22 luglio 2016

Gli eroi omerici e Pirandello:


A distanza di millenni, certe tematiche letterarie che riguardano la vita umana si ripetono.
E' vero, in Pirandello non compare il tema dell'onore in battaglia; però, nella mentalità culturale della Grecia arcaica (VIII-VI secolo a.C. ) qualcosina che ricorda le sue teorie sull'identità dell'individuo c'è.
Leggete pure!

GLI EROI OMERICI:

Alla fine della guerra di Troia, i soldati di Agamennone compiono un lungo e travagliato viaggio di ritorno. Le loro navi percorrono le vaste e misteriose vie del mare infinito e rumoreggiante, tagliano le onde ma, subito dopo il loro passaggio, l'acqua si richiude e la loro scia viene cancellata.
Ma il solco della vita di un eroe non deve sparire come quello delle navi. Un eroe sa benissimo di dover lasciare un ricordo dietro di sé, in modo tale che le generazioni future vengano a conoscenza un giorno delle sue valorose e gloriose imprese.
Ci sono due parole che in greco antico esprimono il concetto di gloria: δòξα e κλέ.
Ho riflettuto molto sui loro significati e credo che la differenza concettuale sia questa: devo innanzitutto essere molto precisa, dal momento che δòξα ha come primo significato "opinione", come secondo "fama" e come terzo "gloria".
A mio avviso la δòξα è la fama che perdura nel tempo, una sorta di venerazione che i combattenti ottengono dopo la morte. Ci sono arrivata soprattutto riflettendo sul significato di "opinione": l'opinione è strettamente legata al "ritenere qualcosa". Dunque, la gloria che probabilmente gli antichi greci intendevano esprimendosi con questa parola, si riferiva per lo più al ricordo molto positivo che un eroe aveva lasciato di sé dopo la sua morte. Attraverso il ricordo, dunque, essi onoravano un uomo comunemente e pubblicamente ritenuto valoroso per aver compiuto certe azioni. Io penso ad Ettore, giovane uomo che ha sacrificato se stesso per difendere la città di Troia. L'Iliade si conclude con il compianto del popolo troiano sul corpo di Ettore:

"Per nove giorni portarono legna infinita:
 e quando la decima aurora, luce ai mortali, comparve, 
portarono fuori Ettore audace, piangendo,
 e posero il corpo in cima al rogo e attaccarono il fuoco. 
Ma quando figlia di luce brillò l'Aurora dita rosate,
il popolo si raccolse intorno al rogo di Ettore luminoso;
e come convennero e furono riuniti,
prima spensero il rogo con vino scintillante,
tutto, là dove aveva regnato la furia del fuoco: poi
raccolsero le ossa bianche i fratelli e i compagni,
piangendo: grosse lacrime per le guance cadevano."

(Iliade, libro 24, vv.784 - 794)

E ora ritorniamo ai soldati dell'esercito dell'autoritario e dispotico Agamennone: ciascuno di loro durante quel sanguinoso conflitto, ha raggiunto la sua parte di gloria. 
κλέdunque è la gloria che un uomo ottiene soltanto se si impegna, durante i combattimenti, a lottare con tutte le proprie forze, come se ogni sua azione fosse l'ultima. E', almeno così credo io secondo quello che ho studiato e pensato, una sorta di onore che un guerriero ottiene dopo aver combattuto strenuamente. Il κλέ permette all'eroe di ricevere un dono che tutto il popolo gli riconosce pubblicamente mentre egli è ancora in vita: può trattarsi di una prigioniera divenuta schiava, di cavalli, di un'armatura o di oggetti preziosi. Il dono è la primizia che si concede ad un uomo che si è molto distinto dagli altri.

Per molto tempo l'epica omerica è stata tramandata oralmente dagli aedi attivi negli ambienti di corte. Nessun filologo sa esattamente quando la civiltà greca abbia deciso di fissarla per iscritto; il fatto è che il linguaggio dell'epica è molto composito, costituito da vari dialetti; in particolare da coloriture ioniche ed eoliche. Io a scuola ho studiato l'attico, variante dialettale che caratterizza commedie, tragedie, opere filosofiche e alcune importanti opere storiografiche.
Non è un caso che al liceo classico ci facciano studiare l'attico, dal momento che esso aveva assunto la funzione che molti secoli dopo il toscano ha avuto nella storia della lingua italiana. 
Come il toscano nella cultura italiana, così l'attico nella cultura greca si è diffuso nelle varie regioni e colonie, al punto tale che, già a partire dalla metà del V secolo a.C., veniva utilizzato come lingua scritta che poteva essere compresa da tutte le persone istruite. L'attico nell'antica Grecia e il toscano nell'Italia dei secoli scorsi convivevano comunque con i dialetti parlati nelle varie zone.
Ad ogni modo, le tragedie attiche si ispirano al repertorio contenutistico presente nei poemi omerici e talvolta lo modificano.
Tutto questo discorso per specificare anche che, nella civiltà greca, è essenziale tramandare perché gli eroi non sono come sentono di essere dentro di loro ma come gli altri li vedono e come la voce del popolo dice che siano. Essi non sono quindi mai soli con se stessi, su di loro incombe sempre il timore di venire criticati e disonorati. Vivono sotto lo sguardo e attraverso gli occhi degli altri.
E' proprio a partire da qui che si possono ricordare le riflessioni filosofico-letterarie di Pirandello.

PIRANDELLO E L'IDENTITA' UMANA INDEFINITA E MUTEVOLE:

"Noi siamo come i poveri ragni, che per vivere hanno bisogno d'intessersi in un cantuccio la loro tela sottile, noi siamo come le povere lumache che per vivere han bisogno di portare a dosso il loro guscio fragile, o come i poveri molluschi che vogliono tutti la loro conchiglia in fondo al mare. Siamo ragni, lumache e molluschi di una razza più nobile -passi pure- non vorremmo una ragnatela, un guscio, una conchiglia, passi pure, ma un piccolo mondo sì, e per vivere in esso e per vivere di esso. Un ideale, un sentimento, un'abitudine, un'occupazione-ecco il piccolo mondo, ecco il guscio di questo lumacone o uomo, come lo chiamano. Senza questo è impossibile la vita."

(L. Pirandello, "Epistolario familiare giovanile")

Queste poche righe fungono da introduzione alla concezione della vita di questo, a mio parere, geniale scrittore: noi umani siamo come i ragni che intessono una tela, dal momento che pensiamo a dei progetti di vita. Proveniamo da esperienze passate, viviamo in un tempo presente che scorre incessantemente, che sembra quasi inafferrabile. Ma questo stesso presente non avrebbe significato se non pensassimo mai a dei progetti per l'avvenire. Siamo anche lumache che portano sulle loro spalle i fardelli dell'esistenza, umiliazioni, offese, dolori, fatiche. E infine, siamo molluschi bisognosi di sicurezza e anche di desideri.
Continua così:
"Quando tu riesci a non avere più un ideale, perché osservando la vita sembra un'enorme pupazzata, senza nesso, senza spiegazione mai; quando tu non hai più un sentimento, perché sei riuscito a non stimare, a non curare più gli uomini e le cose, quando tu, in una parola, vivrai senza la vita, penserai senza un pensiero, sentirai senza cuore, allora tu non saprai che fare: sarai un viandante senza casa, un uccello senza nido."

Alla radice dell'opera pirandelliana si individua una percezione piuttosto netta del dolore e dell'insensatezza della condizione umana. Per Pirandello c'è un enorme scarto tra apparenza e realtà. Il vivere sociale è visto dunque come "un'enorme pupazzata": l'individuo recita delle parti che la società gli impone e dunque si adatta ad essere e a pensarsi come gli altri lo vedono, lo vogliono e lo pensano. Però rimane di fatto un infelice, dal momento che sente nel suo animo di non essere davvero come gli altri lo vedono. L'essere umano inoltre è mutevole non soltanto nell'aspetto fisico ma anche nelle opinioni, nei gesti e nei valori: egli assume dunque delle maschere che variano nel tempo.

Se l'individuo prova a rinnegare le proprie identità condivise e prova a togliersi le maschere egli si ritrova emarginato e diviene dunque un "forestiere della vita", proprio come Mattia Pascal.
(http://riflessionianna.blogspot.it/2012/06/il-fu-mattia-pascal-l-uomo-che-visse.html)
E' il link di una mia recensione di alcuni anni fa, fatta piuttosto bene, anche se avevo soltanto 16 anni e le mie conoscenze di letteratura italiana si fermavano ad Angelo Poliziano.
Avevo scritto che il protagonista del romanzo riesce a fingersi morto per fuggire dal proprio presente e da una quotidianità frustrante, ma, vivendo in completa solitudine e sotto falso nome, si allontana dalle relazioni. In effetti, nelle condizioni di Adriano Meis, è impensabile poter vivere felicemente. Egli reinventa addirittura il suo passato, perde i legami familiari e sociali e così dunque diviene estraneo persino a se stesso.
L'avevo scritto, Mattia/Adriano vive nell'illusione della libertà perché non gode più di diritti civili. Libertà non è "sparire" dal mondo, è compiere delle scelte assumendosi le proprie responsabilità ed essendo disposti anche a pagarne le conseguenze.
Significativo è il titolo di un'altra opera: "Uno, nessuno, centomila". Il protagonista, Vitangelo Moscarda, da un banale fatto quotidiano coglie l'occasione per riflettere sui contrastanti modi con i quali ognuno di noi percepisce la realtà. E' un romanzo sulla disintegrazione dell'io, che crede di essere uno ma in realtà è centomila individui, tanti quanti sono i momenti e le circostanze in cui si trova. In fondo in fondo, l'individuo non è nessuno, dal momento che non è dotato di un'identità chiara e ben definita.

D'altra parte, ora che ci penso: anche gli eroi omerici non sono costituiti da un'identità univoca. Assumono diversi atteggiamenti a seconda delle situazioni in cui si trovano: Achille, come dicevo all'inizio del mese, è premuroso e sensibile con Patroclo, feroce, sanguinario e aggressivo in battaglia.
Agamennone si manifesta sovrano dispotico, arrogante ed egoista con il suo esercito, ma la sua personalità si addolcisce quando si trova con il fratello Menelao.

Io però, sebbene concordi pienamente con le teorie pirandelliane, non ritengo un dramma il fatto che la personalità umana sia mutevole e molteplice. Anzi... considerare ciò può essere uno stimolo ad impegnarci nella nostra quotidianità per dare agli altri la migliore immagine di noi stessi.
Le maschere che fanno davvero male non sono tanto quelle imposte dalla società e dalle consuetudini di vita, quanto piuttosto quelle costituite da grosse menzogne che un individuo dice agli altri, tradendo anche la fiducia delle persone che lo stimano. Una persona falsa è fatta di un'infinità di maschere... inganna gli altri ma soprattutto si inganna da sola.
Sì, senza ideali e senza valori la vita è grama, ma senza l'amore la vita non è vita... è una disperazione, è un abisso buio. Chiunque può amare, se vuole.

Il dramma della vita umana a mio avviso semmai è la fugacità e la precarietà dell'esistenza.
Io credo che siamo un po' tutti come Landon Carter: in perfetta solitudine contempliamo il tramonto del sole e ricordiamo, con una lacrima e un sorriso, coloro che ci hanno lasciato... e che non abbiamo mai smesso di amare.

Avremmo pure centomila sfaccettature, ma se la vita non fosse costituita anche da quei momenti di contemplazione e di solitudine, rischieremmo di impazzire. Almeno io sicuramente impazzirei, dal momento che la mia personalità esige ogni giorno che io "mi rigeneri" interiormente trascorrendo dei momenti da sola. 






11 luglio 2016

"Non chiedere perché"- Franco Di Mare/ Ventunesimo anniversario della Strage di Srebrenica:


Per commemorare la durata della guerra in Bosnia (aprile 1992- novembre 1995) e il ventunesimo anniversario della Strage di Srebrenica, riporto i passi più significativi di questo romanzo, quelli che invitano il lettore a riflettere seriamente e malinconicamente sulle atrocità e sulle assurdità della violenza.
Da questo libro è stata tratta anche la stupenda minifiction "L'angelo di Sarajevo",  trasmessa su Rai Uno nel gennaio 2015.

Il romanzo racconta una storia vera; la storia di Marco, un bravissimo giornalista che è appena stato lasciato dalla moglie dopo quattro anni di matrimonio in cui lei continuava a lamentarsi delle sue frequenti assenze, dovute al lavoro che svolgeva.
All'inizio del libro, Marco appare semi-depresso: è l'estate del 1992, si trova solo in casa davanti alla televisione, pieno di malinconia e di risentimento.
Egli in effetti vive dei ricordi del suo matrimonio fallito.
Ad un tratto, il caporedattore gli lancia una proposta folle, accattivante: partire come inviato di guerra in Bosnia.
Marco accetta di andare, dal momento che in Italia non crede di aver nulla da perdere.
Accompagnato da Luciano, un vivace fotografo, egli inizia la sua avventura in una regione che, già nel luglio 1992, a soli tre mesi dall'inizio della guerra, è distrutto dalle granate e dai bombardamenti.

"Il bilancio della guerra, alla fine di giugno, a tre mesi dall'inizio del conflitto, registrava 350.000 profughi, oltre 30.000 dispersi, 7200 vittime di cui oltre 700 bambini. I feriti erano 25.000, oltre la metà dei quali aveva subito l'amputazione di un arto. Il venti per cento di questi erano bambini."

E tutto questo soltanto in Bosnia, tenetevelo in mente.

Una mattina, in seguito ad una pioggia di granate sull'orfanotrofio di Sarajevo, Marco ha modo di vedere per la prima volta Malina, una bambina di dieci mesi.
Il loro primo incontro fa venire i brividi, anzi, mette una strana sensazione nell'animo. Coinvolge, indubbiamente.

"(...) La prese in braccio. La fece sedere sull'avambraccio, tenendola per le gambe, di modo che non cadesse all'indietro: era un po' scomodo ma gli sembrava di ricordare di aver visto fare proprio in quel modo. (...) Con attenzione la spostò appena un po' dal suo corpo: venti, trenta centimetri, quel tanto che bastava per ottenere un'inquadratura autonoma. Fu in quel momento che la bambina allungò il braccio. Fu forse un gesto istintivo, forse lo fece perché si sentì in equilibrio precario. O forse fu qualcos'altro. Ma quel braccio gli si infilò piano dietro il collo e sembrò tirarlo a sé, come se volesse abbracciarlo."

Subito dopo quella specie di abbraccio nasce l'idea di adottarla. E il nostro Marco, sfidando il terribile caos in Bosnia e le complicazioni burocratiche, ci riuscirà.

Da precisare che Marco è in realtà lo stesso Franco Di Mare.
Proprio Franco Di Mare è stato inviato di guerra in Bosnia negli anni Novanta, quando ha deciso di adottare una bambina che ora è una ragazza di venticinque anni.
Lo ammiro molto, ha davvero un cuore d'oro!


RIFLESSIONI SULLA NATURA DELLA GUERRA:

1) Violenza sulle donne.
"Nessuno sembrava far più caso all'orrore, né in Bosnia né altrove. Nell'indifferenza generale, l'Onu aveva denunciato l'esistenza di stupri etnici. La notizia era finita sulle pagine interne dei quotidiani, ma in basso, schiacciata dall'annuncio del primo esodo estivo. Le milizie serbe facevano prigioniere donne bosniache e le davano in pasto a sotto ufficiali e soldataglia che le violentavano per settimane. Le rilasciavano quando rimanevano incinte, ma solo dopo in quinto mese, così non potevano più abortire. Nel frattempo, già che c'erano, continuavano a stuprarle. Una volta tornate a casa, molte di loro si toglievano la vita, incapaci di sopravvivere agli incubi."

Non esiste porcata peggiore, almeno a mio avviso. La violenza sulle donne è l'aspetto peggiore che possa accadere in una guerra. La conseguenza più deleteria che un conflitto possa mai portare. La più grave violazione della dignità individuale. Che schifo!


2) La religione come pretesto.
"La propaganda dice che i serbi a Sarajevo combattono contro i musulmani. Questo non è vero. I serbi a Sarajevo combattono contro i serbi. I serbi sostenitori del cosmopolitismo e della civiltà combattono contro i serbi che vengono dalle campagne e sostengono il nazionalismo. Quella che si combatte a Sarajevo, in realtà, è una guerra tra due idee, quella cosmopolita e quella nazionalistica."

La religione viene utilizzata al fine di spezzare un'armonia che per molto tempo ha caratterizzato lo stile di vita di popoli che convivevano pacificamente, senza prestare particolare attenzione al fatto di essere cattolici, musulmani, ortodossi.
La religione, nel corso del Novecento, è stata spesso utilizzata come pretesto per fomentare l'odio razziale, per avviare tremendi conflitti etnici e per affermare la presunta superiorità di un popolo su un altro. E così, sono saliti al potere individui diabolici, pericolosi, imbottiti di pregiudizi, capaci di seminare rancori di ogni sorta, di stimolare le contese, di esasperare gli animi con le loro assurde teorie sulle "razze pure".

 Vi rendete conto a che punto è arrivata la storia dell'umanità?

E' possibile pensare a Dio dopo orrori di questo genere? Non lo so. Ho fatto delle ipotesi tempo fa su questo blog, a favore della teoria del libero arbitrio, ma è una "soluzione" che non sempre mi convince.
In che modo e fino a che punto Dio interviene nelle vicende umane? Ci considera marionette oppure umani dotati di intelligenza e di libertà di scelta? Voleva davvero la morte di tutte quelle persone innocenti? Se è vero che Egli guida tutti gli uomini nel cammino della vita, perché ha permesso a gente come Milosevic e Mladic di creare un clima infernale in quelle zone vent'anni fa?
Ma è veramente un Dio che ci lascia davvero liberi oppure è un Dio debole? O è un Dio che, dopo aver sacrificato il Figlio sulla croce e dopo averlo fatto ascendere al cielo, ragiona così: "Bene, ho mandato mio Figlio ad indicarvi la retta via, a insegnarvi l'amore e la carità fraterna, ora arrangiatevi" e se ne sta chissà dove a osservare i disastri che ancora oggi accadono, le sofferenze che molte persone devono patire? Ma che cosa significa veramente la frase:"Dio parla al nostro cuore?"
In che senso?  Sarcasticamente parlando, non credo proprio che Dio si sia messo in contatto con il cuore di Milosevic o peggio, con quello di Mladic...
Molti sacerdoti negli ultimi anni cercano di convincere noi giovani di questo, ma non ci spiegano mai come Dio possa mettersi in contatto con noi. A me Dio non sussurra nulla, non lo sento, non ho mai sentito la sua voce. Magari si manifesta nella luce degli occhi di certe persone, o nelle loro buone azioni quotidiane, o nei loro gesti di solidarietà.
Queste sono domande e pensieri che mi frullano spesso per la testa ultimamente.

Le guerre dividono. L'odio che esse portano si protrae anche dopo la fine dei bombardamenti e delle sparatorie. Anzi, si potrebbe dire che l'odio diviene diffidenza, sospetto verso l'altro, risentimento.
La Bosnia ora è praticamente uno Stato-Nazione, nel senso che vivono soprattutto bosniaci di religione musulmana. I pochissimi serbi che vi risiedono sono malvisti.  Mentre, fino al 1990, Sarajevo era una capitale multiculturale, animata da individui con origini differenti. Ora invece, dopo la ricostruzione, è diventata una città in cui soltanto i bosniaci possono riconoscersi.


3) Il passato storico dei popoli:

"Quei bambini e quelle bambine bionde, con gli occhi chiari, erano la migliore risposta all'Accademia delle Scienze di Belgrado, che parlava di turchi quando si riferiva ai musulmani di Bosnia, come se la dominazione ottomana avesse causato la sostituzione in massa delle genti slave con quelle di Istanbul. E invece i musulmani di Bosnia erano i discendenti dei Bogomili, cristiani di radici slave che si erano insediati nel Sud dell'Europa dell'Est mille anni fa, dunque cinquecento anni prima che l'Impero Ottomano occupasse quelle terre. I turchi tanto odiati da Milosevic, da Mladic e da tutto l'armamento paranazista che li accompagnava non erano nient'altro che slavi convertiti all'Islam durante la dominazione ottomana".

Questa è la riflessione di Marco quando per la prima volta percorre i corridoi dell'orfanotrofio.
"I turchi tanto odiati da Milosevic, da Mladic e da tutto l'armamento paranazista che li accompagnava non erano nient'altro che slavi convertiti all'Islam durante la dominazione ottomana."
Non esistono le "nazioni etnicamente compatte", non sono mai esistite. Come la Francia non è popolata da soli francesi e come in Italia non vivono soltanto gli italiani, così nell'intera Jugoslavia, negli anni Novanta, non vivevano soltanto i serbi ortodossi e i matrimoni misti erano praticamente all'ordine del giorno.

Il nazionalismo aggressivo, le idee di presunta purezza e superiorità dei serbi, la guerra, le granate sui bambini, le sparatorie, le battaglie... eccoli qui quei lampi che hanno squarciato la chiarezza di un cielo limpido.
 


SREBRENICA, LUGLIO 1995:

Proposta per voi. Riporto qui la mia poesia "Addio, ragazzo". E' vero, molti di voi la conoscono bene, però provate a leggerla molto lentamente, mettendo come sottofondo "River flows in you"- basta premere play al centro di questo video.
Io ci ho provato e mi sono venute le lacrime agli occhi ancora, nonostante siano passati poco più di due anni dal giorno in cui l'ho scritta.





Addio, ragazzo!
I tuoi grandi occhi
luminosi
come le stelle
che rischiarano la notte,
non vedranno
mai più
i dolci colori del tramonto,
i delicati petali
di piccoli fiori,
gli amabili volti
delle persone care.

Addio, ragazzo!
Il tuo corpo
ora trema
come una foglia
scossa
con violenza
da un gelido vento autunnale
e subisce
le ingiurie
di mani impietose e implacabili.

Addio, ragazzo!
Le tue braccia
non potranno
mai più
stringere
le persone che ami.

Addio, ragazzo!
Del tuo limpido sorriso
non godrà più
la brillante luna
che risvegliava
i tuoi innocenti desideri.

Addio, ragazzo!
I tuoi sogni
svaniranno
per sempre
come una leggera nube
di fumo
che si solleva
verso l'alto cielo
e si dilegua nell'aria.

Addio, ragazzo!


Ciao, fiorellini. 
Già 21!
Siete stati massacrati dalla follia di efficienti mitragliatrici, dall'odio insensato e ingiustificato di quei nazionalisti che vi hanno sottratto alle vostre famiglie. Eravate molto giovani quando siete stati uccisi. Avreste potuto studiare, laurearvi, diventare ingegneri, architetti, avvocati, operai, idraulici. Avreste potuto sedervi al bar o in qualche ristorante con i vostri coetanei serbi e croati, in pace e in amicizia. Avreste potuto sposarvi, prendere in braccio i vostri figli, accarezzare i genitori anziani.  Ma la storia è terribilmente ingiusta. 
Siete sottoterra, anzi; o siete chiusi in bare anguste oppure siete dispersi nelle fosse comuni. E questo è maledettamente ingiusto!
Addio, fiorellini! Che tutta l'umanità non vi dimentichi.



Mladic è in carcere ora e ci resterà fino alla fine dei suoi giorni, ma ancora non si è reso conto di ciò che ha ordinato di fare in quel giorno maledetto, esattamente 21 anni fa; al punto tale che sostiene ancora: "Erano dei bosniaci musulmani, dovevano essere eliminati".


Srebrenica
Eccola qui, Srebrenica nel 2016. Una cittadina tranquilla, circondata dal verde delle colline.
Con casette e condomini che ricordano un po' quelli del Nord Europa. Con quelle cupole coniche, sottili e alte... ma con una ferita profonda e con famiglie distrutte, dal dolore e dall'assurdità di quel genocidio.

Questa commemorazione passerà per lo più inosservata, ma la Strage di Srebrenica è stata l'evento più orribile che sia mai accaduto dopo la seconda guerra mondiale. E' un evento recentissimo, "vecchio" quasi quanto me, eppure sembra quasi che l'Europa tutta si sia già dimenticata di quegli 8372 bosniaci musulmani assurdamente trucidati. Sembra quasi che nessuno voglia ricordarli. Perché risulta troppo doloroso o forse addirittura, risulterebbe troppo assurdo il solo pensiero.

La mia filosofia della storia è sempre la stessa, da qualche anno ormai: ricordare il passato per riflettere sul nostro presente, al fine di rendere migliore il futuro.






6 luglio 2016

L'ambientazione nell'arte:


Ambientazione, occhio. Non mi riferisco ai paesaggi, la questione è leggermente diversa.
Non sta bene confondere "ambiente" con "paesaggio".
In geografia ho studiato che la parola "paesaggio" deriva dal latino "pagus", ovvero, "villaggio". Dunque, è molto facile collegare il termine "paesaggio" con l'idea di "mondo contadino", "luogo campestre". Per molti secoli è stato considerato soltanto il paesaggio rurale.  In realtà, è importante sapere che esiste anche il paesaggio urbano, entità costituita da molteplici significati, economici, politici, sociali, culturali e spirituali.
Basti pensare a New York, città multiculturale in cui molti popoli diversi si incontrano; oppure a Gerusalemme, città santa ma tormentata da conflitti che persistono tra le diverse confessioni religiose.
Preciso che queste riflessioni non sono farina del mio sacco. Io le ho studiate, però sono le considerazioni del geografo francese Armand Fremont.
Mi piace molto la definizione che il mio vecchio Garzanti dà della parola paesaggio: "aspetto di un luogo quale appare abbracciandolo con lo sguardo".
Il paesaggio va ammirato, contemplato, immaginato, sognato. Sia che venga rappresentato nella pittura o nella poesia, sia che venga visto nella realtà durante una crociera o un'escursione in montagna.
La parola ambiente è invece legata all'etimo latino "ambire", ovvero, "circondare". Ne consegue quindi che, come precisa il Garzanti, "l'ambiente è lo spazio in cui si vive". L'umanità e tutte le altre specie viventi, ciascuna secondo le proprie capacità, sono infatti chiamate a partecipare all'ambiente.
Paesaggio e ambiente sono ciò che circonda un essere umano, il punto è che il primo lo si contempla, il secondo lo si vive.
Questa introduzione era indispensabile per farvi capire lo scopo di questo post: presentare un excursus artistico chiaro e conciso al fine di analizzare i modi in cui lo spazio ove sono inseriti i personaggi di un dipinto è stato rappresentato nel corso delle varie epoche. Eccolo qui il senso geografico dell'arte!

ALTO MEDIOEVO:

Giustiniano e la sua corte, Chiesa di S.Vitale, Ravenna
Siamo nel VI secolo d.C., secolo in cui è in auge la tecnica del mosaico. Gli imperatori dell'epoca erano considerati dei tramiti tra Dio e il popolo dunque, la loro dignità era pari a quella degli Apostoli. E' molto evidente la bidimensionalità e la ieraticità, oltre che la rigida frontalità di tutte le figure, imperatori e dignitari di corte.
In questo mosaico, il fondo oro rende lo spazio irreale, rendono atemporale la presenza dell'imperatore Giustiniano.

Teodora e la sua corte, Chiesa di San Vitale, Ravenna
Nel caso di Teodora, la prospettiva della porta con la tenda scostata per permettere il passaggio dell'imperatrice appare insolito. Tuttavia, anche questo non è uno spazio verosimile, o meglio, non è un'ambientazione molto chiara: il verde intenso in basso potrebbe far pensare ad un giardino; tuttavia la tenda in alto a destra e quella semplice architettura sorretta da colonne sullo sfondo, dietro a Teodora, rendono improbabile la collocazione del corteo in un ambiente esterno.
E' difficile anche immaginare un ambiente interno, innanzitutto per la tenda a sinistra che introduce all'ingresso di una porta e poi anche per la fontanella. Anche qui sono molto evidenti la bidimensionalità, la rigida frontalità e l'inespressività delle figure umane.

Per tutto il corso del Medioevo i soggetti raffigurati nella pittura e nei mosaici sono stati tratti dalla Bibbia e dai Vangeli.
Grandi sviluppi ebbero invece l'architettura, con il Romanico e il Gotico; e la scultura monumentale come elemento decorativo all'interno delle chiese.

IL DUECENTO:

Siamo nel XIII secolo. La pittura italiana appare ancora fortemente influenzata dalla tradizione bizantina: vengono infatti rappresentati soggetti sacri collocati su fondi dorati, in modo tale da poter rendere l'idea di santità e di eternità.

Gesù entra a Gerusalemme, particolare della "Pala della Maestà"

E' una delle scene della vita di Cristo raffigurate nella parte posteriore della Pala della Maestà destinata al Duomo di Siena.
Anche qui è facile accorgersi certamente del fondo oro. Però vi invito ad osservare bene anche le strutture architettoniche. Non tutte risalgono all'epoca in cui Gesù era vissuto!! Per esempio la cupola con tiburio sullo sfondo, che voleva essere un omaggio alla cattedrale di Siena e nulla ha a che fare con gli edifici della Gerusalemme di milleduecento anni prima. Anche il resto delle architetture richiama maggiormente all'epoca medievale più che all'età antica.

L'EVOLUZIONE DI GIOTTO:

Si calcola che fosse nato nel 1265 e che quindi avesse realizzato intorno al 1290 gli affreschi della Basilica superiore di Assisi e le storie di San Francesco, santo vissuto a cavallo tra XII e XIII secolo.
S. Francesco dona il mantello ad un povero
Sullo sfondo si intravede un paesaggio roccioso, caro alla tradizione bizantina. Gli edifici e le architetture appaiono quasi "conficcate" nelle rocce.

La rinuncia agli averi
Questo è uno degli affreschi più significativi, in cui si intravedono sia le architetture contemporanee a San Francesco, presenti ad Assisi; sia l'espressività dei personaggi: la devozione a Dio del giovane Francesco e l'ira del padre, con il volto contratto, gli occhi socchiusi e il pugno chiuso.
Ecco dunque l'episodio della vita di un santo collocato nella giusta dimensione temporale! E qui Giotto è già abile a creare uno spazio tridimensionale su una superficie bidimensionale.



L'OTTOCENTO:

Salto circa cinque secoli! L'arte è bellissima, ma solo se presa "a dosi moderate", come la letteratura. Altrimenti diventano una noia mortale, per voi e per me. Per questo ho selezionato molto bene le opere.

Edgar Degas, "La lezione di danza"

Degas disegna. E con molta precisione, anche! Qui egli adotta un punto di vista molto singolare, perché sembra che stia spiando la scena dal buco di una serratura.
Oltre alle pose molto naturali in cui vengono raffigurate le ballerine, è utile notare anche che la luce proviene in parte da destra e in parte dal fondo, attraverso la finestra della stanza attigua. L'ambientazione qui, sebbene interna, è molto luminosa.
Degas rispetta inoltre i principi prospettici: il punto di fuga è esterno al dipinto e la linea d'orizzonte particolarmente alta.
Il pavimento ligneo e le pareti verde-chiaro contribuiscono a dare la sensazione di osservare un ambiente reale e tranquillo, in cui regna un clima rilassato, come se si fosse giunti oramai alla fine della lezione.

Van Gogh, "I mangiatori di patate"
Il dipinto che mi è venuto in mente durante l'Expo.
Solo che non ricordo di averlo mai caricato sui miei post.
Eccoli qui, cinque contadini che consumano un pasto frugale all'interno di una casa buia e molto povera. L'oscurità della stanza è appena rischiarata dalla luce di una lampada a petrolio appesa al soffitto. L'ambientazione è sostenuta da una prospettiva approssimativa che si fonda soltanto sulla disposizione del tavolo in primo piano e sulla luce della lampada.
E' molto realistico e rende bene la misera condizione dei contadini olandesi del XIX secolo.

Paul Gauguin, "Il Cristo Giallo"

Il dipinto raffigura le donne bretoni in primo piano inginocchiate davanti ad un Crocifisso collocato nelle zone rurali della Bretagna. Il corpo di Cristo è giallo e le colline sono gialle. Questa uguale cromia sta ad indicare il profondo senso religioso delle donne bretoni, il loro attaccamento alle terre in cui vivono e il loro amore per Cristo.
Gauguin è il maggiore esponente del Simbolismo, dunque i colori dei suoi dipinti rimandano sempre a dei significati interiori e talvolta spirituali.
Il paesaggio è essenziale, semplice. Sembra autunno.

IL PRIMO NOVECENTO:

Gustav Klimt, "Ritratto di Adele Blochbauer"

Con Klimt si ritorna alla bidimensionalità. Il fondo oro di quest'opera ricorda molto i mosaici di Roma e di Ravenna di molti secoli prima. L'abito della signora è costituito da motivi ad occhi entro triangoli, quadrati e spirali. Motivi che sembrano fondersi o confondersi con le girali dei braccioli della poltrona e con le decorazioni dello schienale. Qui ovviamente, l'ambientazione non è realistica.

Matisse, "La stanza rossa"

Altro dipinto bidimensionale. I colori primari (blu, rosso e giallo) risultano le tinte dominanti. La parete della stanza sembra confondersi con il colore della tovaglia: meno male che invece sono separati da una linea! Notate che tra l'altro il motivo decorativo ad anse blu è presente sia sulla tovaglia che sulla parete!
Una grande finestra a sinistra lascia intravedere ciò che sta al di fuori della dimora: un prato verde  e degli alberi in fiore.

Gino Severini, "Ballerina in blu"

L'ho messo nella mia tesina di maturità. Anche qui, la concezione dello spazio risulta davvero molto interessante.
E' un dipinto un po' cubista e un po' futurista. Tipica del cubismo è l'applicazione di brillantini (le paillettes) sulla superficie, in questo caso, sul vestito della ballerina.
Futurista è il tema, anzi, il soggetto del dipinto, che non è la ballerina, bensì il dinamismo e il movimento: il corpo della ballerina infatti risulta sia frammentato sia moltiplicato nello spazio, al punto tale da confondersi con l'indefinito ambiente circostante.
Severini non presta particolare attenzione nel delineare l'ambiente, costituito da un grigio pallido simile alle rocce.

Ci sarebbe stato e ci sarebbe ancora molto altro ma... mi fermo qui, con la speranza che queste opere che ho scelto siano state esempi idonei e appropriati alla tematica del post.

E' vero, sono rimasta un po' indietro con le recensioni del film ma... con questo bel sole caldo...
voglia di accendere televisione e lettore cd saltami addosso!!!
Dovrei vederne ancora un sacco ma con questo tempo ho soltanto voglia di uscire, considerando anche che ho già fatto gli esami più impegnativi dell'anno. Sto più fuori casa che dentro, finalmente!
Però prima della fine del mese conto di presentarvi "L'eleganza del riccio", uno dei film che mi ha accompagnata durante il periodo adolescenziale.







2 luglio 2016

Achille: l'eroe un po' bambino?!


Dal momento che ieri ho ottenuto una valutazione stratosferica in letteratura greca, mi sento in dovere di "fare un omaggio online" al mio amato Achille! 💖💖

Sto un po' esagerando, ma non sono del tutto impazzita.Vi assicuro che il Pelide è uno dei miei eroi omerici preferiti! E ora ho tutto il tempo che voglio per presentarvelo.
Achille è figlio di Peleo e di Teti, ninfa marina. E' un semidio, dotato di forza e di grande talento militare, ma, nonostante tutto, destinato a una vita breve. Egli guida l'esercito dei Mirmidoni, popolo della Tessaglia.
Comunemente è conosciuto soprattutto per le sue crudeltà ed è spesso considerato un personaggio negativo, violento, brutale. E' vero, in certi casi lo è. Basti pensare innanzitutto all'etimologia del suo nome che, tradotta dal greco significa: "colui che reca dolore al popolo".
L'argomento dell'Iliade è proprio l'ira di Achille, definita con il sostantivo "μηνιν" (ménin) che indica "ira duratura".
A mio avviso, l'apice dell'ira di questo giovane eroe viene raggiunta nel XXII° libro dell'Iliade: egli infatti, dopo aver ucciso Ettore in un duello e dopo avergli forato i tendini dalla caviglia al calcagno per inserire due cinghie di cuoio, lo trascina con un carro fino all'accampamento degli Achei.
Priamo, re di Troia, padre di Ettore e testimone di questa azione oltremodo crudele, scoppia in pianto e definisce Achille un "uomo pazzo e violento".
Ecco, in questo punto i lettori hanno tutto il diritto di detestare il protagonista dell'Iliade che ha ucciso un giovane padre di famiglia e un marito molto mite.

Ettore è infatti un eroe molto positivo, valoroso in battaglia e dolce con i familiari. Il punto più commovente dell'Iliade a mio avviso è il colloquio tra Ettore e la moglie Andromaca, il loro addio praticamente. Commuove il fatto che un giovane guerriero possa essere capace di così tanta tenerezza, quando prende tra le braccia il figlio che doveva avere soltanto pochi mesi di vita: "E dicendo così, tese al figlio le braccia Ettore illustre: ma indietro il bambino, sul petto della balia, si piegò con un grido atterrito dall'aspetto del padre, spaventato dal bronzo e dal cimiero chiomato, che vedeva ondeggiare terribile in cima all'elmo. Sorrise il caro padre, e la nobile madre e subito Ettore illustre si tolse l'elmo e lo posò scintillante per terra, poi baciò il caro figlio e lo sollevò tra le braccia (...) "
(Iliade, VI, vv. 466-474)

Non ha ucciso soltanto Ettore, il focoso Achille. Ha ucciso il padre e i sette fratelli di Andromaca e ha trucidato anche gli altri figli di Priamo. Senza contare che egli era spesso a capo di incursioni finalizzate a saccheggiare le città alleate di Troia e a sterminare i loro abitanti. Si calcola che ne abbia distrutte circa 23 in dieci anni di guerra.

Allora, come mai il Pelide mi affascina?!

Perché nel primo libro dell'Iliade (che è quello che ho dovuto studiare per l'esame), non sembra negativo. Focoso, passionale, impetuoso sì, ma è solo più tardi che si rivela spietato e crudele.
Al contrario del cinico Agamennone, egli prova dei sentimenti.
Sono entrambi "cattivi", ma in modo diverso: Agamennone è egoista, autoritario, dispotico, arrogante. Achille è feroce in battaglia, impulsivo, iracondo... però capace di amore e di tenerezza verso Patroclo, compagno d'armi più giovane, e capace di rispetto verso la sua schiava Briseide.
Io lo ritengo più umano, insomma.
Il rapporto tra Achille e Patroclo è stato oggetto di diverse interpretazioni nel corso dei secoli.
Ci sono degli studiosi che lo ritengono un rapporto di profonda amicizia; mentre altri invece sono convinti della natura erotico-paideutica del loro rapporto. La pederastia greca era una relazione pubblicamente riconosciuta e accettata tra individui di età differente un uomo adulto (l'amante) e un ragazzo (l'amato). Il primo doveva avere più di vent'anni e il secondo invece doveva essere un adolescente.
In realtà, nonostante quest'ipotesi abbia particolarmente affascinato studiosi e lettori dell'epica, è più probabile che il rapporto tra Achille e Patroclo fosse un solidissimo legame di amicizia, dal momento che in tutta l'Iliade i due non consumano mai un rapporto carnale. Dormono, è vero, nella stessa tenda, ma entrambi con delle giovani ragazze. Non compare alcun riferimento ad eventuali orientamenti omosessuali degli eroi Achei, anche perché tutti avevano una donna al loro servizio.
E, a proposito di ciò, non trovo del tutto corretto chiamare Briseide "schiava di Achille", dal momento che Achille l'aveva addirittura sposata. Oddio, l'aveva sposata dopo averla rapita come bottino di guerra, naturalmente.
Agamennone tratta le donne come "oggetti" o come "bamboline".
Per Achille le donne sono qualcosa di più di semplici oggetti da scambiare. Egli è davvero innamorato di Briseide, descritta nel poema come una ragazza dalla bellezza simile a quella di Afrodite. Ci sono molti indizi in varie parti del poema che mi fanno pensare all'esistenza di un autentico affetto che intercorreva tra Briseide, Achille e Patroclo. Nel XIX libro, Agamennone restituisce la moglie ad Achille, disperato per la morte di Patroclo ma molto contento di aver riavuto la giovane donna. Anche Briseide è disperata per la fine di Patroclo, ma oltre al dolore per la morte di un caro amico, si dimostra angosciata per lo stato d'animo di Achille.
Dopo che Patroclo viene ucciso per mano di Ettore, si può dire che ad Achille "crolli il mondo addosso": si rifiuta di mangiare e di dormire, piange e urla. Trova un po' di pace solo nella terribile vendetta che ho descritto sopra.
Il Pelide però non è del tutto crudele, in fin dei conti ha un minimo di riguardo per un padre anziano (Priamo) a cui è stato ucciso il figlio. Ecco come si conclude l'Iliade: il re troiano si reca presso le navi degli Achei, chiede ad Achille il corpo di Ettore e il Pelide non soltanto acconsente a restituirlo ma è disposto ad interrompere la guerra per lasciare a Priamo e al popolo troiano un po' di tempo per pregare e per piangere la morte del principe.
Dopodiché, il valoroso figlio di Peleo rientra nella tenda e si sdraia accanto a Briseide.

Agamennone è negativo sin dall'inizio: nel primo libro maltratta e umilia Crise, sacerdote di Apollo e si rifiuta di restituirgli la figlia Criseide:
"Mai ti colga, vecchio, presso le navi concave, non adesso a indugiare, né in futuro a tornare, che non dovesse servirti più nulla lo scettro, la benda del dio! Io non la libererò: prima la coglierà vecchiaia nella mia casa, ad Argo, lontano dalla patria, mentre va e viene al telaio e accorre al mio letto. Ma vattene, non mi irritare, affinché sano e salvo tu parta!" 
(Iliade, I, vv. 26-32)

Apollo allora, per punire questo rifiuto, fa scoppiare una terribile pestilenza presso l'esercito acheo.

Nove giorni dopo, Achille, preoccupato per il dilagare della peste, decide di istituire un'assemblea con gli altri Achei, per cercare di capire le cause del flagello. Sembra addirittura ragionevole, perché si dimostra un guerriero seriamente preoccupato per la salute e per la sorte dell'esercito. (Di per sé non spettava a lui convocare l'assemblea, ma ad Agamennone). Calcante spiega ad Achille che il flagello devastante è dovuto all'arroganza di Agamennone nei confronti di Crise. Agamennone allora critica pesantemente Calcante apostrofandolo come "profeta di sventura" e malvolentieri pensa a renderla al padre. Però, pretende che l'esercito degli Achei sia disposto ad offrirgli altri doni.
Questo desiderio del sovrano scatena la rabbia e l'indignazione di Achille: "Gloriosissimo Atride, avidissimo sopra tutti, come ti daranno un dono i magnanimi Achei? In nessun luogo vediamo ricchi tesori in comune; quelli delle città che bruciammo, quelli sono stati divisi. Non va che i guerrieri li mettano di nuovo in comune! " (Iliade, I, vv.122-126)

Agamennone minaccia allora di togliergli Briseide. E qui scatta l'ira di Achille, che si sente umiliato nel suo ruolo di combattente e che minaccia di ritirarsi dall'esercito.
Ah, un altro aspetto abbastanza importante da tener presente è la logica "molto democratica" del Pelide: se tu non mi fai torti, io non ho motivo di farti del male.
E' così. Achille afferma, durante il litigio con Agamennone, di aver accettato di partecipare alla guerra di Troia per un sentimento di fedeltà verso il sovrano degli Achei e non per odio verso i Troiani. Egli inoltre riconosce che i Troiani sono valenti in battaglia e che non verranno sconfitti tanto facilmente. Solo dopo la morte di Patroclo proverà un odio feroce per Ettore.
Anche quando i due araldi al servizio di Agamennone vengono a prendere Briseide alla tenda di Achille, egli dice loro: "Non siete colpevoli verso di me, ma Agamennone, che invia voi due per la giovane Briseide." (Iliade, I, vv. 334-335)


Achille, l'eroe-bambino:

C'è un punto in cui appare infantile e bambino nel comportamento. Quando, dopo che gli è stata sottratta la ragazza, inizia a piangere, stende le braccia verso il mare e grida all'ingiustizia "invocando la mammina"- letta in greco questa parte fa sorridere, perché si nota che Achille si esprime con vocaboli infantili e diminutivi, tipici dei bambini.-
Patetico, irrimediabilmente e decisamente patetico. D'altra parte, illustri filologi affermano che egli era poco più di un ragazzino; era intorno ai 22 anni.
Dovete immaginarvi che Achille e Agamennone siano due bambini. Il primo, che si arrabbia molto facilmente e il secondo, con la tendenza a prevalere sempre sugli altri e a non accettare mai di poter perdere nel gioco.
Il bambino Agamennone si rende conto che sta perdendo la partita e chiede all'avversario, al bambino Achille, di poter ricominciare il gioco prima ancora di finirlo. Il bambino Achille non accetta, il bambino Agamennone si irrita e comincia ad accusarlo di imbrogli. Il bambino Achille è convinto di aver giocato onestamente, di essersi guadagnato i suoi punti con abilità.
Litigano, finché il bambino Agamennone dice: "Ricominciamo la partita, altrimenti non sei più mio amico!"- e  il bambino Achille gli dice: "Allora non gioco più!" e si rifugia a piangere tra le braccia della mammina.
Oddio, a questo punto gli insegnanti di greco storceranno il naso perché ho ridicolizzato i due protagonisti dell'Iliade- però di fatto la loro contesa si potrebbe immaginarla anche così.



Infine, rivolgo un sentito ringraziamento a questi potentissimi eroi :

Arrivederci, miei cari!!
Grazie, o gloriosissimi eroi omerici, per avermi dato la possibilità di studiare in modo approfondito le vicende narrate in un poema a dir poco unico e straordinario!
Grazie, o grandiosi eroi omerici, per avermi resa partecipe dei vostri stati d'animo che talvolta mi hanno commossa, talvolta disgustata, talvolta divertita, talvolta affascinata.
Grazie, o tremendi eroi omerici, per avermi procurato un forte stress emotivo nel corso di quest'ultimo semestre: talvolta, a causa dell'esasperazione, mi veniva da piangere e pensavo, mentre traducevo i vostri altisonanti discorsi: "Ma cosa stai cercando di dire?? Con quali verbi ti esprimi??!"
Grazie, o splendidi eroi omerici, per avermi dato una grande soddisfazione ieri! 
E' vero, sono portata per il greco antico, ma quel gran bel voto mi è costato impegno e fatica!
Un po' sono contenta di essermi liberata di voi ma... ma un po' mi mancherete, davvero!
Greco non è la mia materia preferita, io adoro la storia dell'arte, però... toccare con mano dei testi mi ha aperto ulteriormente la mente!
Statemi bene, miei cari, dopo questa piacevole merenda insieme vi riporterò in soffitta, al sicuro, all'interno di un armadio.

La vostra affezionata Anna