12 giugno 2019

Commenti della critica sull'opera di Landolfi:


A distanza di circa una settimana, ho pensato di mettere anche alcune riflessioni di studiosi molto più esperti di me in ambito letterario, a proposito della Pietra lunare.
Quello che vi ho riportato martedì scorso era infatti soltanto il contenuto del mio power-point che ho presentato durante una lezione.
Dunque vi riassumerò qui sotto le considerazioni di Andrea Zanzotto e di Cesare Pavese, perché vale proprio la pena leggerle!

1a) ANDREA ZANZOTTO:

Zanzotto è autore di una raccolta di componimenti poetici intitolata Il galateo nel bosco. Ve la raccomando! L'ho in piccola parte studiata per l'esame di ieri di metrica italiana ed è veramente tosta: ha moltissimi virtuosismi linguistici! 
Ad ogni modo, Andrea Zanzotto definisce "dirompente" la fantasia di Landolfi, dichiarandola: "uno dei punti di riferimento più radiosi del Novecento italiano".
In effetti, un libro che ha tra i protagonisti una ragazza dalle zampe di capra, si potrebbe considerare tutt'oggi compreso nel genere fantasy.
Zanzotto inoltre, oltre ad osservare che "la grazia del libro è sospesa tra un sapere e un non sapere", visto che Gurù non è una creatura dalla fisionomia chiara.
Successivamente, questo poeta italiano del Novecento, inizia a concentrarsi sullo stile di questo romanzo, dicendo innanzitutto che  "La pietra lunare è poesia in ogni sua frase".
E' infatti (sia a mio avviso che secondo il parere di Zanzotto) un'opera dotata di un lessico decisamente variegato, dove il sublime viene accostato al banale (il "fantastico quotidiano" che dicevo l'altra volta citando Calvino).
La gamma di vocaboli è molto ampia: alcuni appartengono ad un registro molto elevato, altri risultano quasi obsoleti, alcuni sono dei neologismi, altri invece sono tipici regionalismi del Lazio che non saprei riportare.
Essendo sempre vissuta a Verona, sono bilingue nel senso che parlo fluentemente italiano-veronese.
Il lessico di qualsiasi altro dialetto italiano me lo dimentico dopo appena cinque minuti.

Se avete letto bene le citazioni che ho riportato nel post del 4 giugno, trovate delle espressioni molto suggestive, e in particolare, delle similitudini naturali che rendono il testo di Landolfi una sorta di "prosa poetica".
Se quello che vi ho riassunto finora richiama più o meno i contenuti del mio post e della mia relazione, ciò che viene adesso è veramente arricchente, per qualsiasi lettore di Landolfi.

Zanzotto osserva che vi sono due frasi che introducono l'incipit:

-La prima è latina: "Bene dixisti de me, Thomas", ovvero, "Hai parlato bene di me, Tommaso".
E' una frase che, nel contesto di questo romanzo, la luna rivolgerebbe all'autore. Cioè, in questo contesto, la luna verrebbe ironizzata come dea.
Landolfi però non ha inventato ex novo questa frase, perché l'ha tratta dalla Summa Theologiae di San Tommaso d'Aquino, dal momento che il filosofo, all'interno del suo trattato, veniva premiato dalle stesse identiche parole, pronunciate però da Cristo.
Indubbiamente il nostro autore italiano, con questa proposizione, presupponeva che il pubblico riconoscesse subito l'allusione.

-La seconda citazione è stata tratta da Novalis, poeta romantico e riguarda delle pietre misteriose trovate in una piazza vuota. Probabilmente, la citazione di Novalis è un richiamo al Romanticismo, movimento culturale che Landolfi ammirava molto.

Zanzotto riflette anche sul senso profondo dei nomi dei due protagonisti.
Per quel che concerne Gurù, dice che questo nome richiama facilmente la memoria del Guru, sacerdote orientale. D'altra parte, la ragazza-capra è una sorta di allusione al mistero lunare.
Oppure, come seconda ipotesi, il nome dato alla donna-capra potrebbe benissimo costituire un'allusione a quel "dolce grugnìto" che Gurù emette quando sta con Giovancarlo (l'ho già detto, un uomo che ha scritto un romanzo del genere dev'essere stato un tipo decisamente strano!).

Per Giovancarlo invece, Zanzotto elabora una piccola riflessione sul cognome (che a dire il vero fa abbastanza sorridere) "Scarabozzo".
Secondo Zanzotto, questo singolare cognome richiamerebbe alla parola "scarabocchio", e alluderebbe dunque alla paura dell'autore di non risultare abbastanza efficace nell'arte poetica.

Nella conclusione al suo articolo, Zanzotto si sofferma sul finale del romanzo; precisamente, su una nuova fisionomia che acquisisce la luna:

" (...) si levò la luna e il suo volto tranquillo intraprese il solito cammino. Pareva annunciare pace in terra agli uomini".

La luna appare qui come soave elemento naturale garante di pace e di serenità.
Ma solo nell'epilogo, dato che, per tutto il resto del romanzo, appare come una sorta di "madre dell'abnorme".
In effetti, la festa macabra che avviene tra i capitoli 7-9 del romanzo, è ambientata in piena notte, con la luna alta nel cielo, spettatrice anch'essa di orgie, delitti violenti, apparizioni demoniache e comparse improvvise di banditi e altre figure losche che narrano a Giovancarlo l'inquietante storia del rapimento di una sua antenata.

1b) LANDOLFI E LEOPARDI:

Landolfi nutriva un'ammirazione sconfinata per Leopardi, che viene menzionato nel primo capitolo dallo zio di Giovancarlo e che il lettore ritrova poi in appendice, alla fine di tutta la storia.
Landolfi aveva dato questo titolo all'appendice del libro: del giudizio del signor Giacomo Leopardi sulla presente opera.

Leopardi, nel giudicare La pietra lunare, si esprime attraverso alcuni frammenti dello Zibaldone, tutti relativi alla luna:

“UN UOMO TANTO MENO SARÀ GRANDE QUANTO PIÙ SARÀ DOMINATO DALLA RAGIONE; TUTTI QUELLI CHE POSSONO ESSER GRANDI NELLA POESIA E NELLE LETTERE DEVONO ESSER DOMINATI DALLE ILLUSIONI. (…)"

"MENTRE L’UOMO SI ALLONTANA DA QUELLA PUERIZIA IN CUI TUTTO È SINGOLARE E MERAVIGLIOSO, IN CUI L’IMMAGINAZIONE SEMBRA NON ABBIA CONFINI, ALLORA L’UOMO PERDE LA CAPACITÀ DI ESSER SEDOTTO, DIVENTA ARTIFICIOSO, CADE TRA LE BRANCHIE DELLA RAGIONE CHE GLI VA A RICERCARE TUTTI I SEGRETI DELLA REALTÀ. MA QUESTO SENNO E QUESTA ESPERIENZA SONO LA MORTE DELLA POESIA”.

Leopardi, questo lo sappiamo più o meno tutti, affermava che un poeta, per riscoprirsi tale, doveva tralasciare razionalità e freddezza calcolatrice per riscoprire il fascino dell'ignoto, dell'indefinito, della fantasia. Landolfi adotta proprio questo modo per risultare poetico.

Aggiungo un breve confronto fra Leopardi e Landolfi:

Il Leopardi poco più che ventenne, nell'idillio Alla luna, la definisce  "graziosa" e "diletta". E' in sintonia con lo stato d'animo del poeta, che sembra dialogare con lei. La luna risveglia, nell'animo del poeta, i ricordi del passato e le speranze verso il futuro.

Nella Pietra Lunare invece, la luna, nel corso del racconto, non è "umana" ma magica, misteriosa, dal momento che è legata alla comparsa di Gurù e di altre creature fantastiche che popolano le montagne di P.

1c) LANDOLFI E SLATAPER:

Visto che ci sono, aggiungo anche questa mia osservazione.
La luna nel Mio Carso, parte 1 pagina 25:

“E a mezzo mese, nell’ora in cui la
luna emerge dal lontano cespuglio e
si fa strada tra le nubi, candida e
limpida come un prato di giunchiglie
in mezzo al bosco, io mi sentivo
adagiato in una dolce diffusità
misteriosa, come in un tremor di

quieto sogno infinito”.

E' il mio passo preferito dell'opera di Scipio Slataper.
La luna, simile a un prato di giunchiglie, instilla nel giovanissimo Scipio sensazioni di dolcezza e di armonia con l'Universo. Però, se notate bene, traspare lievemente anche un senso di "piccolezza", di fragilità, come dimostra l'ultima parte: "in un tremor di quieto sogno infinito".

Slataper si sente parte di un mondo pieno di meraviglie ma, probabilmente come Ungaretti ("docile fibra dell'Universo", I Fiumi), si riscopre una fragile creatura.

Gurù e la luna, cap. 1 p.31:

“L’argento diffuso della luna non
voleva cedere alla giada dell’alba,
che pareva un più pallido e diafano
plenilunio, a oriente (...) Il tì ti
insistente d’una pernice si faceva
udire a dritta molto in alto (...) Gurù
si allontanava agilmente fra le
rocce, i suoi piedi di capra trovavano
con sicurezza la loro strada per
quel malagevole cammino;
scomparve un istante allo sguardo,
ricomparve più lontana, scomparve

ancora definitivamente”.


Gurù è un essere che, in piena notte, si trova perfettamente a suo agio fra i sentieri rocciosi, illuminati soltanto dalla luce lunare. E' una creatura che fa un tutt'uno con la natura montuosa, che è perfettamente a suo agio di notte, fra i colori e fra i suoni di un paesaggio naturale.


2) CESARE PAVESE:

E' un articolo del 1939 (la Pietra lunare era uscita due anni prima), in cui lo scrittore ed editore piemontese si rivolgeva direttamente a Landolfi:

" (...) il tuo motivo del caprone era il motivo del nesso tra l'uomo e il naturale-ferino. Di qua il tuo gusto per la preistoria, tempo in cui si intravede una promiscuità dell'uomo con la natura-belva."

Pavese dunque considerava un po' riduttivo catalogare il romanzo di Landolfi come esclusivamente fantastico.
E' un'opinione interessante la sua comunque.
Tra l'altro, ricordo che nel 1936, il regime fascista aveva censurato una poesia di Pavese intitolata "Il Dio caprone", ma non perché fosse blasfema, quanto piuttosto perché aveva dei contenuti sessuali espliciti.
La poesia di Pavese comunque iniziava con l'immagine di un giovane che ritornava in montagna dai parenti per le ferie estive, proprio come Giovancarlo all'inizio della vicenda.


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