23 maggio 2016

Il tema della solitudine:


Da tempo ci sto riflettendo. Vi propongo un percorso relativo a questa interessante tematica toccando due discipline: la storia dell'arte e il cinema.
Parto dall'arte e da alcuni dipinti realizzati nella seconda metà del XIX secolo.

EDGAR DEGAS, "L'ASSENZIO":



Al di là della prospettiva obliqua secondo cui sono orientati i tavolini di marmo, si notano due personaggi trasandati: dinanzi alla donna vi è il bicchiere verde dell'assenzio, davanti al barbone invece c'è un calice di vino. Notate soprattutto le loro espressioni: entrambi hanno lo sguardo perso nel vuoto. E' vero, sono seduti l'uno accanto all'altra ma non comunicano, immersi entrambi in una solitudine da cui non riescono ad emergere. Una solitudine che in questo caso porta anche alla depressione, o meglio, ad un'incapacità di interessarsi all'altro e di intessere un dialogo con la persona che si trova accanto. L'atmosfera è pesante, il locale appare squallido e per nulla lussuoso. Il grigio chiaro dei tavolini e degli specchi al di sopra della lunga panca di legno comunica una sensazione di freddezza, di alienazione.


VAN GOGH, "INTERNO DI UN CAFFÈ DI NOTTE":


Il tema qui è molto simile. Colpisce molto innanzitutto il giallo vivo del pavimento, riconducibile al colore di un campo di grano in piena estate. Le lampade appese al soffitto sembrano quasi emanare una luce accecante, troppo chiara e luminosa. Poi, il verde olivastro del tavolo da biliardo e del bancone pieno di bottiglie sullo sfondo. L'atmosfera del locale è pervasa da una sonnolenza che costringe al sonno i clienti del locale, mentre il padrone del bar veglia in piedi, di fronte al tavolo da biliardoe soprattutto, impotente di fronte a quella solitudine che induce gli altri uomini al silenzio e allo stordimento.


DAVID FRIEDRICH, "VIANDANTE SUL MARE DI NEBBIA":


Torniamo al primo Ottocento. 
In quest'opera, un uomo si staglia in controluce su un precipizio roccioso mentre nella mano destra impugna un bastone da passeggio. Egli è solo e sta contemplando assorto il panorama avvolto da un sottile strato di nebbia che copre le fredde acque del mare sottostante. Sullo sfondo si ergono le cime dei monti imponenti, che sembrano sfiorare un cielo che si tinge dei colori della luce dell'alba.
Il viandante è certamente il simbolo del personaggio romantico, irrequieto, tormentato, alla ricerca dell'infinito rappresentato dall'orizzonte in lontananza. Egli ammira la grandiosità della Natura e, nel farlo, prende atto della sua limitatezza e della sua finitezza.
In questo caso, la solitudine non porta allo stordimento dei sensi né all'incomunicabilità, bensì alla riflessione sulla realtà della natura umana, costituita da caducità, piccola e impotente di fronte alla magnificenza degli elementi naturali e di quei fenomeni atmosferici che l'intelletto umano non è in grado di gestire.


ERNEST LUDWIG KIRCHNER, "MARCELLA":


Termino l'excursus artistico con un dipinto tedesco del 1910. 
La ragazza che vedete in primo piano era una modella e per un periodo aveva vissuto un legame sentimentale con Kirchner. Anche qui, l'atmosfera della stanza è opprimente e angusta. Domina un verde acceso, troppo acceso e troppo marcato da contorni e da righe nere (nel caso del vestito di Marcella).
La giovane, immersa nei suoi cupi pensieri, ha gli occhi socchiusi che rivelano la stanchezza e l'assurdità del vivere. E' una figura sciatta, priva di energie, pare quasi rassegnata di fronte al male del mondo. Nei suoi occhi non c'è una scintilla di speranza né di fiducia in se stessa.
In questo caso, la condizione della solitudine porta la protagonista del dipinto all'apatia, fisica e mentale.


Anche in ambito letterario ci sarebbero molti esempi da portare. Ad ogni modo, passo agli esempi in cinematografia. Menzionerò un po' di situazioni in modo sommario e non troppo approfondito. Cercherò comunque di essere il più espressiva possibile!

"Tempi moderni", Chaplin: Per chi non avesse letto la mia recensione su questo film, ecco il link: (http://riflessionianna.blogspot.it/2014/03/tempi-moderni.html). 
E' molto toccante la scena in cui la monella, dopo essere fuggita dall'orfanotrofio, cammina sola e affamata per le strade della città, con i suoi vestiti logori e con un'espressione stanca e malinconica. E' sola, senza nessuna guida, senza nessun punto di riferimento, addolorata per la morte del padre, porto sicuro anche in una quotidianità caratterizzata da innumerevoli fatiche e sacrifici.
In quella scena del film, la ragazza diviene disperatamente consapevole di essere piccola e fragile di fronte a un mondo che l'ha privata troppo presto dei genitori. E' diventata una giovane vagabonda costretta a far fronte alla durezza della vita.

"I quattrocento colpi", Truffault: Il link per visualizzare la recensione è questo: http://riflessionianna.blogspot.it/2015/03/i-400-colpi-la-cattiveria-degli-adulti.html.
Prestate attenzione alla scena finale: Antoine scappa dal riformatorio e corre, corre, corre verso il mare. Quando raggiunge la spiaggia si ferma e si volge indietro. Il suo sguardo è penetrante: negli occhi del ragazzino vi è sia una profonda inquietudine per ciò che è ignoto, sconosciuto e imprevedibile (il futuro) sia una piccola luce di speranza. La fuga per Antoine è sinonimo di libertà, libertà da un mondo meschino governato da adulti insensibili. Però, nel momento in cui egli diviene libero, sperimenta la solitudine. Quella solitudine che lo costringe a interrogarsi sul suo avvenire. Così si chiude il film. Non lo prendono, non lo prenderanno mai. Perché è corso troppo lontano, con quella tenacia giovanile che invita a reagire alla tristezza del presente.




"Corri, ragazzo, corri", Danquart:  Vi sarete probabilmente stancati di vederlo, comunque lo inserisco per scrupolo metodico: http://riflessionianna.blogspot.it/2015/10/corri-ragazzo-corri-pepe-danquart.html.
Jurek/Joram è solo, per la maggior parte del film: tristissima è la scena in cui si accorge di essere rimasto da solo nella foresta, dopo che i militari nazisti hanno catturato i suoi amici. E' solo quando, sdraiato su un tappeto di foglie, ascolta la melodia della pioggia che cade bagnando il terreno. E' solo quando corre attraverso i campi della Polonia per sfuggire agli spari dei soldati che vogliono catturarlo. E' solo quando scopre, a soli 12 anni e davanti ad uno specchio, che gli è stato amputato un braccio. Poverino! 
E' spesso da solo. La sua solitudine però, anche nelle situazioni più disperate, lo sprona a continuare la sua ammirevole e determinata battaglia per rivendicare il suo posto nel mondo, il suo diritto ad esistere senza essere odiato né discriminato. Il suo diritto all'amore e al calore di una famiglia. Il suo diritto a ricevere un'istruzione (che poi di fatto avrà e che sarà per lui fonte di enormi soddisfazioni).

"La grande bellezza", Sorrentino: Anche qui, ciò che è riconducibile al tema di una solitudine "positiva" è ciò che accade all'ultimo minuto. Me lo ha fatto capire il mio migliore amico con una bella e interessante riflessione. Siamo davvero in ottimi rapporti, con quel ragazzo posso intessere stimolanti discussioni culturali, soprattutto per quel che riguarda l'ambito del cinema e della letteratura. Il cinema è la sua folle passione.
Ad ogni modo, eccovi alcune frasi di un suo messaggio Whatsapp (tanto per farvi capire quanto è intelligente!) : "... E' vero, non è un ritratto fedele della Roma bene, ma non era quello l'obbiettivo. Semmai era rappresentare, almeno secondo me, la storia di un uomo infelice perché inetto e che si circonda di un nulla progammato perché il vero nulla gli fa paura. La grande bellezza di cui parla il film è la rinascita interiore, un'epifania alla Joyce."

Il finale è proprio una presa di coscienza da parte del protagonista di aver vissuto un passato all'insegna della mondanità e della vuotezza di valori. Solo alla fine infatti, il protagonista, senza la compagnia di nessuno, osserva l'alba romana con uno sguardo aperto, quasi meravigliato. Come se le prime luci del giorno fossero in grado di dargli quella forza necessaria per poter riemergere dall'ipocrisia, dalla superficialità e dalla mancanza di valori.

Eccole qui, le varie sfaccettature della solitudine, che, in fin dei conti, non è sempre una condizione negativa, almeno a mio avviso. A molte persone la solitudine fa paura dal momento che le costringe a mettersi in contatto con le proprie fragilità e con le proprie debolezze.
Gli attimi che trascorriamo da soli ci costringono a dubitare di noi stessi e a pensare al fatto che bisognerebbe vivere il presente in funzione del futuro.

La vita si costruisce giorno per giorno. Le relazioni si inventano giorno per giorno.








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