E' un piccolo testo che ho scritto alla Vigilia di Natale, una piccola lettera a Gesu'.
"Caro Gesu',
guardando tutti i preparativi in occasione delle feste natalizie devi essere sicuramente contento.
Ma se non hai trovato posto alla locanda di Betlemme, troverai porte aperte per accoglierti? Molte persone sono incredibilmente indaffarate quando preparano il Natale e così non hanno nemmeno il tempo di pensare a Te!!
Oltre a cio', non vogliamo accorgerci che molti immigrati, venuti da terre lontane, aspettano solo di essere accolti e aiutati. Uomini come noi, che portano sulla loro pelle i segni del sole e che desiderano realizzare il sogno di una vita migliore. Signore, tu che sei la luce del mondo, vieni tra noi in questo tempo di Natale. Tu, sotto le apparenze di un Bambino ci riveli il volto di Dio e il Suo amore per noi.
Sei nato, rimani con noi per sempre e il nostro amore diverrà l'amore di Dio. Sei nato, ti sei fatto uomo come noi e sei entrato a far parte della storia dell'umanità, sei entrato nel bisogno.
Così piccolo tra le braccia di Maria, cullato con molta dolcezza, infondi pace e speranza nei nostri cuori."
27 dicembre 2012
22 dicembre 2012
La vecchina del presepe
Vi presento un racconto di Natale scritto da Gianni Rodari che vuole essere un buon spunto di riflessione per comprendere appieno il significato straordinario di questa festività. Quando ero bambina, alla Vigilia di Natale, qualcuno me lo leggeva sempre e io rimanevo molto colpita dal contenuto. E' un racconto adatto a tutte le età.
“La vecchina abitava da anni (duecento? trecento?) sulla montagna più alta del presepe.
Il presepe era quello di Roma, presso la chiesa dei Santi Cosma e Damiano, tra le rovine dei Fori Imperiali. E' uno dei più belli del mondo, con montagne, burroni, castelli, villaggi, palazzi, ponti, ovili, osterie, negozi, e migliaia di finestre aperte e dentro si vede la gente vivere.
Ma la gente vive per lo più nelle strade, come a Napoli: centinaia e centinaia di figurine che vivono, comprano e vendono pesci, prosciutti, fichi secchi, castagne, caciotte.
E scale, scalette, scalinate: tutto un labirinto festoso su cui scendono gli angeli a grappoli dal soffitto, e un lungo corteo di mori, cammelli, cavalli accompagna i Re Magi, e bambini accorrono incuriositi.
Sulla collina più alta, nella casa più povera del villaggio, abitava la vecchina, e anche lei, la notte di Natale, si annodò in testa il fazzoletto più bello che aveva.
Preparò un fagotto di pomodori seccati al sole da portare in dono, e si incamminò a piccoli vecchi passi giù per un sentiero ripido, rotto ogni tanto da un mazzetto di gradini. Piano, piano, andava più piano di tutti. Ben presto la superò un gruppo di giovani, e in mezzo a loro ce n’era uno che suonava la fisarmonica.
«Coraggio, nonnetta!» la salutarono.
«Non é il coraggio che manca», rispose, fermandosi a guardarli.
Ma quelli erano già arrivati in fondo alla valle.
Un vecchio che fumava la pipa sotto il portico di casa la chiamò: «Ce la farete ancora? E’ lunga la strada.» «Ce la farò, ce la farò. Sarò l’ultima, ma alla mia età non é vergogna.»
La vecchina sospirò, ma seguitò a camminare. Non aveva tempo da perdere. E giù, e giù per sentieri e scale, e su, e su per scale e sentieri. Doveva passare ancora le montagne prima di giungere alla pianura.
Poi bisognava attraversare la pianura e ricominciare a salire per un bel tratto, dentro e fuori dai paesi aggrappati alla strada.
C'era sempre più gente lungo i sentieri e dalle case ne usciva dell’altra.
Dalle finestre aperte la vita delle case si rovesciava fuori con luci, suoni e colori. La vecchina vide una ragazza che toglieva dal baule uno scialle prezioso.
«Ecco,» mormorò con un pochino di invidia «lo scialle della dote. Io non porto che questi pomodori seccati. Com’é triste esser poveri, quando non si possono fare bei regali.»
Passò accanto a una casupola delle più meschine. Fuori dell’uscio una donna lavava dei panni in un mastello.
«Che cosa fate?» borbottò la vecchina «Il bucato la notte di Natale?»
La donna alzò gli occhi dal suo lavoro. Erano rossi e gonfi.
«Mio marito é malato, bisogna che guadagni io qualcosa.»
«Non sentite che i vostri bambini piangono?»
«Li sento si. Vogliono andare con gli altri alla grotta. Ma io non ho tempo di vestirli, ecco perché piangono.»
«Siete proprio un pulcino nella stoppa, non sapete cavarvela,» borbottò la vecchina.
Entrò in casa, diede un’occhiata al malato e gli cambiò l’acqua nella caraffa, poi vestì i bambini, con gesti ruvidi e precisi, senza smettere mai di rimproverarli meccanicamente. Quelli non badavano ai rimproveri: sentivano le sue mani buone e svelte, si lasciarono vestire in fretta, si lasciarono strofinare la faccia con un asciugamano bagnato, ma quando furono pronti schizzarono via con uno strido acuto; come rondini.
«Ti fanno perdere tempo, ma mica ti dicono grazie,» borbottò la vecchina riprendendo il cammino.
Ora poi cominciava a sentire appetito. Avrebbe chiesto volentieri qualcosa alle donne che recavano in equilibrio sul capo grandi ceste colme di verdura, di ciambelle fatte in casa, di frutti profumati. Ma era troppo orgogliosa per farlo.
La vecchina proseguì il suo cammino. Prigioniera del suo seggiolone, una puppetta grassa, rosea e lacrimosa strillava a più non posso, tuffando una mano rabbiosa nel piatto di spaghetti che le stava davanti.
«E tu che hai?» domandò la vecchina «Non ti piace la pappa? Su, su che é buona.» Ma la bambina non si chetava e non voleva mangiare. Finalmente la vecchina scoprì che le era caduta per terra una bambola di stracci: gliela raccolse e la bambina sorrise. «Su,» disse la vecchina, arrotolando uno spaghetto intorno alla forchetta «mangia. Ah, am. Quant’é buono… E la tua mamma? Le tue sorelle? Tutte a vedere il corteo dei Magi, scommetto. E ti lasciano qui sola come un’orfanella. Mangia con la nonnina, su. Ecco, brava, brava.»
La bambina, mangiando, farfugliava il suo linguaggio di sillabe sperdute, di mugolii ed esclamazioni senza significato: «Baa… beee…. gnioooo… Uhhh!»
La vecchina cominciò anche a parlare a quel modo, e intanto i minuti passavano, e passava la gente, sorridendo. Passò uno zampognaro, seguito da un codazzo di ragazzi. Passò quel contadino di prima, col suo cestello di arance. Solo quando il piatto fu vuoto la vecchina si riscosse, si guardò intorno, si rialzò.
«Piccerella mia, bisogna che me ne vada, altrimenti non arriverò in tempo. Vedi laggiù, quel chiarore? E’ la cometa che sta per spuntare. » «Biaooo… booo» rispose la pupa.
«Stai buona, si? Presto tornerà la tua mamma»
Ora la folla era un fiume variopinto e chiassoso, risuonava di grida, di pifferi, di nacchere e la vecchina era quasi al centro del presepe, e la luce della stella saliva in cielo come un incendio di buon augurio, e per un po’ la vecchina fu presa a braccetto da un gruppo di ragazze che cantavano e camminavano a passo di danza, e questo le fece mancare il respiro. Dovette proprio sedersi un momento a riposare, sulla panca di una osteria campestre, ma non accettò il bicchiere di vino che l’oste le offriva; per paura che le mettesse il capogiro, bevve solo un po’ d’acqua.
La gente passava. Era passata. Appena qualche ritardatario allungava il passo. Ecco, più nessuno.
«Arriverò ultima anche quest’anno.» sospirò la vecchina « Le mie povere gambe mi fanno male come se me le avessero battute. "
Si fece coraggio, a passi sempre più brevi e incerti, e ogni tre passi doveva fermarsi un attimo perché il cuore si calmasse. I rumori e luci della gran festa erano come una nuvola che si allontanava. Le pause di silenzio erano sempre più lunghe e distese.
In uno di quei silenzi udì ancora il pianto di un bambino. «Povero piccolo,» mormorò la vecchina «in una notte come questa, davvero, non ci dovrebbe essere al mondo un solo bambino che piange. No, no: in tutto il mondo non dovrebbe piangere nessuno. Ma tu dove sei, povero piccolo ? Dove sei?» Il pianto veniva da una capanna posta a pochi metri dalla strada. C’era una siepe intorno, ma così cadente che la vecchina non ebbe difficoltà ad attraversarla. La capanna era tutta buia, il pianto veniva di là. «Eccomi, eccomi,» sussurrava la vecchina, «eccomi, sono qui. Entrò nella capanna e proprio in quel momento per fortuna, la cometa superò l’ultima montagna, e illuminò tutto il cielo e al chiarore che penetrava dalla porta la vecchina vide il pagliericcio, la giovane donna che vi stava distesa con gli occhi chiusi, come svenuta, e il piccolo tutto nudo che giaceva accanto e piangeva.
«Ma tu hai freddo, ecco che cos’hai» esclamò la vecchina con la sua voce più dolce.
E sempre parlando tra sé la vecchina si muoveva per la capanna, trovava le povere fasce preparate per il neonato, e lo avvolgeva. A un tratto «Grazie» senti dire con un filo di respiro. Si voltò, e vide che la giovane madre era tornata in sé. Era troppo debole per muoversi e per parlare, ma i suoi occhi riconoscenti dicevano tante cose.
«Brava, brava,» disse la vecchina. E intanto accendeva il fuoco; metteva un po’ di acqua a bollire e il fuoco rischiarava la capanna come una piccola, capricciosa cometa che giocava con le ombre. Poi venne l’alba, piano piano grigia, poi bianca e dorata. La madre e il bambino dormivano. La vecchina dormiva su una sedia, col mento sulla mano. E quando si svegliò era tornato il padre e la notte di Natale era passata, e la vecchina non era arrivata fino alla grotta, perché tutti quei bambini le avevano fatto perdere tempo, ma era contenta e serena, anche se non aveva visto i Re Magi, gli angeli lontano lontano e la grotta.
Così lasciò quei pomodori seccati sul tavolo e si mise sulla via del ritorno, un passo dopo l’altro, nel silenzio del grande presepe addormentato, su su, in cima ai sentieri, ai tetti, alle scale, alle scalinatelle, fino a casa sua; che era la più vicina alle stelle”.
Gianni Rodari, "Racconti di Natale"
“La vecchina abitava da anni (duecento? trecento?) sulla montagna più alta del presepe.
Il presepe era quello di Roma, presso la chiesa dei Santi Cosma e Damiano, tra le rovine dei Fori Imperiali. E' uno dei più belli del mondo, con montagne, burroni, castelli, villaggi, palazzi, ponti, ovili, osterie, negozi, e migliaia di finestre aperte e dentro si vede la gente vivere.
Ma la gente vive per lo più nelle strade, come a Napoli: centinaia e centinaia di figurine che vivono, comprano e vendono pesci, prosciutti, fichi secchi, castagne, caciotte.
E scale, scalette, scalinate: tutto un labirinto festoso su cui scendono gli angeli a grappoli dal soffitto, e un lungo corteo di mori, cammelli, cavalli accompagna i Re Magi, e bambini accorrono incuriositi.
Sulla collina più alta, nella casa più povera del villaggio, abitava la vecchina, e anche lei, la notte di Natale, si annodò in testa il fazzoletto più bello che aveva.
Preparò un fagotto di pomodori seccati al sole da portare in dono, e si incamminò a piccoli vecchi passi giù per un sentiero ripido, rotto ogni tanto da un mazzetto di gradini. Piano, piano, andava più piano di tutti. Ben presto la superò un gruppo di giovani, e in mezzo a loro ce n’era uno che suonava la fisarmonica.
«Coraggio, nonnetta!» la salutarono.
«Non é il coraggio che manca», rispose, fermandosi a guardarli.
Ma quelli erano già arrivati in fondo alla valle.
Un vecchio che fumava la pipa sotto il portico di casa la chiamò: «Ce la farete ancora? E’ lunga la strada.» «Ce la farò, ce la farò. Sarò l’ultima, ma alla mia età non é vergogna.»
La vecchina sospirò, ma seguitò a camminare. Non aveva tempo da perdere. E giù, e giù per sentieri e scale, e su, e su per scale e sentieri. Doveva passare ancora le montagne prima di giungere alla pianura.
Poi bisognava attraversare la pianura e ricominciare a salire per un bel tratto, dentro e fuori dai paesi aggrappati alla strada.
C'era sempre più gente lungo i sentieri e dalle case ne usciva dell’altra.
Dalle finestre aperte la vita delle case si rovesciava fuori con luci, suoni e colori. La vecchina vide una ragazza che toglieva dal baule uno scialle prezioso.
«Ecco,» mormorò con un pochino di invidia «lo scialle della dote. Io non porto che questi pomodori seccati. Com’é triste esser poveri, quando non si possono fare bei regali.»
Passò accanto a una casupola delle più meschine. Fuori dell’uscio una donna lavava dei panni in un mastello.
«Che cosa fate?» borbottò la vecchina «Il bucato la notte di Natale?»
La donna alzò gli occhi dal suo lavoro. Erano rossi e gonfi.
«Mio marito é malato, bisogna che guadagni io qualcosa.»
«Non sentite che i vostri bambini piangono?»
«Li sento si. Vogliono andare con gli altri alla grotta. Ma io non ho tempo di vestirli, ecco perché piangono.»
«Siete proprio un pulcino nella stoppa, non sapete cavarvela,» borbottò la vecchina.
Entrò in casa, diede un’occhiata al malato e gli cambiò l’acqua nella caraffa, poi vestì i bambini, con gesti ruvidi e precisi, senza smettere mai di rimproverarli meccanicamente. Quelli non badavano ai rimproveri: sentivano le sue mani buone e svelte, si lasciarono vestire in fretta, si lasciarono strofinare la faccia con un asciugamano bagnato, ma quando furono pronti schizzarono via con uno strido acuto; come rondini.
«Ti fanno perdere tempo, ma mica ti dicono grazie,» borbottò la vecchina riprendendo il cammino.
Ora poi cominciava a sentire appetito. Avrebbe chiesto volentieri qualcosa alle donne che recavano in equilibrio sul capo grandi ceste colme di verdura, di ciambelle fatte in casa, di frutti profumati. Ma era troppo orgogliosa per farlo.
La vecchina proseguì il suo cammino. Prigioniera del suo seggiolone, una puppetta grassa, rosea e lacrimosa strillava a più non posso, tuffando una mano rabbiosa nel piatto di spaghetti che le stava davanti.
«E tu che hai?» domandò la vecchina «Non ti piace la pappa? Su, su che é buona.» Ma la bambina non si chetava e non voleva mangiare. Finalmente la vecchina scoprì che le era caduta per terra una bambola di stracci: gliela raccolse e la bambina sorrise. «Su,» disse la vecchina, arrotolando uno spaghetto intorno alla forchetta «mangia. Ah, am. Quant’é buono… E la tua mamma? Le tue sorelle? Tutte a vedere il corteo dei Magi, scommetto. E ti lasciano qui sola come un’orfanella. Mangia con la nonnina, su. Ecco, brava, brava.»
La bambina, mangiando, farfugliava il suo linguaggio di sillabe sperdute, di mugolii ed esclamazioni senza significato: «Baa… beee…. gnioooo… Uhhh!»
La vecchina cominciò anche a parlare a quel modo, e intanto i minuti passavano, e passava la gente, sorridendo. Passò uno zampognaro, seguito da un codazzo di ragazzi. Passò quel contadino di prima, col suo cestello di arance. Solo quando il piatto fu vuoto la vecchina si riscosse, si guardò intorno, si rialzò.
«Piccerella mia, bisogna che me ne vada, altrimenti non arriverò in tempo. Vedi laggiù, quel chiarore? E’ la cometa che sta per spuntare. » «Biaooo… booo» rispose la pupa.
«Stai buona, si? Presto tornerà la tua mamma»
Ora la folla era un fiume variopinto e chiassoso, risuonava di grida, di pifferi, di nacchere e la vecchina era quasi al centro del presepe, e la luce della stella saliva in cielo come un incendio di buon augurio, e per un po’ la vecchina fu presa a braccetto da un gruppo di ragazze che cantavano e camminavano a passo di danza, e questo le fece mancare il respiro. Dovette proprio sedersi un momento a riposare, sulla panca di una osteria campestre, ma non accettò il bicchiere di vino che l’oste le offriva; per paura che le mettesse il capogiro, bevve solo un po’ d’acqua.
La gente passava. Era passata. Appena qualche ritardatario allungava il passo. Ecco, più nessuno.
«Arriverò ultima anche quest’anno.» sospirò la vecchina « Le mie povere gambe mi fanno male come se me le avessero battute. "
Si fece coraggio, a passi sempre più brevi e incerti, e ogni tre passi doveva fermarsi un attimo perché il cuore si calmasse. I rumori e luci della gran festa erano come una nuvola che si allontanava. Le pause di silenzio erano sempre più lunghe e distese.
In uno di quei silenzi udì ancora il pianto di un bambino. «Povero piccolo,» mormorò la vecchina «in una notte come questa, davvero, non ci dovrebbe essere al mondo un solo bambino che piange. No, no: in tutto il mondo non dovrebbe piangere nessuno. Ma tu dove sei, povero piccolo ? Dove sei?» Il pianto veniva da una capanna posta a pochi metri dalla strada. C’era una siepe intorno, ma così cadente che la vecchina non ebbe difficoltà ad attraversarla. La capanna era tutta buia, il pianto veniva di là. «Eccomi, eccomi,» sussurrava la vecchina, «eccomi, sono qui. Entrò nella capanna e proprio in quel momento per fortuna, la cometa superò l’ultima montagna, e illuminò tutto il cielo e al chiarore che penetrava dalla porta la vecchina vide il pagliericcio, la giovane donna che vi stava distesa con gli occhi chiusi, come svenuta, e il piccolo tutto nudo che giaceva accanto e piangeva.
«Ma tu hai freddo, ecco che cos’hai» esclamò la vecchina con la sua voce più dolce.
E sempre parlando tra sé la vecchina si muoveva per la capanna, trovava le povere fasce preparate per il neonato, e lo avvolgeva. A un tratto «Grazie» senti dire con un filo di respiro. Si voltò, e vide che la giovane madre era tornata in sé. Era troppo debole per muoversi e per parlare, ma i suoi occhi riconoscenti dicevano tante cose.
«Brava, brava,» disse la vecchina. E intanto accendeva il fuoco; metteva un po’ di acqua a bollire e il fuoco rischiarava la capanna come una piccola, capricciosa cometa che giocava con le ombre. Poi venne l’alba, piano piano grigia, poi bianca e dorata. La madre e il bambino dormivano. La vecchina dormiva su una sedia, col mento sulla mano. E quando si svegliò era tornato il padre e la notte di Natale era passata, e la vecchina non era arrivata fino alla grotta, perché tutti quei bambini le avevano fatto perdere tempo, ma era contenta e serena, anche se non aveva visto i Re Magi, gli angeli lontano lontano e la grotta.
Così lasciò quei pomodori seccati sul tavolo e si mise sulla via del ritorno, un passo dopo l’altro, nel silenzio del grande presepe addormentato, su su, in cima ai sentieri, ai tetti, alle scale, alle scalinatelle, fino a casa sua; che era la più vicina alle stelle”.
Gianni Rodari, "Racconti di Natale"
8 dicembre 2012
Terraferma: la dignità dei clandestini e la morale
"Terraferma" è il titolo di un film molto toccante che illustra la condizione degli immigrati clandestini che cercano di raggiungere i paesi industrializzati per realizzare il sogno di una nuova vita.
E' ambientato in una piccola isola siciliana, abitata da pescatori che ospitano anche dei turisti, la maggior parte dei quali provenienti dalle grandi città del nord Italia. Al tempo stesso pero', è investita dagli arrivi dei clandestini e dalla regola del respingimento di essi, che costringe i marinai a non prestare soccorso ai dispersi in mare.
In questo contesto è inserita la vita di una famiglia formata da Ernesto, un uomo anziano autorevole e saggio, Giulietta, una donna rimasta vedova da poco e suo figlio Filippo, un ragazzo ventenne alla ricerca di un "approdo" saldo per la vita.
Tra i personaggi c'è anche Nino, lo zio di Filippo. Si tratta pero' di una figura poco significativa, di una persona superficiale e protesa solo al guadagno derivante dal turismo che finge di non accorgersi della triste reatà dei clandestini nemmeno di fronte all'evidenza.
Una mattina, durante la consueta attività di pesca, Ernesto intravede degli africani rimasti in mezzo al mare su un gommone. Nonostante abbia ricevuto l'ordine di non prestare loro soccorso, l'anziano signore avvicina la sua barca e li salva, trasportandoli verso l'isola e quindi verso la terra ferma. Ernesto è quindi portatore di un senso morale che ai nostri giorni sta scomparendo. L'etica del marinaio che aiuta chi è in pericolo di vita gli permette di aiutare quella povera gente, nonostante la conseguenza successiva, ovvero il sequestro del suo peschereccio da parte di poliziotti, simboli di uno stato assente in senso politico e morale.
Ernesto decide di accogliere presso la sua famiglia una giovane donna africana sul punto di partorire. Giulietta inizialmente si dimostra molto dura con la clandestina anche se, verso la fine del film, le due donne riescono ad instaurare un ottimo rapporto fondato sulla solidarietà e sulla stima reciproca. Infatti Giulietta si sente estranea al suo ambiente e ricerca, oltre l'orizzonte, un senso di sicurezza che soltanto la fiducia nella "terraferma" puo' offrire. La donna vorrebbe fuggire dall'isola, convinta che il futuro della sua famiglia possa trovare delle prospettive lontano da quel luogo in cui il tempo immutabile ha reso stranieri persino i suoi stessi abitanti.
E' importante riflettere sull'azione compiuta dal giovane Filippo alla fine del film: la sua famiglia decide di aiutare la donna africana e il figlio appena nato a fuggire dall'isola. Ma il loro piano viene sconvolto dalla presenza della polizia sulla riva del mare. Mentre gli altri membri della famiglia sembrano rassegnati a rimandare la fuga alla notte successiva, Filippo, senza esitazioni, rompe i sigilli del peschereccio sequestrato e prende il largo con i due clandestini, a notte fonda, verso la terraferma. La rottura dei sigilli in questo caso indica la rottura dai pregiudizi e dalle sottomissioni a costanti restrizioni, per raggiungere un "nuovo mondo".
Il titolo di questo film allude a un sogno e a un naturale desiderio di sicurezza. Infatti, la terraferma è sia la destinazione a cui mira chi sfida le insidie del mare che il superamento
dell' isola, dove la stasi del tempo sembra aver fermato il corso della storia oltre che aver rotto le certezze di tradizioni mai variate prima. "Terraferma" è un film che descrive una tragedia contemporanea e aiuta a riflettere sul fatto che purtroppo, legge e morale non sempre coincidono.
E' ambientato in una piccola isola siciliana, abitata da pescatori che ospitano anche dei turisti, la maggior parte dei quali provenienti dalle grandi città del nord Italia. Al tempo stesso pero', è investita dagli arrivi dei clandestini e dalla regola del respingimento di essi, che costringe i marinai a non prestare soccorso ai dispersi in mare.
In questo contesto è inserita la vita di una famiglia formata da Ernesto, un uomo anziano autorevole e saggio, Giulietta, una donna rimasta vedova da poco e suo figlio Filippo, un ragazzo ventenne alla ricerca di un "approdo" saldo per la vita.
Tra i personaggi c'è anche Nino, lo zio di Filippo. Si tratta pero' di una figura poco significativa, di una persona superficiale e protesa solo al guadagno derivante dal turismo che finge di non accorgersi della triste reatà dei clandestini nemmeno di fronte all'evidenza.
Una mattina, durante la consueta attività di pesca, Ernesto intravede degli africani rimasti in mezzo al mare su un gommone. Nonostante abbia ricevuto l'ordine di non prestare loro soccorso, l'anziano signore avvicina la sua barca e li salva, trasportandoli verso l'isola e quindi verso la terra ferma. Ernesto è quindi portatore di un senso morale che ai nostri giorni sta scomparendo. L'etica del marinaio che aiuta chi è in pericolo di vita gli permette di aiutare quella povera gente, nonostante la conseguenza successiva, ovvero il sequestro del suo peschereccio da parte di poliziotti, simboli di uno stato assente in senso politico e morale.
Ernesto decide di accogliere presso la sua famiglia una giovane donna africana sul punto di partorire. Giulietta inizialmente si dimostra molto dura con la clandestina anche se, verso la fine del film, le due donne riescono ad instaurare un ottimo rapporto fondato sulla solidarietà e sulla stima reciproca. Infatti Giulietta si sente estranea al suo ambiente e ricerca, oltre l'orizzonte, un senso di sicurezza che soltanto la fiducia nella "terraferma" puo' offrire. La donna vorrebbe fuggire dall'isola, convinta che il futuro della sua famiglia possa trovare delle prospettive lontano da quel luogo in cui il tempo immutabile ha reso stranieri persino i suoi stessi abitanti.
E' importante riflettere sull'azione compiuta dal giovane Filippo alla fine del film: la sua famiglia decide di aiutare la donna africana e il figlio appena nato a fuggire dall'isola. Ma il loro piano viene sconvolto dalla presenza della polizia sulla riva del mare. Mentre gli altri membri della famiglia sembrano rassegnati a rimandare la fuga alla notte successiva, Filippo, senza esitazioni, rompe i sigilli del peschereccio sequestrato e prende il largo con i due clandestini, a notte fonda, verso la terraferma. La rottura dei sigilli in questo caso indica la rottura dai pregiudizi e dalle sottomissioni a costanti restrizioni, per raggiungere un "nuovo mondo".
Il titolo di questo film allude a un sogno e a un naturale desiderio di sicurezza. Infatti, la terraferma è sia la destinazione a cui mira chi sfida le insidie del mare che il superamento
dell' isola, dove la stasi del tempo sembra aver fermato il corso della storia oltre che aver rotto le certezze di tradizioni mai variate prima. "Terraferma" è un film che descrive una tragedia contemporanea e aiuta a riflettere sul fatto che purtroppo, legge e morale non sempre coincidono.
1 dicembre 2012
Il diritto degli immigrati ad essere "cittadini del mondo"
" Fratellanza e solidarietà, punti di partenza e di arrivo per tutta l'umanità"
Oggi è possibile constatare come è cambiato il volto delle migrazioni nel mondo. Infatti assume sempre piu' l'aspetto e le fattezze dei volti di gente giovane, di intere famiglie che lasciano la campagna per cercare in città quei benefici che la zona rurale non offre.
Nella maggioranza dei casi, tuttavia, le persone emigrano per ragioni di sopravvivenza.
La gente va da una parte all'altra del pianeta, senza piu' un'origine e un destino determinati, come appunto facevano un tempo gli italiani che ne dopoguerra si imbarcavano per trovare una vita migliore in Sudamerica o negli Stati Uniti. Si parte e si va, in tutte le direzioni, spesso migrando per tappe e poi riprendere la strada del ritorno verso casa. Oggi i flussi migratori e le traiettorie si ripetono rendendo difficile distinguere l'andata e il ritorno e facendo in modo che ogni arrivo divenga anche un punto di partenza. L'importante è mettersi in viaggio verso la fratellanza mondiale, per arrivare alla meta in cui tutti ci sentiamo ed effettivamente siamo "CITTADINI DEL MONDO"
"CITTADINI DEL MONDO". Il fenomeno dell'immigrazione nel mondo è, ai giorni nostri, un "problema globale" evidenziato dagli oltre 200 milioni di persone costrette ad abbandonare la loro casa e il loro paese d'origine per vivere altrove. E' inoltre da precisare che questo dato numerico non considera coloro che si spostano all'interno dei propri territori a causa delle guerre o a seguito di spostamenti temporanei per motivi di lavoro o di studio.
I dati sono del World Migration Report del 2008, elaborato dall'Organizzazione Internazionale per l'Immigrazione. E questi sono numeri che fanno riflettere; basti pensare che nel 2005 vi erano circa 190 milioni di immigrati nel mondo, una cifra due volte superiore a quella del 1965.
A dire il vero non si dovrebbe parlare di immigrazione ma di migrazioni. Oggi il movimento migratorio è cresciuto a tal punto che la maggior parte dei paesi del mondo sono, al contempo, paesi di origine, di transito e di destino degli immigrati. Si tratta quindi di un fenomeno di vaste dimensioni, proprio perchè il numero di coloro che che varcano le frontiere degli stati aumenta di anno in anno. E i motivi sono molti. Vanno dalle trasformazioni generate dalla globalizzazione economica che ha impoverito maggiormente molte nazioni del sud del mondo, ai conflitti armati all'interno dei paesi stessi: dalla persecuzione religiosa alla ricerca di migliori condizioni di vita per i lavoratori dei paesi latinoamericani, asiatici e africani.
Oggi è possibile constatare come è cambiato il volto delle migrazioni nel mondo. Infatti assume sempre piu' l'aspetto e le fattezze dei volti di gente giovane, di intere famiglie che lasciano la campagna per cercare in città quei benefici che la zona rurale non offre.
Nella maggioranza dei casi, tuttavia, le persone emigrano per ragioni di sopravvivenza.
La gente va da una parte all'altra del pianeta, senza piu' un'origine e un destino determinati, come appunto facevano un tempo gli italiani che ne dopoguerra si imbarcavano per trovare una vita migliore in Sudamerica o negli Stati Uniti. Si parte e si va, in tutte le direzioni, spesso migrando per tappe e poi riprendere la strada del ritorno verso casa. Oggi i flussi migratori e le traiettorie si ripetono rendendo difficile distinguere l'andata e il ritorno e facendo in modo che ogni arrivo divenga anche un punto di partenza. L'importante è mettersi in viaggio verso la fratellanza mondiale, per arrivare alla meta in cui tutti ci sentiamo ed effettivamente siamo "CITTADINI DEL MONDO"
"CITTADINI DEL MONDO". Il fenomeno dell'immigrazione nel mondo è, ai giorni nostri, un "problema globale" evidenziato dagli oltre 200 milioni di persone costrette ad abbandonare la loro casa e il loro paese d'origine per vivere altrove. E' inoltre da precisare che questo dato numerico non considera coloro che si spostano all'interno dei propri territori a causa delle guerre o a seguito di spostamenti temporanei per motivi di lavoro o di studio.
I dati sono del World Migration Report del 2008, elaborato dall'Organizzazione Internazionale per l'Immigrazione. E questi sono numeri che fanno riflettere; basti pensare che nel 2005 vi erano circa 190 milioni di immigrati nel mondo, una cifra due volte superiore a quella del 1965.
A dire il vero non si dovrebbe parlare di immigrazione ma di migrazioni. Oggi il movimento migratorio è cresciuto a tal punto che la maggior parte dei paesi del mondo sono, al contempo, paesi di origine, di transito e di destino degli immigrati. Si tratta quindi di un fenomeno di vaste dimensioni, proprio perchè il numero di coloro che che varcano le frontiere degli stati aumenta di anno in anno. E i motivi sono molti. Vanno dalle trasformazioni generate dalla globalizzazione economica che ha impoverito maggiormente molte nazioni del sud del mondo, ai conflitti armati all'interno dei paesi stessi: dalla persecuzione religiosa alla ricerca di migliori condizioni di vita per i lavoratori dei paesi latinoamericani, asiatici e africani.