15 aprile 2014

Il fascino della notte


E' notte. Ammiro la fulgida luna che illumina il mio viso e che ravviva in me piacevoli ricordi di infanzia. Nell'oscurità del cielo si accendono le stelle, allietate dal gioioso canto del vento che abbraccia i miei sogni d'amore e di speranza... La notte ha sempre esercitato un particolare fascino su di me. 

Contemplo il cielo notturno e penso a uno dei miei primi ricordi, ovvero, a una delle cose più vecchie che so di me: avevo più o meno cinque anni e sedevo di fronte alla finestra della mia camera da letto, con un enorme pupazzo tra le braccia. Mia madre, seduta accanto a me, mi accarezzava teneramente e mi parlava dei bambini poveri del sud del mondo che lottano quotidianamente per sopravvivere e che frequentemente muoiono di fame e di stenti. Ricordo che, mentre l'ascoltavo attentamente, contemplavo l'immensità del cielo stellato. Poi le chiedevo:"Ma i bambini dell'Africa, quando muoiono, si trasformano in stelle brillanti come quelle che ci sono lassù?"e, risolutamente, le indicavo il cielo stellato al di là del vetro della finestra.  E poi dicevo, piena di entusiasmo: "Sai mamma, secondo me loro si sono trasformati in stelle e ora ci stanno ascoltando dal cielo!" Ricordo ancora la luce negli occhi di mia madre.
A otto anni ero una bambina molto sensibile... ve l'ho già detto nel post del 19 dicembre 2013, raccontandovi l'episodio di Santa Lucia. Abbastanza spesso, quando avevo quell'età, prima di addormentarmi, solevo osservare per qualche minuto il cielo stellato e, sottovoce, pregavo per i bambini poveri dell'Africa e dell'Asia. Concludevo la mia preghiera sempre con la solita frase:   "Dio, stai vicino a questi bambini, aiutali tu".
A dodici anni era accaduto un fatto molto particolare. Era il 27 gennaio 2008, il giorno dedicato alla memoria della vittime dell'Olocausto. Ricordo che in quel giorno il mio umore non era dei migliori.  A scuola, la nostra prof. di lettere ci aveva parlato del nazismo, dei campi di concentramento,  di Anna Frank...  ero tornata a casa da scuola profondamente scossa. Durante la cena, tra l'altro, avevo litigato con mia zia Marcella. I toni erano piuttosto accesi. Non ricordo quale fosse la causa che aveva scatenato il diverbio; so soltanto che, una volta conclusa la cena, ero corsa in camera, avevo aperto la finestra e, di fronte a una luminosissima luna, ero scoppiata in lacrime. Mi ero detta: "Imbecille, ti scaldi tanto per cose banali mentre a poche migliaia di kilometri di distanza ci sono molti tuoi coetanei che soffrono perché la loro vita è molto ma molto difficile.  Non voglio più trattare male nessuno dei miei familiari." e poi, mi ero chiesta:" Che senso hanno l'odio, la discriminazione e la violenza? Che senso ha il pregiudizio? Poveri ebrei! Io voglio migliorare il mondo". 

Molte volte, nel corso della mia adolescenza, ho ammirato la straordinarietà della notte.             Da qualche anno a questa parte, il cielo stellato mi fa pensare solitamente ai miei ideali, alle mie speranze verso il futuro e ad alcune meravigliose liriche e poesie.                                                   

Stasera sto pensando al "Gelsomino notturno" di Pascoli...

"E s’aprono i fiori notturni,
nell’ora che penso a’ miei cari.
Sono apparse in mezzo ai viburni
le farfalle crepuscolari.

Da un pezzo si tacquero i gridi:
là sola una casa bisbiglia.
Sotto l’ali dormono i nidi,
come gli occhi sotto le ciglia.

Dai calici aperti si esala
l’odore di fragole rosse.
Splende un lume là nella sala.
Nasce l’erba sopra le fosse.

Un’ape tardiva sussurra
trovando già prese le celle.
La Chioccetta per l’aia azzurra
va col suo pigolìo di stelle.

Per tutta la notte s’esala
l’odore che passa col vento.
Passa il lume su per la scala;
brilla al primo piano: s’è spento…

È l’alba: si chiudono i petali
un poco gualciti; si cova,
dentro l’urna molle e segreta,
non so che felicità nuova."

Questo componimento era stato scritto in occasione delle nozze di Gabriele Briganti, amico di Pascoli. A mio parere, è uno dei capolavori più significativi della poesia simbolista italiana. Mi colpisce molto il fatto che la fecondazione notturna del gelsomino venga accostata per analogia al rito amoroso che avviene all'interno di una casa vista da lontano, durante la prima notte di nozze. E' stupenda l'ultima strofa: all'alba, i petali, nell'atto di chiudersi, sembrano rimandare con il pensiero al fascino del concepimento di una nuova vita.  L'urna "molle e segreta" indica infatti il grembo materno, che accoglie in sé la vita.                                                 
Sono molto dolci le espressioni: "sotto l'ali dormono i nidi/ come gli occhi sotto le ciglia", "nasce l'erba sotto le fosse". Quest'ultima tra l'altro, infonde speranza nel mio animo dal momento che mi permette di immaginare la rigogliosa nascita dell' erba proprio sul terreno dove sono sepolti dei corpi. (Fosse è una parola che allude alla morte.)                                                                                         

Sono rimasta suggestionata dalla frase:"la Chioccetta per l'aia azzurra/va col suo pigolio di stelle" (La Chioccetta era il nome contadino delle Pleiadi). In quest'ultima espressione, il lontano luccicare delle stelle è paragonato al pigolio degli uccelli. A mio avviso quest'immagine conferisce, più di tutte le altre, l'idea di una natura che, al calar della notte, brulica di vita.

Penso alle meravigliose immagini di questa poesia e sorrido, immaginando il mio futuro-eventuale matrimonio. Immagino me e il mio eventuale marito (il mio ragazzo ideale) che, sul far della sera, dopo la cerimonia nuziale e dopo solenni festeggiamenti, contempliamo, esausti ma incredibilmente felici, la nascita delle stelle, seduti sulla cima di una collina. E, ammaliati dal fascino della notte, ci abbracciamo, giurandoci eterna fedeltà l'un l'altro, parlando dei nostri ricordi di infanzia e degli ideali che ci siamo costruiti durante l'adolescenza.   


Un'energica folata di vento mi distoglie da questi teneri pensieri. Allora mi tornano alla mente i versi di una breve lirica scritta nel 1918 da Ungaretti:

“Dopo tanta
  nebbia
  a una
  a una
  si svelano
  le stelle

  Respiro
  il fresco
  che mi lascia
  il colore del cielo.

  Mi riconosco
  immagine
  passeggera

  Presa in un giro
  immortale”.

In questo originale componimento, l'improvviso diradarsi della nebbia e l'apparire delle stelle nel cielo, suscita nel poeta una momentanea sensazione di benessere, la quale però sfocia nella consapevolezza di essere "un'immagine passeggera", "presa" però "in un giro immortale". L'uomo è fragile, effimero, mortale. Ma, come tutti gli altri elementi della natura, appartiene ad un insieme molto vasto che gli consente di sentirsi in "armonia" con il mondo in cui vive. 
Io sono consapevole delle mie fragilità. So di non essere onnipotente, so che prima o poi sarò destinata a perire. La mia vita finirà, un giorno. Però so anche che, nel corso della mia esistenza, devo impegnarmi per cooperare alla realizzazione di un mondo migliore di quello in cui vivo e devo cercare di stabilire un rapporto armonico con ciò che mi circonda.


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