Visualizzazioni totali

16 novembre 2017

La nostalgia dell'amato:

Anche questo è un argomento piuttosto ricorrente nella letteratura di tutti i tempi.
Ad ogni modo, stasera vorrei riportare e commentare una poesia di Metastasio accompagnata da una scultura greca risalente al IV° sec. a.C.

PIETRO METASTASIO E L'ARCADIA

A dire il vero il suo vero nome era Pietro Trapassi, nativo di Roma.
Ma dal momento che era entrato a far parte dei poeti dell'Accademia dell'Arcadia, gli era stato consigliato di grecizzare il suo cognome in "Metastasio".
L'Arcadia era una regione della Grecia nella quale in epoca antica era fiorito un filone di poesia pastorale (penso a Teocrito, poeta greco vissuto nel pieno dell'epoca ellenistica). Protagonisti di questo genere poetico erano dei pastori immersi in una natura idilliaca.
I poeti italiani dell'Arcadia, tutti attivi nella prima metà del XVIII° secolo, assumevano un cognome fittizio, spesso ispirato a nomi di pastori greci tramandati dalla tradizione classica. La loro è di solito una lirica sentimentale, talvolta al limite del patetico, finalizzata a eliminare l'abuso di metafore argute tipiche del periodo barocco (XVII° secolo). In tutti i loro componimenti, gli autori dell'Arcadia si fingono pastori in preda a sofferenze d'amore per una ninfa.


Questa mi è servita molto quando ho preparato sia storia greca sia dialettologia greca.
Un'occasione ulteriore per rendervi ancora più partecipi dei miei studi: l'Arcadia è al centro di quella penisola, detta Peloponneso, ad est di Zacinto, attualmente Zante.

LA PARTENZA: 

Ecco quel fiero istante;
Nice, mia Nice, addio.

Come vivrò, ben mio,
così lontan da te?
Io vivrò sempre in pene,
io non avrò più bene;

e tu, chi sa se mai
ti sovverrai di me!
 
Soffri che in traccia almeno
di mia perduta pace
venga il pensier seguace
su l'orme del tuo piè.
Sempre nel tuo cammino,
sempre m'avrai vicino;

e tu, chi sa se mai
ti sovverrai di me!

Io fra remote sponde
mesto volgendo i passi,
andrò chiedendo ai sassi,
la ninfa mia dov'è?

Dall'una all'altra aurora
te andrò chiamando ognora,
e tu, chi sa se mai
ti sovverrai di me!

Io rivedrò sovente
le amene piagge, o Nice,
dove vivea felice,
quando vivea con te.
A me saran tormento
cento memorie e cento;

e tu, chi sa se mai
ti sovverrai di me!

Ecco, dirò, quel fonte,
dove avvampò di sdegno,
ma poi di pace in pegno
la bella man mi diè.
Qui si vivea di speme;
là si languiva insieme;

e tu, chi sa se mai
ti sovverrai di me!

Quanti vedrai giungendo
al nuovo tuo soggiorno,
quanti venirti intorno
a offrirti amore e fé!
Oh Dio! chi sa fra tanti
teneri omaggi e pianti,
oh Dio! chi sa se mai
ti sovverrai di me!

Pensa qual dolce strale,
cara, mi lasci in seno:
pensa che amò Fileno
senza sperar mercé:

pensa, mia vita, a questo
barbaro addio funesto;

pensa... Ah chi sa se mai
ti sovverrai di me!

Notate che ho evidenziato in grassetto una frase che ricorre più o meno uguale a se stessa alla fine di ogni strofa. E' quello che i musicisti chiamerebbero "refrain", ovvero,una parte di testo ripetuta più volte tra una strofa e l'altra. In parole povere e semplici, è un ritornello!

La situazione è la seguente: Metastasio finge di essere un pastore chiamato Fileno, innamorato perso di Nice, l'amata che parte per luoghi lontani. 
Le tematiche che ho individuato sono tre: l'addio, il dolore e la memoria. Se osservate bene sopra le ho contrassegnate con tre colori diversi all'interno del testo.
Fileno "languente" (come mi piace questo termine!) immagina che il suo amore per Nice e il suo dolore per la partenza della ninfa si mantengano intatti e costanti nel corso del tempo, grazie anche ai ricordi dei luoghi in cui ha trascorso dei momenti felici con lei.
Ma secondo voi questa è solo tristezza mescolata a dolci memorie d'amore?
Pensate al fatto che l'esclamazione riccorrente fa così: "e tu chi sa se mai ti sovverrai di me!". 
Se il poeta è convinto di potersi mantenere perseverante nel suo innamoramento, può ritenersi altrettanto sicuro della fedeltà della donna amata? 
"Quanti vedrai giungendo/al nuovo tuo soggiorno/quanti venirti intorno/a offrirti amore e fe'!"
Fileno sa benissimo di amare una donna attraente... 
Ma la domanda allora è anche un'altra: quanto forte è radicata la memoria della loro relazione nella mente di Nice? Quanto è sincero il suo sentimento per Fileno?

L'espressione "dolce strale" rievoca un concetto assai ricorrente nella letteratura italiana medievale (poeti stilnovisti e Petrarca): la freccia d'amore che provoca ferite nel cuore dell'amante.

"Trovommi Amor del tutto disarmato,
et aperta la via per gli occhi al core,
che di lagrime son fatti uscio et varco.

Però, al mio parer, non li fu honore
ferir me de saetta in quello stato,
a voi armata non mostrar pur l'arco."

E' così che termina il terzo sonetto del Canzoniere di Petrarca.
Il forte sentimento d'amore per Laura è un "fulmine a ciel sereno": pervade prepotentemente il cuore del poeta che attraverso gli occhi viene a contatto con la donna. 


IL POTHOS DI SKOPAS:


Me ne rendo conto, è completamente nudo e spero che questo non scandalizzi nessuno!
E' una statua che risale al IV° secolo a.C.
Pothos era una divinità che rappresentava la nostalgia verso l'oggetto d'amore lontano. 
Nostalgia, e questo l'ho appreso studiando l'epica, deriva da νòστoς (= ritorno) + αλγoς (=dolore).
Il dio è totalmente inclinato su un lato, ha le gambe incrociate e le braccia (parzialmente perdute) sollevate verso un appoggio esterno, che non doveva essere costituito soltanto dal mantello.
Il suo viso, dolce, malinconico e sognante, è rivolto verso l'alto. 
Mi piace molto questa statua, perché a mio avviso si pone tra due tempi della storia individuale di ogni uomo: il passato e il futuro. 
Pothos, in questa scultura, sogna e ricorda come ogni uomo che prova dolore in assenza della persona amata: ricorda gli attimi felici vissuti e oltre a ciò, come Raf, si chiede: "L'infinito sai cos'è? L'irraggiungibile fine o meta che rincorrerai per tutta la tua vita. Ma adesso che farai? Adesso, io non so."
La sua memoria affettiva è fortemente legata al passato e il suo intelletto gli suggerisce di "preoccuparsi" del suo avvenire: vivrò un futuro felice? Tornerà lei? E se non tornerà, saprò in qualche modo costruire un bel progetto di vita? Ovviamente egli spera ardentemente di incontrarla di nuovo per poterla stringere a sé e già sogna questa eventuale scena di vita futura. 
E' la speranza che gli permette di vivere un momento che non è ancora avvenuto e che non è affatto un futuro "prossimo, programmato e certo", come le grammatiche di lingua inglese ci insegnavano a proposito del "present continuous".

Neanche a farlo apposta, l'altra notte ho sognato che mi trovavo nella stanza più alta di una torre con un ragazzo stupendo. Gli cingevo le spalle con un braccio e leggevamo le liriche di Ungaretti. 
Era una conversazione intelligente la nostra, proprio come quelle che ho avuto con più di un ragazzo nella vita reale degli ultimi tre anni.
Ad un tratto, mi sono sentita male. Ad un tratto mi sentivo stranamente debole. 
Quando mi sono alzata di scatto gli ho detto: "Devo andare, sento che non posso più restare qui!"
Si è messo a piangere. Mentre scendevo in fretta le scale, mi è corso dietro, mi ha afferrato per un braccio quasi gridando: "Ma ci rivedremo, vero?" Aveva il volto deformato dalle lacrime. 
E io, trattenendo il pianto, gli ho risposto, accarezzandogli un guancia: "Spero di sì".
Poi il sogno si è interrotto... cioè, io non mi ricordo altro.

Ad ogni modo, per chiudere il post, volevo porvi delle domande:
Il distacco da coloro che amiamo e che ci amano è sempre e comunque doloroso. Tutti, più o meno una volta nella vita, lo abbiamo provato, anche se solo per poche ore o pochi giorni.
Secondo voi, in quale modo il dolore e la profonda nostalgia per una persona che non possiamo più frequentare, lontana o morta che sia, si attenua nel corso del tempo? 

... Credo che la vita sia un dono troppo grande per poter essere consumato tutto nel pianto e nel "languore"!...

















Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.