9 gennaio 2019

FIGURE FEMMINILI NELLA GERUSALEMME LIBERATA:


Questo che vi sto proponendo è uno studio sulla psicologia dei personaggi femminili presenti all'interno del poema storico-religioso di Torquato Tasso relativo allo scontro fra cristiani e saraceni nella prima crociata (1096-1099).
Innanzitutto, occorre precisare che le "donne" del poema sono quattro: Clorinda, Erminia, Armida e Sofronia. 
La quarta è conosciuta soltanto dagli studenti universitari di Lettere/ Filologia italiana, dal momento che le tempistiche dei programmi scolastici delle scuole secondarie non consentono né ai docenti di spiegarla né ai ragazzi di studiarla.
Innanzitutto premetto che non è del tutto corretto considerare la Liberata come "il poema delle donne vergini", almeno per il fatto che la maga Armida, nel corso della narrazione, perde eccome la verginità.
Smentisco anche la sciocca affermazione di un Foscolo romantico e saggista letterario: "Nel suo poema, Tasso ha idealizzato le donne perché non le conosceva abbastanza bene." Non le ha mai idealizzate. Tutti e quattro i caratteri femminili proposti nella Liberata hanno anche dei limiti. E tutte e quattro sono giovanissime, tutte intorno ai 20 anni.
A me questo resoconto serve da ripasso.
Ad ogni modo, parto dalla figura femminile meno conosciuta.

A) SOFRONIA:

Olindo e Sofronia
Sofronia compare nel secondo canto del poema, ovvero, quando il mago Ismeno suggerisce al re Aladino uno stratagemma per proteggere Gerusalemme: rubare un'immagine della Vergine dal tempio cristiano per portarla in una moschea.
Prima però che i due riescano ad attuare il piano, l'immagine scompare per volontà divina e Aladino si infuria e convoca la popolazione di Gerusalemme promettendo pene severissime per il colpevole.
E qui entra in scena Sofronia: la ragazza, per il bene della comunità cristiana prigioniera a Gerusalemme, autoaccusatasi del furto, accetta la condanna al rogo.
A quel punto però, Olindo, giovane timido segretamente innamorato di lei, si autoaccusa di fronte al re per morire con lei.
Torquato aveva composto la Gerusalemme Liberata nei primi anni '70 del XVI° secolo. Si era fornito di diversi intellettuali revisori dell'opera e alcuni di loro gli avevano proposto di tagliare questo episodio, ritenuto poco funzionale alla trama dell'opera dal momento che violava il principio dell'aristotelica unità d'azione. (Sì, poi è vero che Ariosto, di poco precedente a Tasso, aveva già, con il Furioso, infranto egregiamente i principi aristotelici sulla narrativa).
Poi però, il sacrificio di Olindo e Sofronia era rimasto, a simboleggiare la forza della fede dei cristiani ardentemente credenti.
Ma torniamo un po' indietro. 
All'ottava 14 del canto II°, che è questa:

Vergine era fra lor di già matura
verginità, d’alti pensieri e regi:
d’alta beltà, ma sua beltà non cura,
o tanto sol quant’onestà sen fregi.
È il suo pregio maggior, che tra le mura
d’angusta casa asconde i suoi gran pregi:
e de’ vagheggiatori ella s’invola
alle lodi, agli sguardi, inculta e sola.

Questa è la descrizione di Sofronia. L'espressione "matura verginità" significa "in età da marito". Ma Sofronia è una giovane donna sospesa tra la lirica amorosa-sentimentale e l'eroismo di carattere biblico. E' vergine, come Clorinda e come Erminia. Appare troppo pura persino per innamorarsi.
Non si vanta affatto della sua bellezza, ma la nasconde.
Prossimamente invece vedrete come Armida se ne vanta!
Olindo e Sofronia vengono legati allo stesso palo e attorno a loro, fra la disperazione del popolo cristiano, viene acceso un rogo. Però i due si sacrificano per ragioni completamente diverse: Sofronia è mossa da una sincera fede in Dio e da una spaventosa generosità verso il popolo al quale lei appartiene, Olindo invece lo fa per legare il suo destino a quello della donna amata.
Ma muoiono veramente?!
No, perché la guerriera Clorinda, giunta davanti al rogo, si commuove per il destino dei due giovani e chiede al re Aladino di risparmiare loro la vita. Aladino, che nutre il massimo rispetto per il valore di Clorinda, accetta la sua proposta.
Sofronia e Olindo, una volta usciti dalla città, si sposano felicemente.
Per concludere, Sofronia avrà anche un'innata generosità e un incredibile senso del sacrificio, ma è, come dicevo sopra, troppo pura per essere una donna terrena e troppo lontana da qualsiasi interesse mondano.
Oltre a ciò, mentre è sul rogo e finalmente Olindo le dichiara apertamente il suo amore, non si emozione né si commuove per questo sentimento. E' capace soltanto di rispondergli: "Sei sul punto di morire anche tu. Dovresti pensare ad altro, ad esempio a pentirti dei tuoi peccati prima di salire a Dio".
Troppo pura e per giunta troppo moralista.

B) CLORINDA:

Come già sapete, Clorinda è la guerriera musulmana di questo poema.
E' anche onesta, sensibile, valorosa ed energica in battaglia. Ma, come la Marfisa di Ariosto, non ha altri interessi che quelli militari. Pare che nel suo cuore non ci si spazio per nessuno.
Tancredi, cavaliere cristiano, è segretamente innamorato di lei.
Clorinda compare più volte all'interno del poema. Tancredi ne rimane folgorato sin dalla prima volta che la vede, ovvero, nel deserto e nei pressi di un' oasi.
Però, va precisato che Clorinda è la protagonista quasi assoluta del dodicesimo canto.
In 105 ottave infatti, il lettore apprende le sue origini etiopi, il suo profondo legame affettivo con l'eunuco Arsete, suo tutore da sempre, e la sua morte nel duello contro Tancredi. Il loro è il duello più violento che sia mai stato descritto, dal momento che è corpo a corpo.
L'ottava 57 del canto XII° è a doppio senso (militare-erotico):

Tre volte il Cavalier la donna stringe
con le robuste braccia: ed altrettante
da que’ nodi tenaci ella si scinge;
Nodi di fier nemico, e non d’amante.
tornano al ferro: e l’uno e l’altro il tinge
con molte piaghe, e stanco ed anelante
e questi e quegli alfin pur si ritira,
e dopo lungo faticar respira.


Battesimo di Clorinda
In questo punto però Tancredi appare come feroce guerriero, non come uomo innamorato. Ma perché non sa che al di sotto di quell'elmo avversario c'è Clorinda.
E' un triplice abbraccio che fa pensare a dei connotati erotici ma in realtà è il momento più atroce e più violento del loro duello.
Alla fine, Clorinda morente chiede il battesimo a Tancredi il quale, scoprendole il volto, scopre con orrore di aver ucciso proprio la donna che amava.
Più volte, anche nel canto successivo, chiama se stesso "mostro".
Odia se stesso per ciò che ha commesso, anche se era inconsapevole dell'identità dell'avversario.

C) ERMINIA:

Erminia ha il grande dono di saper ammirare con stupore lirico le meraviglie naturali, è sincera nei suoi sentimenti, sensibile al punto tale da custodire profondamente dentro di sé la gentilezza che un cavaliere le riserva.
Erminia era il nome della mia bisnonna paterna. Erminia Rosa.
Ad ogni modo, Erminia compare già al terzo canto, quando si trova con il re Aladino sulla torre altissima di Gerusalemme per potergli indicare i cavalieri cristiani che stanno combattendo.
La scopriamo fin da subito perdutamente innamorata di Tancredi.
Erminia lo connota come un soldato "crudo nel ferire".
Dice al re Aladino che Tancredi è crudele semplicemente perché il suo è un amore impossibile!
Lei, principessa di Antiochia che è stata catturata proprio dal cavaliere di cui è innamorata, non può dire ad Aladino di esserne attratta! Erminia tiene per sé i suoi sentimenti, per questo soffre.
Per questo, quando è invitata a parlare di Tancredi, trattiene il pianto.
Ammira con una lieve punta di invidia il valore militare di Clorinda. Per attirare Tancredi, alla fine del sesto canto, si traveste con le armi di Clorinda. Ma viene avvistata dai guardiani del campo cristiano ed è costretta a fuggire.

Ottava 3, canto VII°:

Fuggì tutta la notte, e tutto il giorno
errò senza consiglio e senza guida,
non udendo o vedendo altro d’intorno
che le lagrime sue, che le sue strida.
ma nell’ora che ’l Sol dal carro adorno
scioglie i corsieri, e in grembo al mar s’annida,
giunse del bel Giordano alle chiare acque,
e scese in riva al fiume, e quì si giacque.

La fuga di Erminia ricorda un po' quella di Angelica (Orlando furioso, canto I°: s'andò aggirando e non sapeva dove).
Erminia fra i pastori
Angelica... la donna che nel poema di Ariosto tutti inseguono... e lei che non desidera nessuno dei suoi inseguitori ma anzi, si sposa con Medoro, che è sostanzialmente "il signor nessuno"!
Notate che il verbo "errare" qui è un latinismo, per cui significa "vagare senza una meta precisa" e non "sbagliare".
Erminia è spaventata in questo passo. Giunge alle rive del Giordano e qui si assopisce per un po'.
Al suo risveglio, comprende di essere finita in un luogo idilliaco, tra i pastori.
Lei, principessa di Antiochia, accetta di buon grado di condurre il loro stile di vita, indossando abiti semplici e mettendosi a intrecciare ceste di vimini.
La ritroveremo al canto XX°, nel bel mezzo della battaglia finale tra crociati e saraceni, intenta a soccorrere Tancredi ferito.
Sarà mai Erminia ricambiata nel suo immenso amore? A noi lettori non sarà mai dato saperlo, certo è che, a mio avviso, almeno nella Liberata si apre una speranza d'amore per Erminia e una speranza di superamento del dolore (fisico e spirituale) per Tancredi.
Sempre meglio della fine che Tasso stesso farà fare a questo personaggio nella Conquistata, dove la spedisce in convento!
Apparentemente senza difetti, Erminia ne ha in realtà più di uno: cela se stessa con l'inganno, esce da Gerusalemme senza un piano ben preciso e quindi da vera sprovveduta, visto che è mossa soltanto dal desiderio d'amore. Inoltre, invidia Clorinda e si ostina su un amore impossibile. (Sarà mica esistito soltanto Tancredi, vero?! Tra l'altro, da quelli che non ti ricambiano sarebbe proprio meglio scappare!)

D) ARMIDA:

Maga saracena, abile dissimulatrice, nipote del mago Idraote. Personalmente non mi piace!
A metà del IV° canto, Armida giunge piangente e supplicante dinanzi ai cavalieri cristiani.
Purtroppo è di stupefacente bellezza. Dico purtroppo perché appunto la odio.

Ottava 28, canto IV°:

Dopo non molti dì vien la donzella
dove spiegate i Franchi avean le tende.
all’apparir della beltà novella
nasce un bisbiglio, e ’l guardo ognun v’intende;
siccome là, dove cometa o stella,
non più vista di giorno, in ciel risplende:
e traggon tutti per veder chi sia
sì bella peregrina, e chi l’invia.

Armida è fisicamente molto bella e basta. Caratterialmente non ha nulla di positivo.
Basta che appaia per far innamorare i cavalieri. Inoltre, sa bene come "intortarli" con una storia di menzogne.
Nel corso del IV° canto del poema infatti, la maga racconta di essere l'erede al trono di Damasco. Racconta di essere orfana da tempo e di essere stata vittima di un matrimonio combinato per volere di uno zio cinico e violento. Secondo il suo racconto, la madre sarebbe morta partorendola, il padre invece quando lei aveva soltanto 5 anni.
Armida chiede a Goffredo di Buglione, capo dei crociati, di poter essere accompagnata da alcuni cavalieri per poter riprendere il trono.
Memorabili e significative sono queste tre ottave:

Ottave 33-35, canto IV°:

Lodata passa, e vagheggiata Armida,
fra le cupide turbe, e se n’avvede.
nol mostra già, benchè in suo cor ne rida,
e ne disegni alte vittorie e prede.
mentre sospesa alquanto, alcuna guida
che la conduca al Capitan, richiede;
Eustazio occorse a lei, che del sovrano
principe delle squadre era germano.


Come al lume farfalla, ei si rivolse
allo splendor della beltà divina;
e rimirar dappresso i lumi volse,
che dolcemente atto modesto inchina:
e ne trasse gran fiamma, e la raccolse,
come da foco suole esca vicina:
e disse verso lei, ch’audace e baldo
il fea degli anni e dell’amore il caldo:

"Donna, se pur tal nome a te conviensi;
chè non somigli tu cosa terrena:
nè v’è figlia d’Adamo, in cui dispensi
cotanto il ciel di sua luce serena:
chè da te si ricerca? e donde viensi?
qual tua ventura o nostra or quì ti mena?
fa ch’io sappia chi sei; fà ch’io non erri
nell’onorarti, e s’è ragion, m’atterri."


Armida, al contrario di Sofronia, si compiace di veder riconosciuto il suo magnifico aspetto.
Eustazio, fratello di Goffredo, è attratto da Armida come una falena è attratta dalla luce di una lanterna.
Notate bene che le dice Donna, se pur tal nome a te conviensi;/ chè non somigli tu cosa terrena.
Silvio Antoniniano, poeta e latinista romano del Cinquecento, avrebbe voluto cassare questi due versi, dal momento che riteneva quasi blasfemo il paragone tra una maga seduttrice e una dea.
Ad ogni modo, il racconto di Armida riesce ad ammaliare molti cavalieri che si offrono successivamente di accompagnarla. Ma qui, la maga rivela tutta la sua natura psicologica di vipera: li sottopone ai suoi perfidi incantesimi trasformandoli a suo piacimento in animali e vorrebbe condurli prigionieri al re d'Egitto ma Rinaldo riesce a liberarli tutti quanti.

Rinaldo e Armida
Armida è tutta malizia e vendetta. Vuole vendicarsi di Rinaldo che ha fatto fallire il suo progetto sui cavalieri cristiani ma, quando vede il suo bel viso addormentato, se ne innamora perdutamente (almeno così scrive Tasso!) e lo seduce con un incantesimo, portandolo al di là delle Colonne d'Ercole (attuale stretto di Gibilterra) in una delle Isole Fortunate (attuali Canarie, se ben ricordo).
Il canto XV°, che narra il viaggio di Carlo e Ubaldo, due cavalieri crociati che si recano nell'isola per liberare Rinaldo, è decisamente improponibile in un'antologia di liceo! Per l'eccessivo erotismo di due sirene incantatrici che compaiono alla Fontana del riso allo scopo di distrarre Carlo e Ubaldo.
Io devo leggermi tutto, i ragazzi fortunatamente soltanto le parti con più tensione lirica/militare/patetica. Le parti più interessanti.
L'inizio del canto XVI° è invece meno "dannoso" in questo senso, ma comunque caratterizzato da una natura in perenne primavera dove Rinaldo e Armida, teneri fra loro, si godono languidamente il loro amore.
Specchio t'è degno il cielo, dice Rinaldo ad Armida...
Trovalo uno che ti loda così tanto! Con un ragazzo del genere io attraverserei tranquillamente, come se stessi passeggiando per via Mazzini a Verona, le male bolge dell'inferno dantesco!
Forse, anche se ho una particolare antipatia per la personalità di Armida, mi fa un po' sognare questa sua idea di trasportare l'amato in un mondo isolato.
Se fossi dotata di poteri magici lo farei anch'io con il ragazzo che amo.
Lo prenderei per mano e lo porterei in alto, sulla vetta di una montagna innevata, in una casetta di legno con tanto di divano, camino, coperte e legna.
E noi due lì, ad abbracciarci e a leggere poesie... e la cattiveria e la falsità fuori dal nostro piccolo universo!
Intorno alla casetta metterei un recinto sorvegliato da orsi pronti ad aggredire qualsiasi elemento esterno che voglia fargli/farci del male.

Va bene, la smetto. Ho proprio 20 anni: quello che avrebbe dovuto essere un altro post un po' letterario e un po' psicologico alla fine è diventato un racconto improvvisamente prodotto dalla mia mente!

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