26 agosto 2016

I danni delle droghe:


E' utile la prevenzione antidroghe nelle scuole?

Non serve a nulla. Già da diversi anni nelle scuole secondarie vengono coinvolti in progetti scolastici psicologi, infermieri e operatori del SERT (servizi per le tossicodipendenze) per cercare di far capire ai ragazzi che le droghe sono dannose. Ma gli adolescenti e i giovani che si drogano ci sono e continuano comunque ad esistere. Perché la droga ha il gustoso e invitante sapore della trasgressione, di una trasgressione che rende disinibiti e che offre le dolci illusioni della felicità e della libertà. Di una trasgressione che dà la possibilità di estraniarsi dal mondo reale, fatto di realtà e di doveri quotidiani che risultano spesso scomodi e odiosi.
Su questo mi trovo d'accordo con me stessa all'80%. La penso così ma non sono nemmeno troppo pessimista: la prevenzione antidroghe risulta significativa per gli adolescenti se e soltanto se gli adulti dispongono di argomentazioni valide e utilizzano strumenti efficaci per dimostrare le loro tesi contrarie a qualsiasi tipo di sostanza stupefacente.

Con questo post non voglio a elencare tutte le droghe esistenti e i danni fisici e psicologici che esse arrecano a chi le assume per molto tempo. Ne risulterebbe un discorso noioso, puramente teorico e poco attraente. La mia è una riflessione sugli effetti delle droghe. Non giudico e non condanno nessuno, i miei scopi sono soltanto quelli di cercare cause e conseguenze. Lungi da me l'insulto e la critica e lungi da me l'intenzione di impartire al mio pubblico una lezione di chimica.
Per elaborare questa riflessione mi sono servita di materiali significativi e interessanti.

Questo è un cortometraggio sulla dipendenza dalle droghe.  Al di sotto di esso, trovate le mie considerazioni ma prima vedetevelo, perché merita davvero!





L'uccello che cammina sul filo è un Kiwi, tipico volatile della Nuova Zelanda. I primi secondi del video ritraggono la sua camminata a passi pesanti. In quella prima fase, quando ancora non è drogato, l'uccello rappresenta tutti quei ragazzi annoiati e stanchi. Ragazzi che o vivono una vita poco interessante o sentono un gran vuoto dentro. Un vuoto di valori, secondo me. I valori non te li dà soltanto la famiglia e non provengono soltanto dai giri di amicizie. Arrivi ad un momento in cui, in un certo senso, devi farti forza e darteli da solo.
Mi spiego: quando sei adolescente ti rendi conto che non puoi e non potrai sempre essere legato a genitori, parenti e amici. Devi levare tutte queste persone dal piedistallo in cui le hai poste quando eri bambino, se vuoi maturare veramente. Devi smettere di idealizzarle, devi contestarle per poter vedere chiaramente i loro difetti e le loro fragilità, ma senza mai smettere di voler loro un gran bene. Tu, in quanto giovane che sta crescendo, devi innanzitutto rifiutare l'idea di diventare esattamente come i tuoi genitori, perché sei diverso da loro. Devi mettere in discussione ciò che ti hanno dato e trasmesso.
Stessa cosa con gli amici. Non puoi farti influenzare da quelli che sembrano troppo sicuri di sé e non dovresti nemmeno accettare l'idea di conformarti ad un branco, ad un gregge smorto e insignificante in cui tutti la pensano allo stesso modo. Non puoi permettere che il tuo carattere venga indebolito dal gruppo. Non devi essere d'accordo su tutto quello che fa un amico, non devi adorarlo, casomai devi stimarlo. E questo è ben diverso.
Appreso il fatto che tu sei diverso dalle persone che ti circondano, devi metterti alla ricerca di te stesso, dei tuoi interessi e anche del tuo futuro, orizzonte che appare immenso e incontrollabile.
D'altra parte, è proprio dalla contestazione e dallo spirito critico che nascono interessi, ideali, valori e progetti per il futuro. Solo che ci vuole anche un po' di autostima, quel minimo di fiducia in te stesso che non ti fa camminare a testa bassa e con passi pesanti, ma che ti rende vivo e appassionato verso certi campi del sapere umano e verso certe attività.

Per me l'adolescenza è stata il periodo del pensiero critico, in cui riflettevo e pensavo sempre prima di considerare valide le idee e le affermazioni altrui: ma è giusto? Ma che sta dicendo? Posso ricavarne un insegnamento utile?
Questo perché ero e sono alla ricerca di senso. Perché ci tenevo e ci tengo a pensare con la mia testa.
E soprattutto, mi facevo un'altra bella domanda: per che cosa vale la pena vivere?


Ad ogni modo, il Kiwi trova lungo il cammino una sostanza che lo incuriosisce e la assaggia. Le prime volte l'effetto dell'assunzione è esaltante perché gli permette di spiccare voli "atletici", da sogno. E' la sensazione di piacere che un ragazzo prova quando inizia ad assumere una sostanza stupefacente.
Notate gli atterraggi successivi al primo: divengono sempre più traumatici, più bruschi.
Fino al momento in cui l'uccello, dopo aver assunto la sostanza, non riesce più a spiccare il volo perché è troppo debole. E', come diciamo in Veneto, "sgionfo" (gonfio fino a scoppiare). Ed è gonfio davvero, perché le sue condizioni fisiche peggiorano notevolmente e la sua esistenza è improntata unicamente nella ricerca della sostanza. Anche il mondo circostante diviene sempre più buio: questo aspetto indica proprio il fatto che la ricerca e l'assunzione della sostanza sono le sue uniche ragioni di vita. Non c'è nient'altro che suscita attrazione e interesse.
E' drammatico, senza dubbio.

E ora, ecco la riflessione di un professore di italiano in un liceo scientifico a proposito della cannabis:
Foglie di cannabis
"Sono un insegnante. In tanti anni di docenza nei licei ho avuto tra i miei studenti diversi ragazzi che facevano uso di cannabis e derivati. Con un po' di esperienza capisci subito chi ha questa abitudine, chi coltiva questo vizio (non dobbiamo esitare a usare tale vocabolo, perché di questo e non di altro si tratta). Li vedi in classe con lo sguardo assente, talora con un sorrisino stereotipato che indica non un'autentica gioia interiore, ma un malsano distacco dalla realtà. A volte te ne accorgi perché ti chiedono spesso di uscire durante le ore di lezione e quando tornano tra i banchi magari si portano addosso l'odore dolciastro tipico della sostanza che hanno fumato.
Ho visto ragazzi intelligenti, brillanti, svegli e intraprendenti perdersi per strada a causa di questa maledetta assuefazione. Non mi interessa - non ho le competenze per farlo- disquisire se il "fumo" dia origine a una dipendenza anche fisica o solo psicologica. Perché so che già che la seconda è molto grave. Che cosa succede a un ragazzo che "si fa le Canne"? Quello che osservo è soprattutto una diminuita capacità di reagire di fronte ai problemi e alle difficoltà. Ci si isola in un mondo a parte, lo "sballo" risarcisce da ogni sconfitta Ho preso un brutto voto? Non importa, mi faccio una canna e passa la paura. Ho contrasti con i miei genitori? Fatico a farmi capire da mia madre? Non sopporto i rimproveri di mio padre? Poco male, vai con un' altra canna! La mia ragazza mi ha lasciato? Peggio per lei, soffro come un cane, ma per fortuna ho la marijuana che mi consola La soluzione è sempre la stessa: anziché cercare una soluzione positiva a un problema, lo si rimuove. Risultato: i problemi si sommano e le difficoltà peggiorano, e il ragazzo in questione è sempre più solo. Perché non è neanche vero che le cosiddette" droghe leggere" (che in realtà "leggere" non sono affatto) favoriscano la socializzazione: quando "si fuma" in compagnia, ciascuno fa parte per sé stesso e la comunicazione è soltanto apparente. In un'ora di lezione immediatamente successiva all'intervallo, mi è capitato tempo fa di percepire chiaramente (dai segni visivi e... olfattivi cui accennavo prima) che uno studente, il quale dal primo banco (quindi molto vicino alla
cattedra) assisteva "in estasi" a una spiegazione sul Purgatorio di Dante, avesse "fumato". Il giorno dopo lo presi da parte e gli feci questo discorso: «Se fossi tuo padre ti direi che assumere cannabis ti fa male per tanti motivi. Ma siccome non sono tuo padre, e sono solo il tuo professore di italiano, ti dico che la prossima volta che ti troverò nello stato di ieri dovrò prendere dei provvedimenti»,
Lui non cercò neanche di negare, mi disse -sinceramente - grazie per la mia franchezza. Il problema è che come docenti spesso non sappiamo che cosa fare. O hai le "prove" di un comportamento sbagliato e illecito, e allora puoi innescare un provvedimento disciplinare, altrimenti intervieni a tuo rischio e pericolo. Spesso i presidi sono restii ad azioni eclatanti di"repressione" del fenomeno (come chiedere l'intervento delle forze dell' ordine per contrastare eventuali fenomeni di spaccio dentro la scuola), temendo una cattiva pubblicità per l'istituto, e anche alcuni genitori non amano sentirsi dire sui loro figli cose sulle quali magari nutrono sospetti, ma per il momento preferiscono tenere gli occhi chiusi, oppure, sapendole, non accettano che altri possano esserne al corrente: se dici apertamente che un ragazzo "si fa" di qualcosa, rischi una denuncia per diffamazione. Però una cosa da docenti la possiamo fare, e non dobbiamo smettere di farla: denunciare le mistificazioni che intorno all'argomento vengono promosse anche ai più alti livelli, Parlamento compreso. Personalmente non mi stancherò mai di discutere su questo tema con i miei studenti, spesso anch'essi vittime di luoghi comuni e faciloneria nell'affrontare una tematica complessa, ma sulla quale dobbiamo trasmettere messaggi educativi chiari e precisi. A partire da un netto "no" a qualsiasi tentativo di legalizzazione di sostanze che - su questo non ci sono dubbi - fanno male, anzi malissimo. Soprattutto ai più giovani."



Il nostro governo ha intenzione di legalizzare la cannabis, dal momento che è considerata una "droga leggera". Perché si ragiona così: "I nostri adolescenti sono attratti da questa sostanza e la cercano. Quindi, rendiamola legale." E io aggiungo: rendiamola lecita a loro danno. E' molto più facile permettere a qualcuno di fare qualcosa di sbagliato piuttosto che impegnarsi a spiegargli i motivi per cui non è corretto e non è legale ciò che fa.

 

LA STORIA DELLA SIGNORA LAURA:


Nel 2012 hanno trasmesso questa minifiction che mi aveva molto colpita.
La protagonista è Laura, giovane madre di famiglia proprietaria di una gioielleria.
E' benestante ma non è felice e un'insoddisfazione crescente verso il suo presente la induce ad assumere cocaina.
La droga però la porta ad essere violenta con Antonio, il figlio di cinque anni, e irritabile con il marito Luigi il quale, non appena si accorge della tossicodipendenza della consorte, decide, per il suo bene, di chiuderla fuori di casa. Cambia le serrature delle porte e le chiavi, in modo tale da impedirle di fare di nuovo del male al loro figlio.

La donna, accompagnata dalla madre, entra in una comunità di disintossicazione e, dopo molti mesi di cure, riesce ad uscire dalla sua dipendenza.
Però, una volta ritornata a casa, deve riconquistare la fiducia e l'affetto del figlio, ancora comprensibilmente traumatizzato da pugni e schiaffi ingiustificati.

Ricordo due aspetti significativi di questa trasmissione:
1) Durante il periodo che trascorre in comunità, Laura costruisce un buon rapporto con la sua compagna di stanza, una ventenne affetta da una grave forma di epatite a causa di una prolungata dipendenza da eroina.
2) Uno degli operatori della comunità dice a Laura: "Finché non ammetti di essere tossicodipendente, io non posso aiutarti ad uscire da questa situazione". Questo mi fa pensare al fatto che il mondo dei drogati è, purtroppo, un mondo di bugie, in cui si cercano di sconfiggere (ma, ripeto, questa è soltanto un'illusione!) gli stati d'animo negativi e in cui non si vuole ammettere l'assunzione di una sostanza illegale.
Però, in fondo al cuore, anche se non vogliono dichiararlo, i tossicodipendenti sanno di sbagliare, ma non possono fare a meno di continuare a sbagliare dal momento che spesso la droga è l'unico espediente in grado di far dimenticare le delusioni, le frustrazioni e le fatiche.


Concludo con delle domande, rivolte più che altro ai giovani che, come me, si concedono uno spritz soltanto nelle "grandi occasioni" come quella di un aperitivo dopo una masterclass di zumba oppure durante una festa di compleanno. Per quali motivi un nostro coetaneo dovrebbe drogarsi? Perché non sopporta il peso dell'esistenza? Quali vantaggi pensa di ricavarne? Io ho già scritto sopra come la penso, però vi invito caldamente a rifletterci sopra.

La droga è un problema, eccome! ...Io credo che dovremmo partire proprio da domande come queste per poterne almeno comprendere la gravità.




21 agosto 2016

"La lettera scarlatta": le disumane regole del puritanesimo americano



Parto da una fotografia. Questo piccolo paese incastonato tra verdi colline, protetto da grandi e ombrosi alberi e accarezzato dalla brillante luce del sole è Téolo, situato nella parte settentrionale dei Colli Euganei. A circa una decina di chilometri da Abano Terme e a circa venti chilometri da Padova. Praglia è una frazione di Téolo e in questo posto, circondato da vasti campi di olivi e viti, si trova un'abbazia benedettina costruita nell'XI secolo. Conosco bene questa zona, dal momento che alcuni parenti di mia madre ci vivono. Vi consiglio di andarci, sono luoghi che meritano di essere visti, almeno una volta nella vita, ricchi anche di testimonianze storiche, artistiche e letterarie. Questa zona è stata visitata da Petrarca molti secoli fa ed è stata testimone, sempre durante il Medioevo, della fioritura dello stile romanico. L'abbazia di Praglia è divenuta centro di restauro dei manoscritti medievali.

Ma il romanzo di Hawthorne non è ambientato nelle campagne venete, bensì in Massachussetts, a nord-est degli Stati Uniti.
Che attinenza ha il paesaggio collinare padovano con quello stato americano?
Io finora non sono mai andata dall'altra parte dell'Atlantico, però, nella mia mente bizzarra, ho provato ad immaginare che questa storia potesse essere ambientata in un paesaggio simile a quello presentato sopra. E' stato un modo, abbastanza efficace tra l'altro, per farmi dispiacere meno il romanzo.
E' la prima volta in sei anni di blog che provo a recensire un libro che non mi ha per nulla entusiasmata, né dal punto di vista dello stile, ampolloso e prolisso, né dal punto di vista dei contenuti e delle tematiche rappresentate. Eppure, Hawthorne è considerato il miglior scrittore nella storia della letteratura americana.

Le vicende narrate sono collocate nel pieno del XVII secolo, periodo in cui si stava diffondendo il puritanesimo in America.

IL TERMINE "PURITANO":

Non è molto utilizzato nelle lingue contemporanee, anche se questo termine, quando lo si pensa o lo si pronuncia, fa sempre riferimento a una persona di mentalità chiusa ("narrow-minded" rende meglio dell'espressione italiana), di strette vedute a proposito della sessualità, troppo rigida e sempre pronta a criticare duramente gli errori altrui.

Alcuni secoli fa invece, il termine "puritano" indicava i seguaci del puritanesimo, movimento religioso nato nel XVI secolo in Inghilterra, in seguito all'avvento del calvinismo. Gli obiettivi del puritanesimo erano sostanzialmente due: purificare la chiesa inglese da tutte le forme letterarie profane, ovvero, diverse dalle Sacre Scritture ed evitare ogni contatto con il cattolicesimo. A quell'epoca, luterani, puritani e calvinisti consideravano il Papa di Roma come il simbolo dell'Anticristo, dal momento che questa autorità, nei secoli precedenti al nostro, abusava spesso del proprio potere. Qui in effetti non avevano tutti i torti: basti pensare a pontefici come Alessandro VI Borgia e Giulio II, nobili italiani assetati di potere e di ricchezza.


 I PRINCIPI ETICI E RELIGIOSI DEL PURITANESIMO:


1) Le celebrazioni liturgiche, dovevano essere caratterizzate dalla massima semplicità e austerità.
 In particolare: enfasi sul sermone del sacerdote dopo le letture, abolizione di canti e di strumenti musicali, rifiuto di decorazioni, di sculture e di immagini sacre. Persino le rappresentazioni teatrali e le feste pubbliche erano vietate, per motivi dedotti da interpretazioni teologiche distorte.

 2) Affermazione della potentissima e suprema volontà di Dio sulle questioni umane. Questa idea spinse i puritani a ricercare la purezza morale in ogni loro azione. Per loro, ogni persona doveva essere continuamente riformata dalla grazia di Dio, in modo tale da poter combattere contro le tentazioni del peccato.
Mmm... diciamo che i seguaci di questa corrente non erano proprio tutti così candidati e votati alla santità anzi... c'era molta ipocrisia, nel senso che la teoria della morale la conoscevano, e anche bene, ma non tutti e non sempre si impegnavano a concretizzarla.
3) La sessualità come tabù, aspetto che si ritrova anche nel periodo vittoriano due secoli dopo, in Inghilterra. Sentimenti di orrore e di avversione verso le pulsioni sessuali. L'adulterio era considerato un peccato gravissimo, molto più grave sia del furto che dell'omicidio.

4) Come accennato sopra, la produzione letteraria, sia in prosa che in poesia, era guardata con sospetto, soprattutto se in essa vi erano tematiche e argomenti non attinenti con la Bibbia.


 ALCUNI CONTENUTI  DEL ROMANZO:

La protagonista del romanzo è la giovane Hester Prynne, la quale, essendo giunta nel Massachussetts prima del marito, anziano medico inglese, ha avuto una figlia da un amore illegittimo.
Per questo motivo viene punita molto duramente dalle leggi puritane: messa alla gogna su un palco eretto nella piazza di un piccolo paesino, deve portare per tutta la vita ricamata sul petto la lettera "A" di adultera, ritagliata in un panno scarlatto.

« I discorsi di quelle donne erano così franchi e arditi che, a ritrovarli oggi sulle labbra delle loro discendenti, ne saremmo tutti sconcertati.
"Comari"- diceva una cinquantenne matrona dai lineamenti duri e maschi-"Ecco quel che penso. Sarebbe molto utile, per l'esempio da darsi alla città, che una delinquente come questa Hester Prynne fosse affidata a noi, donne di età matura e di sicura fede religiosa. Se fossimo state noi a giudicarla, non se la sarebbe cavata con la condanna che le hanno inflitto i magistrati."
"I magistrati"- uscì a dire un'altra donna, piuttosto vecchia- "sono tutti inclini ala pietà, questo è il fatto. Essi avrebbero dovuto bollare con un ferro rovente la fronte di questa Hester Prynne: allora sì che l'avremmo veduta affranta! Che cosa volete che importi a una svergognata come lei di vedersi cucita sul corpetto una lettera! " (...) "Questa donna ha gettato la vergogna sopra di noi e dovrebbe dunque morire!"- gracchiò un'altra donna- "Non vuole così la nostra legge? Tanto il Vangelo quanto la nostra legge? I magistrati non hanno voluto applicarla e sarà colpa loro se le loro mogli e le loro figlie andranno in perdizione!". »

La definizione di questi discorsi come "franchi e arditi" mi sembra sinceramente fuori luogo, inappropriata! Da notare che sono le donne a parlare e non gli uomini. Ciò è significativo per il fatto che loro, come donne prima che come cristiane praticanti, non hanno né rispetto né compassione verso la Prynne. Il rispetto è un concetto molto vasto, non significa soltanto non alzare le mani contro qualcuno e non insultarlo. Io credo che il rispetto, oltre a implicare la sincerità nei rapporti con gli altri e a bandire falsità, sotterfugi e ipocrisie, dovrebbe contenere anche una buona dose di equilibrio. Non basta una vita per imparare ad assumere un certo equilibrio psicologico nelle relazioni. E questo vale per gli uomini di ogni epoca storica. Soprattutto ora, con i tempi che corrono, è facile offendere una persona. Le parolacce stanno sulla lingua di tutti, anche sulla mia (perché, lo ammetto, io spesso non parlo come scrivo). Sono "fatta di fuoco": mi basta vedere un'ingiustizia, mi basta un torto subìto per farmi andare in escandescenza. E' facile giudicare male che sbaglia, mentre invece è difficile trattenere la rabbia e trasformare le critiche pesanti, i pensieri cattivi e le offese in ipotesi intelligenti. Per ipotesi intelligenti intendo provare a immaginare i motivi per cui qualcuno è spinto o è stato spinto a fare del male o comunque a fare qualcosa di scorretto e di immorale.
E Dio chi è per queste donne??! Una specie di padre-padrone che non perdona agli uomini i peccati commessi, ecco chi è. Ma Dio vuole davvero il male dell'umanità? Non lo so. E' un Dio che per un certo verso non mi piace, nel senso che permette tutto: i genocidi, le guerre, le condanne a morte degli innocenti, il razzismo, la pedofilia, le violenze sessuali, le indicibili sofferenze fisiche dei malati di cancro... Perché non manda i suoi angeli a bloccare le mani dei violenti e a cancellare pensieri diabolici nelle menti di alcuni leader politici??!!
Nei momenti più grigi mi viene da pensare al fatto che sia un Dio indifferente, relegato nell'alto dei Cieli in un paradiso idilliaco e incurante del dolore. "Dio ti prende in braccio nei momenti più difficili", recita un proverbio brasiliano. Mi piacerebbe averne l'inconfutabile certezza, perché, se ce l'avessi, allora potrei vivere davvero con un sorriso perenne stampato in faccia fino alla fine dei miei giorni.
C'è una parte di me che non vuole credere a un Dio che sembra indifferente, lontano o, come dice mio zio e come affermavano alcuni padri della Chiesa, "troppo umile".
Ma c'è anche una parte di me che vuole credere, anzi, che vede il riflesso della bontà di Dio in alcune persone. E' proprio questa parte della mia anima che mi induce a formulare un ragionamento del genere: Dio ha creato la Natura e gli esseri umani e li ha sempre amati. Il suo sacrificio sulla Croce è simbolo della gratuità di questo amore, disposto persino alla perdita della vita...
La logica di Dio allora, non sarebbe quella dell' "io ti ho dato la vita, io te la tolgo quando voglio", ma piuttosto, la logica, la folle logica, di un amore di cui nessuno di noi è degno.
E allora non sarebbe un Dio che gode del male, o un Dio insensibile che vuole il male dei peccatori.

Un altro aspetto da considerare è questo: per secoli, gli uomini hanno creato la cultura e la mentalità sociale. Per secoli in Occidente, la donna è stata considerata un essere inferiore, la quale aveva come principale dovere la fedeltà verso il marito.
Dall'età antica fino al primo Novecento si è coltivato un sentimento di odio profondo verso le donne che intessevano relazioni esterne al matrimonio.
Nella mentalità puritana inoltre, in cui si poneva l'accento sulla gravità dei peccati di sesso, le adultere erano emarginate, insultate e umiliate, mentre gli uomini, ovvero, i loro amanti complici nel tradimento del marito, potevano rimanere impuniti e nascondersi con la loro codardia e ipocrisia, proprio come ha fatto il reverendo Dimmesdale, l'amante di Hester.
Tanto le conseguenze di un rapporto sessuale le subiva (e le subisce) la donna, per questo gli uomini si sentivano liberi di fare tutte le porcate che volevano. Imponevano alle donne la fedeltà coniugale, ma sovente loro non si attenevano a questo principio morale.
Perché quelle donne parlano in modo così impietoso? Perché influenzate da dottrine morali che una società di maschi incoerenti impone loro.

Hester Prynne, in seguito a un periodo di prigionia, decide di non allontanarsi dal paesino in cui si è guadagnata la pessima fama di adultera, stabilendosi dunque in una casetta in riva al mare con la figlioletta Pearl, bambina vivacissima e dotata di un'intelligenza molto precoce.

Da non dimenticare che i puritani, oltre ad essere molto superstiziosi, erano fissati con il diavolo. Lo nominavano ogni volta che si presentava a loro un'occasione. Pearl, in quanto frutto di una relazione esterna al matrimonio, era considerata "la figlia del Demonio" ed era esclusa dai giochi di gruppo con gli altri bambini. Proprio quest'aspetto aveva incattivito e intristito la bambina.
«Poiché le era impedito di giocare con altri bambini, ella si sfogava a crearsi chimeriche compagnie; ma le sue invenzioni non erano mai ispirate alla fraternità umana, né dalla sua immaginazione era mai uscita una creatura che le fosse amica. Si sarebbe detto che la fantasia della piccola godesse a seminare il terreno con i denti del drago della favola, da ciascuno dei quali germogliava un nemico (...)»

Della terribile condizione sociale della madre ne risente anche la figlia, questo è chiaro.

Ad ogni modo, lo stile con cui è scritto il romanzo è altisonante, pesante, ma così pesante che farebbe saltare i nervi anche a un monaco miniaturista, sul serio: tre capitoli per descrivere i rapporti tra il reverendo Dimmesdale e il signor Chillingworth (il marito di Hester, giunto in America durante il periodo di prigionia di Hester)... una palla assurda!!

Il finale non lo svelo, ma solo perché il post è già molto lungo. Ma meriterebbe davvero anch'esso una riflessione. Ad ogni modo, non mi sono piaciute nemmeno le pagine conclusive: Hester Prynne viene sepolta e, sulla sua lapide, anziché nome, cognome, data di nascita e di morte, viene scritta la lettera "A" di adultera.

Eeeeh, quanto accanimento sui peccati altrui e mai sui propri!!!!!!



12 agosto 2016

"Doppio sogno", Arthur Schnitzler:


Libro stranissimo! Eppure, devo ammettere che merita di essere letto!
Può anche non piacere; ma io l'ho proprio letto volentieri dal momento che ho una particolare predilezione per i romanzi psicologici e di formazione. Se in questo siete simili a me allora ve lo consiglio.

In poco meno di cento pagine, questo autore austriaco condensa una serie di pulsioni, di emozioni e di desideri repressi che due giovani coniugi si rivelano.

I protagonisti sono due esponenti dell'alta borghesia: il medico Fridolin e sua moglie Albertine, i quali, al ritorno da una festa in maschera prendono a raccontarsi episodi che fino a quel momento non si erano reciprocamente confessati. Si tratta per lo più di occasioni di "mancato adulterio":  Albertine racconta al marito la sua forte attrazione per un giovane ufficiale incontrato durante il loro breve soggiorno in Danimarca l'estate precedente: 
" (...) Non sorrise, mi sembrò, anzi che il suo volto si rabbuiasse, e lo stesso capitò a me, poiché ero agitata come non mai. Me ne stetti tutto il giorno trasognata sulla spiaggia. Se mi avesse chiamata non avrei potuto resistergli. Ritenevo di essere pronta a tutto: mi credevo disposta a sacrificare te, la bambina, il mio avvenire e allo stesso tempo, -puoi capirlo?- tu mi eri più caro che mai. Proprio quel pomeriggio, devi ancora ricordartene, capitò che parlassimo di mille cose, anche del nostro comune futuro e della bambina, così intimamente come non accadeva più da tempo."

 Il marito a sua volta le confida di essere stato attratto per pochi istanti da una giovane ragazza in una delle sue passeggiate mattutine sulle spiagge danesi:"... Alzò gli occhi e improvvisamente si accorse di me. Un tremito la scosse, quasi dovesse cadere o fuggire. (...) Ad un tratto però sorrise, sorrise meravigliosamente, nei suoi occhi c'era un saluto, un invito e allo stesso tempo una leggera derisione. (...) Restammo così, l'uno di fronte all'altra, forse dieci secondi, le labbra semiaperte e gli occhi scintillanti. tesi istintivamente le braccia verso di lei, nel suo sguardo si leggevano passione e gioia. ma all'improvviso ella scosse violentemente la testa, staccò un braccio dalla parete e mi fece imperiosamente segno di allontanarmi."

Ad un tratto però, il loro dialogo viene interrotto dall'ingresso della cameriera in salotto, la quale annuncia che le condizioni di salute di uno dei pazienti di Fridolin sono drasticamente precipitate.
Il medico esce di casa, ma giunge alla dimora del malato quando quest'ultimo è già deceduto. Marianne, la figlia del defunto, pur essendo addolorata per la morte del padre, non rinuncia a dichiarare il suo amore per Fridolin. Sconcertato, egli esce da quella dimora descritta come buia e angusta. Ma non torna a casa.
Durante la notte, il protagonista di questo racconto, vive una serie di singolari avventure e viene catturato da una vorticosa spirale di emozioni e di impulsi che precedentemente non aveva mai provato.
Ad un certo punto, si introduce in un bar dove incontra Nachtigall, un ebreo polacco che alcuni anni prima era stato suo compagno di corso alla facoltà di Medicina e che aveva programmato per sé di trascorrere quella notte in una villa fuori città, dove si stava svolgendo una festa in maschera, o meglio, un'orgia carnevalesca.
Eccitato all'idea di partecipare, Fridolin riesce a procurarsi un costume di carnevale svegliando il proprietario di un negozio. Ma alla festa tutti i presenti si accorgono che egli è un intruso e che quindi si è introdotto nelle stanze della villa senza esplicito invito...
In questo punto lo scrittore sfocia nell'erotismo e tocca l'ambito della sensualità femminile capace di attrarre istantaneamente...
Un passo però lo scrivo: "Gli occhi di Fridolin erravano cupidi dalle formose alle snelle, dalle delicate alle splendidi e fiorenti; e poiché ognuna di quelle figure nude restava pur sempre un segreto e dalle mascherine nere grandi occhi si volgevano raggianti verso di lui come il più insolubile degli enigmi, l'ineffabile piacere della vista gli si trasformava in un quasi insopportabile tormento di desiderio."

Ad ogni modo, Fridolin riesce a uscire salvo e senza aver consumato alcun rapporto da quella casa di campagna. Torna a casa dopo le quattro della mattina. Al suo ritorno la moglie si risveglia e gli
racconta angosciata il suo incubo: mentre lei lo tradiva tra le braccia dell'ufficiale danese, Fridolin veniva flagellato e crocifisso.
In quel momento il medico inizia a provare una sorta di disgusto e di rancore verso la moglie, fino a pensare addirittura alla possibilità di divorziare.
Il giorno seguente tutto si svolge normalmente nella consueta quotidianità. Fridolin si reca all'ospedale e i suoi colleghi notano che egli svolge il suo lavoro in modo più scrupoloso del solito.
La sera, rientrato a casa, vede sul proprio cuscino la maschera che aveva indossato la sera precedente.
Temendo l'ira della moglie, egli le racconta tutto ciò che gli è accaduto la notte. Ma la moglie non si arrabbia né si indigna anzi... dopo averlo ascoltato attentamente, afferma:
"Sai che dobbiamo fare, ora? Ringraziare il destino, credo, di essere usciti incolumi da tutte le nostre avventure... da quelle vere e da quelle sognate.(...) La realtà di una notte, anzi, neppure quella di un'intera vita umana non significa, al tempo stesso anche la sua più profonda verità."

"E nessun sogno è interamente sogno", Ribatte Fridolin.

Accantonando le avventure sentimentali e le storie d'amore, devo riconoscere che questo è uno degli aspetti che caratterizza ogni esistenza umana. Lo affermava anche Freud con i suoi studi.
Il divario tra sogno e realtà non è mai netto, anche perché attraverso i sogni si manifestano alcuni aspetti della nostra personalità che magari gli altri non conoscono oppure che noi stessi ignoriamo o facciamo fatica a comprendere. Talvolta i sogni sono molto legati alla quotidianità, talvolta invece ci appaiono come fiabe velate da una nebbiolina di mistero. Sono strani e affascinanti i sogni.

Cercate di pensare a dei momenti in cui nella vostra vita non risultava molto chiaro il confine tra sogno e realtà. Io vi dico i miei.
Nel dicembre 2008 avevo tredici anni ed ero ancora alle medie. Era l'ultimo giorno di scuola prima delle vacanze natalizie. La notte precedente avevo sognato di camminare in una campagna  avvolta da una nebbia che gradualmente copriva i rami spogli delle viti. Ad un tratto avevo intravisto una casetta di legno e, infreddolita, ero entrata. Una volta entrata in quella piccola casa avevo deciso subito di avvicinarmi al fornello per farmi una cioccolata calda. Avevo trovato alcune bustine di polvere di cacao su una seggiola di paglia. La mattina dopo ero piuttosto assonnata.
C'era freddo e nuvoloso quel giorno. Dopo pranzo, ricordo che sia mia madre sia mio padre erano usciti di casa per impegni di lavoro (i soliti pesanti consigli di classe straordinari che opprimono tutti i prof!). Rimasta sola, avevo passeggiato per un po' nei campi di casa mia. Ma, al sopraggiungere della nebbia, ero rientrata e avevo cucinato un budino al cioccolato con i mezzi che avevo.
Ciò che avevo sognato la notte prima era divenuto realtà il giorno seguente. O meglio, la casetta di legno si è tramutata nella realtà in casa mia. Avevo ben presente il sogno, anche se quel giorno non avevo l'intenzione di farmi un dolce. Quel pomeriggio avevo improvvisato tutto! Ero così stanca che non avevo voglia di programmare proprio nulla. E, ad essere del tutto sincera, ricordo che non avevo nemmeno fame. Avevo preparato il budino soltanto perché all'epoca (e anche ora!) detestavo l'idea di starmene con le mani in mano.

E ora racconto del dicembre 2014. Un ricordo più recente e anche più emozionante di questo. Avevo diciannove anni, avevo appena passato il test di ingresso all'Università. Mancava circa una settimana alla pausa natalizia dalle lezioni. La notte avevo sognato di trovarmi in una campagna innevata e immersa nel silenzio dell'inverno, che faceva cadere bianchi e delicati fiocchi di neve dal cielo. Ad un tratto avevo sentito qualcuno che piangeva alle mie spalle. Mi ero voltata e avevo visto un ragazzo al quale mi ero avvicinata. Già mi aveva profondamente commossa il suo "ciao". Dopo avermi detto che era solo al mondo, io gli avevo risposto:"ma se vuoi ci sono io!"e mi ero messa a piangere.
L'ho già raccontato qui (http://riflessionianna.blogspot.it/2014/12/il-santo-natale-il-valore-della.html) questo sogno, ma ora voglio proprio svelarvi l'analogia che ha avuto con la realtà.
Alle sette della mattina di quella giornata uggiosa ero già sull'autobus che mi avrebbe portata in città.
Mi sentivo molto triste. Ricordo che, al momento di obliterare il biglietto l'autista mi aveva salutata con un semplice "ciao". E io avevo sussurrato un buongiorno. Ero rimasta un po' stupita da quella sua voce malinconica ma piacevole da sentire, quasi dolce. Mi ricordava proprio la voce del ragazzo del sogno. Se fossi stata di buon umore avrei aggiunto: "Levataccia anche per lei stamattina, eh?!"  Aveva gli occhi tristi, l'ho notato. Bell'uomo dagli occhi tristi. Ricordo bene che quella mattina ad ogni fermata salutava i passeggeri che scendevano. Ogni volta. Mi veniva da piangere: un uomo che guida per molte ore al giorno saluta gente che non conosce mentre molte delle amiche che io ho avuto, quando mi incrociano per strada neanche rispondono ai miei saluti. Come se per loro non avessi avuto alcun valore come persona.
Per tutto il viaggio comunque continuavo a pensare al "ciao" del ragazzo che avevo sognato e  soprattutto alla mia frase: "Ma se vuoi ci sono io". Quelle parole me le ero ripetute per tutta la durata del tragitto. Poco prima di scendere dalla porta anteriore mi ero voltata verso l'autista e gli avevo sorriso con le lacrime agli occhi.
A volte prendo l'autobus proprio quando è in turno di lavoro. E gli sorrido, ma senza lacrime, come per dirgli: "Mi hai fatto del bene e non lo sai".

E ora pensate alle storie scritte o ai nodi essenziali della trama di un romanzo: quanto c'è di vero e quanto c'è di fittizio? Molto spesso in letteratura non c'è un chiaro confine tra il vissuto dell'autore e la sua fantasia.
Pensate al mio racconto "La vigilia di Laura": quanto c'è di reale e quanto di inventato? I nomi dei due ragazzi sono nomi di fantasia. Ma la verità è che i sentimenti e i pensieri di Laura sono i miei. I suoi modi di parlare e di comportarsi sono i miei. La sua malinconia è la mia. E, di conseguenza, le nostre esperienze di dolore sono uguali. La ragazza presentata è reale, ma nella realtà non si chiama Laura. Anche Giulio, il giovane organista, è reale ma non si chiama Giulio. E sono reali anche la sua gentilezza e la sua bontà.
Quanto c'è di vero e quanto di inventato? Inventata è anche la campagna innevata e rischiarata dalla luna, visto che da alcuni anni a questa parte non nevica più sotto Natale.
Ho dimenticato di scriverlo nel post di una settimana fa, ma lo aggiungo adesso: durante la sua passeggiata in campagna in perfetta solitudine, Laura entra in contatto con l'infinito. Mi spiego: la ragazza ammira e contempla la Natura con tutta la sensibilità di cui è capace, ma non riesce a comprendere l'infinito, e questo lo si nota quando chiede alla luna: "Nonna, dove sei andata?". Si sente triste e fragile, di fronte a un cielo immenso di cui forse anche la nonna fa parte. Ma si rialza perché crede nell'amore e nella rinascita. E anche questo è importante.


IL TITOLO DEL ROMANZO:

Il concetto al quale il titolo "Doppio sogno" fa riferimento non è tratto dalla teoria psicoanalitica, è anzi un conio dell'autore: si tratta  infatti del "Mittelbewusstsein", ovvero, del "medioconscio".
Ecco che cosa afferma Schnitzler a tal proposito:

« si tratta di una specie di territorio intermedio fluttuante tra conscio e inconscio. […] Tracciare quanto più decisamente è possibile i limiti fra conscio, semiconscio e inconscio, in ciò consiste soprattutto l'arte del poeta. »






9 agosto 2016

Il circo triste:


Tematica originale e un po' pazza, se volete, ma è una mia idea nata in seguito alla visione di un episodio della "Casa nella prateria" che pochi giorni fa trasmettevano in televisione.
Mia madre è una patita di quella serie e giovedì, mentre dipingevo, con la coda dell'occhio ho seguito anch'io la trasmissione.
L'episodio rappresentato aveva per protagonista un uomo-nano, un clown chiamato Lu divenuto vedovo subito dopo la nascita della figlia: sua moglie, fisicamente molto provata per il parto, poco prima di morire aveva detto al marito: "La vita del circo non è adatta per una bambina. Una bambina ha il diritto alla stabilità. Lascia l'attività di clown. So che ti chiedo tanto, ma fallo per lei. O almeno provaci."
Con tutta la sua buona volontà, Lu si era recato nella cittadina di Walnut Grove per cercare lavoro.
Non immaginate il clown analfabeta che sa soltanto esibirsi in numeri divertenti ed esilaranti, dal momento che Lu, per un certo periodo della sua vita, aveva assunto il ruolo di contabile al circo. Quindi, aveva perlomeno l'istruzione elementare!
Purtroppo però, nonostante gli fosse stata riconosciuta più volte l'abilità e la rapidità nel far di conto, non era riuscito a trovare un posto di lavoro a causa dell'antipatica signora Olleson. La odio a morte: detestabile al punto tale da far innervosire chiunque con la sua arroganza e vittima dei suoi stessi pregiudizi su Lu, in particolare, sulla sua bassissima statura.
Per sopravvivere e per nutrire sia la piccola sia la madre anziana, a Lu non era rimasto altro che rubare all'emporio. Per questo, una volta sorpreso, era stato arrestato.
Ma tutte le ministorie in quella serie televisiva finiscono bene: mentre l'uomo-nano era in attesa di processo, Nancy, la frivola figlia della signora Olleson, era caduta accidentalmente in un pozzo e Lu si era rivelato l'unico in grado di farla uscire.
Tutto si era dunque concluso nel modo migliore: il processo era stato annullato, la signora Olleson si era scusata con Lu, che aveva ottenuto tra l'altro anche un lavoro in banca e una fissa dimora.

Ho ripensato a film e a dipinti relativi alla tematica circense e mi è balenato un pensiero nella mente: pur essendo considerato un luogo di divertimento per gli spettacoli rappresentati, il circo è stata una delle realtà sociali più tristi e più precarie che siano mai esistite nei secoli scorsi.
Naturalmente sono le varie manifestazioni culturali che mettono in luce questo aspetto, come il cinema e l'arte. 



IL CIRCO NEL CINEMA:

A) Avete mai avuto l'occasione di vedere sul grande schermo "Il circo" di Chaplin?
E' un film muto ma sottotitolato con immagini in bianco e nero. Ciò non toglie però la sua efficacia nel delineare la dura vita degli artisti e la precaria condizione economica di un circo che risente molto anche dello scarso livello qualitativo degli artisti e della conseguente noia del pubblico.
Graziosa la figura di Merna, la figlia del proprietario, picchiata dal padre a causa dei suoi ripetuti fallimenti nelle esibizioni come cavallerizza.
Charlot in questa storia si trova nelle vesti del vagabondo in cerca di un lavoro onesto per vivere.
Dopo essere stato assunto, egli viene inizialmente istruito all'arte del clown ma con risultati assolutamente deludenti e controproducenti. Per questo il padrone del circo lo licenzia, arrabbiatissimo.
Un giorno però, a causa dello sciopero degli inservienti del circo, il vagabondo Charlot viene reintegrato nella struttura come attrezzista. Durante una rappresentazione, gli si presenta involontariamente l'occasione di rivelare la sua capacità di far ridere il pubblico. Accortosi della comicità inconsapevole di Charlot, il proprietario del circo decide di sfruttarlo come buffone in modo tale da aumentare l'affluenza agli spettacoli, ma senza mai pagarlo.
Nel frattempo, Charlot e Merna instaurano un buon rapporto di amicizia. Proprio la ragazza cerca di spingerlo a reclamare sia la propria dignità sia la paga.
Merna però è innamorata dall'equilibrista Rex, cosa che provoca tristezza nell'animo del protagonista il quale però, con grande generosità, aiuta i due giovani a sposarsi in segreto, di notte e con una fuga.

Questo film è un capolavoro e il finale riesce sempre a farmi piangere; ma vi assicuro che un significativo contributo alle mie lacrime lo danno anche le melodie di sottofondo.



Nell'ultimo minuto, come potete vedere, il nostro vagabondo assiste alla partenza dei carri e, una volta che questi scompaiono all'orizzonte, si rialza e si avvia risolutamente verso nuove avventure.
Ad ogni modo, quest'opera cinematografica mette in risalto la povertà, la precarietà e l'emarginazione sociale in cui i membri di una compagnia circense sono costretti a vivere.


B) In alcune storie il circo è lo sfondo nel quale si proiettano vicende tristi.
Eccone una: "Dumbo"!
Era il mio cartone animato preferito, ricordo di aver trascorso il capodanno 2003 da sola in salotto a vederlo. E' stato un capodanno stupendo: ero con i miei amici immaginari impersonati da tre pupazzi: un enorme gatto bianco, un riccio e un cavallino magro magro.
Ad ogni modo, presumo che la storia la sappiate, e bene anche!
Qui però i protagonisti sono gli animali.
Avvolto in un fagottino trasportato da una cicogna, una volta atterrato all'interno di una carrozza, Dumbo viene subito deriso dalle elefantesse per le sue enormi orecchie. E, nei giorni successivi, ci si mettono anche quei ragazzini maleducati che si recano in visita al circo. Soltanto la madre lo ama e lo coccola.
Proprio come una vera madre umana ama il proprio figlio, nonostante i suoi difetti e le sue stranezze.
In questo cartone la Disney ha utilizzato la realtà del circo per sviluppare la storia di un elefantino il quale a poco a poco apprende che ciò che quasi tutti considerano un suo difetto è in realtà una risorsa da sfruttare per ottenere successo nella vita. 
Quelle enormi orecchie infatti gli permettono di volare, con grande stupore del pubblico e del personale del circo.

Devo però precisare che qui, più che le misere condizioni di clown e acrobati, sono presentate le tematiche dell'emarginazione e della sofferta lontananza madre-figlio. Infatti, come già accennavo sopra, in questo lungometraggio il circo è l'ambientazione in cui si dipana un dramma individuale che però alla fine si risolve.

Nel film di Chaplin erano certamente presenti sia la tragedia individuale di un vagabondo privo di sicurezze che aspira ad una vita decente, sia le misere condizioni di vita dei lavoratori del circo, sia la difficile vita di una ragazza maltrattata dal padre e carente di affetti familiari.




IL CIRCO NELL'ARTE DI PICASSO:

Vi presento qui tre opere appartenenti al periodo pre-cubista (1901-1905), fase pittorica in cui questo artista si dimostra particolarmente sensibile alla rappresentazione della dura quotidianità degli artisti circensi, mettendo in evidenza la loro vita di poveri girovaghi.

1)

"Due acrobati e un cane", 1905
In primo piano sono raffigurati due saltimbanchi con un cane. Il più alto è travestito da Arlecchino, personaggio carnevalesco molto amato da Picasso per le losanghe. Notate la profonda malinconia dei due ragazzi dovuta sicuramente alla loro condizione di emarginazione sociale. L'espressione triste dei loro volti viene messa in risalto da tonalità molto scure, in cui blu e rosa si mescolano.
Il paesaggio sullo sfondo, delineato con tratti essenziali, contribuisce a sottolineare il cupo stato d'animo dei due personaggi.


2)


"Famiglia di acrobati con scimmia", 1905



Questo dipinto rappresenta una famiglia di acrobati colta in un momento di tenerezza, o meglio, di pausa dalle esibizioni.
Il giovane uomo, la cui tuta aderente mette in risalto la sua notevole magrezza, è seduto vicino alla sua compagna che tiene in braccio il loro figlioletto.
In basso a destra, una scimmia volge teneramente lo sguardo verso il bambino sul quale tra l'altro è rivolta l'attenzione di tutti i personaggi dipinti. La dolcezza dello sguardo della scimmia appare quasi umana.
I colori predominanti sono il rosa e il bianco.  Il verde chiaro e il rosso vermiglione caratterizzano invece il pavimento.  

3)

"Famiglia di saltimbanchi", 1905

Il quadro propone il tema di una famiglia composta da tre adulti e tre bambini, colti in un momento di silenziosa attesa. Tutti hanno un'espressione seria, in contrasto con i costumi colorati che indossano. Il paesaggio desolato contribuisce a sottolineare la mestizia e la solitudine dei personaggi, i quali, nonostante si trovino vicini gli uni agli altri, si trovano comunque soli con i propri pensieri.


2 agosto 2016

L'infinito: affascinante, misterioso, inquietante, irraggiungibile...


Ho trascorso una piacevole settimana al lago di Calceranica in Trentino in cui non mi sono fatta mancare proprio nulla: né le nuotate al lago, né le camminate presso suggestivi boschi di montagna.
Quest'anno più che mai mi erano necessarie le vacanze!!
Ad ogni modo, il mio cervello non va mai del tutto in vacanza e le meravigliose località del Trentino mi inducono sempre a riflettere su qualcosa di intrigante e di complesso.

Ho pensato soprattutto alla canzone "Infinito" di Raf, in cui c'è una frase particolarmente significativa che fa così:  
"L'infinito sai cos'è? L'irraggiungibile fine o meta che rincorrerai per tutta la tua vita".
Semmai mi capitasse di divenire insegnante di Lettere al liceo, vorrei proporre un tema ai miei studenti su questa frase. L'ho detto a mio zio Attilio, il quale per tutta risposta ha ribattuto: "Con un tema del genere, Anna, mi troverei in difficoltà persino io!" Mio zio, prima di divenire parroco, ha insegnato italiano per alcuni anni in seminario...
Oddio, prima di proporla come traccia dovrò spiegare per bene sia le teorie filosofico-artistiche del Romanticismo sia il pensiero di Leopardi. E dovrò far ascoltare loro il brano, dicendo magari: "Ragazzi, ecco una delle canzoni che mi hanno accompagnato durante la mia adolescenza!"
Ad ogni modo, io saprei come sviluppare delle riflessioni su questa frase, apparentemente sibillina.


 E' piuttosto malinconica ma a mio avviso è bellissima! 

1) L'infinito come irraggiungibile (con)fine:

Parto naturalmente da considerazioni di natura etimologica: il termine infinito è riconducibile all'aggettivo latino "infinitus", che non solo contiene il prefisso negativo "in" ma fa pensare anche alla parola "finis", ovvero, "confine". Ne consegue dunque che infinito è ciò che non ha confine, o almeno, ciò che appare illimitato, proprio come affermava Leopardi nel suo "Zibaldone":
"(...)Neanche l'immaginativo è capace dell'infinito, ma solo dell'indefinito, e di concepire indefinitamente. (...) L'anima, non vedendo i confini, riceve l'impressione di una specie di infinità, e confonde l'infinito con l'indefinito, non comprende però alcuna infinità.  (...) Noi abbiam veduto delle cose inconcepibilmente maggiori di noi, del nostro mondo. Or quelle grandezze che noi non possiamo concepire, noi le abbiam credute infinite."
Per Leopardi, l'infinito è un'idea, un'ipotesi, un sogno, dal momento che l'intelligenza umana non è in grado di ottenere delle prove valide per dimostrare la sua esistenza.
Dunque, tutto ciò che è particolarmente vasto, come il cielo al di sopra di noi, ci appare infinito dal momento che non riusciamo a percepirne i limiti.
Il mio vecchio Garzanti concorda con Leopardi nell'enunciare i significati di infinito e di indefinito: il primo è "ciò che non ha né inizio né fine, ciò che non comporta limiti"; il secondo invece è "ciò che non può essere afferrato né determinato".
Leopardi prosegue i suoi ragionamenti chiedendosi se l'infinito esista per davvero o se invece sia un concetto sbagliato dal punto di vista metafisico.
Ma Leopardi ha ragione o torto? Non si può dire, non posso dirlo. Questa è la sua famosa e stimata teoria filosofica, condivisibile dal momento che ammette la limitatezza della mente umana di fronte alle meraviglie naturali; all'immensità di un cielo stellato, alla vastità del cielo azzurro illuminato dalla rosea luce del sole che sorge o dai riflessi aranciati del tramonto.
Però, a mio avviso, nei momenti in cui l'uomo osserva e contempla ammaliato la bellezza della Natura, egli prova un senso di armonia con il cosmo, anche se il suo sguardo non sa concepire i confini dell'Universo o i limiti di un paesaggio marino o montano. Ma cosa c'è oltre l'orizzonte? C'è un punto in cui il cielo si confonde con il mare? Dove finisce il cielo? Vi è mai capitato di farvi domande come queste? A me molte volte.
Siamo creature fragili, limitate. Non riusciremo mai a dominare del tutto la Natura, meravigliosamente terribile ma al contempo terribilmente meravigliosa. Effettivamente, gli artisti attivi nella prima metà del XIX secolo, erano molto affezionati al concetto di sublime.
Il termine sublime deriva da "sublimis", a sua volta composto dal prefisso "sub"="sotto" e dal sostantivo "limen"= "soglia". Il concetto di sublime nell'arte e nella letteratura del primo Ottocento nacque dalla mente dell'intellettuale irlandese Edmund Burke, il quale, con questo termine, voleva indicare un complesso insieme di sensazioni indescrivibili che è possibile provare soltanto di fronte a certi grandiosi spettacoli naturali. Il sublime è qualcosa di magico, di attraente, di temibile, poiché unisce il piacere all'angoscia. Il piacere di ammirare qualcosa di suggestivo con i nostri occhi e l'angoscia nel riconoscere la nostra piccolezza.
"I pescatori", Turner

I dipinti di Turner restituiscono il senso del sublime, anche questo quadro intitolato
"I pescatori" e realizzato nel 1796, quando il pittore inglese aveva soltanto 21 anni.
Qui è interessante notare che la zona luminosa del dipinto assume la forma di un enorme occhio, la cui pupilla (la luna), è spostata verso l'alto. Proprio la luce della luna rivela la natura agitata delle onde del mare. Il buio che comunque pervade gli angoli e la parte inferiore del dipinto è decisamente inquietante, ma è proprio questo elemento che rimanda ad una sensazione di indefinito.


"Tempesta di neve", Turner


 Un'altra sua opera relativa al concetto del sublime è "Tempesta di neve".
Se volevate vedere un dipinto in cui predomina il caos, eccolo qui! Tutto ruota, sembra quasi che cielo e mare siano membri di un continuum travolgente. Il turbinio delle onde è impressionante, più che onde sembrano spirali diaboliche che vogliono far affondare la nave!





I paesaggi raffigurati sono entrambi tormentati; ma proprio per questo appaiono molto suggestivi e attraenti: in essi la presenza umana appare quasi insignificante; è la natura terribile che prevale!


2) L'infinito come irraggiungibile meta:

E con ciò si arriva a toccare anche il tema del viaggio come riscoperta della propria identità.
Ogni viaggio che si rispetti presuppone delle tappe, altrimenti non è un vero e proprio viaggio, ma un insensato vagabondare senza scopo.
Anche la vita è un viaggio. Ma non è né un viaggio di piacere né una crociera.
E' un viaggio impegnativo che include sia i sentieri in salita, e dunque travagli e fatiche, sia le soste in zone pianeggianti e ventilate, e dunque la vicinanza e l'affetto dei nostri cari che sono come ombre che ci proteggono ogni giorno, sia le discese, da percorrere comunque a velocità moderata perché le insidie si nascondono anche nelle soluzioni più ovvie e più facili, sia i tratti in riva al mare, ovvero, quei momenti in cui possiamo permetterci di sognare, di piangere in silenzio e di perderci nei ricordi dei percorsi precedenti e delle persone che abbiamo incontrato.
Il ricordo di un viaggio può imprimersi profondamente nella memoria di un individuo; talvolta esso genera addirittura delle forti reazioni emotive. A questo proposito, Edgar Allan Poe affermava: "Viaggiare è come sognare: la differenza è che non tutti, al risveglio, ricordano qualcosa, mentre ognuno conserva calda la memoria della meta da cui è tornato."
Il viaggio della vita presuppone però più mete da raggiungere, mai una sola. Questo mi fa pensare al fatto che la felicità e il totale appagamento di tutti i nostri desideri siano soltanto delle mere illusioni. La soddisfazione per aver raggiunto un obiettivo dura un soltanto un istante; e questo perché la vita continua a scorrere come una cascata, proponendoci di volta in volta nuove avventure e nuove relazioni da vivere. Noi siamo tenuti a camminare in avanti e dobbiamo imparare ad accettare che nulla di certo sappiamo sul nostro avvenire.
Per questo motivo non esiste nemmeno la perenne pace interiore; proprio per il fatto che l'esistenza ci spinge sempre a cercare il nuovo, il diverso e l'ignoto. Per questo non bisognerebbe vivere nel passato trincerandosi nei ricordi, senza riporre alcuna fiducia nel futuro.

Noi umani desideriamo all'infinito, senza mai raggiungere la completa felicità.

Nemmeno l'amore garantisce la felicità. Nemmeno l'amore può essere considerato una meta definitiva. E' un sentimento straordinario, potente; ma questo non garantisce la sua lunga durata nel tempo.
I gesti e le parole d'amore però ci mettono, anche se solo per alcune frazioni temporali, in contatto con l'infinito.
Ma come prosegue la canzone dopo questa frase? Eccola qui: "Ma adesso che farai? Adesso, io, non so. Infiniti noi... So solo che non potrai mai finire. Mai... ovunque tu sarai, ovunque io sarò non smetteremo mai, se questo è amore è amore infinito".
E ora pensate a una ragazza che abbraccia un ragazzo.
E' emozionata e oltre a stringerlo, vorrebbe dirgli: "Vivo per il tuo sorriso e non vorrei perderti per nulla e per nessuno al mondo." Ma non le escono le parole di bocca e intanto però avverte la stretta dolce e intensa del ragazzo, che la ricambia molto volentieri. In quel momento, entrambi, anche se non esprimono a parole i loro sentimenti, si sentono molto uniti, e di fatto lo sono. Sono uniti da qualcosa di speciale che fa loro assaggiare uno sprazzo di eternità. E' difficile da descrivere, anche se lo si è provato. Non c'è nessuna tensione, nessuna angoscia, ma soltanto una manifestazione di affetto. Entrambi vorrebbero che quell'abbraccio non finisse mai.
Quando si sciolgono dalla stretta, ognuno dei due, nei giorni successivi, porta il ricordo di quel momento.
(Poi finisce che, per un periodo, vedi quell'abbraccio dappertutto, in mezzo alla natura come in un qualsiasi locale interno!)
Tutte le relazioni umane, anche quelle più profonde, devono essere ricreate ogni giorno. Farle maturare e farle durare nel corso del tempo dipende non soltanto da noi ma anche dall'altro. Noi ci mettiamo la nostra parte, ma anche l'altro dovrebbe metterci la sua!
Tutti desiderano raggiungere la felicità, tutti desiderano stare in perfetta armonia con l'immenso e con ciò che appare meraviglioso ma al contempo anche incredibilmente vasto.
Tuttavia si tratta di aspirazioni che si scontrano con i nostri limiti e con le nostre debolezze.

Una volta qualcuno aveva affermato che noi umani viaggiamo per perderci, è questo è vero ma è vero anche il contrario: si viaggia anche per scoprire se stessi, per mettere a frutto le proprie doti. Però indubbiamente ci si perde anche, perché il viaggio è incontro con ciò che è altro da noi. E a volte, ciò che è altro da noi, può divenire una parte di noi stessi e ci trasforma.

Concludo con una citazione tratta dal film "Into the wild":
"Il vero nucleo dello spirito vitale di una persona è la passione per l’avventura. La gioia di vivere deriva dall’incontro con nuove esperienze, e quindi non esiste gioia più grande dell’avere un orizzonte in costante cambiamento, del trovarsi ogni giorno sotto un sole nuovo e diverso."