17 settembre 2014

"Seta": l'irrequietudine di un uomo incapace di vivere l'amore autentico


 "Seta" è un romanzo scritto da Alessandro Baricco. L'ho letto circa un mese fa e l'ho praticamente divorato. Ho apprezzato moltissimo sia lo stile semplice, lineare e delicato, sia i contenuti, sia la presenza di frequenti riferimenti storici, politici e letterari.

Dunque, "... era il 1861" e, mentre, "Flaubert stava scrivendo Salammbò, l'illuminazione elettrica era ancora un'ipotesi e Abramo Lincoln, dall'altra parte dell'Oceano, stava combattendo una guerra di cui non avrebbe mai visto la fine", il giovane francese Hervè Joncour aveva deciso di lasciare l'esercito per intraprendere la carriera del commerciante: egli infatti acquistava e vendeva bachi da seta.
Baricco descrive in modo molto chiaro lo sviluppo dei bachi da seta: "Per la precisione, Hervé Joncour comprava e vendeva bachi quando il loro essere bachi consisteva nell'essere minuscole uova, di color giallo o grigio, apparentemente morte. Solo sul palmo di una mano se ne potevano tenere a migliaia. (...) Ai primi di maggio le uova si schiudevano, liberando una larva che dopo trenta giorni di forsennata alimentazione a base di foglie di gelso, provvedeva a rinchiudersi nuovamente in un bozzolo, per poi evaderne in via definitiva due settimane più tardi lasciando dietro di sé un patrimonio che in seta faceva mille metri di filo grezzo e in denaro un bel numero di franchi francesi (...)".

Per evitare una grave epidemia che aveva colpito gli allevamenti europei e anche quelli nordafricani di uova di baco, su consiglio di Baldabiou, personaggio alquanto spavaldo, Hervé si reca in Giappone, "un'isola fatta di isole" completamente separata dal resto del mondo e restìa al dialogo con gli stranieri.

Più di una volta Baricco racconta il lungo viaggio del protagonista: "Varcò il confine vicino a Metz, attraversò il Wurttemberg e la Baviera, entrò in Austria, raggiunse in treno Vienna e Budapest per poi proseguire fino a Kiev. Percorse a cavallo duemila chilometri di steppa russa, superò gli Urali, entrò in Siberia, viaggiò per quaranta giorni fino a raggiungere il lago Bajkal, che la gente del luogo chiamava: mare. Ridiscese il corso del fiume Amur costeggiando il confine cinese fino all'Oceano e quando arrivò all'oceano si fermò nel porto di Sabirk per undici giorni, finché una nave di contrabbandieri olandesi non lo portò a Capo Teraya, sulla costa ovest del Giappone. A piedi, percorrendo strade secondarie, attraversò le provincie di Ishikawa, Toyama, Niigata, entrò in quella di Fukushima e raggiunse la città di Shirakawa, la aggirò sul lato est, aspettò due giorni un uomo vestito di nero che lo bendò e lo portò in un villaggio sulle colline (...)".

Hervé viene accolto nel palazzo di Hara Kei, il capo del villaggio.
Durante il primo colloquio con Hara Kei, Hervé rimane affascinato da una giovane ragazza semisdraiata accanto al capo villaggio. Mentre il protagonista cerca di spiegare la sua identità ad Hara Kei, si accorge che gli occhi della donna "non avevano un taglio orientale e che erano puntati, con un'intensità sconcertante su di lui".
Dopo qualche mese, Hervé ritorna in Francia a Lavilledieu dalla moglie Héléne. Ma nel cuore porta ancora con sé il tenero ricordo della ragazza e così, l'anno successivo, riparte per il Giappone, dove alloggia per qualche giorno nel lussuoso palazzo reale di Hara Kei.
Hervé continua a compiere altri viaggi in Giappone ma, dopo qualche anno, trova il paese sconvolto da una terribile guerra civile e rimane sconcertato alla vista del villaggio distrutto. Egli spera di rivedere gli occhi della giovane donna misteriosa, ma viene severamente sollecitato da Hara Kei a non tornare più.

Triste e sconvolto, il viaggiatore parte dal Giappone con qualche settimana di ritardo rispetto agli anni precedenti... e questo ritardo provoca la morte di milioni di larve.
Tuttavia, Hervé gode ancora dell'amore sincero della moglie, angosciata a causa delle sue lunghe assenze. "Tu eri morto. E non c'era niente di bello al mondo", gli dice una sera.
Qualche mese dopo, Hervé riceve una lettera composta da ideogrammi giapponesi e si reca da Madame Blanche, donna di origini giapponesi e direttrice di un bordello parigino, per farsela tradurre.
Il contenuto della lettera, molto romantico e altamente erotico, rivela un amore estremamente passionale e intenso, ma si conclude con un addio che pare irrevocabile: " E non esitate un attimo, se sarà utile per la vostra felicità, a dimenticare questa donna che ora vi dice, senza rimpianto, addio."


Da quel momento, Hervé  adotta uno stile di vita sobrio ma felice e smette di viaggiare verso terre lontane.
Tuttavia, la sua tranquillità dura soltanto pochi anni: nell'inverno del 1874 infatti, la moglie si ammala gravemente di una febbre pericolosa che la porta alla morte.
Pochi giorni dopo la morte di Héléne, Hervé intuisce una sorprendente verità: la lettera d'amore era stata scritta da Héléne e in seguito copiata in giapponese da Madame Blanche.

 " Volle anche leggermela, quella lettera. Aveva una voce bellissima. E leggeva quelle parole con un'emozione che non sono mai riuscita a dimenticare. Era come se fossero, davvero, sue. (...) Sapete, monsieur, io credo che lei avrebbe desiderato più di ogni altra cosa essere quella donna. Voi non lo potete capire. Ma io l'ho sentita leggere quella lettera. So che è così."




Proprio nel finale è contenuto il messaggio della storia: Hervé, nel corso della sua giovinezza, ha compiuto lunghi e pericolosi viaggi per raggiungere  il Giappone, e proprio in quel luogo, vede una giovane donna attraente e ne resta decisamente folgorato. Soprattutto per questo motivo si reca annualmente in Giappone, per godere dello splendore di quegli occhi che tanto lo hanno affascinato.
Ma a casa c'é una moglie sofferente e infelice a causa delle sue lunghe e ripetute assenze... Soltanto nelle ultime pagine del romanzo il nostro protagonista comprende l'inestimabile valore dell'amore coniugale.
 Hervé è un cieco, un uomo irrequieto che cerca la felicità laddove il suo desiderio di letizia non può essere soddisfatto. Prova un'attrazione irresistibile per la ragazza giapponese e continua a tornare in Giappone per poterla vedere, trascurando così le legittime esigenze affettive della moglie.

Estremamente significativo è il fatto che Héléne decida di recarsi da Madame Blanche per farsi tradurre la lettera dal francese al giapponese. Il marito la riceve ma non comprende il giapponese, quindi Madame Blanche si ritrova a fare la retroversione di una lettera che conosce molto bene. Credo che la traduzione in giapponese sia simbolo in qualche modo del dolore di Héléne: la donna prova veramente i sentimenti descritti nella lettera, ma non si sente totalmente compresa dal marito. Non si sente ascoltata e valorizzata e soffre molto per questo, anche se ama follemente. 
... ma il caro Hervé non c'è praticamente mai...

Secondo me questa storia permette al lettore di capire che tra amore e passione vi è un'enorme differenza.
La passione, più che un sentimento, è un'emozione violenta e improvvisa, strettamente collegata alla corporeità. La passione è riferita agli intensi sguardi tra Hervé e la giapponese. A Hervé piace soltanto la bellezza fisica della giovane giapponese ma in realtà non la conosce e non ha mai sentito la sua voce. (In tutto il libro non c'é mai un dialogo tra loro due... ). La passione si limita quindi soltanto alla contemplazione della bellezza fisica.

L'amore è qualcosa di molto più profondo. E' certamente attrazione fisica, ma non si limita soltanto a questo aspetto. E' un sentimento di affetto sincero. E' vero dialogo con l'alterità. E' la voglia di stringere forte forte tra le proprie braccia la persona amata nei momenti di difficoltà e di dolore, è il desiderio di condividere un progetto di vita... è la scelta di affidare il proprio futuro nelle mani dell'altro
E io penso che non ci sia nulla di più bello e di più desiderabile al mondo!

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