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26 settembre 2017

I contenuti di alcune canzoni della mia prima giovinezza:

In questo post vorrei proporvi delle mie riflessioni sui contenuti di alcune canzoni che mi hanno accompagnata durante l'adolescenza.

ALLA MIA ETA'- TIZIANO FERRO, AUTUNNO 2008:

AVVERTENZA!: Non osservate tanto le mie "acrobazie" sui tasti... o peggio ancora: il trasporto entusiastico che ho verso la musica che mi piace.

Pensate ad attribuire valore alle parole della canzone. 
Qui c'è indubbiamente il messaggio cristiano del perdono.




Inizio la mia riflessione riportando le frasi più significative della canzone:
 
"Ma grazie a chi sa sempre perdonare sulla porta alla mia età". Che cos'è il perdono in fin dei conti??! Gli adulti giovani e maturi riescono a perdonare o dovrebbero aver acquisito una maturità e un equilibrio psicologico sufficienti per poterlo fare?

Ricordate il mio post sul film "Philomena"? Qui sotto ho ricopiato alcune mie considerazioni:

"Il film mi ha insegnato che perdonare non significa "fare finta di non avere subito dei torti". Quando qualcuno si impegna a perdonare propone a se stesso di non vendicarsi contro coloro che gli hanno fatto del male e di reprimere il rancore."

Philomena è una donna meravigliosa, perché non ha mai provato né odio né rabbia verso quelle suore che le hanno sottratto il figlio e che le hanno impedito di crescerlo.

Quindi, nonostante sia stata vittima di un'ingiustizia atroce, è riuscita a vivere amando la propria esistenza e convivendo con il suo tragico passato.

Mi trovo ancora d'accordo su ciò che avevo scritto tre anni fa a proposito del perdono, però vorrei aggiungere altri esempi e altre considerazioni.


Nella mia prima raccolta di poesie "Ali di pensiero" avevo dedicato un componimento alla beata Chiara Luce Badano. Forse allora è arrivato il momento opportuno per spiegarvi qualcosa di più a proposito di questa ragazza, morta a soli 19 anni a causa di un tumore osseo. Se oggi Chiara fosse viva avrebbe 46 anni.
 

Chiara Luce era profondamente credente. 



Aveva iniziato a frequentare il Liceo Classico senza poche difficoltà. Aveva un ottimo rapporto con i compagni, ma soffriva moltissimo a causa delle incomprensioni che erano sorte tra lei e l'insegnante di Lettere.
E' la fine del primo anno di superiori. In un caldo week-end di fine maggio, la ragazzina deve prepararsi per l'ultima interrogazione di geografia, determinante per la sua promozione.
Quindi, studia tutto il week-end e il giorno dopo viene interrogata. Pur sapendo le risposte alle domande, prende un 5. 
I compagni di Chiara, che avevano un ottimo rapporto con lei, protestano: "Prof., non è giusto!", ma l'insegnante non vuole sentire ragioni. A Chiara tocca ripetere l'anno, purtroppo.
Alla fine della mattinata di scuola, mentre gli studenti stanno uscendo e scendendo le scale, alcuni compagni della Badano provano a spintonare la loro docente di Lettere in modo tale da farla rotolare giù dalle scale. Ma Chiara, accorgendosi di ciò che stanno per fare, interviene urlando energicamente: "Lasciatela stare! Siete voi gli ingiusti!" 
La prof., resasi conto di ciò che sarebbe potuto accaderle, le rivolge uno sguardo riconoscente e le sussurra un grazie. 
Ho letto una biografia sulla Badano e anche questo episodio mi aveva profondamente colpita, oltre alla forza d'animo con la quale questa ragazza ha affrontato la malattia alcuni anni dopo. 
In questa sua vicenda di vita, Chiara Luce trasmette un messaggio significativo e valido per chiunque sia dotato di cuore e cervello: il perdono non si limita soltanto al "non-odio". 
I suoi compagni di classe volevano vendicarla per il torto subito. E lei ha protetto la prof. antipatica.
Il perdono è strettamente legato al rispetto della dignità di chi ti ha fatto del male. 
Il non-odio implica l'assenza di propositi di vendetta, il rispetto riconosce la fragilità della persona che nei nostri confronti ha sbagliato. Ecco allora che tutto questo ha a che fare con la misericordia, ovvero, con una spiccata predisposizione a valutare in modo equilibrato i nostri simili.
Nella parte finale della canzone c'è un'altra frase significativa:"E che la vita ti riservi ciò che serve, spero, e piangerai per cose brutte e cose belle spero, senza rancore che le tue paure siano pure e l'allegria mancata poi diventi amore."

Quindi: ti auguro un'esistenza come la mia, piena di soddisfazioni, di gratificazioni, di desideri esauditi. Ti auguro una vita piena di emozioni, positive e negative.

Non dimenticherò mai le tue offese nei miei confronti. 
Ciò che è accaduto tra noi ci impedisce di diventare amici e di coltivare buoni rapporti.
Ma, malgrado ciò, spero che ognuno di noi due prosegua lungo il proprio cammino della vita senza covare rancori. Ecco tutto. 


Sto pensando anche al Vangelo di domenica scorsa. Narrava una parabola che parlava di un servo che aveva con il padrone un debito enorme. Il signore, avendo avuto compassione della miseria e delle suppliche di questo servo, gli aveva condonato tutto il debito.
Poco dopo però, questo servo graziato incontra un altro servitore, un suo "collega" quindi, che gli deve soltanto 100 denari. Una cifra irrisoria rispetto ai diecimila talenti che egli avrebbe dovuto restituire al loro padrone.
Non appena lo vede, lo aggredisce con violenza e con arroganza, dicendogli: "Rendimi quello che mi devi!" A nulla valgono le suppliche dell'aggredito.
Dopo essere venuto a conoscenza dell'avvenimento accaduto, il padrone rimprovera duramente il servitore al quale aveva condonato tutto quel debito spropositato. 

La prima cosa alla quale si pensa è: colui al quale è stato condonato tutto non ha appreso la lezione di vita e di misericordia che il signore aveva a lui dato.



Ecco una parte del commento di Padre Ermes Ronchi:


"(...) Eppure, questo servo “‘malvagio” non esige nulla che non sia suo diritto: vuole essere pagato. È giusto e spietato, onesto e al tempo stesso crudele. 
Così anche noi: bravissimi a calare sul piatto tutti i nostri diritti, abilissimi prestigiatori nel far scomparire i nostri doveri. E passiamo nel mondo come predatori anziché come servitori della vita.

Giustizia umana è “dare a ciascuno il suo”. Ma ecco che su questa linea dell’equivalenza, dell’equilibrio tra dare e avere, dei conti in pareggio, Gesù propone la logica di Dio, quella dell’eccedenza: perdonare settanta volte sette, amare i nemici, porgere l’altra guancia, dare senza misura, profumo di nardo per trecento denari.

Quando non voglio perdonare (il perdono non è un istinto ma una decisione), quando di fronte a un’offesa riscuoto il mio debito con una contro offesa, non faccio altro che alzare il livello del dolore e della violenza. Anziché annullare il debito, stringo un nuovo laccio, aggiungo una sbarra alla prigione.

Perdonare, invece, significa sciogliere questo nodo, significa lasciare andare, liberare dai tentacoli e dalle corde che ci annodano malignamente, credere nell’altro, guardare non al suo passato ma al suo futuro. Così fa Dio, che ci perdona non come uno smemorato, ma come un liberatore, fino a una misura che si prende gioco dei nostri numeri e della nostra logica."


Mi piace un sacco anche questa frase:
"E mi sento come chi sa piangere di notte alla mia età"
. Non bisognerebbe mai vergognarsi delle proprie lacrime!

In certe notti mi viene da piangere. Così, senza un motivo ben preciso. Un paio di lacrime scivolano giù dalle guance e cadono sul cuscino. 
Secondo me significa che sono viva. Non soltanto in senso biologico, ovviamente! 
Diciamo che la mia vita interiore è piuttosto ricca e che continua a generare un groviglio di emozioni e di stati d'animo.
 
  MENTRE DORMI-MAX GAZZE', AUTUNNO 2010:

"Sogno di conoscere un ragazzo che sappia amarmi. E' questo il sogno che mi fa venire voglia di aprire gli occhi ogni mattina."





La frase  che ho scritto sopra è diventata la info del mio account whatsapp. 
-Esagerata!- penserete voi dall'altra parte dello schermo. -Ma vivi soltanto per sognare l'amore?-
Oddio... diciamo che io vivo serenamente soprattutto grazie a questo sogno, che in fin dei conti equivale ad una speranza!
Perdonatemi, ma non sono mai riuscita a guarire da una dolce "malattia" chiamata romanticismo, una malattia che mi ha stimolata, in questi ultimi dieci anni di vita, ad occupare parte del mio tempo libero a immaginare la mia possibile-futura vita coniugale.
Io "non riesco a pensare una vita a metà", per dirla nel modo in cui lo dice Cremonini.


Credo di essere fatta per "donarmi", non soltanto per amare. 
Tutti gli esseri umani di questo mondo dovrebbero saper amare. 
Il donarsi secondo me è qualcosa di più: è impegnarsi a diventare il meglio di se stessi per poter rendere bella e serena la vita della persona che hai scelto come compagno.
Che bello che sarebbe poter avere qualcuno al quale stringere la mano e sussurrare:  
"Non preoccuparti, ci sono io qui con te! Se qualcosa ti crea angoscia, parlami, stringimi forte e baciami. Insieme cercheremo di riflettere e di trovare una soluzione al problema."

Proprio oggi compio 22 anni. Chris McCandless aveva esattamente 22 anni quando ha deciso di compiere un lungo viaggio alla riscoperta di se stesso. 

Era appena laureato; a me mancano davvero pochi esami.
Quanto a me, mi accorgo che più "invecchio" e più divento buona. 
Mi sembra di essere ancora più mite, un po' meno nervosa e ancora più matura.


Nel giorno del mio compleanno vorrei fare io un regalo a voi followers.
Quindi, ho caricato due canzoni perché voglio dedicarle entrambe non soltanto ai lettori che mi apprezzano, ma anche agli ex allievi di mia mamma, in particolare, a delle belle figure positive, nate un anno prima di me, che ho conosciuto e incontrato nel delicato periodo delle scuole medie.
A 11 anni ero una bambina molto insicura, inconsapevole dei talenti e dei doni che avevo. 
E' stato anche grazie a dei miei quasi coetanei che ho imparato a scoprire me stessa.
Ragazzi, probabilmente non siete consapevoli del bene che mi avete fatto, ma io sì e  cercherò di non dimenticarlo mai! 
Soprattutto certi complimenti che avevo anche trascritto sui miei diari segreti dell'epoca, del tipo: "Sei la ragazzina più matura delle seconde medie", "Che begli occhioni grandi!", 
"Tu hai un sacco di qualità, devi imparare a farle emergere".

Se non avessi imparato a scoprirle, queste qualità, sicuramente non mi sarebbe mai venuta la voglia di progettare e anche di sognare il futuro.



ONLY HOPE, MANDY MOORE- "A WALK TO REMEMBER":


Questa fa parte della colonna sonora di uno dei miei film preferiti! 
Gustatevela  ;-)








CARRY YOU HOME- JAMES BLUNT, DICEMBRE 2008:

E' questa è estremamente dolce! :-) 








Spero di avervi portato un po' di gioia in questa giornata... a modo mio!





18 settembre 2017

"Una barca nel bosco", Paola Mastrocola


Un romanzo che, a mio avviso, tutti i futuri-possibili insegnanti dovrebbero leggere.
Potete comprendere il senso di questo strano titolo soltanto se leggete bene il contenuto.

Paola Mastrocola è docente di italiano in un liceo scientifico di Torino e da diversi anni ormai coltiva il suo talento per la scrittura.
Presumo che questo libro sia frutto di esperienze scolastiche accumulate nel corso del tempo.

Il protagonista della storia è Gaspare Torrente, un ragazzino particolarmente intelligente originario della Sicilia e figlio di un pescatore, che si trasferisce a Torino con la madre e la zia per poter frequentare il liceo.
Durante il suo percorso didattico alle medie Gaspare ha avuto modo, grazie a una professoressa che ha intuito le sue capacità, di imparare molte regole di grammatica latina.
A quattordici anni è già in grado di tradurre Orazio. Per questo nutre grandi aspettative verso il liceo.

A scuola però viene a contatto con compagni per lo più superficiali e immaturi e con insegnanti ai quali manca la voglia di insegnare.
Tra i professori, mi dispiace scriverlo, il peggiore è proprio quello di italiano e latino (docente che dovrebbe costituire un importante punto di riferimento anche per gli allievi di un liceo scientifico tradizionale).
Questo è uno dei punti più clamorosi:

"Di latino è da due mesi che siamo a pagina 12. Allora ho chiesto al professore quando faremo una versione. Mi ha guardato strano e mi ha detto: poi ne parliamo. (...)
«Aprite a pagina 12 ». E comincia a leggere ad alta voce. Io ogni volta penso: perché legge sul libro invece di spiegare? Ma lo penso soltanto.
Il nostro professore di lettere si chiama De Gente Ruggero, ha una cartella di cuoio vecchia con delle macchie che sembrano di olio e sputacchia sempre un po' quando parla.
Chiude il libro e dice forte, a tutti: «Siccome il vostro compagno Torrente mi chiede insistentemente quando faremo una versione, ora ve lo dico.»
Insistentemente se l'è inventato lui. Comunque tutti mi guardano malissimo. Dice che una vera versione ce la darà forse a fine anno, quando avremo fatto almeno la terza declinazione. (...) E comunque faremo solo le declinazioni quest'anno, perché noi vogliamo fare un latino agile flessibile. Dice anche più o meno così: «Basta con queste grammatiche decrepite stantie, la scuola sta cambiando, il cambiamento è alle porte ed è giusto fare cose utili... Utili alla vostra vita, utili per il mondo del lavoro, utili per la flessibilità che oggi la società... Merda!»
Merda perché nella foga gli è caduto il gesso. E io non lo so se un insegnante di latino può dire merda (...)"

Quando ho letto queste righe ho pensato nel mio dialetto: "Certo che gli adolescenti i ghè par gnente!"
Ridete pure, ma se un ragazzino facesse i discorsi che fa questo professore, potrei anche compatirlo.
Nella fase adolescenziale 14-16 anni difficilmente si è in grado di concentrarsi a lungo su una versione abbastanza impegnativa.
A quell'età è sicuramente preferibile una partita a basket o a calcio ad una versione in una lingua non più parlata. A quell'età un'ora di shopping da H&M e un bel film romantico sono molto più piacevoli dei compiti di latino.
Dico questo perché, nonostante fossi considerata da molti una ragazzina un po' più matura della norma, sono stata anch'io un'adolescente, tra l'altro quotidianamente a contatto con altri giovanissimi della mia età.
Ma personalmente non credo che "evitare di affrontare il programma" sia un buon metodo per far diventare il latino una lingua agile-flessibile.
Innanzitutto bisognerebbe smettere di chiamarla "lingua morta". Questa è un'espressione che fa perdere ai ragazzi la voglia di apprenderla. Il latino non è morto, è più che vivo per il fatto che è un prodotto culturale storico, di grande rilevanza quotidiana. Non scherzo.
La prima volta che entrerò nella classe prima di un liceo magari scriverò alcune parole in latino con la corrispondente traduzione italiana. Penso sia l'unico modo per far capire l'utilità di questa materia.
Alcuni esempi li faccio anche qui sotto, per voi lettori:

Trado: in latino classico "consegnare", in latino tardo antico "tradire", strettamente legato all'episodio dell'arresto di Gesù. Quindi: Gesù consegnato ai soldati è stato tradito da uno dei discepoli.

Mitto: significa "mandare, inviare". Il mittente di una lettera o di una mail o di un messaggio è "colui che invia qualcosa a qualcuno".

Audio: significa "udire, ascoltare". Quindi gli audio-visivi, le audio-cassette, i messaggi Whatsapp audio implicano necessariamente l'utilizzo del senso dell'udito e l'ascolto.

Adolesco: significa "crescere, diventare adulto". L'adolescente è una persona che ha abbandonato l'infanzia per raggiungere l'età adulta e quindi, si presume che riesca a raggiungere la responsabilità delle proprie idee e delle proprie azioni.

Timeo: significa "temere, aver paura". E, deduzione di Anna diciassettenne durante lo svolgimento di un tema in classe: "colui che è timido ha paura del giudizio altrui".

Senza contare che una frase come "Amicus certus in re incerta cernitur", ovvero, "Il vero amico si distingue nelle situazioni difficili"è verissima, in ogni tempo. 
E' una sentenza di Ennio, un letterato romano vissuto a cavallo tra III° e II° secolo a.C. Così antico e indubbiamente appartenente al passato remoto, ma così attuale! Incredibile, no?

Capite ora perché questa lingua antica in questo stranissimo XXI° secolo è detestata e trascurata? Perché permetterebbe di comprendere appieno i significati delle parole della nostra lingua e quindi la realtà che ci circonda. Ma la gente vuota non desidera prodotti culturali e tantomeno vuole approfondirli.

Lungi da me denigrare chi ha scelto o comunque sta frequentando una scuola superiore in cui non è previsto il latino. Non me la prendo assolutamente con chi ha scelto istituti tecnici, professionali oppure licei come il musicale e le scienze applicate. Questi indirizzi fateli se vi piace approfondire materie come economia, diritto, storia della musica e matematica. Sceglieteli soprattutto per questo, non perché così evitate di studiare latino, che tanto, anche una scuola senza latino è comunque impegnativa.
Dire: "Vado alle scienze applicate perché non c'è latino" è come pensare: "Mi iscrivo al classico perché così studierò poca matematica". Per esperienza personale so bene che al liceo classico di matematica se ne fa poca, e quel poco che si fa lo si fa male purtroppo. Ma ciò non toglie il fatto che sia comunque un liceo tosto!

Queste riflessioni non vogliono affatto attaccare gli indirizzi senza latino; casomai vogliono essere una critica indirizzata agli adulti ai quali non sta a cuore la formazione culturale dei giovani.

Ho riso quando l'ho vista per la prima volta, ma era un riso amaro!

Il primo anno di scuola superiore per Gaspare è un vero e proprio supplizio.
Brillantissimo a scuola, mai apprezzato dagli insegnanti, emarginato e disprezzato da tutti i compagni e naturalmente, messo nelle condizioni di non condividere con nessuno la soddisfazione di un dieci nei compiti di latino.
E qui ho pensato a me quando ero al triennio: puntualmente, per cercare di evitare smorfie e sbuffi generati dall'invidia, mi nascondevo dietro una pila di libri e quaderni posati sul mio banco ogni volta che prendevo nove in italiano e ogni volta che una circolare comunicava che rientravo tra i primi classificati ad un concorso di poesia. Che incubo il liceo, per certi aspetti!

Oltre a ciò Gaspare, per non deludere il padre rimasto in Sicilia, mente a proposito della scuola.
Devo precisare infatti che il padre del ragazzino aveva acconsentito molto volentieri al trasferimento del figlio nel nord Italia per potergli garantire un livello di istruzione elevato.

"Tutto bene papà. La prima settimana abbiamo già fatto i verbi deponenti. Il liceo è bello tosto, papà, proprio come dicevi tu!"

Che enorme frottola!! I verbi deponenti sono una delle ultime cose che si studiano. Prima c'è molto, molto altro!
Consentitemi di riportare un altro ricordo scolastico della mia adolescenza.
Io non ho mai preso un dieci in tutto il quinquennio.
Il mio primissimo voto al liceo è stato un 7+ proprio in un'interrogazione di grammatica latina in cui tra l'altro mi ero offerta volontaria.
(Che rischio! In una materia mai affrontata prima! Ma quanto cavolo ero incosciente all'epoca??)
Era il 5 ottobre 2009: questo lo so perché conservo ancora i miei libretti personali di medie e superiori.
Bene, gli argomenti di quella interrogazione erano: la prima declinazione, le leggi dell'accento latino, le funzioni dei casi, il dativo di possesso. Cioè, le cose più elementari della lingua che in ogni caso all'epoca, per una principiante, costituivano dei grattacapi ansiogeni.

Gaspare è costretto a far copiare le traduzioni dal latino all'italiano ai suoi compagni.

"E' così praticamente tutte le volte che c'è latino. Ormai è una processione. Vengono da me con la mano larga, otto meno cinque tutti in fila, e si passano veloci le mie frasi: il tempo che suoni la campanella e se le sono copiate tutte."

E' da una vita che studio e ho appreso una cosa: se a scuola prendi voti altissimi, sei destinato a passare i compiti alla classe, quasi ogni giorno.
Se invece sei "solo" medio-alto e quindi viaggi più o meno sul sette e mezzo, i compagni non ti chiedono quasi mai i compiti; però, contando sul fatto che sei comunque brava e volonterosa, si aspettano spesso che tu ti offra volontaria nelle interrogazioni. E questo era il mio caso.
Ero brava alle superiori, ma non geniale: avevo nove soltanto in italiano e in storia dell'arte.

Per poter sopravvivere in un ambiente in cui sembra proprio una barca nel bosco, Gaspare, a partire dal secondo anno, inizia a omologarsi. Impara le peggiori parolacce, decide di vestirsi secondo le mode e di studiare poco, si fa regalare un cellulare e qualche volta si ubriaca anche.
Ma questo favorisce l'integrazione all'interno del suo gruppo-classe? No.
Ecco un episodio:

"(...) Chiedo al Seba se viene una volta con me in birreria. (...) E' una specie di sfida, di doppia sfida: andare per la prima volta in birreria, e andarci con il Seba. Lui mi squadra dalla punta dei capelli ai piedi, è pazzesco che io abbia osato chiedergli una cosa simile. Comunque, storcendo leggermente la bocca, mi fa un cenno che io interpreto come un sì. (...) Arrivo in anticipo all'appuntamento. Aspetto un'ora e tre quarti. Non ci voglio credere che il Seba non si faccia vivo, continuo a chiedermi se ho sbagliato il giorno, il luogo o l'ora. Forse, mi dico, quando il Seba ha storto la bocca, non voleva dire di sì. Forse voleva dire che storceva la bocca e basta. Ma io sono nuovo al linguaggio dei segni, sono uno appena nato nel mondo dei branchi, cosa posso saperne? La birra me la bevo da solo. E poi, visto che sono proprio solo e mi sento anche molto solo, me ne bevo altre tre di birre. (...) Sarà che sono a digiuno, ma mi sento lo stomaco andarmi giù fino ai piedi. Vomiterei volentieri. E infatti, vomito. (...)"

E' inutile, a 15 anni il metabolismo (è il termine giusto questo?) di un corpo ancora in crescita non è assolutamente in grado di assimilare l'alcool. Qualsiasi bravata in questi termini ti fa stare male, molto male. E, penso io, non soltanto fisicamente.
E comunque, a che serve omologarsi se non si ottiene l'attenzione dei compagni?

Un altro episodio piuttosto sconcertante è il racconto di una festa di Capodanno in una villa fuori Torino, un intero capitolo di cui riporto soltanto alcune parti:

"Vago tra la gente, mando cenni di saluto più o meno al vuoto e bevo molte birre perché le mani non so proprio come tenerle e una bottiglia in mano può servire. Alle undici me ne sono già fatte tre o quattro di birre e non so più cosa inventarmi. Continuo a vagolare. Intorno gente che si fa di canne e di vino e si avviticchia. (...) Io, fosse per me me ne andrei. ma è la magica notte di Capodanno, vuoi mica perderti la magia. E poi chi mi farà uscire di qui, chissà in quale collina mi trovo e in che pezzo del labirinto, e che madre avrà mai pietà di me e mi darà un passaggio."

"Mi sto assordando di musica fin dentro lo stomaco, anzi, me lo rivolterei come un guanto, lo stomaco, così mi tolgo tutto questo peso che mi ingombra dentro. Esco a prendere una boccata d'aria e di silenzio, saranno dieci gradi sotto zero. Ci sono le stelle. Sul fondo turchese della piscina vuota brancolano decine di corpi, avviticchiati a coppie. Sembrano enormi scarafaggi.
Rientro, e la musica mi riammazza il cervello. Mi sembra ci sia meno gente, ma è solo che si sono rintanati nelle stanze: vomitano, per lo più."

"Tutti se ne stanno andando, con la moto, con l'auto, con qualcuno che li viene a prendere. Vedo qualche 4x4 ferma a rombare sul ciglio della strada. Sarà qualche madre gentile che viene a prendere il figlio. Alle cinque del mattino."

E infine:

"Quando arrivo a casa, mi lavo. Mi faccio una doccia infinita, lascio che l'acqua mi porti via lo schifo. Vorrei diluirmi, sparirci dentro quella doccia."

Gran bella festa, e soprattutto memorabile, dopo tutte quelle bevute!

Ironia a parte, posso dire che le feste fatte di sballo e sbornia mi mettono la malinconia?
Devo ammettere che un paio di volte in questi ultimissimi anni sono andata a feste di questo genere, dove la musica era talmente alta da mandarti il cuore in gola e dove in ogni angolo vedevi bevande alcoliche e gente che limonava, perdonatemi il termine, ma al momento non me ne viene in mente un altro un po' più fine e che al contempo possa rendere bene l'idea.
Allora, io da anni ho serie difficoltà a relazionarmi con i miei coetanei, nonostante abbia sempre cercato di essere gentile e rispettosa.
Sono andata a un paio di quelle feste perché non mi piace il fatto che mi considerino una persona chiusa e altezzosa. Ho un bel po' di difetti, ma questi due proprio no!
E allora ho ragionato così: "Partecipo anch'io, voglio cercare di far capire loro che non sono un mostro farcito di poesia e di letteratura, ma che, in fin dei conti, sono normale e ascolto la stessa musica che ascoltano loro, vedo più o meno i film che vedono loro e mi piacciono anche alcuni programmi leggeri e un po' stupidi in televisione."

Questo non è servito a integrarmi. Innanzitutto perché mi sono sentita  un fiocco di neve caduto dal cielo in pieno luglio sulla riva del mare.
Entrambe le volte, prima di mezzanotte, ho chiamato mio padre per supplicarlo di venirmi a prendere il prima possibile, perché ho anche avuto paura che qualcuno potesse farmi del male da tanto sbronzo che era.
Soltanto in queste poche occasioni ho provato un senso di profonda solitudine.
Feste di quel genere non rendono felice e sereno nessuno, hanno lo scopo di farti sentire più solo, più vuoto e più incompreso di prima. Io non sono e non ero vuota, però mi sono sentita sola in tutti quei contesti che non mi permettevano di parlare con qualcuno.
Non ho mai trascorso il capodanno in discoteca e non ho mai bevuto al punto tale da divenire incosciente di ciò che facevo. I capodanni li ho sempre trascorsi con i miei familiari.

Studio quello che mi piace, ho diversi interessi che coltivo con passione, sogno di pubblicare un romanzo che ho iniziato a scrivere otto mesi fa, ho una vita sociale piuttosto povera dal punto di vista dei rapporti con gli altri giovani e non ho ancora incontrato un ragazzo che voglia amarmi.
Cioè, mi ero illusa di averlo trovato lo scorso anno.
Nonostante ciò, per il momento sono abbastanza contenta. Preferisco passare il sabato sera a casa o a leggere o davanti a un film o a suonare la chitarra piuttosto che in giro tutta la notte a bere e poi a fare chissà che cosa... magari diventare l'oggetto sessuale di uno che è ubriaco quasi quanto me ed essere troppo sbronza io per poter pensare alle eventuali conseguenze.

Ricordate una cosa, voi lettori: ci sono dei momenti e dei periodi in cui posso essere cupa, amareggiata e arrabbiata per dei rapporti di amicizia finiti male, per delle delusioni relazionali; ma voglio continuare ad essere me stessa e sperare di poter essere amata profondamente.


Dopo la maturità, Gaspare si iscrive dapprima a Scienze della Comunicazione.
Insoddisfatto, l'anno successivo cambia facoltà e si iscrive a Giurisprudenza per non fare l'avvocato.
Sembrerà assurdo, ma al ragazzo non interessa quella che sarebbe la professione più coerente con il suo percorso accademico.
In un certo senso, si potrebbe dire che studia Legge per soddisfare le aspettative dei suoi genitori.
Dopo la laurea, ottenuta con il massimo dei voti e la lode, per non entrare nella schiera dei disoccupati che non hanno la minima idea di che cosa fare della loro vita, Gaspare apre un bar.
Il finale è decisamente triste, con le ultime parole pensate dal protagonista e "indirizzate" al padre defunto:

"Forse era meglio se facevo il pescatore come te. Non so se ne saresti stato felice, ma forse era proprio meglio. Tu volevi chissà cosa per me. E invece era giusto così, tutti i miei compagni hanno fatto il mestiere del padre. (...) Ma tu non volevi che io facessi il pescatore. Certe volte, da bambino, mi hai anche nascosto le lenze. Mi dicevi: non le trovi perché sei sbadato, ma io lo sapevo che me le avevi nascoste tu. Chissà cosa mai fantasticavi per me, quali castelli.
Tanto tu non eri un padre che poi mi avrebbe aiutato. Me lo dicevi:adesso che vai a scuola sei grande, devi fare da te, io anche se potessi non ti aiuterei mai. Avevo sei anni quando mi dicevi così, sei anni!
Ma tu parlavi troppo con il mare e non sapevi niente del mondo".

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Potrebbe sembrare un romanzo non reale, addirittura irritante per come presenta alunni e professori.
Nessun insegnante ha voglia di insegnare e nessun allievo ha voglia di studiare. Possibile che sia proprio così la realtà? Non è tutto proprio così vero, fortunatamente, nel mio percorso, ho avuto modo di conoscere e di relazionarmi anche con docenti davvero in gamba, sia dal punto di vista didattico che dal punto di vista umano.

A mio avviso, l'autrice non ha voluto descrivere la realtà della scuola, bensì trasmettere un messaggio ben preciso, un messaggio simile a una provocazione. Voleva parlare agli adulti per gli adolescenti, ecco, mettiamola così.

Sostanzialmente, credo che lei volesse comunicare questo: "ci sono dei giovani che hanno dei bei talenti. Sta a noi adulti incoraggiarli e stimolarli affinché li coltivino e li facciano crescere. Noi adulti abbiamo anche il compito di aiutare i ragazzi a sognare il futuro che desiderano. 
Oggi purtroppo c'è molta inconsistenza dal punto di vista culturale e anche dei valori morali. Vogliamo quindi che i giovani pieni di buonsenso e di capacità si adeguino a quella che è la tendenza generale? Vogliamo che loro diventino ciò che non sono per poter sopravvivere alla stupidità?"



7 settembre 2017

I messaggi di due novelle di Gogol:



Sebbene sia un autore poco conosciuto in Italia, Gogol è stato una personalità piuttosto importante nella letteratura russa.
Nei giorni scorsi ho letto due sue novelle, una comica e l'altra molto triste.
Nel commentarle però, vorrei partire da quella tragica.



IL CAPPOTTO:

LINEE FONDAMENTALI DELLA TRAMA:

Il protagonista del racconto è l'impiegato Akakij Akakievic, un uomo tranquillo, umile e riservato che subisce le pesanti derisioni dei suoi colleghi di lavoro.
Akakij non ha vita sociale, non ha amici né parenti.
Con il suo misero stipendio di 400 rubli mensili conduce uno stile di vita assai modesto, fondato su un sistema di scrupoloso risparmio.
Nel momento in cui si rende conto che il suo vecchio cappotto è ormai un tessuto fragile e consumato, inizia a risparmiare ancora più soldi per acquistarne uno nuovo, in modo tale da poter  affrontare il gelo dell'inverno a San Pietroburgo.

Dopo alcune settimane, egli riesce a farsi confezionare da un sarto un cappotto nuovo nuovo, che gli conferisce quella dignità sociale che i colleghi gli avevano sempre negato. Uno di loro organizza addirittura una festa in suo onore.
Dopo la festa, a notte fonda, mentre Akakij percorre una piazza deserta per ritornare a casa, viene aggredito da una banda di ladri che gli rubano il cappotto.
Profondamente avvilito, il protagonista della storia denuncia il drammatico avvenimento a delle figure superiori insensibili e fredde, fredde come le condizioni climatiche in cui si inseriscono gli eventi della novella.
Eccone un esempio: "Il mattino si recò dal commissario di zona, ma gli dissero che dormiva; ritornò verso le dieci: dorme, gli dissero ancora; ritornò alle undici: il commissario non c'è ; all'ora di pranzo gli scrivani non vollero in alcun modo farlo passare e vollero sapere subito di che si trattasse, e quale bisogno lo avesse condotto lì e che cosa fosse accaduto. (...) 
Il commissario ascoltò in modo veramente strano tutto il racconto del furto del cappotto. Invece di fare attenzione al punto principale della faccenda, si mise a interrogare Akakij Akakievic: e perché tornava a casa così tardi, se per caso non fosse stato in qualche casa poco raccomandabile, così che Akakij Akakievic si confuse del tutto e uscì senza sapere lui stesso se la causa del suo cappotto avesse avuto buon esito oppure no."

Pochi giorni dopo, il povero impiegato si ammala e muore a seguito di una febbre altissima.
Tenete presente che la vicenda è ambientata nei primi anni del XIX° secolo e quindi all'epoca era molto facile rendere l'anima a Dio per una febbre alta.
Una volta, quando ero piccola mi era venuto un febbrone da 41, 8°, mi hanno portata al pronto soccorso e con i giusti farmaci ero guarita nel giro di due giorni. In ogni caso non è per niente piacevole la febbre altissima: la testa scotta, se scendi dal letto hai freddo, se stai sotto le coperte hai caldo, hai la gola secca, la vista è un po' offuscata...


IL PROTAGONISTA:

Ho prestato attenzione anche ad alcune letture critiche della novella.

Interessante la derivazione del nome del protagonista:
Akakij, nome insolito, è stato fatto derivare dall'aggettivo greco "ακακόs (= acacòs)", che significa "semplice, innocente".
In questo caso dunque, il nome rivela un tratto importante della personalità del personaggio principale.


Non ditemi che Akakij è morto soltanto per un banale cappotto nuovo!
E' morto sia di freddo sia per la cattiveria di quelle persone che avrebbero potuto aiutarlo.

Avete presente il racconto della Piccola Fiammiferaia? Mamma mia, quante lacrime (almeno io!)!
Ogni volta che la leggevo immaginavo proprio questa bambina magra e denutrita vagare sola nella notte di capodanno su strade deserte illuminate dai lampioni e costretta dal patrigno a vendere fiammiferi.
Anche lei è morta sia per il clima gelido sia a causa dell'egoismo umano. 
La nonna l'ha portata in cielo durante un sogno.

Akakij lavora sodo: il lavoro di copiatura lo gratifica dalla mancanza di relazioni positive. 

"Raramente si sarebbe potuta incontrare una persona che vivesse così il suo lavoro. E' poco dire: lavorava con zelo; no, lavorava con amore. Così in questo suo copiare e ricopiare egli vedeva un qualche suo mondo variopinto e piacevole. Il piacere si esprimeva sul suo volto; alcune lettere erano le sue favorite; quando si imbatteva in esse, egli non era più lui: ridacchiava, ammiccava, muoveva le labbra, così che sulla sua faccia si aveva l'impressione di poter leggere ogni lettera che la sua penna tracciava."

A me è piaciuto molto questo commento della critica:

"Gogol insegna a vedere un uomo in un essere calpestato come Akakij Akakievic, e incita a insorgere a sua difesa. Piena di umanità, di appassionata protesta contro l'oppressione dell'uomo, è quella scena in cui, in risposta ai dileggi spietati cui lo sottopongono i suoi colleghi funzionari, Akakij Akakievic dice: "Lasciatemi in pace, perché mi offendete?"

Perché mi fai del male e mi deridi? Non sono forse io un uomo come te, con un cervello, un cuore, un viso e due mani? Non ho forse il diritto di essere rispettato, in quanto uomo fragile come te e dalla vita effimera come la tua?

L'ELEMENTO DEL FREDDO:

Questo racconto mi ha fatta ragionare sul concetto di freddo.
A che cosa pensate di solito quando sentite questa parola?

Io qui vi elenco la ricchezza semantica di "freddo" (dal Dizionario "Garzanti"):

1)  "Clima freddo, a bassa temperatura".
2)  "Doccia fredda", in senso figurato è "delusione inattesa".
3)  "Autocontrollo, lucidità".
4)  "Persona priva di calore umano e di sensibilità".
5)  "Cibo non riscaldato, piatto freddo."

Ultimamente, la prima cosa che penso quando sento o leggo questa parola è la definizione 4).

C'è freddo e freddo.
Io in inverno non lo soffro praticamente mai: cammino all'aperto ben vestita e in questo modo cerco di godermi tutte le limpidissime giornate soleggiate che dicembre e gennaio generosamente ci regalano da qualche anno a questa parte.

Casomai soffro la freddezza che gli altri, a volte senza accorgersene, mi riservano.
In questa novella c'è sia un clima freddo che la freddezza dei rapporti umani.
Io credo che la freddezza non implichi soltanto l'indifferenza. La freddezza è sicuramente molto legata all'incapacità di empatia verso il prossimo e quindi alla pochezza di umanità.
Chi è freddo è l'esatto opposto di me!


 IL RACCONTO VISTO NELLO SCHEMA DI UN TESTO NARRATIVO:

Il programma scolastico di italiano insegna a tutti che in un racconto i vari personaggi assolvono dei determinati ruoli che rispecchiano tra l'altro la loro indole.
Ho creato uno schema relativo a questa novella:

Protagonista: Akakij Akakievic (allitterazione di "k" e conseguente cacofonia!)
Antagonisti: I ladri, i colleghi di lavoro, il commissario e le altre figure dei superiori.
Aiutanti: In minima parte lo sono il sarto che cuce il cappotto e un collega che smette di deridere Akakij.

Oltre a ciò, anche i luoghi e le circostanze assumono funzioni di aiutanti e/o di oppositori.

Elementi di contrasto: il gelo dell'inverno, lo stipendio basso, il buio della notte.
Elementi di ausilio: Inesistenti.

 E' un quadro tristissimo, lo so. Ma questa storia è fatta così! :-(


IL NASO:

LINEE FONDAMENTALI DELLA TRAMA:

Il protagonista di questo divertente racconto è l'assessore di collegio Kovalèv, al quale capita un evento stranissimo.
Una mattina si sveglia e si accorge di non avere più il naso. Una sensazione di terrore lo assale:
"Voleva dare un'occhiata a un foruncolo che gli era spuntato sul naso la sera innanzi; ma con sua somma meraviglia vide che, invece del naso, aveva una superficie perfettamente liscia! Spaventato, Kovalèv chiese dell'acqua e si strofinò gli occhi con un asciugamano bagnato: non c'era che dire, di naso neppure l'ombra! "
Con indicibile e dolorosa difficoltà, egli deve prendere atto del fatto che il suo naso è scomparso di punto in bianco durante la notte!

Kovalèv, persona illustre e famosa a San Pietroburgo, a seguito di questo insolito avvenimento teme di veder definitivamente compromessi i propri rapporti sociali, mentre il suo naso percorre la città in carrozza indossando la divisa da consigliere di Stato.
Particolarmente buffa è questa parte del racconto, che riporto qui sotto. Tenete presente che il naso e il suo proprietario si incontrano casualmente all'interno di una cattedrale.

"Il naso nascondeva completamente la propria faccia nel grande colletto rigido e pregava con un'espressione molto devota.
«Come posso avvicinarmi?» pensò Kovalèv. «Da tutto: dall'uniforme, dal cappello si vede che è un consigliere di stato. Lo sa il diavolo come posso fare!»
Cominciò a tossicchiare vicino a lui, ma il naso non abbandonava nemmeno per un momento il suo atteggiamento devoto e aveva cominciato a fare profonde genuflessioni.
«Egregio signore...» disse Kovalèv, obbligandosi nel suo intimo a farsi coraggio, «egregio signore...»
«Che cosa volete?» rispose il naso, voltandosi.
«Mi sembra strano, egregio signore... ho l'impressione... voi dovreste sapere qual è il vostro posto.  E, tutto ad un tratto, vi trovo e dove? in una chiesa! Convenite che...»
«Scusatemi, ma non riesco a capire di che cosa intendete parlare... Spiegatevi.»
«Come posso spiegargli?» pensò Kovalèv e, fattosi animo, cominciò: «Certo, io... del resto sono un maggiore. Andare in giro senza naso, sarete d'accordo, è cosa sconveniente. Una fruttivendola qualsiasi, che vende arance sbucciate sul Ponte Voskresènskij, può anche stare senza naso: ma io, avendo in vista di ottenere un posto di governatore... essendo inoltre in molte case amico di signore come la Èchtàreva, consiglieressa di stato, e altre... Giudicate voi stesso... io non so, egregio signore...» 
Nel dir questo Kovalèv si strinse nelle spalle «... Scusate... se questo si considera secondo le regole del dovere e dell'onore... voi stesso capirete...»
«Non capisco proprio nulla,» rispose il naso. «Spiegatevi in maniera più chiara.»
«Egregio signore...» disse il maggiore Kovalèv con tutto il sentimento della propria dignità, «non so come intendere le vostre parole... Qui tutta la faccenda, a quel che sembra, è perfettamente evidente... Oppure voi volete... Ma se voi siete il mio naso!»
Il naso guardò il maggiore e i suoi sopraccigli si aggrottarono alquanto.
«Vi sbagliate, egregio signore. Io sono per mio conto. Inoltre fra noi non può esservi alcuna stretta relazione. A giudicare dai bottoni della vostra uniforme, voi dovete prestar servizio in un'altra amministrazione.»
Ciò detto, il naso si voltò e continuò a pregare."


Falliti i tentativi di mettere un annuncio sui giornali e di ottenere l'intervento del commissario di quartiere per recuperare il naso, alla fine della giornata Kovalèv se lo vede restituire da una guardia che ha arrestato il naso travestito da consigliere mentre cercava di prendere un treno per Riga, al fine di espatriare.
Il naso che tenta di espatriare da solo....  Troppo geniale, l'inventiva! :-) 

Kovalèv però non riesce a rimettere il naso al suo posto, tra le due guance... niente da fare, il naso non si incolla più e nemmeno il suo medico di base è in grado di farlo ritornare al suo posto.

Finché una mattina il maggiore Kovalèv si risveglia e si accorge che il naso è ritornato, di sua spontanea volontà, al posto in cui doveva sempre essere.

"A un tratto quello stesso naso che scarrozzava col grado di consigliere di stato e aveva sollevato tanto rumore nella città, ricomparve, come se niente fosse, al suo proprio posto, ossia appunto fra le due guance del maggiore Kovalèv. Ciò avvenne il 7 di aprile."


IL REALISMO MAGICO:

La critica afferma che Gogol (che è vissuto nel pieno del XIX° secolo) è stato, in campo letterario, il precursore del realismo magico, un movimento culturale sorto negli anni Trenta del Novecento.
In letteratura, il realismo magico consiste nell'inserire elementi fantastici o attinenti al mondo della magia in contesti sociali realistici.
Sicuramente questa novella presenta una caratteristica propria del realismo magico; perché in una città realmente esistente è inserito un elemento fantastico, assurdo e grottesco: la fuga del naso.

Ricordo bene che il mio manuale universitario di arte contemporanea accennava al realismo magico,
definendolo come una corrente pittorica molto attenta a raffigurazioni di oggetti fantastici appartenenti alla sfera onirica.