27 gennaio 2018

La "Giornata della vergogna":


Così noi in famiglia chiamiamo la ricorrenza del 27 gennaio.
Riporto testi sia letterari sia filosofici sul tema della Shoah, accompagnati da riflessioni personali.


 Comincio con il definire assurde e crudeli queste tre parole: la frase "Il lavoro rende liberi", se la si colloca al di sopra dei cancelli di un campo di concentramento, diventa una bestemmia, una terribile offesa della dignità umana. 
Questa frase ha senso nel caso del prof. D'Avenia: la sua professione di insegnante di italiano e latino in un liceo scientifico e il suo lavoro di scrittore lo rendono un uomo davvero libero.
D'Avenia infatti sta facendo esattamente quello che desiderava quando era ragazzino: è un uomo di quarant'anni che è riuscito ad essere e a manifestare se stesso, un anticonformista che sta alzando la voce contro la superficialità e la falsità che caratterizzano la nostra società contemporanea.
Spero che tra alcuni anni questa frase possa caratterizzare quella che sarà la mia "missione nel mondo". Spero di poter diventare forte e libera anch'io come lo è lui.
Ma ricordiamoci bene che il lavoro forzato, accompagnato da torture orribili e da sevizie e angherie non rende per nulla liberi: nel migliore dei casi conduce all'apatia dell'anima e al deterioramento fisico.


CORTOMETRAGGIO SULLA SHOAH:

Sembra una cosa da ragazzini, ma io lo trovo carino e... un pochino toccante.
Si intitola "la matita di Rob".



PAUL CELAN, TODESFUGE:

Paul Celan era un poeta ebreo che aveva scritto delle poesie in lingua tedesca, ovvero, nell'idioma dei suoi oppressori. "Todesfuge" significa: "Fuga dalla morte".

Negro latte dell’alba noi lo beviamo la sera
noi lo beviamo al meriggio come al mattino lo beviamo la notte
noi beviamo e beviamo
noi scaviamo una tomba nell’aria chi vi giace non sta stretto
Nella casa vive un uomo che gioca colle serpi che scrive
che scrive in Germania quando abbuia i tuoi capelli d’oro Margarete
egli scrive egli s’erge sulla porta e le stelle lampeggiano
egli aduna i mastini con un fischio
con un fischio fa uscire i suoi ebrei fa scavare una tomba nella terra
ci comanda e adesso suonate perché si deve ballare

Negro latte dell’alba noi ti beviamo la notte
noi ti beviamo al meriggio come al mattino ti beviamo la sera
noi beviamo e beviamo
Nella casa vive un uomo che gioca colle serpi che scrive
che scrive in Germania quando abbuia i tuoi capelli d’oro Margarete
i tuoi capelli di cenere Sulamith 

noi scaviamo una tomba nell’aria chi vi giace non sta stretto
Egli grida puntate più fondo nel cuor della terra e voialtri cantate e suonate
egli estrae dalla cintola il ferro lo brandisce i suoi occhi sono azzurri
voi puntate più fondo le zappe 

e voi ancora suonate perché si deve ballare
Negro latte dell’alba noi ti beviamo la notte
noi ti beviamo al meriggio come al mattino ti beviamo la sera
noi beviamo e beviamo
nella casa vive un uomo i tuoi capelli d’oro Margarete
i tuoi capelli di cenere Sulamith egli gioca colle serpi
 

Egli grida suonate più dolce la morte la morte è un Maestro di Germania
grida cavate ai violini suono più oscuro così andrete come fumo nell’aria
così avrete nelle nubi una tomba chi vi giace non sta stretto

Negro latte dell’alba noi ti beviamo la notte
noi ti beviamo al meriggio la morte è un Maestro di Germania
noi ti beviamo la sera come al mattino noi beviamo e beviamo
la morte è un Maestro di Germania il suo occhio è azzurro
egli ti coglie col piombo ti coglie con mira precisa
nella casa vive un uomo i tuoi capelli d’oro Margarete
egli aizza i mastini su di noi ci fa dono di una tomba nell’aria
egli gioca colle serpi e sogna la morte è un Mastro di Germania

i tuoi capelli d’oro Margarete
i tuoi capelli di cenere Sulamith


 Chiarisco subito il significato dei due nomi propri femminili che trovate all'interno del testo: Margarete sarebbe l'emblema della cultura tedesca, in quanto protagonista del "Faust" di Goethe, mentre Sulamith è una principessa giudaica, che compare nel "Cantico dei Cantici".
Ho provato a interpretare alcune espressioni:

A) "Negro latte dell'alba": l'aggettivo "negro" sta per "umiliazioni subite sin dalle prime luci del giorno, ad ogni momento del giorno", mentre "latte" rimanda certamente al nutrimento materno, ma qui credo stia a designare anche una tristissima realtà di fatto: i soprusi sono il "latte quotidiano" degli internati, un qualcosa al quale purtroppo ci si è assuefatti e non si vedono vie d'uscita né speranze di miglioramenti. E' un'espressione suggestiva che indica "una morte nella vita".

B) "Beviamo": Si insiste moltissimo su questo verbo, che secondo il mio modesto parere da non ancora laureata, è un fattore che marca l'assuefazione alla violenza atroce, senza possibilità di difesa.

C) le stelle lampeggiano: Ma in che senso? Io la vedo come una personificazione. Lampeggiano quando l'uomo cattivo che gioca con le serpi, metafora del male, si affaccia sull'uscio di casa. Perché lampeggiano?? Sono indignate per ciò che sta accadendo al popolo ebraico oppure lampeggiano compiaciute per la violenza? Stanno dalla parte degli oppressi o degli aguzzini?
Chissà come vedeva gli elementi della natura Paul Celan.


 ADORNO E LA "DIALETTICA NEGATIVA":

Dopo Auschwitz, Hitler ci costringe ad impegnarci con tutte le nostre forze per fare in modo che ciò che è avvenuto non possa ripetersi. Questo è diventato l’“imperativo categorico” della nostra epoca. Auschwitz dimostra inconfutabilmente il fallimento della cultura e dell’interpretazione illuminista della storia. Ma la negazione della cultura non è una soluzione. Neppure il silenzio.
(...)
Auschwitz ha dimostrato inconfutabilmente il fallimento della cultura. Il fatto che potesse succedere in mezzo a tutta la tradizione della filosofia, dell’arte e delle scienze illuministiche, dice molto di più che essa, lo spirito, non sia riuscito a raggiungere e modificare gli uomini. In quelle regioni stesse con la loro pretesa enfatica di autarchia, sta di casa la non verità. Tutta la cultura dopo Auschwitz, compresa la critica urgente ad essa, è spazzatura. Poiché essa si è restaurata dopo quel che è successo nel suo paesaggio senza resistenza, è diventata completamente ideologia, quale potenzialmente era dopo che, in opposizione all’esistenza materiale, presunse di soffiarle la luce, offertale dalla divisione tra lavoro corporale e spirito. Chi parla per la conservazione della cultura radicalmente colpevole e miserevole diventa collaborazionista, mentre chi si nega alla cultura, favorisce immediatamente la barbarie, quale si è rivelata essere la cultura. Neppure il silenzio fa uscire dal circolo vizioso: esso razionalizza soltanto la propria incapacità soggettiva con lo stato di verità oggettiva e così la degrada ancora una volta a menzogna.


Condividete ciò che afferma??
Io, in quanto dotata di "qualità artistiche", non posso approvare queste frasi.
In questo scritto c'è molto dolore, molto pessimismo, molto sconforto. L'autore è profondamente sconvolto dagli avvenimenti accaduti durante il secondo conflitto mondiale; è così amareggiato e deluso dalla storia che non ripone più alcuna fiducia nelle risorse mentali umane. "Auschwitz" è dunque l'emblema assoluto della crudeltà umana, della crudeltà ben calcolata e finalizzata al completo annientamento dei propri simili.
Il problema però non sono i contenuti della cultura umanistica, almeno a mio avviso.
Il problema è casomai il modo in cui gli uomini li interpretano e li utilizzano nella loro vita.

Non è vero che dopo Auschwitz non potrà mai più esserci poesia né alcun' altra forma d'arte: pensate ai miei componimenti pluripremiati!
Dai, scherzo: pensate anche e soprattutto a grandi figure di poeti e di prosatori morti da relativamente poco tempo, come Mario Luzi e Italo Calvino!
Mario Luzi ricerca il trascendente ma dimostra anche grande stupore lirico nell'osservazione della natura in alcune poesie giovanili.
La pittura dei giorni nostri si sta focalizzando soprattutto su paesaggi suggestivi e su espressioni dei volti umani.
Per quel che riguarda la musica invece, sia in Italia che negli States ci sono numerosi testi significativi e melodie stupende, che si tratti di musica pop, rock, rap, country, echi di musica classica.
Vi riporto degli esempi qui sotto, tutte canzoni che "vanno di moda" in questi ultimi mesi:

-"Valore assoluto", Tiziano Ferro: "Se piovessero dal cielo tutti i cuori del mondo io raccoglierei il tuo soltanto".

- "Perfect", Ed Sheeran: "Baby I'm dancing in the dark with you between my arms, barefoot on the grass, listening to our favourite song, when you said you looked a mess, I whispered underneath my breath, but you heard me, darling, you look perfect tonight."

La barbarie non deriva dalle conoscenze culturali, deriva da ideologie piene d'odio che corrompono l'anima.
"Auschwitz" non la si può nemmeno definire un'isteria collettiva.
"Auschwitz" è il progetto diabolico di un dittatore sanguinario, uno dei primi personaggi storici ad aver pensato all'attuazione di uno sterminio di massa.


 PRIMO LEVI, "LA TREGUA":

Questo è l'inizio del secondo romanzo del chimico ebreo. Il racconto inizia con l'arrivo dei soldati sovietici alle porte del campo di Auschwitz.
Ricopio alcune parti in cui Levi descrive la fine del suo inferno terrestre.

"La prima pattuglia russa giunse in vista del campo verso mezzogiorno del 27 gennaio 1945. Fummo Charles ed io i primi a scorgerla: stavamo trasportando alla fossa comune il corpo di Somogyi, il primo dei morti tra i nostri compagni di camera. (...)
Erano quattro giovani soldati a cavallo, che procedevano guardinghi, coi mitragliatori imbracciati, lungo la strada che limitava il campo. Quando giunsero ai reticolati, sostarono a guardare, scambiandosi parole brevi e timide, e volgendo sguardi legati ad uno strano imbarazzo sui cadaveri scomposti, sulle baracche sconquassate, su noi pochi vivi. A noi parevano mirabilmente corporei e reali, sospesi (...) sui loro enormi cavalli, fra il grigio della neve e il grigio del cielo, immobili sotto le folate di vento umido minaccioso di disgelo. (...)
quattro uomini armati, ma non armati contro di noi; quattro messaggeri di pace, dai visi rozzi e puerili sotto i pesanti caschi di pelo. 
Non salutavano, non sorridevano; apparivano oppressi, oltre che da pietà, da un confuso ritegno, che sigillava le loro bocche, e avvinceva i loro occhi allo scenario funereo. (...)
Nessuno mai ha potuto cogliere meglio di noi la natura insanabile dell'offesa, che dilaga come un contagio. E' stolto pensare che la giustizia umana la estingua. Essa è una inesauribile fonte di male: spezza il corpo e l'anima dei sommersi, li spegne e li rende abbietti; risale come infamia sugli oppressori, si perpetua come odio nei superstiti, e pullula in mille modi, contro la stessa volontà di tutti, come sete di vendetta, come cedimento morale, come negazione, come stanchezza, come rinuncia."
 
I soldati dell'Armata Rossa vedono una tragedia che è al limite dell'umano. Forse, nei primi istanti, credono di trovarsi in un incubo. Sembrano titubanti, indecisi di fronte agli orrori dei campi di prigionia escogitati dai nazisti.
Quei soldati vengono a diretto contatto con gli effetti devastanti del male e dell'atrocità.
Ma per Levi e per i suoi compagni si vede nettamente la liberazione. Anche se nessuna giustizia e nessun tribunale potrà mai cancellare il loro infinito dolore.

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Anni del secolo scorso da NON DIMENTICARE MAI:

1915: Genocidio degli Armeni da parte dei Turchi (un milione e mezzo di morti).

1941-1945: Sterminio Ebraico in tutta Europa, conosciuto anche come "Shoah". (sei milioni di morti).

1994: In Ruanda, gli Hutu massacrarono i Tutsi a colpi di machete
(ottocentomila morti).

luglio 1995: Genocidio dei bosniaci a Srebrenica da parte dei militari Serbi comandati da Mladic. (quasi novemila morti riesumati dalle fosse comuni).


"Ogni parola che spendiamo per diminuire la dimensione della tragedia è una pallottola che carichiamo nella pistola degli assassini."
 (M. Milli)


 La storia è piena di tragedie, il punto è che gli umani, una buona parte di loro almeno, non imparano un beato cavolo dal passato!

MA VI RENDETE CONTO CHE L'EUROPA DEL '95 ERA ANCORA L'EUROPA DEL NAZIONALISMO ESASPERATO E DEGLI STERMINI DI MASSA????!!
E DUE MESI DOPO LE VIOLENZE DI SREBRENICA SONO NATA IO!!

Nella "civile Europa" del '95 venivano arruolati i tredicenni nelle zone Balcaniche, lo sapevate??
Nella civile Europa del '95 si praticavano violenze e massacri ingiustificati nelle campagne serbo-bosniache a danno dei Bosniaci, con il pretesto del diverso credo religioso!

Mi domando: cosa è veramente cambiato nell'arco di cinquant'anni?? ('45-'95)


25 gennaio 2018

Il popolo armeno:


Stavolta inizio con delle informazioni geografiche, poi passerò a quelle linguistiche e storiche.

CARTINE GEOGRAFICHE RELATIVE ALL'ARMENIA:

L'Armenia si trova nella zona dell'Europa sud-orientale: è la zona interna al cerchietto rosso
Gli Stati che confinano con l'Armenia

Il manuale di Francisco Villar introduce il capitolo dedicato al popolo armeno con queste frasi:

"Nell'estremità orientale della Turchia, nei pressi della Repubblica armena, un po' a nord del lago Van e non lontano dalle sorgenti dell'Eufrate, si innalza il massiccio dell'Ararat. La leggenda dice che sulla vetta più alta si posò l'arca di Noè alla fine del diluvio."

"Ararat" significherebbe "terre alte". Questo monte, dotato di cime con nevi perenni, costituisce il simbolo dell'unità del popolo armeno. Per molti secoli si è tramandata la leggenda che sulle sue pendici si potessero vedere i resti dell'arca di Noè.
Monte Ararat
 STORIA DEL POPOLO ARMENO:

 Pare che nel corso del I° millennio a.C. il popolo degli Urartu abitasse l'attuale Armenia.                   Il nome di questo popolo è stato citato per la prima volta nelle fonti assire.
Poi però, nel corso del VII° secolo a.C. (secolo in cui in Asia Minore e nelle isole orientali della Grecia stava fiorendo la lirica nel dialetto eolico!), i Medi avevano occupato la zona dell'Ararat e l'avevano annessa al loro impero.
Gli Urartu non parlavano una lingua indoeuropea e il loro sistema di scrittura era cuneiforme:


Ma quando esattamente gli armeni sono entrati in questa zona e da dove provenivano??              Nessuno lo sa con esattezza. Si pensa che possano essere derivati o dai Balcani o dall'Asia Minore, forse intorno al 1200 a.C.
Alcuni studiosi sono riusciti a provare il fatto che alcune parole ittite siano prestiti armeni, come la parola che significa "campo".

Campo, nel senso di "terra da coltivare":

INDOEUROPEO
ITTITA
ARMENO
*agros arziya art (= campo da coltivare, campagna)

Ribadisco che l'ittita fa parte della sottofamiglia delle lingue anatoliche, ora tutte estinte, ma parlate nel II° millennio a.C. in una zona che corrisponde all'incirca all'attuale Turchia.
Ad ogni modo, durante il governo degli armeni, la regione che un tempo era appartenuta agli Urartu si era fatta politicamente e militarmente debole, al punto tale che prima era stata dominio dei Medi, poi dei Persiani, poi dei greco-macedoni, a causa delle immense conquiste di Alessandro Magno.
Nel 114 d.C. l'imperatore romano Traiano l'aveva annessa al suo impero.
Nei primi secoli dopo Cristo la regione dell'Armenia era spesso stata teatro di scontri tra i Romani e i Parti. Nel frattempo si era diffuso anche il cristianesimo, religione che, a partire dal IV° secolo d.C., divenne ufficiale.
Il V° secolo d.C. era stato per gli armeni un periodo molto prolifico dal punto di vista letterario, dal momento che venivano composti ed eseguiti dei canti epici, dei canti popolari, residui delle tradizioni pagane, e alcune opere storiche. Proprio nel V° secolo d.C. era sorta quella lingua che gli studiosi comunemente chiamano "armeno classico", utilizzato in modo pressoché inalterato dagli scrittori fino all'Ottocento. L'armeno classico è una lingua letteraria, mentre invece l'armeno parlato dalle persone comuni aveva subito nel corso del tempo una grande stratificazione dialettale.

Pensate al caso della lingua latina in epoca imperiale (31 a.C.- 476 d.C.): il latino scritto e praticato da oratori, filosofi e poeti è dotato di rigidi canoni sintattici e le parole non subiscono grandi variazioni di significato da autore ad autore, mentre il latino parlato continua ad evolversi, venendo sempre più a contatto con genti barbariche, fino alla formazione delle lingue romanze.
I giuramenti di Strasburgo dell' 842, che comprendono accordi tra Carlo il Calvo e Ludovico il Germanico, sono stati redatti in due lingue: antico francese e antico tedesco. Anche in Italia pian piano si forma una lingua che progressivamente si distanzia dal latino per assumere una morfologia totalmente differente. Pensate solo al fatto che nel Placito di Capua (960 d.C.), "ko" è l'antenato di "che" e sostituisce il "quod" latino; mentre "sao" è una via intermedia tra "scio" e "so".

Lingua intermedia: "Sao ko kelle terre" / italiano:" So che quelle terre".


IL XX° SECOLO- GRAVI EVENTI STORICI:

Fra due giorni sarà di nuovo la Giornata della Memoria, quindi ricorderemo soprattutto il momento in cui, in quel tristissimo 27 gennaio 1945, alcuni soldati sovietici hanno varcato i cancelli del campo di Auschwitz e sono stati i primi testimoni oculari di una tragedia ai limiti dell'umano.
Anche gli armeni, come gli ebrei durante la seconda guerra mondiale e come i bosniaci musulmani nel 1995, sono stati vittime di un genocidio.

Nei primissimi anni del Novecento il territorio degli armeni era conteso tra l'Impero Ottomano e la Russia. Nel 1908 era tra l'altro sorto il movimento dei "Giovani Turchi", mirato a stroncare con la violenza le ribellioni armene di velleità indipendentistica.
Nel 1915, soldati russi e soldati turchi combattevano in Armenia.
I turchi però, non soltanto avevano sedato con la violenza le rivolte degli Armeni, ma li avevano addirittura deportati verso la zona interna dell'Anatolia e massacrati lungo il percorso.
Gli armeni chiamano questo bruttissimo evento storico "Medz Yeghern", ovvero, "Il grande crimine", in cui hanno perso la vita quasi due milioni di uomini armeni. Uomini: mariti, fratelli, fidanzati, amici, padri e zii fucilati o decapitati davanti alle loro mogli, compagne, sorelle, amiche, figlie e nipoti.

La cosa schifosa è che i Turchi si stanno comportando come i Serbi: non vogliono riconoscere il genocidio!!!
Però, quel che è ancora più grave è questo aspetto: il genocidio armeno è avvenuto 103 anni fa, il genocidio bosniaco 22 anni fa, diventeranno 23 nel luglio 2018.
L'arco di tempo trascorso secondo me è un fattore importante: in cento anni si dovrebbe aver compreso, da parte di certe istituzioni politiche, il danno dell'arroganza e la ferocia della violenza, al quale si ripercuote per molte successive generazioni. E il ricordo e la memoria rimangono, con il loro folto alone di dolore, che offusca la vista del mondo.

22 anni forse sono ancora pochi: i bosniaci di religione musulmana non hanno superato e non supereranno mai il trauma, i Serbi probabilmente conservano ancora delle istanze nazionalistiche o forse dei vaghi sentimenti di superiorità rispetto ai Bosniaci.
La guerra in Jugoslavia (novembre 1991-febbraio 1996) e il genocidio di Srebrenica non hanno fatto altro che dividere: i Bosniaci si sono chiusi a "riccio" e mal tollerano quelle poche presenze serbe all'interno dei loro confini. E pensare che soltanto 30 anni fa entrambi i popoli convivevano pacificamente, senza dare troppa importanza a differenze religiose ed etniche.



C'è un libro di Antonia Arslan intitolato "La masseria delle allodole", relativo appunto alla strage degli armeni negli anni 1915-1916.
La scrittrice narra la storia della sua famiglia, distrutta dalla terribile cattiveria dei Turchi.
Vorrei riportarvi alcune parti che mi sono sembrate significative.
Vi consiglio caldamente di leggerle con questa musica da pianoforte di sottofondo:

LE NUVOLE- LUDOVICO EINAUDI:



"Perciò, alla fine, la processione si farà; e sotto il sole innocente, nello splendido smalto di una giornata luminosa, per l'ultima volta tutti quei corpi e quei volti danzeranno armoniosi, quelle corolle viventi palpiteranno, leggere della gioia e delle attese di sempre. Solo, verso sera, dalla parte delle cascate rompe un acquazzone torrenziale: sono le lacrime dei loro angeli in lutto."

"Come avviene una strage? Quale liquore divente il sangue, come sale alla testa? Come si diventa assetati di sangue? Chi lo gusta, si dice, non lo dimentica."
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"LE DONNE E LE BAMBINE VENGONO SPINTE BRUTALMENTE A RIDOSSO DELLA PARETE DI FRONTE. SHUSHANIG E' IMMOBILE E GUARDA I SUOI CARI. I SUOI OCCHI DILATATI NON ESPRIMONO NIENTE, LE MANI SONO SPROFONDATE NELLE TASCHE E TENGONO STRETTO IL PICCOLO TESORO. (...) LAME BALENARONO, URLA SI ALZARONO, SANGUE SCOPPIO' DAPPERTUTTO, UN FIORE ROSSO SULLA GONNA DI SHUSHANIG: E' LA TESTA DEL MARITO, DECAPITATA, CHE LE VIENE LANCIATA IN GREMBO. NELLA SUA GONNA, SOTTO IL GREMBIULE DA CUCINA A CROCETTE CON MOTIVI PASQUALI DI CUI SHUSHANIG E' ASSURDAMENTE ORGOGLIOSA, SI NASCONDE HENRIETTE, CHE SOLO DA QUALCHE MESE HA COMINCIATO A PARLARE VERAMENTE, E CHIACCHIERA SEMPRE, RACCONTANDOSI STORIE E NASCONDENDOSI DAPPERTUTTO, COME UN TOPOLINO CANORO. ORA UN GETTO DI SANGUE CALDO SCHIZZATO FUORI DALLA TESTA DEL PADRE LA BAGNA TUTTA, ATTRAVERSO IL GREMBIULE, INONDANDO LA CALDA OSCURITA' DEL RIFUGIO MATERNO.
HENRIETTE NON PARLERA' MAI PIU' LA SUA LINGUA MATERNA, E IN OGNI ALTRA LINGUA, COME IN OGNI PAESE DEL MONDO, SI SENTIRA' PER SEMPRE STRANIERA: QUALCUNO CHE RUBA IL PANE, FUORI POSTO DOVUNQUE, SENZA FAMIGLIA, INVIDIANDO I FIGLI DEGLI ALTRI. ARROTOLATA SU SE STESSA NEL BUIO, PIANGERA' OGNI NOTTE, OGNI NOTTE SOPRAVVIVENDO (...)"

"LA BANDA PREGUSTA LA VIOLENZA CHE SEGUIRA', OCCHIEGGIA IMPARZIALMENTE DONNE, RAGAZZE E BAMBINE, PENSANDO CHE CE N'E' PER TUTTI. E POI, LE BUTTERANNO VIA, ALLA FINE. LA NOTTE E ' LUNGA. INTANTO, COMINCIANO A SFASCIARE IMPARZIALMENTE I VETRI DEL BOVINDO E LE CRISTALLERIE."

Imparzialmente... nel senso che niente e nessuno viene risparmiato. La vita è colpita, la macchia nera della morte si diffonde nell'aria e nelle anime dei sopravvissuti.
Ma c'è un esile barlume di luce in vite come quella di Henriette, così duramente e brutalmente oscurate dal buio della violenza tagliente, proveniente da anime gelide come il vento in gennaio?

-Scusate se piango, ma le lacrime servono a far riflettere.- Per favore, non giudicatemi, perché in questi stupidi 22 anni di vita vissuta ci ha pensato anche troppa gente a giudicarmi superficialmente, senza voler conoscere la parte più bella e più profonda di me.
Quella la notano in pochissimi, e si tratta di persone che posso contare sulle dita di una sola mano!


14 gennaio 2018

"Il gigante buono":


Rendetevi conto di che cosa è in grado di partorire la mente della vostra complessata vecchiona, anche a ridosso degli esami!
Mi trovo costretta a interrompere le spiegazioni sugli sviluppi linguistici dei popoli indoeuropei a causa di una fulminea ispirazione, che mi ha portata a creare un racconto piuttosto carino.
Creato... Non credo sia il termine appropriato in un contesto come questo. 
Ho praticamente reinventato, stravolto e un pochino modernizzato la storia del gigante egoista. 
Ma il mio è un gigante dotato di un cuore meravigliosamente pulsante di vita.
Ah e... se, mentre leggete, riuscite ad immaginare gli ambienti e i personaggi descritti, questo significa che come scrittrice potrei promettere bene!
Oddio... liberissimi anche di considerarla una favoletta ridicola inficiata di inutile e patetico pietismo. A me modestamente piace.

IL GIGANTE BUONO:

CAPITOLO PRIMO- LE ORIGINI DEL GIGANTE:
 
In un tempo non molto lontano dal nostro, esisteva una città chiamata Fango a causa del clima piovoso e umido. Raramente il sole illuminava questo luogo e, a causa di acquazzoni torrenziali, le strade risultavano quasi sempre macchiate di grandi pozzanghere marroncine, sulle quali le nubi si specchiavano mentre passeggiavano per le vie del cielo.
In questa città triste, inquinata e purtroppo ricca di innumerevoli condomini fatiscenti, viveva anche una famiglia un po' particolare; si trattava di una coppia con un figlio dotato di rara bellezza fisica. Ciò che di lui colpiva erano certamente i suoi capelli ricci di un colore che richiamava alla mente i campi di grano baciati dai tramonti estivi.
Era molto, molto alto, molto più alto dei suoi coetanei, i quali spesso non perdevano l'occasione per deriderlo o per insultarlo con espressioni grossolane a causa di questa sua caratteristica.
I genitori non lo amavano particolarmente: era infatti frequente che entrambi gli rinfacciassero di essere imbranato e rimbambito a causa della sua timidezza.
Il bambino non aveva mai ricevuto da loro nessun complimento, nemmeno per un bel voto preso a scuola.
Le uniche carezze che aveva ricevuto nella vita erano stati soltanto gli schiaffi di suo padre il quale, purtroppo aveva il brutto vizio dell'alcool.

Eppure, i motivi per cui i suoi genitori avrebbero dovuto lodarlo sarebbero stati molti, a cominciare dalla sua grande sensibilità: il ragazzino, nei momenti di solitudine, si affacciava sul balcone del suo condominio e ammirava il sorgere del sole, la nascita delle stelle, la luminosità della luna.

Quando gli capitava di vedere delle rondini volare, non poteva mai fare a meno di esclamare: "Rondinelle, portatemi con voi! Voglio andare in un bel posto lontano!!"

L'altissimo ragazzino era molto intelligente e molto portato per qualsiasi forma d'arte: i suoi dipinti ad acquerello raffiguravano delicati  paesaggi collinari e montuosi che egli però non aveva mai avuto l'occasione di vedere.
In musica era fortissimo: da qualsiasi strumento era sempre stato in grado di ricavare melodie ora ballabili; e queste soprattutto con la batteria, ora tranquille; in particolar modo quando toccava i tasti di un pianoforte. Aveva talento, indubbiamente, anche se non sapeva nemmeno una nota!
Era inoltre molto portato per la poesia: le sue parole tratteggiavano immagini delicate, in cui veniva spesso descritta una natura bellissima, piena di sole e di brezza, incontaminata dall'inquinamento.

Con grandi sacrifici che comportavano la conciliazione degli orari lavorativi in un ristorante con degli intensi momenti di studio, il ragazzo era riuscito a terminare gli snervanti studi universitari.
"Dottore in Ingegneria"... Già... bel traguardo, gran bella soddisfazione, se almeno dell'ingegneria gli fosse importato qualcosa!! Aveva scelto quella facoltà soltanto per accontentare i genitori, che gli avevano sempre detto: "Con la musica e con la poesia non si mangia, devi fare qualcosa che ti sia utile, gigantone rimbecillito!"
E con quella laurea si mangiava anche se non si aveva la minima intenzione di dedicarsi ad una professione adeguata a quel percorso di studi??!
Oddio, oddio!!! Che senso aveva avuto iscriversi ad Ingegneria per non diventare ingegnere??
E così, il nostro protagonista, che ormai era un ragazzone che aveva raggiunto un'altezza vertiginosa e maestosa, aveva deciso una notte di partire di nascosto da casa.


CAPITOLO SECONDO- IL VIAGGIO:

Il ragazzo aveva raggiunto la stazione di quella che, per venticinque lunghi anni, era stata la sua cupa città natale.
La stazione gli sembrava un luogo anonimo, piuttosto silenzioso nelle ore notturne.
Nel corridoio di ingresso si sentivano i passi ticchettanti degli altri frequentatori, per la verità pochi.
Si udiva inoltre un rumore lontano di rotaie che stridevano.
Con serena calma, il nostro dolce gigantone stava consultando il tabellone delle mete.
I suoi occhi si erano fermati in particolare sulle scritte: "Fango-Limpida Valle".
Digitando sul suo smarthphone il nome di quel paese mai sentito, aveva scoperto che si trattava di una piccola cittadina incastonata tra le montagne, lontana e... resa meravigliosa da un suggestivo gioco di luci ed ombre che le fotografie permettevano di osservare.

Aveva deciso, allora. Avrebbe preso un biglietto per Limpida Valle.
Il treno per quel luogo che sembrava un paradiso sarebbe partito tra venti minuti.

Poco prima del sorgere del giorno, avrebbe finalmente iniziato una nuova vita. Per davvero.
Basta, basta con l'invenzione di mondi e contesti in cui si immaginava un musicista e un pittore molto stimato e molto ammirato dalle ragazze!
Era stanco ormai di dedicare buona parte delle notti a pensare a quelle cose.
Doveva dare una svolta decisiva alla sua vita, ora!
Doveva farlo prima che quelle ricorrenti immaginazioni mentali gli facessero pericolosamente perdere il contatto con una realtà che non gli era mai piaciuta.
Era emozionato. Gli occhi, brillanti per l'eccitazione, parevano perle d'argento.


CAPITOLO TERZO- L'ARRIVO A LIMPIDA VALLE:

A Limpida Valle era una fresca e soleggiata mattina di primavera.
Sui verdi prati spuntavano miriadi di fiori colorati, accarezzati dal leggero battito d'ali delle farfalle.
Giù da una ripida e imponente montagna scorreva un ruscello dalle acque cristalline.
Le case di quella cittadina, fatte di legno e pietre, erano quasi tutte circondate da grandi alberi.
Il nostro Gigante Buono ammirava tutto questo, bisbigliando, con sincero stupore di fanciullo estasiato: "Che bello!"
Le stelle stavano per spegnersi e il cielo stava per accogliere le prime tenui luci dell'aurora.
Dopo aver percorso alcune vie periferiche di quel grande villaggio, aveva trovato una villa abbandonata, circondata da un giardino piuttosto spazioso.
Il cancello, un po' arrugginito, era del tutto aperto.
Incuriosito, era entrato e, scoprendo la villa disabitata, aveva deciso di rimanervici.
Cioè, chiariamo una cosa: a lui, che per più di vent'anni aveva vissuto in un condominio, quel posto sembrava una villa enorme, in realtà era una casa dai soffitti molto alti, dotata di otto stanze all'interno e di un giardino popolato di cipressi, ulivi e di qualche altalena appesa ai solidi tronchi delle querce.


CAPITOLO QUARTO- ASSURDI PREGIUDIZI:

Era passata ormai una settimana da quella notte di fuga.
Il nostro ragazzone stava bene, era felice, si occupava volentieri dei lavori di casa: aveva ridipinto di azzurro le pareti del salotto e, con grande zelo, aveva anche ripulito tutti i mobili dalla polvere.
Finalmente, dopo anni di studio e lavoro, trovava il tempo di dipingere e di scrivere!
Si riteneva fortunato ad aver trovato quella casa nella quale abitare: in una stanza, accanto a un camino, c'era anche un pianoforte verticale.
Il Gigante Buono lo suonava ogni giorno e puntualmente, ogni giorno, le rondini e i passeri si affacciavano sul davanzale della finestra della stanza, per ascoltarlo e per cinguettare.
Lui e gli uccellini formavano una banda perfetta!!

Ma, a una settimana dal suo arrivo, era accaduto qualcosa di veramente molto spiacevole: il Gigante si trovava in giardino, vicino alla porta di ingresso della casa.
Stava dipingendo, quando improvvisamente aveva alzato lo sguardo dalla tela.
Vicino al cancello, perennemente aperto, aveva visto dei bambini giocare e rincorrersi.
Alcuni si dondolavano sulle altalene e uno in particolare, molto piccolo, non riusciva a salire sulla sedia, fatta di un materiale ligneo piuttosto scivoloso.
"Poverino! Lo aiuto, così evito che si faccia male!", pensava il nostro Gigante Buono.
Ma, non appena si era avvicinato, con il suo gran bel sorriso, tutti i bambini erano fuggiti strillando: "Aiuto! C'è un mostro in questo giardino!"
"C'è un mostro che vuole mangiarci per cena!" "E' un gigante! E' un gigante mostruoso, è altissimo!".
Inutile dire che queste frasi piene di paura e di spavento avevano oltremodo intristito il nostro ragazzone straordinariamente sensibile.

Molto presto, nel paese, si era diffusa la voce che in quella bella casa dotata di un ridente giardino vivesse un orco altissimo e bruttissimo, prova vivente dell'esistenza del demonio sulla terra.
Nessuno più passava in quella zona periferica di Limpida Valle e il nostro povero Gigante Buono soffriva tremendamente di solitudine.
Anche gli adulti raccomandavano caldamente ed energicamente ai loro figli di non provare mai a raggiungere quel giardino. "C'è un gigante alto, altissimo e cannibale!", "C'è un gigante cattivissimo!", esclamavano, con occhi sbarrati o spiritati.
Ma in realtà non sapevano bene di che cosa stessero parlando.


CAPITOLO QUINTO- ZOE:

Il tempo scorreva, veloce, infaticabile e inesorabile come una cascata che bagna le rocce e scorre tra la vegetazione di una foresta.
Il Gigante Buono era molto malinconico. Quella nuova vita gli permetteva di dedicarsi a tutto ciò che gli piaceva, è vero, ma non aveva amici.

In un pomeriggio assolato di luglio, mentre era seduto di fronte al pianoforte senza voglia di toccare i tasti, aveva sentito una voce leggera e delicata che stava cantando.
"Come può esserci in questo posto una presenza umana all'infuori di me?", si chiedeva sbalordito.
Poco dopo si era deciso ad uscire di casa.

Sotto l'ombra di un ulivo, c'era una ragazza intorno ai vent'anni che indossava un grazioso vestito blu e che pizzicava le corde di una chitarra. Cantava delle parole in inglese di cui il nostro protagonista non riusciva a cogliere il significato.
"E' molto bella", pensava tra sé, mentre ascoltava e ammirava i capelli castani e la carnagione rosea, tratti tipici delle bambole tirolesi.

"Ma che bel sorriso che hai!", aveva esclamato lei ad un tratto, interrompendo la canzone.
"Ciao", aveva sussurrato il Gigante, sentendo un gran calore alle guance.
"Sorridere e socchiudere gli occhi quando una persona canta e suona è indice di grande tenerezza e sensibilità!" diceva con voce squillante la giovane ragazza, che intanto si avvicinava sempre di più al ragazzone super-alto.
"Mi chiamo Zoe. Piacere di conoscerti, tu devi essere un Gigante Buono!" aveva aggiunto poco dopo, abbracciandolo.
Gigante Buono... Gigante Buono, proprio così llo aveva chiamato.
Era la prima volta che il nostro protagonista riceveva dei complimenti.
Era la prima volta che qualcuno non lo derideva e non lo maltrattava.
Era la prima volta che qualcuno lo abbracciava volentieri, spontaneamente e con sincerità.
Per questo, la prima volta che aveva incontrato Zoe, aveva pianto molto.

Da quel pomeriggio, la ragazza aveva preso l'abitudine di andare a trovarlo ogni giorno.
E quel nome di "Gigante Buono", che soltanto l'autrice di questa storia gli ha affibbiato quasi fin dall'inizio delle vicende, non se lo sarebbe mai e poi mai dimenticato.
Ben presto Zoe era diventata la luce della sua vita, con la sua spontaneità e generosità.


CAPITOLO SESTO- IL CONCERTO CON GLI UCCELLINI:

Era ormai terminato anche l'autunno, con i suoi caldi colori e i suoi cieli ora grigi, ora chiari e tersi.
In una giornata tardo-autunnale, mentre un leggero vento faceva cadere le ultime foglie delle querce in una dolce e tacita pioggia che accarezzava i volti di Zoe e del Gigante Buono, il burbero Inverno aveva fatto capolino dal cancello della casa. Si era fermato per alcuni minuti ad osservare quella coppia felice, in perfetta sintonia.

Ad un tratto, sentendoli cantare insieme, si era perfino commosso e, toccandosi la lunga barba bianca nevosa, aveva pensato: "Loro sono troppo meravigliosi, non meritano la mia durezza. Dirò alla mia collega Primavera di venire in questo luogo paradisiaco il prima possibile. Ma solo qui, nel giardino di questa casa. Io rimarrò comunque in questa cittadina e genererò gelidi venti e abbondanti nevicate, alternate da piogge battenti e grandine."

Ciò che aveva escogitato l'Inverno si era avverato: dappertutto c'era freddo, tranne che nel giardino di Zoe e del Gigante Buono.
Zoe però di tanto in tanto esclamava: "Ma... forse l'Inverno si è dimenticato di noi?"
Intanto il loro prato diveniva sempre più ricco di fiori, sempre più popolato di variopinte farfalle.
Su ogni albero c'erano gemme.

Zoe e il Gigante Buono erano sempre più uniti e affiatati.
Una mattina, entrambi con le guance arrossate e con gli occhi luminosi, avevano deciso di cantare la loro canzone preferita, una canzone di cui il Gigante Buono aveva scritto le parole in versi e che la sua donnina si era preoccupata di mettere in musica.

Quella mattina, Zoe e il Gigante Buono cantavano a voce talmente alta che la gente di Limpida Valle, attratta da quella melodia, era accorsa verso la casa.
 A tutti quanti erano venute le lacrime agli occhi, pieni di meraviglia per la soavità di quelle due voci.
Anche i passeri e i fringuelli che volavano in quel giardino incontaminato dal gelo si erano fermati accanto alla coppia per cinguettare soavemente.
Alcuni bambini allora avevano lasciato le mani dei loro genitori, erano entrati nel giardino e avevano iniziato a dondolarsi sulle altalene.
"Ma è buonissimo! Altroché orco malefico!", dicevano i più piccoli, mentre applaudivano quelle due creature che avevano dato vita, nei loro cuori e nell'ambiente loro circostante, ad un'atmosfera di perfetta armonia.
A quel punto anche gli adulti avevano capito.
E anche loro avevano cominciato a varcare le soglie del cancello.
"Via da qui! L'avete considerato un mostro fino a pochi minuti fa, perché pretendete che vi accolga? Sparite tutti! Questo è il nostro posto, è soltanto il nostro posto!", urlava Zoe, incredibilmente indignata.
"Zoe, calmati. Il perdono è la più bella cosa che si possa donare nelle relazioni con gli altri. Per donarlo bisogna essere forti, bisogna superare le offese e i muri del pregiudizio.", le aveva detto il Gigante Buono, accarezzandole una guancia con un dito.

Per un po' Zoe era rimasta ad osservare il suo compagno giocare con i bambini, accanto a un cipresso.
Ad un tratto, con gli occhi un pochino umidi, aveva pensato al momento, per la verità non troppo lontano, in cui anche lei sarebbe diventata madre.
E così, dopo aver vinto del tutto l'indignazione, si era aggiunta anche lei ai giochi di gruppo, divertendosi molto.

Ad un certo punto però, la gente di Limpida Valle si era accorta che il mega sorriso del Gigante Buono era inaspettatamente scomparso.
Aveva visto i suoi genitori entrare nel giardino.
Ma come avevano fatto a ritrovarlo proprio nel posto giusto?
Gli sembravano invecchiati, tristissimi, smagriti. Soprattutto suo padre, pieno di rughe.
Il Gigante Buono si era avvicinato verso di loro, provando un senso di profonda compassione.
"Mio caro figlio, quanto ci è mancata la tua bontà! Da quando non vivi più con noi abbiamo compreso quanto vali", aveva esclamato la madre, piangendo e porgendogli tutti i suoi quaderni di poesie scritti durante l'adolescenza.
 "Non credo che riuscirai a perdonarci per i nostri gravi errori. Qui sei riuscito davvero a creare un ambiente d'amore e di pace.", gli aveva detto suo padre, abbracciandolo stretto stretto.
"Cari genitori miei, vi perdono di cuore. Se non riuscissi a farlo non sarei degno di appartenere al genere umano. Ho sofferto molto da bambino e da adolescente, questo è vero, ma durante la mia breve vita ho appreso che l'amore sa come spezzare le catene dell'odio e del risentimento."
Poi, aveva allargato la bocca in un sorriso splendido come il sole a mezzogiorno di una bellissima giornata d'estate e aveva detto: "Zoe, stellina mia, accogliamoli in casa e prepariamo loro un buon pasto. Oggi festeggiamo, perché la gioia di ritrovarsi ha cancellato il rancore del passato e la voglia di vivere ha davvero sconfitto la malinconia e la paura della solitudine."

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Indipendentemente dal fatto che vi sia piaciuta, vi pongo alcuni spunti di riflessione qui sotto. So che può sembrare un'azione da "maestrine", ma tenete presente che tra pochi anni sarò per davvero un'insegnante di Lettere! Comunque sì, sono consapevole di farvi domande strane.

A) "FANGO":

- Nel racconto, il nome di questa città assume valenza negativa, decisamente triste. Quali sensazioni e quali concetti colleghereste alla parola "fango"? (esempio mio: intensa malinconia e incapacità di uscire da una condizione di solitudine, incapacità dovuta per lo più a pigrizia e sfiducia verso la vita).

B) "LIMPIDA VALLE": 

- Già dalle fotografie che appaiono sullo schermo dello smarthphone, appare come un luogo incantevole. La descrizione di questo posto fatta nel terzo capitolo vi ricorda almeno lontanamente alcuni paesaggi montani che vi è capitato di vedere?
Quale ambiente naturale considerate "paradisiaco"?
Vi è mai capitato di sognare luoghi incontaminati sia dalla presenza umana sia dall'inquinamento?

C) IL "GIGANTE BUONO":

Domanda per chi conosce la storia del "Gigante egoista" (chi non l'ha mai letta può passare all'altra frase sottolineata):

- Confrontate il "Gigante egoista" con il "Gigante Buono".
Vi accorgerete che mentre il Gigante Egoista fa una sorta di percorso di formazione che lo porta a diventare generoso e sensibile, il mio Gigante Buono invece non cambia personalità, cambia dapprima stile di vita e poi sono gli altri che mutano il modo di approccio verso di lui.

Domanda di riserva per chi non conosce la storia del "Gigante Egoista":

-Fatevi una specie di mappa mentale in cui inserite gli aggettivi che secondo voi caratterizzano bene il "Gigante Buono". (ovvio, esclusi gli aggettivi che ho scritto io!!)

- Valido per tutti voi, che conosciate o meno la storia del "Gigante Egoista":
a vostro avviso, una persona che nasce con una buona indole e per molto tempo vive in contesti (familiari o scolastici, o entrambi) in cui è maltrattato, come riesce a mantenere il suo ottimo carattere??

Se non riuscite a rispondere non preoccupatevi, è una domanda che anch'io faccio a me stessa quando a volte ripenso a certe esperienze adolescenziali ma non riesco mai a trovare una risposta che mi sembra convincente! Ma sapete, forse si tratta di più cose messe insieme: la mia forza interiore, aver avuto, nonostante tutto, una buona madre, aver sfruttato al meglio le mie qualità e non aver mai perduto la fede in Dio.


D) ZOE: 

- Vale lo stesso discorso per il Gigante Buono: mentalmente fatevi una mappa in cui inserite gli aggettivi che possono caratterizzarla meglio. (ovvio, esclusi gli aggettivi che ho scritto io!!)

-Zoe è priva di pregiudizi. A quale elemento della Natura la paragonereste? Avete un po' di opzioni qui sotto.

1) A una margherita.
2) Alla sorgente di un fiume.
3) A un'onda del mare.
4) A una verde collina.
5) A una montagna illuminata dal sole.
6) A un torrente in piena!
7) A una leggera farfalla.
8) Al profumo del gelsomino.


E) IL FINALE:

"(...) aveva allargato la bocca in un sorriso splendido come il sole a mezzogiorno di una bellissima giornata d'estate e aveva detto: "Zoe, stellina mia, accogliamoli in casa e prepariamo loro un buon pasto. Oggi festeggiamo, perché la gioia di ritrovarsi ha cancellato il rancore del passato e la voglia di vivere ha davvero sconfitto la malinconia e la paura della solitudine."


- Confrontatela con questa parte di una parabola del Vangelo che spero tutti conosciate:

"Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa."

 (Luca, 15, vv. 22-24)

 Dal confronto ricavate tutti i valori positivi che la mia storia contiene. Anzi, non c'è nemmeno bisogno che lo facciate, perché alla fine ho pensato di metterli io qui sotto:

1) L'amore.
2) Il perdono.
3) La generosità.
4) La dolcezza, madre del calore umano.
5)La voglia di vivere e di ricominciare a vivere.
6)No ai pregiudizi! Sì all'ascolto e alla voglia di conoscenza dell'altro!!




9 gennaio 2018

Gli indoeuropei nella storia- I Germani:

Da dove comincio?? Forse è meglio che inizi con una sorta di classificazione geografica delle lingue germaniche.
Eccola qui sotto:

GERMANICO SETTENTRIONALE: islandese, norvegese, svedese, danese.
GERMANICO ORIENTALE: Lingua gotica, parlata e scritta in un periodo compreso tra la tarda antichità e l'alto Medioevo, oggi estinta.
GERMANICO OCCIDENTALE: inglese, tutte le varietà del tedesco, l'olandese, il fiammingo e il frisone.

STATI EUROPEI IN CUI SI PARLANO ATTUALMENTE LE LINGUE GERMANICHE:
SVEZIA, NORVEGIA, DANIMARCA, ISLANDA











GERMANIA, AUSTRIA, SVIZZERA, OLANDA, BELGIO
REGNO UNITO, IRLANDA

TAPPE DELLA STORIA DEI GERMANI DALLA PREISTORIA ALLA TARDA ANTICHITÀ:

Il linguista Villar inizia in questo modo capitolo dedicato a questa antica popolazione indoeuropea:

"I Germani sono il risultato dell'indoeuropeizzazione del Sud della Scandinavia e della Danimarca da parte di genti provenienti dall'Europa centrale, portatori della ceramica a cordicella e dell'ascia da combattimento."

Pare che gli indoeuropei, nel corso delle loro migrazioni, siano riusciti a giungere dall'Europa Orientale all' Europa centrale nella seconda metà del IV° millennio a.C. Ad ogni modo, penetrando in Danimarca e in Scandinavia, trovarono una cultura prevalentemente agricola, creatrice di monumenti megalitici.
Il popolo dei Germani dunque si è formato dall'incrocio tra gli indoeuropei provenienti dall'Europa Centrale e le popolazioni megalitiche di alcune zone del nord.
Pare che l'ipotizzato germanico comune sia sopravvissuto per molto tempo, al punto tale che si suppone fosse ancora parlato all'alba dell'era cristiana. Sembra quindi che la frammentazione dialettale del germanico sia stata dovuta all'espansione dell'omonimo popolo verso sud.
Nel IV° secolo a.C. forse erano già arrivati sulle rive del Reno.
Non voglio elencarvi tutte le caratteristiche comuni tra le moderne lingue del gruppo germanico attualmente parlate, sarei troppo specifica.  Però sappiate che questo ramo linguistico indoeuropeo si distingue rispetto a tutti gli altri grazie alla presenza di tratti comuni che hanno fatto supporre l'esistenza di un protogermanico originario in epoche certamente molto antiche, ma sempre meno remote di quelle che avrebbero visto la diffusione a macchia d'olio della lingua degli indoeuropei.
Propongo solo un piccolo confronto in tabella di una parola che conoscete tutti benissimo, almeno in inglese.
Nella terza riga ho cercato di scrivere le pronunce nelle varie lingue, ma notate che sia il modo grafico che il modo fonetico (fonetica è la parola che si utilizza per riferirsi ai suoni delle lingue) sono abbastanza vicini.


INGLESE TEDESCO OLANDESE DANESE SVEDESE
house Haus huis hus hus
/haus/ /haus/ /hees/ (più o meno) /uss/ /heus/

 In Austria è stata trovata su un elmo un'iscrizione interessante, probabilmente in germanico, composta da due parole, che qui traslittero:

"Harigasti teiwa".

La prima parola forse è da collegare al nome del proprietario, la seconda invece è stata fatta risalire alla radice I.E. *deiw-, ovvero, "celeste".
Il significato della parola germanica e della radice secondo me è verosimile, perché mi fa pensare alla radice indoeuropea *dyeus, che sta per Dio. Non si sa bene se i remoti indoeuropei fossere monoteisti o politeisti, ad ogni modo, da *dyeus deriverebbero anche lo Zeus greco, il Giove latino e il Deivas baltico.
Nel II° secolo a.C. avvenivano i primi scontri tra latini e germani e, circa cent'anni più tardi, Giulio Cesare stava invadendo le Gallie. Egli venne a contatto non soltanto con le popolazioni celtiche ma anche con delle varie tribù germaniche.
Nel suo "De Bello Gallico" ("Sulla guerra gallica) descrive le tradizioni degli stranieri e racconta di aver sconfitto il popolo germanico degli Svevi nel 58 a.C.
Secondo Cesare, le tribù germaniche erano indipendenti le une dalle altre, vivevano in villaggi e non avevano un capo o comunque un governo centrale che le controllasse.                                         Duecento anni dopo Tacito, altro storico romano illustre, afferma l'esistenza di un capo, nominato a vita, che aveva poteri politici, militari e religiosi. Il suo incarico però non era affatto ereditario, dal momento che alla sua morte veniva eletto un altro capo.
In era cristiana, ancora prima che cadesse l'Impero romano d'Occidente, il vescovo Wulfila, di madrelingua gotica, aveva tradotto la Bibbia dal greco al gotico. La traduzione però non ci è giunta per intero, dal momento che è andato perduto quasi tutto l'Antico testamento.
Nel 330 d.C questo personaggio, dotato di un'intelligenza finissima che fortunatamente gli è stata riconosciuta già in vita, era stato nominato vescovo di Costantinopoli.
Militarmente aggressivi furono i Vandali e gli Svevi, entrambi popoli germanici che dal 406 al 426 d.C. seminavano terrore e dolore nelle Gallie, dal momento che le stavano saccheggiando.

 PARTICOLARITÀ DELL'INGLESE:

L'inglese, lingua germanica più diffusa al mondo, anzi, la seconda lingua più parlata al mondo con circa un miliardo di parlanti madrelingua e non, nel corso della sua storia ha subito diversi influssi linguistici che hanno contribuito a formare la patina lessicale.

A) La lingua inglese risente dell'influenza del lessico delle zone della penisola scandinava.
Eccovi un esempio:
take, ovvero, "prendere", sarebbe un prestito linguistico derivato dalla Scandinavia.
La parola originaria per indicare lo stesso significato, nei secoli precedenti, era "numb", molto più simile al verbo tedesco "nehmen".

B) Vi siete mai chiesti il motivo per cui diverse parole inglesi assomigliano a quelle italiane?
I motivi sono essenzialmente due:

1) Perché i Normanni, nel corso del Medioevo, invadendo l'Inghilterra, hanno portato molte parole francesi e quindi, di matrice romanza. Soprattutto per quanto riguarda il lessico giuridico:
-"Justice" (giàstis)= "giustizia" (italiano)/"justice" (francese)= pronunciato come "giustìs", con "g" molto dolce.
-"Parliament" (pàrlment) = "parlamento" (italiano)/ "parlement" (francese) = pronunciato come "parlemòn".
-"Constitution" (constitiuscion)= "costituzione" (italiano)/ "constitution" (francese)= pronunciato come "constitusiòn".

2) Perché gli antichi romani hanno invaso anche la Gran Bretagna e hanno portato l'influsso della lingua latina, madre di tutte le lingue romanze.

L'ALFABETO RUNICO:

La cristianizzazione dell'Islanda era avvenuta nel Medioevo, per opera di monaci inglesi.                      Ma prima del cristianesimo, per molti secoli, goti e islandesi si erano serviti dell'alfabeto runico.


Sono state elaborate tre ipotesi a proposito dell'origine di questo sistema di scrittura: alcuni pensano che derivi dall'alfabeto greco, altri da quello latino e altri studiosi ancora invece sostengono che sia nato da un antico alfabeto dell'Italia Settentrionale.
"Runico" deriva dalla parola germanica "runa", ovvero, "mistero". Quindi, quelle che potete vedere nella fotografia all'inizio del paragrafo, non erano soltanto lettere dell'alfabeto ovvero, simboli grafici di suoni, ma erano elementi legati a concetti di magia soprattutto in contesti militari.                    

Ricordate libro e film di Harry Potter 3? Il terzo è intitolato " Harry Potter e il prigioniero di Azkaban" e proprio in questo racconto della saga, nel collegio in cui il mitico protagonista è inserito compare una materia chiamata "rune antiche".

Oggi però nessuno studioso è in grado di spiegare i riferimenti di quei segni ai misteri della magia.     Le rune erano inoltre un modo per invocare delle forze sovrannaturali.




5 gennaio 2018

Gli indoeuropei nella storia- I Balti:


Ho in mente un programma piuttosto interessante da realizzare su questo blog per il primo mese e mezzo del 2018: esporre le origini e la breve storia di alcuni popoli indoeuropei.
Alla fine dello scorso anno ho scoperto il piacere di studiare linguistica storica e glottologia, discipline che mi hanno affascinata con le loro ipotesi sull'origine delle lingue del mondo e sui confronti vari tra lingue appartenenti alla famiglia indoeuropea.

Prima però di raccontarvi dei Balti, devo fare alcune premesse.
Da due secoli ormai si è postulata l'esistenza dell'indoeuropeo, lingua "da laboratorio", ovvero, lingua interamente ricostruita dagli studiosi al fine di spiegare le affinità lessicali e grammaticali che intercorrono sia tra la maggior parte delle lingue parlate in Europa, sia tra le lingue storiche non più parlate, come l'antico indiano, il greco e il latino.
Il primo ad accorgersi delle somiglianze lessicali che esistevano tra antico indiano, greco e latino era stato il mercante fiorentino Filippo Sassetti, subito dopo aver compiuto un viaggio in India.
Egli aveva costruito dei parallelismi lessicali tra le tre lingue a proposito dei numerali e del lessico di parentela:

1) trayas (antico indiano)/tres (latino) /τρεἶς="treis"(greco)                     forma indoeuropea: *treyes

2) matàr (antico indiano)/màter (latino)/μτηρ="meter" (greco)            forma indoeuropea: *màter

Nessuno afferma la sicura passata esistenza dell'indoeuropeo, anche perché, se anche fosse realmente esistito, non potremmo disporre di testimonianze scritte, dal momento che sarebbe stato parlato in epoca preistorica.
Gli indoeuropei dovevano essere stati un popolo di allevatori vissuti nelle steppe della Russia Meridionale. Ma la loro lingua era omogenea oppure consisteva in una serie di stratificazioni dialettali??
I linguisti suppongono che l'indoeuropeo, proprio come qualsiasi altra lingua parlata in questi ultimi secoli, si sia evoluto nel corso del tempo.
Eccovi un esempio.
In epoca ancora più preistorica ci sarebbero stati soltanto due generi nella morfologia nominale: animato e inanimato. L'animato si riferiva a persone e animali, l'inanimato a rocce e oggetti privi di movimento.
Però, e qui io sarei propensa a condividere l'opinione di Villar, linguista spagnolo autore del mio manuale universitario: se gli indoeuropei erano di religione animista, come potevano distinguere tra creature animate e inanimate? Cioè, l'animismo è in pratica la mentalità che avevo io da bambina: credere che ogni oggetto della natura possa provare sentimenti e sia dotato di anima.
Insomma, credo sia un problema storico-culturale difficile da risolvere.
Più avanti, nella fase del tardo indoeuropeo, si sarebbero formati il maschile, il femminile e il neutro.
Sulla ricostruzione della morfologia della lingua degli indoeuropei sono sorte opinioni contrastanti anche a proposito della dimensione del caso.
Villar sostiene che l'indoeuropeo avesse avuto soltanto 4 casi: nominativo, genitivo, accusativo e dativo, mentre gli altri sarebbero nati dal contatto con le lingue confinanti la zona delle steppe.
La mia docente non condivide questa teoria, dal momento che nelle sue dispense espone otto casi (oltre ai quattro citati poco sopra; l'ablativo, il vocativo, il locativo e lo strumentale). Ed è più probabile che abbia ragione lei, dal momento che le lingue anatoliche, le più precoci a separarsi, erano dotate di otto casi, tutti ereditati dalla protolingua.

Sapete che in certi casi la protolingua sembra quasi identica al latino?
Se avete fatto il mio liceo o comunque il liceo scientifico, riuscite a capire quello che metto qui sotto:

A)

*wlkwòs *ekwom *edti. (Indoeuropeo, l'asterisco si trova davanti ad ogni singola parola dal momento che è tutto ricostruito e non c'è nulla di certo).

Lupus equum edit. (Latino: lupus: nominativo maschile singolare/ Equum: accusativo maschile singolare/ edit: da edo, edere, cioè: "mangiare".)

Il lupo mangia il cavallo. (Italiano, dove compaiono gli articoli ed è stato abolito il sistema dei casi).

B)

*septm (Indoeuropeo: "sette", dove *m non è una consonante ma una sonante, ovvero, un suono intermedio tra vocale e consonante, come la pronuncia inglese di "garden", che fa precisamente, per i madrelingua: "gadn".)

septem (in latino, dove l'esito della sonante *m è "em")

sette (in italiano, dove avviene l'assimilazione totale progressiva tra il segmento "p" e il segmento "t": "t", suono più forte, "assorbe" "p" , segmento precedente, fino a renderlo uguale a se stesso).

Nel V° millennio a.C. poteva essere stato praticato un indoeuropeo piuttosto omogeneo, poi, a partire dal III° millennio, ovvero, subito dopo la separazione delle lingue anatoliche, gli indoeuropei si sarebbero spostati nell'Europa dell'est, per poi giungere nelle regioni più settentrionali del nostro continente e poi occupare anche quelle meridionali.
Emigrando dalla terra di origine, si sarebbero incontrati o scontrati con le popolazioni europee preesistenti, cioè con quei popoli preistorici che avevano una cultura matriarcale (a fine novembre, dedicando un lungo post sulla questione femminile, ho accennato anche a loro).

Sono stati realizzati molti alberi genealogici per classificare i vari gruppi delle lingue discese dall'indoeuropeo.
Il tedesco August Schleicher ne progettò uno nel 1861:



Secondo Schleicher, dall'originario indoeuropeo sarebbero scaturiti due gruppi: slavo-germanico, che avrebbe poi dato origine a lingue slave e a lingue germaniche; e l'ario-greco-italo-celtico, dal quale sarebbero nati: l'iranico, l'indiano, il greco, l'albanese e l'italico.
Gli alberi genealogici delle lingue sono stati ovviamente ampliati nel corso del XX° secolo, secolo in cui si sono scoperte le lingue anatoliche.

Vi riporto la mia mappa concettuale, giusto perché vi rendiate conto quante lingue antiche e moderne siano state fatte derivare dall'indoeuropeo ...
Il mio corsivo è piuttosto comprensibile, non dovreste avere problemi a decifrarlo.



Ho scritto queste premesse (tutte già immagazzinate in mente, vi giuro, non ho mai avuto bisogno di aprire il libro per potervele riportare qui!) in modo tale da farvi avere qualche conoscenza per poter comprendere meglio la storia dei popoli che in questo mese voglio illustrare.

I BALTI:



COORDINATE STORICHE E LINGUISTICHE GENERALI:

Già lo storico latino Tacito li localizzava sulle sponde del Mar Baltico e li descriveva popoli di agricoltori e raccoglitori. Li denominava Aestii.
Nel IX° secolo d. C., un viaggiatore che aveva visitato quelle zone, aveva riferito che sulle sponde del Baltico si poteva praticare una pesca abbondante.
Nel corso dell'Ottocento sono stati trovati vari nomi per questo gruppo etnico, tra cui quello di Letto-lituani. Poi però il termine "Balti" li ha soppiantati tutti quanti.

Le lingue baltiche tuttora parlate appartenenti al ceppo indoeuropeo sono due: il lèttone e il lituano.
Nel XVI° secolo c'era anche l'antico prussiano, oggi estinto.
Il finlandese e l'estone non sono lingue indoeuropee, ma appartengono al gruppo linguistico ugro-finnico.
Pensate che il finlandese dovrebbe avere ben 16 casi, altroché i sei casi latini o i cinque casi greci!

Il linguisti hanno ricostruito la storia del popolo baltico, secoli e millenni prima che avvenisse la scissione tra lèttone, varietà dialettali di lituano e prussiano.
Nel II° millennio a.C. pare che i Balti parlassero una lingua comune. Nel I° millennio a.C. questo popolo subì l'invasione di popoli germanici provenienti dall'Europa centrale.
Nel corso dell'alto medioevo poi, erano arrivate sulle sponde del Mar baltico anche le popolazioni slave.
Se il lèttone presenta ancora oggi dei termini lessicali simili a quelli di alcune lingue slave, bisogna ricercare il motivo di queste somiglianze nei perdurati contatti linguistici e culturali tra Balti e Slavi.
Vi faccio un esempio: in serbo-croato, lingua slava, "pace" è "mir", parola da cui deriva il nome Mirco.
Mi sono accorta che in lèttone "pace" si dice "miers". Entrambi si pronunciano esattamente per come vengono scritti.
Sono due vocaboli simili!
Alcuni monaci polacchi (e anche i polacchi sono slavi), nel corso del Medioevo si preoccuparono di cristianizzare i Balti.

LE LINGUE BALTICHE AI GIORNI NOSTRI:

Ai giorni nostri, lèttone e lituano sono due lingue simili. Un lèttone e un lituano non fanno fatica a comprendersi.

La lingua lituana, sin dalle sue origini, era suddivisa in diverse varietà dialettali. Ne ricordo due principali: alto lituano e basso lituano. Quella però che negli ultimi due secoli è diventata la lingua nazionale è l'alto lituano.

Gran parte della letteratura lèttone è stata di carattere religioso. Altri generi letterari cominciarono a sorgere soltanto a partire dal Settecento.

L'ANTICA RELIGIONE BALTICA:

Non erano monoteisti, gli antichi Balti del II° millennio a.C.
La loro religione, politeistica, prediligeva la venerazione di elementi naturali.

Vi elenco qui sotto le principali divinità:

- Dievas, che corrisponde al Giove latino. Era il re degli dèi, rappresentato con copricapo, tunica e spada.

- I due figli di Dievas: erano due cavalieri. Uno simbolo del giorno, l'altro simbolo della notte.

- La Pioggia.

-Il Vento.

-Il Bosco.

-Il Lago.

-Il Fiume.

-Il Sole.

-La Luna.

 Sappiamo che queste divinità erano adorate grazie a dei canti popolari lituani e baltici, tuttora conservati.


Riga, Lettonia


Vilnius, capitale della Lituania, in inverno

Glottologia italiana, linguistica storica e lingua greca sono gli esami "più tecnici" della mia facoltà.
Però studiandoli si apre tutto un mondo, a mio avviso anche abbastanza affascinante, di ipotesi e congetture.
Spero soltanto di non avervi fatto venire il mal di testa con la prima parte del post, che era comunque necessaria per poter comprendere bene la descrizione non soltanto dei Balti, ma degli altri cinque popoli che andrò a descrivere prossimamente.