2 agosto 2016

L'infinito: affascinante, misterioso, inquietante, irraggiungibile...


Ho trascorso una piacevole settimana al lago di Calceranica in Trentino in cui non mi sono fatta mancare proprio nulla: né le nuotate al lago, né le camminate presso suggestivi boschi di montagna.
Quest'anno più che mai mi erano necessarie le vacanze!!
Ad ogni modo, il mio cervello non va mai del tutto in vacanza e le meravigliose località del Trentino mi inducono sempre a riflettere su qualcosa di intrigante e di complesso.

Ho pensato soprattutto alla canzone "Infinito" di Raf, in cui c'è una frase particolarmente significativa che fa così:  
"L'infinito sai cos'è? L'irraggiungibile fine o meta che rincorrerai per tutta la tua vita".
Semmai mi capitasse di divenire insegnante di Lettere al liceo, vorrei proporre un tema ai miei studenti su questa frase. L'ho detto a mio zio Attilio, il quale per tutta risposta ha ribattuto: "Con un tema del genere, Anna, mi troverei in difficoltà persino io!" Mio zio, prima di divenire parroco, ha insegnato italiano per alcuni anni in seminario...
Oddio, prima di proporla come traccia dovrò spiegare per bene sia le teorie filosofico-artistiche del Romanticismo sia il pensiero di Leopardi. E dovrò far ascoltare loro il brano, dicendo magari: "Ragazzi, ecco una delle canzoni che mi hanno accompagnato durante la mia adolescenza!"
Ad ogni modo, io saprei come sviluppare delle riflessioni su questa frase, apparentemente sibillina.


 E' piuttosto malinconica ma a mio avviso è bellissima! 

1) L'infinito come irraggiungibile (con)fine:

Parto naturalmente da considerazioni di natura etimologica: il termine infinito è riconducibile all'aggettivo latino "infinitus", che non solo contiene il prefisso negativo "in" ma fa pensare anche alla parola "finis", ovvero, "confine". Ne consegue dunque che infinito è ciò che non ha confine, o almeno, ciò che appare illimitato, proprio come affermava Leopardi nel suo "Zibaldone":
"(...)Neanche l'immaginativo è capace dell'infinito, ma solo dell'indefinito, e di concepire indefinitamente. (...) L'anima, non vedendo i confini, riceve l'impressione di una specie di infinità, e confonde l'infinito con l'indefinito, non comprende però alcuna infinità.  (...) Noi abbiam veduto delle cose inconcepibilmente maggiori di noi, del nostro mondo. Or quelle grandezze che noi non possiamo concepire, noi le abbiam credute infinite."
Per Leopardi, l'infinito è un'idea, un'ipotesi, un sogno, dal momento che l'intelligenza umana non è in grado di ottenere delle prove valide per dimostrare la sua esistenza.
Dunque, tutto ciò che è particolarmente vasto, come il cielo al di sopra di noi, ci appare infinito dal momento che non riusciamo a percepirne i limiti.
Il mio vecchio Garzanti concorda con Leopardi nell'enunciare i significati di infinito e di indefinito: il primo è "ciò che non ha né inizio né fine, ciò che non comporta limiti"; il secondo invece è "ciò che non può essere afferrato né determinato".
Leopardi prosegue i suoi ragionamenti chiedendosi se l'infinito esista per davvero o se invece sia un concetto sbagliato dal punto di vista metafisico.
Ma Leopardi ha ragione o torto? Non si può dire, non posso dirlo. Questa è la sua famosa e stimata teoria filosofica, condivisibile dal momento che ammette la limitatezza della mente umana di fronte alle meraviglie naturali; all'immensità di un cielo stellato, alla vastità del cielo azzurro illuminato dalla rosea luce del sole che sorge o dai riflessi aranciati del tramonto.
Però, a mio avviso, nei momenti in cui l'uomo osserva e contempla ammaliato la bellezza della Natura, egli prova un senso di armonia con il cosmo, anche se il suo sguardo non sa concepire i confini dell'Universo o i limiti di un paesaggio marino o montano. Ma cosa c'è oltre l'orizzonte? C'è un punto in cui il cielo si confonde con il mare? Dove finisce il cielo? Vi è mai capitato di farvi domande come queste? A me molte volte.
Siamo creature fragili, limitate. Non riusciremo mai a dominare del tutto la Natura, meravigliosamente terribile ma al contempo terribilmente meravigliosa. Effettivamente, gli artisti attivi nella prima metà del XIX secolo, erano molto affezionati al concetto di sublime.
Il termine sublime deriva da "sublimis", a sua volta composto dal prefisso "sub"="sotto" e dal sostantivo "limen"= "soglia". Il concetto di sublime nell'arte e nella letteratura del primo Ottocento nacque dalla mente dell'intellettuale irlandese Edmund Burke, il quale, con questo termine, voleva indicare un complesso insieme di sensazioni indescrivibili che è possibile provare soltanto di fronte a certi grandiosi spettacoli naturali. Il sublime è qualcosa di magico, di attraente, di temibile, poiché unisce il piacere all'angoscia. Il piacere di ammirare qualcosa di suggestivo con i nostri occhi e l'angoscia nel riconoscere la nostra piccolezza.
"I pescatori", Turner

I dipinti di Turner restituiscono il senso del sublime, anche questo quadro intitolato
"I pescatori" e realizzato nel 1796, quando il pittore inglese aveva soltanto 21 anni.
Qui è interessante notare che la zona luminosa del dipinto assume la forma di un enorme occhio, la cui pupilla (la luna), è spostata verso l'alto. Proprio la luce della luna rivela la natura agitata delle onde del mare. Il buio che comunque pervade gli angoli e la parte inferiore del dipinto è decisamente inquietante, ma è proprio questo elemento che rimanda ad una sensazione di indefinito.


"Tempesta di neve", Turner


 Un'altra sua opera relativa al concetto del sublime è "Tempesta di neve".
Se volevate vedere un dipinto in cui predomina il caos, eccolo qui! Tutto ruota, sembra quasi che cielo e mare siano membri di un continuum travolgente. Il turbinio delle onde è impressionante, più che onde sembrano spirali diaboliche che vogliono far affondare la nave!





I paesaggi raffigurati sono entrambi tormentati; ma proprio per questo appaiono molto suggestivi e attraenti: in essi la presenza umana appare quasi insignificante; è la natura terribile che prevale!


2) L'infinito come irraggiungibile meta:

E con ciò si arriva a toccare anche il tema del viaggio come riscoperta della propria identità.
Ogni viaggio che si rispetti presuppone delle tappe, altrimenti non è un vero e proprio viaggio, ma un insensato vagabondare senza scopo.
Anche la vita è un viaggio. Ma non è né un viaggio di piacere né una crociera.
E' un viaggio impegnativo che include sia i sentieri in salita, e dunque travagli e fatiche, sia le soste in zone pianeggianti e ventilate, e dunque la vicinanza e l'affetto dei nostri cari che sono come ombre che ci proteggono ogni giorno, sia le discese, da percorrere comunque a velocità moderata perché le insidie si nascondono anche nelle soluzioni più ovvie e più facili, sia i tratti in riva al mare, ovvero, quei momenti in cui possiamo permetterci di sognare, di piangere in silenzio e di perderci nei ricordi dei percorsi precedenti e delle persone che abbiamo incontrato.
Il ricordo di un viaggio può imprimersi profondamente nella memoria di un individuo; talvolta esso genera addirittura delle forti reazioni emotive. A questo proposito, Edgar Allan Poe affermava: "Viaggiare è come sognare: la differenza è che non tutti, al risveglio, ricordano qualcosa, mentre ognuno conserva calda la memoria della meta da cui è tornato."
Il viaggio della vita presuppone però più mete da raggiungere, mai una sola. Questo mi fa pensare al fatto che la felicità e il totale appagamento di tutti i nostri desideri siano soltanto delle mere illusioni. La soddisfazione per aver raggiunto un obiettivo dura un soltanto un istante; e questo perché la vita continua a scorrere come una cascata, proponendoci di volta in volta nuove avventure e nuove relazioni da vivere. Noi siamo tenuti a camminare in avanti e dobbiamo imparare ad accettare che nulla di certo sappiamo sul nostro avvenire.
Per questo motivo non esiste nemmeno la perenne pace interiore; proprio per il fatto che l'esistenza ci spinge sempre a cercare il nuovo, il diverso e l'ignoto. Per questo non bisognerebbe vivere nel passato trincerandosi nei ricordi, senza riporre alcuna fiducia nel futuro.

Noi umani desideriamo all'infinito, senza mai raggiungere la completa felicità.

Nemmeno l'amore garantisce la felicità. Nemmeno l'amore può essere considerato una meta definitiva. E' un sentimento straordinario, potente; ma questo non garantisce la sua lunga durata nel tempo.
I gesti e le parole d'amore però ci mettono, anche se solo per alcune frazioni temporali, in contatto con l'infinito.
Ma come prosegue la canzone dopo questa frase? Eccola qui: "Ma adesso che farai? Adesso, io, non so. Infiniti noi... So solo che non potrai mai finire. Mai... ovunque tu sarai, ovunque io sarò non smetteremo mai, se questo è amore è amore infinito".
E ora pensate a una ragazza che abbraccia un ragazzo.
E' emozionata e oltre a stringerlo, vorrebbe dirgli: "Vivo per il tuo sorriso e non vorrei perderti per nulla e per nessuno al mondo." Ma non le escono le parole di bocca e intanto però avverte la stretta dolce e intensa del ragazzo, che la ricambia molto volentieri. In quel momento, entrambi, anche se non esprimono a parole i loro sentimenti, si sentono molto uniti, e di fatto lo sono. Sono uniti da qualcosa di speciale che fa loro assaggiare uno sprazzo di eternità. E' difficile da descrivere, anche se lo si è provato. Non c'è nessuna tensione, nessuna angoscia, ma soltanto una manifestazione di affetto. Entrambi vorrebbero che quell'abbraccio non finisse mai.
Quando si sciolgono dalla stretta, ognuno dei due, nei giorni successivi, porta il ricordo di quel momento.
(Poi finisce che, per un periodo, vedi quell'abbraccio dappertutto, in mezzo alla natura come in un qualsiasi locale interno!)
Tutte le relazioni umane, anche quelle più profonde, devono essere ricreate ogni giorno. Farle maturare e farle durare nel corso del tempo dipende non soltanto da noi ma anche dall'altro. Noi ci mettiamo la nostra parte, ma anche l'altro dovrebbe metterci la sua!
Tutti desiderano raggiungere la felicità, tutti desiderano stare in perfetta armonia con l'immenso e con ciò che appare meraviglioso ma al contempo anche incredibilmente vasto.
Tuttavia si tratta di aspirazioni che si scontrano con i nostri limiti e con le nostre debolezze.

Una volta qualcuno aveva affermato che noi umani viaggiamo per perderci, è questo è vero ma è vero anche il contrario: si viaggia anche per scoprire se stessi, per mettere a frutto le proprie doti. Però indubbiamente ci si perde anche, perché il viaggio è incontro con ciò che è altro da noi. E a volte, ciò che è altro da noi, può divenire una parte di noi stessi e ci trasforma.

Concludo con una citazione tratta dal film "Into the wild":
"Il vero nucleo dello spirito vitale di una persona è la passione per l’avventura. La gioia di vivere deriva dall’incontro con nuove esperienze, e quindi non esiste gioia più grande dell’avere un orizzonte in costante cambiamento, del trovarsi ogni giorno sotto un sole nuovo e diverso."




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