui i suoi genitori sono inseriti e in cui, in un futuro che appare irreversibilmente programmato, dovrà entrare anche lei. La dodicenne infatti detesta l'ipocrisia, la monotonia, il conformismo e la superficialità che caratterizzano il mondo altoborghese. Ne è talmente disgustata che desidera finire la sua vita il prima possibile, dal momento che non vede alternative a quel mondo agiato ma asettico e privo di affetti.
Palomà aspira alla libertà, alla libertà del suo essere. Con lei io avevo ed ho diversi punti in comune (non il proposito di suicidio, però, mi raccomando!!). Andate pure a ripescare il titolo del post sopra citato
(ecco il link: http://riflessionianna.blogspot.it/2011/01/inseguire-le-stelle-volare-leggeri-nel.html).
In quel 5 gennaio 2011 avevo fatto un viaggio mentale. La letteratura ci insegna che tutti gli uomini possono permettersi di viaggiare, con la mente e con la fantasia, da un'immagine all'altra.
Questo può accadere non solo quando si è profondamente concentrati nella lettura di un romanzo ma anche quando, in un momento di tempo libero, chiudiamo gli occhi e permettiamo alla nostra mente di formare immagini di paesaggi e di luoghi piacevoli in cui compaiono anche le persone che amiamo o che abbiamo amato.
Ad ogni modo, in questo viaggio mentale avevo immaginato di essere dapprima un'aquila, poi una rondine. Questi due uccelli sono sempre stati per me simbolo della libertà. Con quel pensiero io quindicenne invocavo la libertà. Ma non la libertà assoluta che non rispetta i diritti altrui, quanto piuttosto una piena responsabilità nelle mie decisioni e un pieno godimento dei miei sogni di ragazzina. Naturalmente traspariva anche una leggera ma sincera malinconia generata dal ricordo dei poveri del mondo.

Così continua poco dopo il ragionamento della nostra protagonista:
"Non è perché progetto di morire che devo lasciarmi ammuffire come una verdura avariata. L'importante non è morire né a che età si muore, ma quello che si sta per fare in quel preciso momento. In Taniguci (Cina) gli eroi muoiono scalando l'Everest. E il mio Everest è fare un film. Un film che mostri perché la vita è assurda. La vita degli altri e la mia."
Ora credo sia il caso di descrivere sinteticamente i componenti della famiglia di Palomà: il padre è un funzionario, molto più dedito alla carriera che agli affetti privati; la madre, affetta da inquietudini e da periodi di depressione, prende degli psicofarmaci per curarsi; la sorella Colombe è una studentessa universitaria vuota, antipatica e boriosa. Con lei Palomà ha un pessimo rapporto.

La co-protagonista della storia è Renèe, la portiera del condominio in cui Palomà vive. Reneè ha più di cinquant'anni, è vedova da ventisette e vive sola nella sua guardiola, al piano terra del palazzo. Soltanto il suo grasso e peloso gatto, chiamato Leòn, le tiene compagnia. Inizialmente appare come una persona scorbutica, arcigna, riservata e poco curata nell'aspetto fisico.
Poi però un giorno, arriva un nuovo inquilino alla guardiola per chiederle le chiavi del nuovo appartamento... Si tratta di Kakuro Ozu, un giapponese molto gentile, molto ricco e molto colto, oltre che raffinato. Anche Kakuro è vedovo e solo. Mi piace moltissimo questa figura; apprezzo soprattutto la sua cordialità e l'evidente eleganza.
Kakuro inoltre è privo di pregiudizi nei confronti delle persone e anzi, con il suo straordinario sesto senso intuisce immediatamente che la portiera non è quella che sembra. 
In effetti, Renèe, pur non avendo una laurea, ha coltivato nel corso degli anni la sua passione per la lettura, in particolare, per i romanzi russi e per i film giapponesi in bianco e nero. Ecco due aspetti che la donna ha in comune con il simpatico giapponese. 
Il signor Ozu instaura un buon rapporto dapprima con Palomà, la quale entra di tanto in tanto in casa sua anche per farsi dare delle lezioni di giapponese, visto che lo studia a scuola come lingua straniera.
Kakuro e Palomà parlano anche di Renèe. Palomà dice al giapponese: "Renèe mi fa pensare a un riccio. All'esterno è bardata di aculei, una vera fortezza. Ma ho l'impressione che all'interno sia raffinata come quelle bestioline falsamente indolenti, ferocemente solitarie e terribilmente eleganti."
Sapete invece a quale similitudine faccio ricorso io per definire una persona timida che apparentemente sembra chiusa in se stessa? Quella della quercia. Secondo me, una persona è assimilabile ad una quercia quando apparentemente si dimostra dura e riservata ma in realtà, il suo animo trabocca sia di sentimenti positivi e profondi sia di nobili ideali di vita. 
Il tronco di un quercia infatti è duro, solido, impenetrabile. Ma ricordiamoci anche che all'interno della quercia c'è la linfa, una linfa vitale che la rende una creatura vivente del mondo naturale.

Renèe e Kakuro
La sincera amicizia tra Renèe e Kakuro inizia con un invito a cena da parte di quest'ultimo. Inizialmente Renèe non vorrebbe accettare, dal momento che non si sente all'altezza di un ricco borghese, ma poi, convinta dalla signora Manuela, l'unica amica che ha, decide di andare, con una nuova pettinatura e con un abito elegante.
Durante la cena tra i due, compaiono nel film i nomi di alcuni piatti giapponesi: il sashimi, il ramen (zuppa) e i kijosa (spaghetti che si mangiano rumorosamente).
Kakuro regala inoltre a Renèe una pregiata edizione del romanzo "Anna Karenina" di Tolstoj.

Più avanti, nasce anche un bel rapporto tra Palomà e Renèe: la ragazzina di tanto in tanto si rifugia nella guardiola della portiera per sfuggire alle urla della sorella e alle piccole follie della madre, la quale quotidianamente parla con le piante che innaffia. 
Grazie a queste due figure adulte significative (mi riferisco a Renèe e a Kakuro ovviamente), Palomà inizia a dubitare dei suoi progetti di morte.
Ecco cosa dice ad un certo punto del film, quando si trova da sola di fronte alla telecamera:"Mi si vede il destino scritto in fronte? Se voglio morire è perché credo di sì. Ma se esistesse la possibilità di diventare quello che ancora non si è? Avrò saputo fare della mia vita altra cosa di quello a cui mi si destinava?"

Sono pensieri che fanno venire i brividi, soprattutto perché vengono pronunciati da una ragazzina.
Qui Palomà sembra quasi l'Innominato del romanzo di Manzoni. L'Innominato, nella notte in cui ha fatto rapire Lucia per esaudire il capriccio di Don Rodrigo, ripensa a tutti i suoi misfatti e si sente sporco, indegno, cattivo. Prova una tale ripugnanza verso se stesso che decide, per un istante, di suicidarsi. Poi però, il pensiero della frase di una Lucia supplichevole: "Dio perdona tante cose per un'opera di misericordia!", lo fa desistere da questo proposito: "E se ci fosse davvero questa vita eterna?", pensa il nobile. E quindi, sarebbe come se pensasse: "E se ci fosse ancora per me la possibilità di cambiare stile di vita e di diventare così quello che non sono mai stato e quello che non sono?"

Non è un film a lieto fine, questo. Però Palomà apprende un'enorme lezione di vita attraverso la morte di Renèe.
Palomà in effetti, dopo aver rinunciato completamente all'idea del suicidio, dichiara:  
"Quello che conta, non è morire, ma quello che si fa nel momento in cui si muore. Renèe, lei che cosa faceva al momento di morire? Era pronta ad amare."

Notate bene un particolare: queste frasi risuonano nel buio dell'appartamento di Renèe, dopo che Kakuro ha raccolto e portato via i libri della defunta e dopo che Palomà ha chiuso la porta. Per sempre.

La colonna sonora del film è così bella da far piangere! Io piango ogni volta che la sento, perché è come se il pianista e compositore libanese Gabriel Yared  avesse cercato di penetrare l'Universo, di esplorare l'infinito... Non so se riuscite a capirmi.

Ad ogni modo, eccola qui:
N.B.: Godetevi l'immagine fissa, il bel visino dell'attrice francese Garance Le Guillermic. E' più giovane di me di due anni. Quando ha recitato in questo film ne aveva 12.





6 ottobre 2016

"La pazza gioia":


Pochi giorni fa hanno dato questo film al cinema del mio paese. Io mi aspettavo una pellicola divertente e leggera, invece... invece è un'opera tutt'altro che leggera. Quando sono uscita dalla sala mi piangeva il cuore, davvero.
Svolgerò qui sotto una recensione particolare: mi concentrerò soprattutto su Donatella, la più disgraziata delle due protagoniste.

LINEE ESSENZIALI DELLA TRAMA:

Siamo nel 2014, ovvero, un anno prima che in Italia vengano chiusi gli ospedali psichiatrici giudiziari. Ora a voi questo sembrerà un dettaglio poco rilevante, ma, se continuerete nella lettura, comprenderete l'utilità del presente riferimento cronologico.
La vicenda si svolge in Toscana, a villa Biondi, un edificio destinato a delle donne affette da squilibri mentali. Beatrice è una di loro. E' una figura che suscita subito il sorriso nello spettatore, già a partire dalla prima scena, quando la si vede passeggiare nel giardino della struttura con l'ombrellino aperto come riparo dal sole. Logorroica, vanitosa e molto orgogliosa delle sue origini aristocratiche, non perde alcuna occasione per criticare le altre compagne. Basti pensare che, durante un colloquio con una degli psicologi della comunità, definisce le altre signore delle decerebrate. Lo saranno anche state, ma sicuramente non meno di lei!

Beatrice
Una mattina però, arriva nella struttura Donatella, una ragazza di 28 anni. La prima volta che questa figura compare sullo schermo fa veramente impressione: la giovane, oltre ad essere molto magra e oltre ad avere le stampelle e una gamba steccata, presenta il volto insanguinato e i capelli visibilmente unti, scarmigliati, trascurati. Tutti particolari che fanno intuire un tentato suicidio. Ve lo dico fin da ora: Donatella soffre di una gravissima forma di depressione. In pochi giorni, tra Beatrice e Donatella si instaura una bella amicizia, definita dagli operatori della struttura: "un legame benefico per entrambe".
Entrate in sincera confidenza, le due donne decidono di fuggire dalla Villa e riescono nel loro intento.
Gli operatori però, preoccupati e angosciati per la fuga di due loro utenti, cercano di rintracciarle con molto impegno.  Da questo momento le due protagoniste della storia iniziano a vivere una serie di intriganti avventure e, come dice Beatrice, si danno "alla pazza gioia"
Non aggiungo altro, perché è proprio ora che avviene la parte più significativa del mio articolo.




LA FIGURA DI DONATELLA:

Donatella
Perché una ragazza di 28 anni dovrebbe essere depressa? A ventotto anni non si dovrebbe forse essere nel pieno dell'energia, nel pieno delle forze vitali? Beh', lei non lo è. Ma perché?
Perché non è mai stata amata da nessuno. Perché ha alle spalle un passato molto doloroso, che le ha frantumato l'anima in mille pezzi, proprio come un oggetto di vetro appena caduto a terra.
Donatella è profondamente infelice, ma è buonissima. Attraverso questo personaggio, il regista del film, il grande Virzì per l'appunto, trasmette al pubblico le ragioni e i motivi per cui ha voluto proporre un film incentrato sui comportamenti di due squilibrate, su due sofferenti.
Donatella è sola al mondo, completamente sola, almeno fino a quando non conosce Beatrice. 

Una sera, mentre si trovano sulle rive del mare, Donatella trova la forza di raccontare a Beatrice il suo passato. Le frasi dal lei pronunciate in quella scena sono tutte evidenziate in grassetto blu. Notate bene che, nel narrare il suo passato, la ragazza parla sempre al presente. Questo è un dettaglio significativo, dal momento che il suo dolore è molto forte, molto intenso. Soltanto queste frasi iniziali sono all'imperfetto: "Da bambina piangevo sempre. Piangevo a scuola, a casa. Piangevo anche quando mia mamma mi rimproverava e mi diceva di non piangere." 
Io non sono competente in materia, solo gli psicologi e i neurologi possono saperlo ma io sospetto che alcuni individui, sin dall'infanzia, possano già manifestare una certa propensione alla depressione. Ad ogni modo, una buona parte la fanno anche le situazioni familiari, le circostanze della vita e alcuni eventi altamente drammatici.
Donatella ha subito il divorzio dei genitori: sua madre non l'ha mai capita né supportata, suo padre invece è un musicista completamente disinteressato alla figlia.
Nel corso degli anni Donatella ha sempre provato un vero e proprio disgusto verso una madre narcisista, mentre invece ha sempre riposto una grande stima nel padre. Di lui ha ammirato soprattutto la professione e l'elevata cultura. Ma, ad un certo punto del film, il genitore si rivela molto deludente: quando Donatella viene curata con dei sedativi all'ospedale in seguito ad una crisi isterica avuta in piena notte e in un luogo pubblico, riceve una visita del padre. Proprio in quel momento la ragazza gli fa ascoltare, salvata sul suo smarthphone, la canzone intitolata "Senza fine". Poverina, è convinta che il padre ne sia l'autore e che l'abbia dedicata a lei. Invece, ecco la risposta, sincera ma devastante: "Io dedicarti una canzone??! Non lo farei mai!" 
Donatella non sapeva che questa canzone è invece di Gino Paoli. Eccovela, bella ma così bella da commuovere!


Sin da adolescente la ragazza è stata vittima della tossicodipendenza e ha frequentato spesso le discoteche, nelle quali ha ballato come cubista e dove anche, per sua disgrazia, ha incontrato diversi uomini. Fino al momento in cui ha scoperto, a vent'anni, di aspettare un figlio da un uomo sposato il quale, proprio come fanno tutti i gran signori, si è successivamente dileguato, mancando innanzitutto ai propri doveri di marito e sfuggendo inoltre alle proprie responsabilità.
A quel punto Donatella è caduta in depressione, in una depressione profonda. E' stata una ragazza madre molto seguita dai servizi sociali, i quali hanno deciso, man mano che passava il tempo, di collocare il bambino in una struttura specializzata, all'interno della quale però lei poteva entrare ogni giorno per vederlo.
"Dicono che sto sempre peggio, che non sono in grado di curarmi del bambino. E una mattina, arrivano i carabinieri a portarmelo via. Io voglio guarire, ma non è che se mi tolgono Elia io sto meglio".
Continua così: "Io vado a trovarlo tutti i giorni. Lo prendo in braccio. Quando l'orario delle visite si conclude, vengono a togliermelo. Me lo staccano dalle spalle, ditino per ditino. E allora Elia scoppia a piangere, mentre invece quando è accanto a me non piange mai."

Già discorsi di questo genere fanno comprendere che essere depressi non significa né essere cattivi né essere incapaci di provare sentimenti. La giovane donna trova un suo equilibrio soltanto nella relazione con il figlio.
Gli assistenti sociali un giorno concedono a Donatella una passeggiata all'aperto con il figlio, che ancora non cammina. Inizialmente è serena: guida il passeggino sorridendo alla gente. Poi però incontra l'uomo con il quale ha concepito il figlio. Ineccepibile di fronte alla moglie e ai figli, molto sprezzante verso di lei. Dopo quell'incontro, Donatella, in preda ad un impeto di disperazione, corre piangendo per le vie della città, fino al momento in cui arriva su un ponte costruito al di sopra del mare.
"Mi butto giù, perché voglio smettere di soffrire. Prendo in braccio Elia, e mi lancio. Sotto acqua stiamo bene, avvolti in un unico abbraccio andiamo sempre più giù, sempre più giù. Omicidio-suicidio, dicono. Ma non capiscono proprio niente."

Nulla era premeditato, ma da un sovrastante senso di abbandono è nata però una tragedia ancora più grande: la separazione definitiva dei due. Per questo grave atto Donatella era stata privata della potestà genitoriale e rinchiusa per qualche tempo in un ospedale psichiatrico giudiziario (OPG).

Anche nel corso del film, la donna viene collocata nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere (MN). Una mattina, delle infermiere la trovano accasciata a terra, in preda a una forte crisi di pianto. Sconvolte, chiamano un medico, un medico premuroso che le chiede: "Di che cosa hai bisogno?";  e lei: "Voglio l'elettroshock". Il dottore l'aiuta ad alzarsi e la riaccompagna a letto. Di questo Donatella gli è molto riconoscente, al punto tale che, oltre a dire: "Oddio, grazie! Grazie!", gli dà dei piccoli baci su una spalla.
Donatella rimane all'ospedale per pochi giorni, dopodiché, una lettera di Beatrice la spinge a scappare. Un altro punto della storia in cui la ragazza si dimostra affettuosa è quando Beatrice si offre di aiutarla a trovare suo figlio.

Il finale del film è significativo, soprattutto perché l'umore di Donatella cambia in meglio: la ragazza incontra sulla spiaggia suo figlio, un bambino sui sette anni. I due iniziano a parlarsi, con tutta serenità. I genitori adottivi di Elia osservano la scena da lontano, ma non chiamano i carabinieri. In fin dei conti, i due coniugi provano una profonda pietà per Donatella, dal momento che la considerano una persona da curare, da aiutare, non certo da disprezzare a causa di una patologia mentale. Donatella ed Elia giocano tra le onde del mare. Poi, quando un altro bambino chiama Elia a giocare a pallavolo, Donatella rimane ancora sola, e il suo volto si rabbuia nuovamente, anche se il figlio le ha detto: "Spero di rivederti ancora".
Gli sguardi tra madre biologica e madre adottiva si incrociano per un instante: quello della madre adottiva è un sorriso sincero, privo di pregiudizi. Quello di Donatella è profondo e limpido. 
La nostra protagonista, attraverso quell'incontro, ha elaborato un sano e serio progetto di vita di questo genere: "Ritorno in comunità e mi faccio curare davvero. Non faccio follie, mi comporto bene, accetto i farmaci e le cure, così un giorno forse potrò rivedere mio figlio."
Con il sottofondo del brano "Senza fine", Donatella raggiunge Villa Biondi, dove Beatrice la attende alla finestra della sua stanza.

Ci tengo a precisare che il film non è una critica alle leggi. Il giudice ha avuto i suoi buoni motivi a togliere Elia a Donatella: una persona molto fragile affetta da depressioni e soggetta ad impulsi così estremi non è in grado di crescere un bambino.
Virzì vuole piuttosto offrire un'immagine pietosa dei malati mentali: essi si trovano in condizioni tristi perché spesso alle loro spalle ci sono vicende tragiche, forti delusioni affettive, terribili sensi di colpa.

Donatella non fa rabbia alcuna, fa solo una gran pena e tenerezza.