29 aprile 2014

Inno alla pace.

 
 Il 25 aprile, all'Arena di Verona, si è svolta una significativa campagna, alla quale anch'io ho partecipato, relativa ai temi di "pace e disarmo".  In questo incontro, noi presenti abbiamo avuto l'occasione di incontrare persone e associazioni che credono fermamente nel miglioramento politico e sociale, convinte del fatto che, di fronte alla crisi economica e al vergognoso degrado ambientale, sia necessario porsi l’obiettivo della riduzione delle spese militari e di una politica di disarmo.

Proprio a questo proposito vorrei proporvi una meravigliosa lirica che invita tutti gli uomini a promuovere la pace e la non-violenza:

"Cessate d’uccidere i morti,

Non gridate più, non gridate

Se li volete ancora udire,

Se sperate di non perire.

 

Hanno l’impercettibile sussurro,

Non fanno più rumore

Del crescere dell’erba,

Lieta dove non passa l’uomo."


  
 Questa breve poesia, formata da due quartine di versi di varia lunghezza, è stata scritta da Ungaretti durante la seconda guerra mondiale, in occasione del bombardamento di un cimitero di Roma, avvenuto nel 1944. La poesia appartiene alla raccolta intitolata: "Il dolore", edita però nel 1947.

Nella prima quartina, il poeta invita gli uomini ad accantonare l'odio per non infangare la memoria di quanti sono morti nella terribile guerra che si è appena conclusa. "Cessate di uccidere i morti" è infatti un'espressione molto forte.
Ungaretti esorta gli uomini a non commettere più atrocità al fine di ascoltare i morti.
 
Nella seconda quartina invece, il grande Ungaretti invita i lettori a stare in silenzio per  ascoltare "l'impercettibile sussurro" dei morti. Il silenzio è un elemento che consente ai vivi di captare un messaggio di pace, di solidarietà e di vita. 

Comunque, a mio avviso, i versi più significativi della lirica sono gli ultimi tre:
il "sussurro" dei morti è paragonato all'impercettibile crescere dell’erba. 
L'espressione "lieta dove non passa l'uomo" significa che l'erba cresce soltanto se l’uomo, portatore di violenza e di morte, non la calpesta.  Il crescere dell'erba è qui una contrapposizione tra la vita e la morte. Spontaneamente, ricordo una frase del  "Gelsomino Notturno" di Pascoli: "Nasce l'erba sopra le fosse". Anche qui, l'erba che nasce e che cresce sopra le fosse, ovvero, sopra un terreno nel quale sono sepolti i defunti, allude alla vita che sboccia dopo la morte.

Nel componimento la sfera uditiva prevale nettamente su quella visiva. In particolare, il verbo "gridate", ripetuto due volte, sottolinea il carattere violento di qualsiasi conflitto armato. L'azione del gridare infatti, è una sorta di crudeltà che porta strazio e sofferenza.


20 aprile 2014

I miei pensieri di Pasqua


"Vorrei riuscire a far comprendere a tutti i ragazzi che commuoversi non significa essere fragili, bensì essere vivi. Vorrei che tutte le ragazze acquisissero la piena consapevolezza delle loro doti interiori e della loro dignità. Vorrei imparare il perdono verso me stessa e verso gli altri: perdonare è sinonimo di amare. La fiamma dell'amore, quando penetrerà negli spazi più remoti del mio animo, sarà in grado di sciogliere la mia rigidità, le mie insicurezze e il mio eccessivo spirito critico. Buona Pasqua e Buona Rigenerazione Interiore, Anna."


Questi sono stati i primi pensieri che stamattina la mia mente appena sveglia ha formulato. Ho aperto la finestra della mia camera. La luce del sole pervadeva i verdi campi e vedevo molti merli e molte rondini che volavano felici attorno ai rami degli alberi. "Buongiorno mondo!" ho detto sottovoce.

Sono scesa in cucina per fare colazione. Era molto tardi, era quasi metà mattina. Improvvisamente, mi sono ricordata del sogno che ho fatto stanotte: stavo tenendo la mano a una donna anziana e molto malata, che mi osservava con occhi luminosi e pieni di gratitudine. Le stavo recitando alcune mie poesie, ma, ad un tratto, quando ho pronunciato le prime parole della poesia "Fiamma", ovvero:
"La luce dell'amore rischiarava i tuoi profondi occhi cristallini", i miei occhi si sono velati di lacrime. L'anziana signora allora mi aveva stretto la mano ancora più forte.
Non ricordo altro; so soltanto che il pensiero di questo sogno mi ha un po' immalinconita.

Ho deciso di uscire e di passeggiare attorno ai campi di casa mia. Mentre camminavo e raccoglievo fiori, pensavo alla celebrazione della Veglia Pasquale di ieri notte, alla quale ho partecipato. Quanto mi piace la veglia pasquale! Come vi partecipo sempre volentieri! La Veglia pasquale è, come l'ha definita mio zio Attilio nella sua breve omelia dopo le sette letture, "la madre di tutte le veglie", dal momento che, proprio in quella notte, Cristo è risuscitato a vita nuova vincendo la morte e le tenebre. 



Ho cantato mentalmente le parole del preconio pasquale e poi ho ripensato alle letture.
Ieri sera mi è stata assegnata la lettura dal libro dell'Esodo, che narra la liberazione degli Israeliti dall'oppressione del faraone egiziano. Il passaggio che si legge alla veglia pasquale si focalizza sul popolo di Israele che cammina sull'asciutto in mezzo al mare. "Gli Israeliti avevano camminato all'asciutto in mezzo al mare, mentre le acque erano per loro una muraglia a destra e a sinistra".  E' un'immagine straordinaria questa, dal momento che questo popolo, per sfuggire ad un'opprimente schiavitù, deve passare attraverso un’acqua che distrugge e rigenera. Come Mosé e il suo popolo, anche Gesù è passato attraverso il mare della morte e ne è uscito vittorioso. 

Nella mia mente, ritorna anche l'immagine delle donne che, dopo essere corse al sepolcro portando con sé degli aromi, lo trovano vuoto. Poi, l'angelo che dice loro:"So che cercate Gesù il Crocifisso. Non è qui, è risorto, come aveva detto. " E le donne stesse che, con sentimenti di timore e al contempo di gioia, si recano a dare questo splendido annuncio ai discepoli. Ed è qui che mi ritorna alla mente il consiglio che un carissimo amico di famiglia mi aveva dato circa tre anni fa, durante una chiacchierata relativa al significato della Pasqua e al senso della risurrezione: "Sii come le donne che si recano al sepolcro all'alba di un giorno nuovo. Come loro, sii portatrice di gioia e di speranza."


... Tuttavia, da molte ore mi sto chiedendo: "Perché Cristo è risorto?". Intendiamoci però: tormento me stessa con questa domanda non perché, durante le sacre celebrazioni di questi ultimi giorni non sia stata attenta alle spiegazioni del sacerdote. "Il Padre risuscita il Figlio perché divenga chiaro che l'amore trionfa sulla morte". Certo, questo concetto l'ho capito perfettamente. Ma continuo a chiedermi: "Noi umani, io inclusa, siamo degni di ricevere un amore così grande da parte del nostro Dio?". 

Padre Ermes Ronchi dice: "Il vero nemico della morte non è la vita ma l'amore. Nell'alba di Pasqua, non a caso, chi si reca alla tomba, sono quelli che più hanno fatto esperienza viva dell'amore di Gesù: le donne, la Maddalena, quelli che hanno fatto la grande esperienza dell'amore di Gesù sono i primi a capire che l'amore vince la morte. 
Siamo qui sulla terra per fare cose che meritano di non morire. Tutto ciò che vivremo nell'amore non andrà perduto, non potrà essere vinto dalla morte." Le ultime due frasi mi fanno piangere.
Talvolta penso di non essere neppure degna dell'amore dei miei familiari, della stima dei miei pochi ma sinceri amici, dell'ammirazione dei miei conoscenti. "Che cosa ho fatto e che cosa faccio di così straordinario per meritarmi tutto questo affetto?!", mi chiedo.

Credo comunque che Padre Ermes, con queste ultime due frasi, abbia voluto dire che tutti gli uomini vivono e devono vivere per costruirsi una vita fondata sull'amore, sulla concordia, sulla giustizia. Gli uomini devono difendere i loro buoni ideali, trasmetterli all'umanità intera.

A tutti voi, i miei auguri più sentiti di Buona Pasqua! 













18 aprile 2014

Riflessione sulla Pasqua


Naturalmente, anche quest'anno sul mio blog non poteva mancare una riflessione sulla Pasqua!
Quest'anno vorrei proporvi alcuni testi letterari e biblici che, in questi giorni, mi hanno aiutata a riflettere su questa festività così importante:


Gesù (di Giovanni Pascoli)

E Gesù rivedeva, oltre il Giordano,
campagne sotto il mietitor rimorte:
il suo giorno non molto era lontano.

E stettero le donne in sulle porte
delle case, dicendo: «Ave, Profeta!»
Egli pensava al giorno di sua morte.

Egli si assise all’ombra d’una meta
di grano, e disse: «Se non è chi celi
sotterra il seme, non sarà chi mieta».

Egli parlava di granai ne’ Cieli:
voi fanciulli, intorno lui correste
con nelle teste brune aridi steli.

Egli stringeva al seno quelle teste
brune; e Cefa parlò: «Se costì siedi,
temo per l’inconsutile tua veste».

Egli abbracciava i suoi piccoli eredi:
"Il figlio" Giuda bisbigliò veloce 
"d’un ladro, o Rabbi, t’è costì tra’ piedi:

Barabba ha nome il padre suo, che in croce 
morirà". Ma il Profeta, alzando gli occhi, 
«No», mormorò con l’ombra nella voce;

e prese il bimbo sopra i suoi ginocchi.


La poesia inizia con la congiunzione “e” , che sembra voler continuare un discorso interrotto.
Il protagonista della lirica è Gesù che passeggia lungo il Giordano e vede i campi che, dopo la fioritura, a causa del lavoro del mietitore, sono tornati a morire e sente che il giorno della sua morte è vicino.
Nella seconda strofa del componimento, le donne, sulle porte delle case, acclamano il Signore. E' un'immagine gioiosa, che mi ricorda l'episodio dell'ingresso di Gesù a Gerusalemme, narrato nei Vangeli e celebrato da noi cristiani una settimana prima della Domenica di Pasqua.

Bisogna precisare che, sia le campagne alle quali viene tolta la vita dai mietitori sia l’ombra generata dalle pile di grano accatastate dai contadini sono elementi che inducono il Messia a considerare che, se il seme non viene sotterrato da nessuno, non potrà esserci lavoro per i mietitori.

Gesù, nel corso della sua esistenza, parlava spesso "di granai dei Cieli", granai che non necessitano del lavoro dell'uomo. Qui notiamo che ne parla ai bambini che gli corrono incontro; a questo proposito, trovo molto dolci le espressioni: "Egli stringeva al seno quelle teste brune" e "Egli abbracciava i suoi piccoli eredi". Uno dei bambini, Cefa (nome ebraico di Pietro), gli si rivolge esprimendo il timore che la Sua veste "inconsuntile", ovvero, senza cuciture, possa rovinarsi sedendosi sull’arida terra. In seguito, Giuda, un altro bambino,
allude a Barabba e alla morte di Gesù in croce. Ma Gesù, pur conoscendo il Suo destino e pur sapendo che il popolo (purtroppo) sceglierà di far rimettere in libertà Barabba al posto suo, di fronte a Pilato, solleva gli occhi verso il cielo e mormora un "no".
Mi piace molto l’espressione “mormorò con l’ombra nella voce” , dal momento che rende molto umana la figura di Cristo. L'espressione infatti rivela il timore e l'angoscia di Gesù che è Figlio di Dio e si è fatto uomo per noi e, nel corso della sua vita, accoglie e accarezza i bambini, riservando loro molto affetto.


Un altro testo (che a me piace molto) relativo alla natura di Gesù si trova al secondo capitolo della lettera di San Paolo Apostolo ai Filippesi (versetti 6- 11):

"Cristo, pur essendo di natura divina,
non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio;
ma spogliò se stesso,assumendo la condizione di servo
e divenendo simile agli uomini.
Apparso in forma umana,
umiliò se stesso facendosi obbediente
fino alla morte e alla morte di croce.
Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome
che è al di sopra di ogni altro nome;
perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra;e ogni lingua proclami
che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre."


Cristo Gesù, nonostante sia di natura divina, sceglie di farsi uomo e di accettare la «morte di croce».Cristo infatti non ha intenzione di approfittare della sua condizione divina, ma addirittura vi rinuncia in modo totale, libero e volontario. Durante la sua vita terrena ha voluto assumere il comportamento di un servo completamente dedito al servizio degli altri. L’auto-umiliazione di Gesù consiste sia nel radicale rifiuto dell’ambizione e dell’orgoglio sia nell’adozione di una ammirevole mitezza, estranea alla violenza e all'aggressività. Gesù ha portato a termine la sua umiliazione "facendosi obbediente fino alla morte" (v. 8). L’aggettivo obbediente indica una fedeltà totale alla volontà di Dio Padre da parte di Gesù. La sua è un’obbedienza che non cede davanti a nessun sacrificio personale, compreso anche quello supremo della propria vita. Egli si mostra dunque nostro redentore, dal momento che decide di partecipare alla nostra realtà di dolore e di morte.
Dopo la morte, si manifesta nuovamente nello splendore della sua maestà divina. Il Padre, che aveva accolto l’atto di obbedienza del Figlio nell’Incarnazione e nella Passione, ora lo «esalta» in modo sovraeminente. Questa esaltazione è espressa non solo attraverso l’intronizzazione alla destra di Dio, ma anche con il conferimento a Cristo di un «nome che è al di sopra di ogni altro nome» (v. 9).
Lo scopo dell’esaltazione di Cristo viene poi descritto in questi termini: «perché nel nome di Gesù  ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra » (v. 10). Il «nome di Gesù»  gli appartiene perché gli è stato dato da Dio e quindi indica la sua signoria universale. Perciò ad esso, in segno di profonda adorazione, "si piega ogni ginocchio... e ogni lingua proclama".
L’inno termina con l’espressione "a gloria di Dio Padre" (v. 11). Con queste parole San Paolo vuole affermare che Gesù non è il sostituto né il concorrente di Dio, in quanto la confessione della sua signoria torna in ultima analisi a gloria di Dio Padre. Questa frase è più che altro riferita all’esaltazione di Gesù. Ma Egli, anche come esaltato, continua a mantenere un atteggiamento umile, lo stesso che lo ha portato a non servirsi del suo essere pari a Dio per il proprio vantaggio personale.

15 aprile 2014

Il fascino della notte


E' notte. Ammiro la fulgida luna che illumina il mio viso e che ravviva in me piacevoli ricordi di infanzia. Nell'oscurità del cielo si accendono le stelle, allietate dal gioioso canto del vento che abbraccia i miei sogni d'amore e di speranza... La notte ha sempre esercitato un particolare fascino su di me. 

Contemplo il cielo notturno e penso a uno dei miei primi ricordi, ovvero, a una delle cose più vecchie che so di me: avevo più o meno cinque anni e sedevo di fronte alla finestra della mia camera da letto, con un enorme pupazzo tra le braccia. Mia madre, seduta accanto a me, mi accarezzava teneramente e mi parlava dei bambini poveri del sud del mondo che lottano quotidianamente per sopravvivere e che frequentemente muoiono di fame e di stenti. Ricordo che, mentre l'ascoltavo attentamente, contemplavo l'immensità del cielo stellato. Poi le chiedevo:"Ma i bambini dell'Africa, quando muoiono, si trasformano in stelle brillanti come quelle che ci sono lassù?"e, risolutamente, le indicavo il cielo stellato al di là del vetro della finestra.  E poi dicevo, piena di entusiasmo: "Sai mamma, secondo me loro si sono trasformati in stelle e ora ci stanno ascoltando dal cielo!" Ricordo ancora la luce negli occhi di mia madre.
A otto anni ero una bambina molto sensibile... ve l'ho già detto nel post del 19 dicembre 2013, raccontandovi l'episodio di Santa Lucia. Abbastanza spesso, quando avevo quell'età, prima di addormentarmi, solevo osservare per qualche minuto il cielo stellato e, sottovoce, pregavo per i bambini poveri dell'Africa e dell'Asia. Concludevo la mia preghiera sempre con la solita frase:   "Dio, stai vicino a questi bambini, aiutali tu".
A dodici anni era accaduto un fatto molto particolare. Era il 27 gennaio 2008, il giorno dedicato alla memoria della vittime dell'Olocausto. Ricordo che in quel giorno il mio umore non era dei migliori.  A scuola, la nostra prof. di lettere ci aveva parlato del nazismo, dei campi di concentramento,  di Anna Frank...  ero tornata a casa da scuola profondamente scossa. Durante la cena, tra l'altro, avevo litigato con mia zia Marcella. I toni erano piuttosto accesi. Non ricordo quale fosse la causa che aveva scatenato il diverbio; so soltanto che, una volta conclusa la cena, ero corsa in camera, avevo aperto la finestra e, di fronte a una luminosissima luna, ero scoppiata in lacrime. Mi ero detta: "Imbecille, ti scaldi tanto per cose banali mentre a poche migliaia di kilometri di distanza ci sono molti tuoi coetanei che soffrono perché la loro vita è molto ma molto difficile.  Non voglio più trattare male nessuno dei miei familiari." e poi, mi ero chiesta:" Che senso hanno l'odio, la discriminazione e la violenza? Che senso ha il pregiudizio? Poveri ebrei! Io voglio migliorare il mondo". 

Molte volte, nel corso della mia adolescenza, ho ammirato la straordinarietà della notte.             Da qualche anno a questa parte, il cielo stellato mi fa pensare solitamente ai miei ideali, alle mie speranze verso il futuro e ad alcune meravigliose liriche e poesie.                                                   

Stasera sto pensando al "Gelsomino notturno" di Pascoli...

"E s’aprono i fiori notturni,
nell’ora che penso a’ miei cari.
Sono apparse in mezzo ai viburni
le farfalle crepuscolari.

Da un pezzo si tacquero i gridi:
là sola una casa bisbiglia.
Sotto l’ali dormono i nidi,
come gli occhi sotto le ciglia.

Dai calici aperti si esala
l’odore di fragole rosse.
Splende un lume là nella sala.
Nasce l’erba sopra le fosse.

Un’ape tardiva sussurra
trovando già prese le celle.
La Chioccetta per l’aia azzurra
va col suo pigolìo di stelle.

Per tutta la notte s’esala
l’odore che passa col vento.
Passa il lume su per la scala;
brilla al primo piano: s’è spento…

È l’alba: si chiudono i petali
un poco gualciti; si cova,
dentro l’urna molle e segreta,
non so che felicità nuova."

Questo componimento era stato scritto in occasione delle nozze di Gabriele Briganti, amico di Pascoli. A mio parere, è uno dei capolavori più significativi della poesia simbolista italiana. Mi colpisce molto il fatto che la fecondazione notturna del gelsomino venga accostata per analogia al rito amoroso che avviene all'interno di una casa vista da lontano, durante la prima notte di nozze. E' stupenda l'ultima strofa: all'alba, i petali, nell'atto di chiudersi, sembrano rimandare con il pensiero al fascino del concepimento di una nuova vita.  L'urna "molle e segreta" indica infatti il grembo materno, che accoglie in sé la vita.                                                 
Sono molto dolci le espressioni: "sotto l'ali dormono i nidi/ come gli occhi sotto le ciglia", "nasce l'erba sotto le fosse". Quest'ultima tra l'altro, infonde speranza nel mio animo dal momento che mi permette di immaginare la rigogliosa nascita dell' erba proprio sul terreno dove sono sepolti dei corpi. (Fosse è una parola che allude alla morte.)                                                                                         

Sono rimasta suggestionata dalla frase:"la Chioccetta per l'aia azzurra/va col suo pigolio di stelle" (La Chioccetta era il nome contadino delle Pleiadi). In quest'ultima espressione, il lontano luccicare delle stelle è paragonato al pigolio degli uccelli. A mio avviso quest'immagine conferisce, più di tutte le altre, l'idea di una natura che, al calar della notte, brulica di vita.

Penso alle meravigliose immagini di questa poesia e sorrido, immaginando il mio futuro-eventuale matrimonio. Immagino me e il mio eventuale marito (il mio ragazzo ideale) che, sul far della sera, dopo la cerimonia nuziale e dopo solenni festeggiamenti, contempliamo, esausti ma incredibilmente felici, la nascita delle stelle, seduti sulla cima di una collina. E, ammaliati dal fascino della notte, ci abbracciamo, giurandoci eterna fedeltà l'un l'altro, parlando dei nostri ricordi di infanzia e degli ideali che ci siamo costruiti durante l'adolescenza.   


Un'energica folata di vento mi distoglie da questi teneri pensieri. Allora mi tornano alla mente i versi di una breve lirica scritta nel 1918 da Ungaretti:

“Dopo tanta
  nebbia
  a una
  a una
  si svelano
  le stelle

  Respiro
  il fresco
  che mi lascia
  il colore del cielo.

  Mi riconosco
  immagine
  passeggera

  Presa in un giro
  immortale”.

In questo originale componimento, l'improvviso diradarsi della nebbia e l'apparire delle stelle nel cielo, suscita nel poeta una momentanea sensazione di benessere, la quale però sfocia nella consapevolezza di essere "un'immagine passeggera", "presa" però "in un giro immortale". L'uomo è fragile, effimero, mortale. Ma, come tutti gli altri elementi della natura, appartiene ad un insieme molto vasto che gli consente di sentirsi in "armonia" con il mondo in cui vive. 
Io sono consapevole delle mie fragilità. So di non essere onnipotente, so che prima o poi sarò destinata a perire. La mia vita finirà, un giorno. Però so anche che, nel corso della mia esistenza, devo impegnarmi per cooperare alla realizzazione di un mondo migliore di quello in cui vivo e devo cercare di stabilire un rapporto armonico con ciò che mi circonda.


5 aprile 2014

CHE COS' E' L'ARTE?


E' una domanda molto interessante, che mi sono posta più di una volta. E' giusto che io mi interroghi sulla funzione dell'arte, anche perché io sono un' artista; sono una persona piuttosto originale e intuitiva.
In questo post non intendo descrivere l'evoluzione storica del concetto di "arte", ma vorrei invece sia riassumere il contenuto di un racconto scritto da Michel Tournier, autore francese, sia esporvi la mia opinione relativa al concetto di "arte".
Devo inoltre ammettere che due insegnanti del mio liceo mi hanno stimolata a riflettere sul concetto di "arte". E per questo le ringrazio moltissimo.
All'inizio della terza liceo, la mia ex insegnante di scienze naturali aveva detto alla mia classe: "Immaginate che un poeta, un musicista e uno scienziato si trovino in campagna, su una collina. Tutti e tre quindi sono a contatto con la Natura. Secondo voi, come si comportano con l'ambiente che li circonda?".
Due anni dopo, all'inizio della quinta liceo, la nuova insegnante di Storia dell'Arte ci ha fatto leggere il racconto che sto per riassumere e ha poi voluto che ognuno di noi scrivesse il proprio parere sul concetto di "arte".

IL CONTENUTO DEL RACCONTO:

Il protagonista del racconto è uno scrittore.
La storia inizia così :"Io e Pierre siamo nati nello stesso anno, nello stesso paese. Abbiamo imparato a leggere e a scrivere nella stessa scuola. Ma è lì che i nostri destini hanno cominciato a divergere. Mentre Pierre eccelleva in matematica, si appassionava alla chimica e vinceva tutti i premi di fisica, per me contavano soltanto la letteratura, la poesia e in seguito la filosofia."
Non appena avevo letto queste prime righe avevo pensato: "Il narratore ha i miei stessi gusti scolastici!" e poi avevo riflettuto in maniera più ponderata sul contenuto di queste frasi: "Che benefica è la scuola, dal momento che permette a ciascun ragazzo di comprendere le proprie attitudini."
 A vent'anni, Pierre aveva deciso di trasferirsi negli Stati Uniti per studiare elettronica e informatica, mentre il protagonista rimaneva profondamente legato alla sua terra natale, diventando tra l'altro uno scrittore di successo. Pierre invece aveva ottenuto un posto importante in un'azienda informatica.
Un giorno però Pierre fa visita al suo vecchio amico di infanzia e gli rivela di aver letto ogni suo libro, nonostante fosse stato lontano dalla Francia per alcuni anni. In seguito Pierre propone all’amico un’ idea singolare: inserire tutti i suoi scritti su un computer in modo da renderli leggibili in qualsiasi lingua. Lo scritture accetta con entusiasmo. Non c’è cosa più importante per un artista che rendere le sue opere accessibili a tutti. Così si rivolge il narratore al suo caro amico: "La creazione non può fare a meno della diffusione. Io non aspiro alla gloria ma ho bisogno di essere letto."
Lo scrittore, per esprimere meglio questa sua idea, racconta una storia che vede come protagonisti due artisti: un pittore cinese e un architetto greco, che vengono convocati dal califfo di Baghdad il quale propone loro di decorare il salone d’onore del suo palazzo, affidando a ciascuno una parete del salone e promettendo di donare un premio all'artista più abile.
Inoltre, il califfo chiede all'architetto greco quanto tempo gli sarebbe occorso per finire la sua opera. L'architetto  gli dice: "Quando il pittore cinese avrà terminato, avrò terminato anch'io."
Il salone viene diviso in due da un telo, in modo che nessuno dei due artisti possa vedere il lavoro dell’altro.
Dopo tre mesi, al termine dei lavori, la corte di Baghdad si reca all'interno del salone per vedere le due opere. Il pittore cinese aveva dipinto un affresco che raffigurava uno splendido giardino pieno di alberi in fiore e di laghetti a forma di fagiolo scavalcati da deliziose passerelle.
I membri della corte si accorgono in seguito che il greco non aveva dipinto nulla, ma si era limitato a fissare sulla parete opposta al dipinto un grande specchio il quale,  oltre a riflettere nei minimi dettagli l’opera del collega,  riproduceva anche le immagini di coloro che si trovavano nella stanza.
"... il giardino del cinese era deserto e disabitato mentre, nel giardino del greco, si vedeva una folla magnifica con vesti ricamate, pennacchi piumati, monili d'oro e armi cesellate."

Questa breve favola permette di comprendere l'importanza sia dei mezzi di comunicazione sia dei contenuti e i messaggi che gli artisti, con le loro opere, vogliono veicolare. Lo specchio del greco  rappresenta i mezzi di comunicazione e il dipinto del cinese invece è un' opera d'arte che, per essere conosciuta e apprezzata, deve essere trasmessa.
L'architetto greco ha condiviso infatti lo splendore dell'opera dell'artista cinese e, affiggendo un enorme specchio sulla parete opposta, aveva divulgato l'affresco del suo collega alla Corte.
Che riflessioni ha suscitato in voi questo racconto? Che cos'è per voi l'arte? ... io riporto qui sotto la  risposta che ho cercato di dare a questa seconda domanda.

LA MIA IDEA DI ARTE:

L'arte è una creazione che rappresenta la bellezza della natura e che comunica sensazioni. L'arte riflette il mondo interiore dell'artista che avverte il bisogno di esprimere i propri sentimenti attraverso la pittura, la scultura, la musica, la danza e la poesia. L'artista è una persona originale e unica nel suo genere dal momento che, a differenza dello scienziato che raccoglie dati e formula ipotesi riguardo a determinati fenomeni naturali, riesce ad entrare in contatto con la propria sfera emotiva e a percepire a fondo i propri sentimenti. In effetti, l'opera d'arte rappresenta lo stato d'animo di chi la crea: essa può rappresentare un intenso dolore ma può anche essere legata a una sensazione positiva, di armonia con il mondo e di gioia. A me piacciono molto tutte le forme d'arte, ma la mia preferita è la poesia. Da più di tre anni ormai mi sto cimentando con la poesia e sto ottenendo risultati davvero soddisfacenti. Attraverso le parole, cerco di esprimere la magnificenza della Natura e il mio mondo interiore, la parte migliore di me e quindi tutto ciò che riguarda i miei stati d'animo, i miei ideali, i miei sogni.