28 luglio 2019

"I due compagni", G. Comisso:

Altra opera che ho studiato quest'anno e della quale non ho scritto nulla nei mesi scorsi!
Aspettavo soltanto il clima giusto: la freschezza dell'aria ciclonica proveniente della Normandia che almeno per qualche giorno ha interrotto le ondate di calore africano.

A) BIOGRAFIA DI GIOVANNI COMISSO:


Comisso era trevigiano. 

Nato nel 1895 da una famiglia borghese, aveva frequentato con delle difficoltà il liceo classico (ha ripetuto uno dei cinque anni) e, nel 1915, si era arruolato volontario per partecipare alla grande guerra. Tra l'altro, era stato anche uno dei legionari di Fiume dal momento che sosteneva D'Annunzio.
Dopo la fine della prima guerra mondiale, il suo percorso di studi e di scelte di vita era diventato simile a quello di Buzzati: dopo la laurea in Legge, si era dedicato al giornalismo e aveva iniziato a viaggiare.
Negli anni '50, era riuscito ad acquistare una casa di campagna a Zerobranco (Treviso) e aveva dunque iniziato a condurre una vita agricola.
Tra le sue opere, oltre a degli articoli di giornale, ci sono "Gente di mare", libro relativo alla vita dei pescatori di Chioggia, "Giorni di guerra", opera autobiografica sulla sua esperienza di soldato in Friuli, "La mia casa di campagna", scritta a fine anni '50 e "I due compagni", libro che, nel decantare il paesaggio delle colline trevigiane, propone al lettore la narrazione di due vite parallele.
I protagonisti sono due giovani amici e pittori: Marco Sberga e Giulio Drigo.

B) MARCO SBERGA:

Marco è figlio di un nobile che aveva sedotto e in seguito abbandonato una contadina.
Una volta cresciuto, Marco si innamora perdutamente di Elvira. Poi arriva la guerra e si trova costretto a partire per il fronte. Sul Carso tenta un'azione eroica, ma viene fatto prigioniero nei campi austro-tedeschi. Ridotto ad uno scheletro ambulante, alla fine della guerra ritorna a Treviso e scopre che la moglie è fuggita con un ufficiale.
Il mondo gli crolla addosso!
Marco allora va a vivere con la madre, che gestisce un bordello. Ma questo è niente.
Marco inizia a dare segni di follìa e inoltre sembra perdere il senso e le motivazioni del fare arte. Per un po' non dipinge più, poi approda a soluzioni molto vicine all'astrattismo.
A più di 20 anni si ritrova già confinato all'interno delle mura di un manicomio, solo e senza affetti.
Cioè, l'unico legame che gli rimane è l'amico Giulio, che di tanto in tanto gli fa visita.

Esistenza tristissima a partire dal concepimento, direi!

C) GIULIO DRIGO:

Giulio Drigo è il figlio di un mercante. Anch'egli, nel '15 parte per la guerra lasciando la fidanzata Luisa e partecipa alla presa di Gorizia. Rimasto gravemente ferito, ritorna in anticipo dal fronte di guerra. Poi contrae le nozze e, con la moglie, si ritira in una casa di campagna. 
Ma, quando la famiglia si allarga, si trasferisce in città.
Questa di Giulio apparirebbe un'esistenza tranquilla e liscia, ma, nel corso del tempo, il rapporto con la moglie si incrina, dal momento che quest'ultima non comprende la scelta di Giulio di dedicarsi esclusivamente alla pittura e non al commercio.
D'altra parte, poco razionale è l'ostinazione di Giulio a voler proseguire con la pittura dopo che tre dei suoi quadri esposti ad una mostra a Venezia non hanno né attirato l'attenzione degli spettatori né procurato guadagni economici.

D) COMMENTO CRITICO DI MONTALE:

Montale sostiene che Comisso sia "un narratore di momenti" che rifiuta sia il sentimentalismo dei crepuscolari che la retorica dannunziana.
Il poeta ligure non vede in quest'opera una vera e propria struttura narrativa, quanto piuttosto una "composizione da via crucis che alterna le avventure di un personaggio a quelle dell'altro".
La riflessione critica di Montale approda poi a una domanda: "Cosa avrà voluto comunicare Comisso con questo libro?". 
Per Marco Sberga, guerra e amore sono state delle realtà distruttrici. Giulio Drigo invece risulta non totalmente sconfitto, ma tuttavia disilluso a proposito delle prospettive di vita coniugale. 
Quindi? Ognuno è artefice del proprio destino? Montale crede piuttosto che questo romanzo sia un atto di fiducia verso la vita, malgrado la follìa, la guerra e la morte. E l'arte risulterebbe dunque in quest'ottica un mezzo per eccitare la vita.

E) COMMENTO CRITICO DI PASOLINI:

Il commento critico di Pasolini presenta degli spunti molto interessanti.
Lo avevo scritto lo scorso anno quando ho illustrato la figura di Genesio, ma è sempre opportuno ricordarlo: Pasolini era un regista, oltre che uno scrittore. Dunque, la prima osservazione che gli viene spontanea è: "Comisso utilizza, nella narrazione, la tecnica del montaggio alternato. Così racconta due vite parallele e due diversi destini."
Agli occhi di Pasolini, Sberga appare come un "artista maledetto", probabilmente più dotato di Drigo ma assai più sfortunato, visto che cresce senza una figura paterna, viene tradito dalla moglie e poi viene anche rinchiuso in manicomio.
Giulio è un pittore che si imborghesisce con lo scorrere del tempo. Ma è un artista che ricerca il vero e che mai approderebbe all'astrattismo.
Pasolini si chiede poi che cosa queste due figure abbiano rappresentato per l'autore stesso.
Marco Sberga ricorda molto il pittore Gino Rossi, realmente esistito e realmente deceduto in un manicomio.
Giulio Drigo potrebbe rappresentare Comisso stesso e i suoi contrasti con il padre, che avrebbe voluto per lui una carriera da avvocato più che da giornalista e scrittore.
Ma forse, entrambi rappresentano il dissidio interiore e letterario che Comisso ha attraversato: "Inseguire o meno il vero?" Marco Sberga rifiuta il vero, Giulio Drigo lo insegue. Comisso opta per il vero.

E) LA CONCEZIONE DELLA PITTURA NEL ROMANZO:

All'interno dell'opera, le due posizioni artistiche diverse dei due personaggi non vengono molto approfondite, ma poco più che accennate. Per l'autore, quel che importa sono le loro vicende di vita.
Ad ogni modo, ci tengo a riportare un dialogo tra Marco e Giulio che si svolge all'inizio del libro, mentre i due stanno passeggiando lungo il Sile nei dintorni di Treviso.

"Camminavano lungo al fiume, entrambi con le mani nelle tasche del pastrano e nel parlare il loro passo si faceva sempre più forte come se volessero allontanarsi presto dalla città.
«La forma, la forma: questo bisogna raggiungere», diceva Marco Sberga e, tolta una mano di tasca tratteggiava nell'aria il paesaggio del fiume limitato dalle rive con alti pioppi e da un ponte di pietra lontano.
«La forma? sì, ma non basta», controbatteva Giulio Drigo. «Mi creda che non basta. Cosa ne farebbe lei di un piatto ben cotto, ma insipido? Bisogna tendere al classicismo: cioè a soddisfare in modo totale.»
Giulio Drigo aveva un modo di parlare lento e misurato e avrebbe continuato ancora se Marco Sberga non lo avesse bruscamente interrotto: «Forse noi abbiamo le stesse idee, ma non riusciamo a spiegarci. Io intendo dire che se un pittore riuscirà ad esprimersi con una forma personale, che sia proprio sua, nuova e solida, allora tutto potrà essere trattato da lui e indubbiamente toccherà la perfezione.» "

Da notare che, sebbene siano due amici, si danno del "lei".

Il Sile e i bastioni di Treviso

F) "IL VENETO FELICE", ITINERARI E RACCONTI DI GIOVANNI COMISSO:

"Il Veneto felice" è una raccolta di articoli scritti da Comisso. Non ha nulla a che fare con "I due compagni", ma vi metto qui sotto alcune descrizioni di paesaggi veneti, visto anche che è quasi agosto ed è adesso il periodo clou delle ferie estive.
Metto alcuni estratti delle sue descrizioni liriche del paesaggio anche perché io ho parenti sparsi un po' per tutto il Veneto: dei cugini di mia mamma si sono trasferiti quarant'anni fa a Teolo (Padova, Colli Euganei) e altri invece a Mestre (Venezia).
La sorella, la madre e i nipoti di mio zio Paolo di Ronco all'Adige sono di Chioggia (Venezia).

1) COLLINE DELLA PROVINCIA DI TREVISO: 
"Il paesaggio della mia infanzia è quello del Piave nel tratto della stretta di Quero al Montello. (...)
Il Piave esce dalla stretta con uno scenario retrostante di montagne digradanti per luci diverse verso il tramonto, alternate da valli che si distaccano ai fasci di raggi penetranti. Poi si allarga nei filoni d'acqua e nelle ghiaie tra le alte rive dove le colline verdeggiano in fila con boschi di castagni a tramontana e pingui vigneti a mezzogiorno; un castello diroccato è sulla cima del primo colle dalla parte di Onigo, dall'altra, villaggi sparsi; l'orizzonte verso la pianura è chiuso dalla curva dolce del Montello. Le acque scorrono, le nubi si addensano e si dissolvono ai venti, l'ultimo sole rade il verde dei pendii sui monti che rilucono come smeraldi, mentre quelli dentro alla stretta già avvolti nell'ombra diventano profondi come sguardi pensierosi."

Colline nei pressi di Tarzo, Treviso

2) PAESAGGIO LAGUNARE DI CHIOGGIA:
"E' questa una città piena di vita per il suo innesto di tutta l'ansia marina e su queste acque raggiunsi felicità somme che si conclusero in una mia liberazione artistica narrativa, la prima che sorse in me. Si stende la città sulla sottile penisola collegata attraverso l'ampia laguna all'abitato di Sottomarina da un lungo ponte. Le case si specchiano sulle acque placate, nel cielo si compongono le nubi secondo i venti alterni e contrastanti, le barche vengono lente dai canali che si infiltrano nella terra coltivata a orti e sono cariche di pomodori, di melanzane, di carote, di patate e di zucche. Lenti remano i barcaioli, i ragazzi si tuffano a nuotare dall'alto del ponte per immergersi come delfini."

Tramonto a Chioggia

3)I COLLI EUGANEI:
"Una altro paesaggio che mi è caro è quello dei colli Euganei là dove Petrarca visse i suoi ultimi anni in attesa della morte che lo colse seduto come un sonno. La sua piccola casa tra roseti e oleandri è fredda e muta come una tomba ma salito ad una stanza del piano di sopra come si dischiude la finestra appare quel paesaggio che gli doveva ogni giorno far lagrimare gli occhi per l'intensa luce e per il sovraterreno splendore. I colli dolci si distendono lavorati e cosparsi di case e dietro s'alzano le cuspidi dei vulcani spenti dal tempo quando gli uomini non popolavano ancora questa terra.
Colli Euganei nei pressi di Teolo


4) ALTOPIANO DI ASIAGO:
"Si cammina tra questi monti che cingono l'altopiano, coperti di boschi radicati tra rocce corrose, scavate, frantumate. Questa terra è tutta una conca ondulata dove l'uomo ha tracciato strade e costruito paesi, non vi sono fiumi, eppure nei primordi essa doveva contenere un grande lago trattenuto da monti marginali. (...)  Si cammina su di un prato aperto nel bosco, disseminato da cardi paurosi, accuminati ad ogni foglia, gelosi della loro vita. Tra le rocce e il bosco vi è il silenzio del giorno in cui la terra è emersa, nessun canto di uccello, solo minute api ronzano unite e ricreano l'eco lontana dell'ultima cascata precipitante dall'altra parte dei monti. Gradinate di rocce, anfiteatri di rocce popolati di abeti e di faggi e l'ombra delle fronde a impedire ogni fiore."
             
Altopiano di Asiago
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AVVERTENZE E INFORMAZIONI!

- Nel periodo compreso tra 5 agosto e 4 settembre sarà difficile riuscire a scrive un post con frequenza settimanale... Sarò spesso fuori casa o addirittura fuori provincia.

- I miei libri stanno andando veramente bene! Ho venduto centinaia di copie.
Pensate che quei 10 euro a copia sono tutti miei! Finché un libro non è nelle librerie e non ha codice isbn non si parla di percentuali con la casa editrice.
Il punto è che "Le avventure di una liceale invisibile" è piaciuto persino a gente che frequenta le medie! Ragazzini di 12-13 anni mi dicono che sono rimasti molto colpiti dalla forza che ho avuto nel raccontare quello che ho vissuto.

20 luglio 2019

La grande festa del Vangelo di Matteo:


...Una pagina di Vangelo commentata da una non credente ma praticante...

Ovviamente quella frase introduttiva che ho scritto in alto è una sorta di auto-ironia: non è che sono atea. Sono un essere umano con diversi dubbi e molte domande. Sono semplicemente in cammino.
Specifico che i miei pensieri su Mt. 22, 1-14, non pretendono affatto di sostituire alcun tipo di spiegazione teologica.

Mt. 22, 1-14:


Gesù riprese a parlar loro in parabole e disse: «Il regno dei cieli è simile a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non vollero venire. Di nuovo mandò altri servi a dire: "Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e i miei animali ingrassati sono già macellati e tutto è pronto; venite alle nozze."
Ma costoro non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero.

Allora il re si indignò e, mandate le sue truppe, uccise quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse ai suoi servi: "Il banchetto nuziale è pronto, ma gli invitati non ne erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze." Usciti nelle strade, quei servi raccolsero quanti ne trovarono, buoni e cattivi, e la sala si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e, scorto un tale che non indossava l'abito nuziale, gli disse: "Amico, come hai potuto entrare qui senz' abito nuziale?" Ed egli ammutolì.  Allora il re ordinò ai servi: "Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti." Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti»




I miei spunti di riflessione su questo brano cadono a pennello con il periodo che sto vivendo: il Grest al mio paese è appena terminato e ho da pochissimo ricordato il mio primo anniversario di laurea.
Capirete poco più avanti i motivi per cui quest'episodio evangelico di festa nuziale è così legato al mio vissuto e al mio vivere.

Parto però dal fatto che, la spiegazione che di solito si dà relativamente a questa pagina è che l'abito nuziale rappresenta la conversione.
Una spiegazione che personalmente non ho mai capito e che ritengo addirittura fuorviante.
Perché rappresenta la conversione? Il regno di Dio è solo per convertiti? Convertiti come?
Chi è veramente convertito e puro, oggi come oggi?
Anch'io sarei in un certo senso da convertire. In me c'è bene e male. In me non ci sono solo bontà e generosità. Ci sono anche molta rabbia e qualche velatura di malinconia.
Nessuno è completamente puro e completamente santo al cospetto di Dio. Il Dio in cui cerco di credere è un Dio indegno anche di me, visto che ha accettato di morire in croce per l'umanità tutta. 

Inizio a commentarlo dalla fine e da una sorta di riassunto dell'ultima parte, per poterlo spiegare bene a me stessa e a voi.
Durante la festa, il re entra nella grande sala gremita di persone e scorge un uomo senza abito nuziale; quindi, un uomo vestito in modo non elegante. Inizialmente lo interroga sul motivo per cui non indossa l'abito nuziale. Ma, constatando un certo mutismo, lo condanna. Mancata misericordia?? No, niente affatto.
Quell'abito nuziale, a mio avviso, ha dei significati molto più profondi.
C'è un linguaggio verbale, c'è un linguaggio gestuale e c'è anche un linguaggio dell'abbigliamento! E l'abbigliamento esige di essere ben contestualizzato nelle varie circostanze della vita.
E' ovvio che ad una festa di matrimonio ci si vada eleganti. Ma qui non è soltanto questione di eleganza.

1) Presentarsi a delle nozze significa rendersi partecipi alla gioia di chi è protagonista di quella festa. 
Significa comunicare, a chi ti invita: "Sono felice per questo tuo lieto giorno. Grazie mille per avermi dato l'occasione di condividerlo con te!".
In quest'ottica dunque, l'abito nuziale sarebbe innanzitutto gioia ed entusiasmo. Venire senza non ha il minimo senso. 
E non si dovrebbe MAI andare a feste di compleanno, di nozze o di laurea con una disposizione d'animo non adeguata e soltanto "parché me toca" ("perché mi tocca andare").
Sapete, a volte è proprio durante le feste che organizzatori e protagonisti di esse si rendono veramente conto di chi vuole loro veramente bene. Parlo per esperienza personale. 
Ci sono due atteggiamenti negativi da parte dei primi invitati del re: c'è chi è indifferente verso le nozze e chi invece è irritato al punto tale da maltrattare e uccidere i servi del sovrano.
Ma quanto è attuale questa pagina?? 
Ho voluto, lo scorso anno, festeggiare con un bel po' di giovani la mia laurea, con risultati molto simili: quando ho comunicato che avevo intenzione di preparare una cenetta a casa mia per loro la domenica sera, alcuni mi hanno semplicemente ignorata (cioè, una compaesana animatrice che conoscono da anni si laurea e la cosa non li ha minimamente riguardati), altri sono venuti, sì, ma tipo, molti di loro sono arrivati alle otto e mezza per andarsene via alle dieci, senza manco dirmi: "Ehi, grazie merda per averci preparato da mangiare!". Dopo che con mia mamma avevo lavorato tutto il giorno per preparare roba decisamente buona, ma quasi tutta avanzata. Però, che gran bel rispetto degli altri!
Cosa avrebbero mai potuto pensare il mio relatore e il mio contro-relatore se, ad una settimana esatta dalla mia discussione, mi avessero vista piangere come una fontana davanti alla chiesetta di San Rocco del mio paese, perché il festeggiamento al quale tenevo di più era andato uno schifo?!
La giovane donna che, senza incertezze né tentennamenti, parlava loro di qualcosa di insolito come i "il diritto dei maschi a manifestare il dolore, anche con lacrime", il martedì dopo era divenuta una ragazzina che si sentiva sola di fronte a un mondo che non la capiva e che non la capisce.
Nessuno si è accorto e si accorge che sto male. Cioè, adesso esagero. Gli adolescenti sì, loro si accorgono che soffro e mi capiscono. E ultimamente non sono proprio gli unici.
Ecco che fine ha fatto, caro prof. Borghetti, la neo-dottoressa da 105/110 in Lettere Classiche...
La neo-dottoressa che si è impegnata, che ha letto libri e paragrafi sia in italiano che in inglese per sua propria cultura personale e per poterLe dare tra le mani un lavoro ricco, serio e abbastanza approfondito sui lamenti maschili di Sigismondo D'India.
Ad ogni modo, come dico sempre, meno male che ho una famiglia, perché la serata al ristorante con familiari e parenti è andata decisamente bene! Cena tipicamente da polentoni veronesi, lo ammetto (secondo piatto: pollo e polenta), ma molto partecipata!
Col cavolo che preparerò la cena agli altri quando avrò discusso anche la tesi magistrale!
Dopo la magistrale sparisco per un po', mi faccio un viaggio di 15 giorni in posti che non ho mai visto, un viaggio coerente con i miei studi: Caserta, Napoli, Amalfi, Sorrento, Pompei, Paestum.
Quest'anno, la memoria del primo anniversario di laurea è andata 100 volte meglio, anche perché ho notevolmente ridotto il numero degli invitati (in pochissimi sanno che l'ho "silenziosamente" e umilmente ma degnamente festeggiato!). 
Ad ogni modo, riprendendo in mano il brano del Vangelo, dopo le amare delusioni provocate dal comportamento della gente, il re, con una tenacia che un pochino sa anche di testardaggine, decide di far chiamare chiunque. I suoi servi radunano tutti quelli che incontrano.
Ma, all'interno della stanza destinata al banchetto, avviene ugualmente la selezione degli invitati.


2) "Venire alle nozze con l'abito nuziale", in termini prettamente religiosi, credo significhi partecipare alla liturgia e alle celebrazioni volentieri e motivati. In questo caso dunque, l'abito è sinonimo di sincera e convinta adesione ai principi e allo stile della vita cristiana.
Scrivevo, a soli 13 anni: "Senza voglia e senza entusiasmo, la fede non è fede, non è relazione con Dio e non è apertura verso l'altro, visto che l'altro, anzi, che ognuno di noi porta un riflesso di Dio."

3) "Venire alle nozze con l'abito nuziale" è un'espressione che, da pochi giorni a questa parte, mi ricorda i miei adolescenti e i responsabili del Grest di quest'anno, tutti giovanissimi (i nati nel 2001).
Io quest'anno sono stata invitata al Grest parrocchiale, pensate un po', da un mio adolescente, da un ragazzo di 16 anni che non sa ancora e che non ha ancora capito di avere un mondo dentro di sé e di essere molto più intelligente di quel che crede.
E ci sono venuta anch'io con l'abito nuziale, perché da fare ce n'era!! Ho distribuito merende, a volte ho pulito cortili e locali, ho accompagnato bambini e ragazzi nelle attività e nei giochi. In queste 4 settimane ho visto molta bellezza in persone di 14-15-16 e 17 anni, che impiegavano gran parte delle giornate a preparare attività e a progettare giochi divertenti per i bambini.
Come molti di loro, ho partecipato a questo Grest con l'abito nuziale, perché anch'io, nel mio servizio, ci ho messo entusiasmo.
Poi, cara Zeena, a te devo un grazie particolare per la tua sensibilità. Magari ti starai chiedendo anche adesso se, da brava responsabile, sei riuscita a farmi divertire... Altroché se ci sei riuscita!
Tra l'altro, è grazie alla gente come te se, durante questo Grest, ho stretto i denti e ho continuato a svolgere il mio servizio con entusiasmo, senza alcun tipo di ringraziamento.
...Quell'entusiasmo che, qualche mese fa, mi ha fatta venire con le terze medie alla due giorni a Genova il 4-5 marzo, nonostante 37,7° di febbre. Non si possono pretendere ancora più sforzi da parte mia, come animatrice. 
Io lavoro, mi impegno e sono umile. E devo sempre io adattarmi e sforzarmi, e devo sempre io aspettare due mesi per riferire delle cose importanti. Non è giusto! 

4) "Venire alle nozze con l'abito nuziale" significa anche dire grazie a chi ci sta vicino. O comunque, dirglielo più spesso. Ho cercato di valorizzare ciò che di buono c'era dentro i miei ragazzi e ciò che di buono facevano. Alcuni bambini e adolescenti si ricordano ancora dei complimenti che facevo loro lo scorso anno, quando mi pareva di scorgere delle capacità e delle risorse che appartenevano al loro modo di essere. 
Ringraziare degli adolescenti ricompensa, credetemi! Certi loro sorrisi "svafillanti" significano semplicemente: "Ci sei praticamente sempre, Anna, e in un certo senso proprio per questo rompi le scatole, ma grazie di esserci".



13 luglio 2019

"Ciò che inferno non è": seminare l'amore fra il dolore e la violenza

Ho troppi romanzi in programma da leggere!!😓
E questo libro era un regalo che mia mamma mi aveva fatto ancora due anni fa.
Ribadisco ciò che penso da un po' di tempo: il miglior personaggio in assoluto che D'Avenia abbia mai potuto creare è Margherita di "Cose che nessuno sa". Alla fine, è lei la figura che mi somiglia di più. Anche più della Silvia di "Bianca come il latte, rossa come il sangue".


Molti marosi e minacciose tempeste mi sovrastano, 
ma non ho paura di essere sommerso, 
perché sono fondato sulla roccia.
Cosa dovrei dunque temere? La morte?
Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno.
(San Giovanni Crisostomo)

0) TRAMA ROMANZO:

In questo suo capolavoro, il famoso professore e scrittore dà gran rilievo alla figura di Don Pino Puglisi, il suo insegnante di religione al liceo, straordinario sacerdote palermitano che per anni si è impegnato a donare il suo tempo e il suo sorriso ai bambini di Brancaccio, quartiere malfamato di Palermo.
Il contenuto, ridotto all'osso è questo:
Federico è un diciassettenne della media borghesia. Va molto bene a scuola, adora Petrarca e la lingua greca, ama il suo mare limpido in cui si tuffa tutte le estati e sogna.
Alla fine della quarta superiore, una forte proposta di Don Pino colpisce la sua notevole sensibilità.
L'insegnante di religione infatti, gli propone di aiutarlo con i bambini e gli adolescenti di Brancaccio durante l'estate.
Federico allora si inserisce in questa realtà fatta di povertà economica e morale, di violenza, di furti, di delinquenza mafiosa, di terribili storie familiari. Ma anche di umiltà, semplicità e dignità.
Il ragazzo rimane talmente colpito da questo scenario che decide addirittura di rinunciare ad un viaggio di studio in Inghilterra per poter continuare a sostenere il tenace Don Pino, che oltretutto ambisce, insieme ad alcuni padri di famiglia del quartiere, a fondare una scuola media in quel quartiere.
Siamo all'inizio degli anni '90.

Questa è la trama. Nel complesso, il libro mi è piaciuto molto.
Ci sono stati alcuni aspetti che mi hanno emozionata e commossa, altri invece che mi hanno resa un pochino risentita (la figura di Lucia, la ragazza di Brancaccio che Federico ritiene un modello di bellezza interiore ma che in realtà è, per me, soltanto una reginetta di superbia, di insensibilità e di arroganza. Non ha nulla di diverso da molte ragazze della mia età che conosco!) .
Adesso comunque elenco tutto, partendo dagli aspetti migliori.

1) LA BAMBINA RIMASTA ORFANA:


Si tratta di una bambina senza nome, di forse 6 anni, con una bambola sempre in mano.
La sua grossa disgrazia è prima di tutto quella di essere nata e di vivere a Brancaccio, dove Cosa Nostra si arroga, con grande bestialità, il diritto di porre fine alle vite degli altri.
Il padre di questa bambina viene ucciso da tre colpi di pistola, sparati da un mafioso che in famiglia ha un bambino della stessa età della figlioletta alla quale ha appena assassinato il genitore.
Quel che in effetti è impressionante è che Il Cacciatore, così viene soprannominato l'assassino, dopo aver commesso questo crimine, torna a casa e accarezza i capelli del figlio.
Questa bambina è una figura che per poco non mi faceva piangere. 
Questa bambina il cui padre è morto senza un "motivo logico", senza poter vedere con gli anni la crescita di sua figlia, senza poterle mai insegnare a nuotare nell'acqua alta, come dice lei spesso a Don Pino.
E in questa pagina (parte seconda capitolo 10), la troviamo sola, di fronte a un mare troppo vasto per lei, vasto come... il non-senso della vita.
(fate click sopra per leggere).


"(...) la fame e la sete la costringono a tornare nel fuoco", ovvero, nell'entroterra di Palermo in piena estate, con un caldo boia e con un clima sociale non equo e infernale.
Non equo perché a stento i figli dei borghesi che vivono in quartieri puliti e agiati conoscono la miseria di zone come quella di Brancaccio.
Infernale perché nei cuori malvagi c'è l'inferno.

2) COS'È L'INFERNO?

Prima di esporvi i miei ragionamenti, preferirei riportare alcuni passi:

A) Parte prima, cap. 23: "L'inferno ha una sua unità minima, uno stato molecolare identificabile: è l'interruzione del compimento, la compressione della vita, non la sua comprensione. Tutto ciò che la sporca, ferisce, chiude, interrompe, distrugge, e ogni possibile variazione sul tema dell'interruzione, è inferno. Per opporvisi occorre riparare, riannodare, restaurare, ricominciare, riconciliare... Don Pino sa che l'inferno opera più efficacemente sulla carne tenera: i bambini. Bisogna difendere la loro anima prima che qualcuno gliela sfratti. Custodire ciò che hanno di più sacro."

B)Parte prima, cap. 9: "L'inferno esiste. Ed è qui. In queste strade feroci in cui i lupi fanno la tana. E gli agnelli insanguinati tacciono perché hanno più cara la vita di ogni altra cosa. E il sangue è il marchio della vita, perché se la parola non salva dovrà farlo il sangue".

Domanda provocatoria: cos'è per voi l'inferno



Digitate questa parola su "Google immagini" e vi compare il fuoco.
E il fuoco è sempre un elemento negativo? Non direi, perché per esempio, da novembre fino a marzo, ci si scalda a casa mia anche con il fuoco nel camino e/o nella stufa.
E' forse l'inferno un luogo dell'aldilà? Forse. Forse non è come l'inferno dantesco, con i gironi, le bolge e le piogge roventi di sabbia e i fiumi di sangue e i demoni che occupano la città di Dite.
Ora vi dimostro quanto certi dialoghi tra me e mia mamma siano simili all'idea che Don Pino stesso aveva dell'inferno (cap. 37, parte prima): "In paradiso o all'inferno uno c'è o non c'è. Non ci va."

Di tanto in tanto ci capita di confrontarci sulla violenza e sul degrado socio-morale che ci sono nelle zone Caserta-Napoli, sulla base di quello che sentiamo dai giornali e da alcuni programmi televisivi.
Cioè ad esempio, quando sentiamo che in alcuni dei quartieri più poveri di Napoli i bambini vengono picchiati, violentati o massacrati dai genitori, o comunque sentiamo che sono figli di spacciatori ci facciamo sempre delle domande noi due.

E qui vi riporto una parte di dialogo, tradotta dal dialetto veronese all'italiano apposta per voi.
Io una volta le ho detto, piena di rabbia: "Sono amorali, non sanno nulla dell'amore. Mi auguro che crepino all'inferno! Meritano l'inferno!"
E mia mamma: "Non c'è bisogno di augurarglielo. Lo vivono già dentro di loro."

Caspita, è vero!
Chi fa del male vive l'inferno dentro di sé. Ma anche chi lo subisce.
Come potranno mai quei bambini avere fiducia nel futuro? Anche loro hanno l'inferno nel cuore. Perché sono vittime di abiezioni sconvolgenti. E il dolore, quando è troppo immenso, brucia.
E comunque, è ora di finirla di bruciare i rifiuti da quelle parti!!
Pensate a quante vite sta compromettendo la Camorra a Caserta, città tra l'altro dotata di una reggia dall'architettura mozzafiato (il 21 giugno hanno fatto proprio lì la festa della musica, dove ci sarebbe stato l'ingresso gratuito... Ecco dove avrei dovuto essere quella sera, altroché la riunione di verifica animatori adolescenti!!).

C'è, ad ogni modo, una cosa che non riesco tanto a inquadrare.
E' questo sillogismo: inferno=fuoco=calore.
Cioè, sia l'inferno che il fuoco implicano la presenza di calore, secondo la mentalità comune. Se l'inferno è fatto di fuoco allora indubbiamente è bollente, anzi, è di un bollore terrificante.

CALORE. 

Il calore è l'abbraccio con cui vorrei poter avvolgere tutti i miei adolescenti.
Il calore è la mia voglia di donarmi quotidianamente.
Il calore è il mio amore verso mamma e papà, anche se non sono mai riuscita a dire a loro che gli voglio un mondo di bene.

L'inferno, comunque, c'è indubbiamente anche in provincia di Verona.
L'inferno è a 5 kilometri da casa mia, in una stradina di campagna dove ci sono sempre almeno 2/3 prostitute pronte per dei clienti corrotti.
L'inferno c'era e c'è anche sulle rive dell'Adige, in alcuni paesi della Bassa Veronese (luoghi di pianura nebbiosa d'inverno e caldissima d'estate).
In questi casi, l'inferno è quando un luogo della natura abbastanza verde, da pedalate in bicicletta e anche un po' da pic-nic per famiglie, diviene deposito di siringhe e di bottiglie di vetro frantumate. Ecco il motivo per cui i grandi, quando ero bambina, sbiancavano e dicevano a me e ai miei cugini di non andare assolutamente sull'argine. Non sono posti da portarci bambini e ragazzini, mi dispiace.

3) GIUSEPPE, IL RAGAZZO CON UN PADRE VIOLENTO:

Questo mi ricordava troppo i "Ragazzi di vita" romani di Pasolini.
Giuseppe è un adolescente finito in carcere per furto.
Deve rubare, altrimenti il padre lo prende a cinghiate.
Grazie a Don Pino scopre di essere portato per il mestiere del falegname...
Al sacerdote, Giuseppe sembra "un filo d'erba che cerca di sbucare tra il cemento".
Ma è la miseria in cui è nato che lo fa ripiombare all'inferno.
Don Pino e Federico si recano a trovarlo in carcere un giorno.
E la loro visita suscita il sorriso luminoso di questo ragazzo, incredibilmente bisognoso di umanità, ovvero, di un raggio di luce nel suo buio pesto di adolescente non amato proprio da chi dovrebbe educarlo e proteggerlo.
Anche il Genesio pasoliniano, che, con i due fratelli, vede ogni giorno le violenze del padre sulla madre, vive l'inferno. E non ne esce, purtroppo. L'autore non lo fa uscire.


4) LA FIGURA DI DON PINO:


Di Don Pino non scrivo molto, perché D'Avenia stesso lo ha reso benissimo in molti capitoli del libro. Se volete conoscere e capire bene questa figura prendetevi il romanzo!

E' un santo umano. Un santo che compie del bene ogni ora del giorno, che si prende cura di vite che fioriscono, come farebbe un giardiniere con un orto botanico.
Ma è anche straordinariamente umano.
Strazianti, oserei dire, sono i momenti in cui l'autore racconta i pestaggi che subisce prima di venire assassinato. In quei momenti, Don Pino è solo. Si sente solo e fragile, al punto tale da dire al suo alunno diciassettenne (cioè a Federico): "Non lasciarmi solo, ti prego".
Glielo dice in un momento in cui è consapevole di essere presto destinato a una morte violenta.
Ma mai crolla la sua sincera fede in Dio: "La mafia è potente, ma Dio è Onnipotente".
E va incontro ai suoi assassini con il sorriso e con la frase: "Vi aspettavo".

Parte seconda, cap. 31: "Aspettava la morte. L'aspettava come chi va ad un appuntamento o riceve una visita a lungo attesa. Lui muore con un sorriso. E non vede i suoi due assassini ma due figli: li aspettava, con un sorriso, come un padre che corre incontro al figlio lontano da tempo. Vede attraverso di loro, vede oltre loro."

Dicevo che Don Pino, nel momento in cui viene ucciso, ha un sorriso disarmante. Un sorriso che sconvolgerà l'animo del suo assassino, che dopo un lungo tormento interiore si convertirà.
E' il 15 settembre 1993. E' morto nel giorno stesso del suo cinquantaseiesimo compleanno, dopo aver celebrato ben due matrimoni in quella stessa giornata.
L'anno successivo è stato ucciso dai camorristi anche Don Giuseppe Diana, parroco di Casal di Principe (Caserta).
Don Puglisi è stato ucciso davanti alla porta della canonica, alle 9 di sera. Don Diana invece in sacrestia, mezz'ora prima di celebrare una messa vespertina.


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E questi sono i molti aspetti positivi che ho trovato nel libro!

Resto comunque ferma nella mia personalissima opinione: "Cose che nessuno sa" è il suo capolavoro migliore. Ogni volta che lo prendo tra le mani mi trema il cuore, giuro.

Ho deciso che Lucia non merita nemmeno un paragrafo. Forse D'Avenia stesso è convinto di aver creato una figura femminile forte e umile, ma non è così, almeno per me.
E' solo una che si permette di giudicare molto duramente un ragazzo che conosce appena.
Federico le prende dai bambini perché non vuole riconoscere una scorrettezza nel gioco e si arrabbia dopo averle prese? Per Lucia è lui dalla parte del torto, è lui che non è né umano né comprensivo verso quei bambini a dire il vero difficili, maleducati e un po' "selvaggi".
Federico rinuncia, perché rinuncia veramente, al viaggio in Inghilterra per aiutare Don Pino? Per Lucia è solo un borghese che vuole insegnare agli altri come si vive.
E lei stessa è una plebea del cavolo che non meriterebbe di essere aiutata. 
Ma quella lo sa cos'è la generosità? Ma sa cos'è l'amore? Ma sa cosa significa fare una scelta così coraggiosa e importante? Ma sa che essere sensibili non va confuso con l'essere "dei maestrini saccenti"?
Ma sa che le famiglie borghesi (anche la mia lo è) fanno dei sacrifici per risparmiare soldi in modo tale da investirli in un'occasione di formazione per i loro figli? 
No!!! E' una ignorante ottusa antipatica!
Ignorante perché dice tra l'altro anche che la scuola non insegna la vita.
Ma sa quanta vita c'è in una sola pagina di letteratura? Ma sa che è importante conoscere la storia per formarsi una coscienza critica e per custodire le radici della civiltà? Ma sa che persino le nozioni di fisica sono perfettamente riconducibili alla vita reale (e lo dice una che al liceo, nei compiti scritti di fisica, incassava spesso dei 5/5-).
Federico, da vero adolescente, è pieno di contraddizioni.
E Lucia invece ha manie di grandezza e di superbia: cioè, vuole diventare regista però non vuole assolutamente spostarsi da Brancaccio.... ma che logica c'è? Che ci resti a fare a Brancaccio, fai quella che muove le marionette e che organizza spettacolini con i bambini? Chi mai a Brancaccio ha interessi culturali di cinema? C'è una scuola di regia a Brancaccio? No! Non mi risulta, si è già fatta una fatica immane a istituire una scuola media!

Sono aggressiva, lo so, ma l'unica cosa che forse merita una ragazza del genere sono le angherie delle bestie mafiose.

AVVERTENZA FINALE!: Semmai vi capiterà di averlo tra le mani, prestate attenzione anche alle descrizioni sulla città di Palermo... Sono stupende! Qui non c'è lo spazio per poterle fare, anche perché il post risulterebbe lungo-eterno, ma vi assicuro che le descrizioni di Palermo hanno una fondamentale importanza all'interno delle vicende che l'autore narra.




2 luglio 2019

Dio è veramente impotente di fronte al male che ogni uomo e ogni donna si trovano costretti ad affrontare nel corso della loro vita?

E' una domanda indubbiamente impegnativa.
Cercherò di sviluppare delle riflessioni attraverso la recensione di due libri diversi tra loro: "Giobbe" di Joseph Roth e "Fammi volare" di Marzio Marognolli, un parrocchiano di mio zio che ha coltivato il suo talento per la scrittura.
Entrambi i libri in uno stesso post. 
E' la prima volta che provo a farlo in nove anni di attività su blogger.
Ve lo dico già: in questo post non c'è una risposta chiara a questa domanda. Ci sono solo dei contenuti che possono servire come spunti di riflessione.

Prego ogni tanto
e troppo spesso penso,
ma non trovo risposte complete,
comunque, vivo.

(Marzio Marognolli, "La fabbrica dei sogni impossibili")

1) "GIOBBE", JOSEPH ROTH:

1A) L'ILLUSTRAZIONE IN COPERTINA: 


Questa è l'edizione che ho a casa io.
Non si tratta della stampa più recente, visto che è stata fatta più di 30 anni fa (1985).
L'immagine in basso è la riproduzione di un dipinto di Chagall Au dessus deVitebsk, ovvero Sopra Vitebsk. Vitebsk è una cittadina della Bielorussia, vicina al confine con la Lettonia.
Come vedete, c'è un uomo sullo sfondo che porta un sacco su una spalla e che sembra quasi stia spiccando il volo sulla città.
Inizialmente però, la storia non è ambientata a Vitebsk ma a Zuchnow, cittadina russa.
Siamo nei primissimi anni del Novecento.
Il protagonista della storia, ve lo dico già ora, è Mendel Singer, un uomo semplice (come dice il sottotitolo del romanzo!) che, proprio in un momento drammatico della sua esistenza dove le delusioni sembrano prevalere sulle gratificazioni, decide di compiere un viaggio oltreoceano con la moglie e la figlia, per poter raggiungere il suo secondogenito in America.
Il viaggio, illustrato in questa copertina, è un tema ed un elemento determinante nella storia della vita di Mendel. Dopo essere giunto alla destinazione prevista, egli cambia infatti professione, relazioni e modi di vita, impara l'inglese e, dopo un po', gli accadono drammi ancor più grandi di quelli che ha già vissuto.
Il viaggio, comunque, modifica in modo significativo l'esistenza del protagonista e della sua famiglia.
E' molto azzeccata come copertina!

1B) RIASSUNTO DELLA PRIMA PARTE DELLA STORIA: 

Mendel Singer è un ebreo osservante, un maestro di Bibbia che impartisce lezioni ad alunni ancora bambini.
Gode dell'amore della moglie Deborah e ha tre figli: Jonas, Shemariàh e Mirjam.
Se fino ai suoi 30 anni la sua vita è stata per lo più lineare e serena, a frantumare questo equilibrio e a cambiare il suo rapporto con Dio è l'arrivo del quarto figlio, Menuchim.
Menuchim non sembra sperimentare lo sviluppo fisico e cognitivo degli altri bambini: non cammina, non comprende quello che gli viene detto e non parla. 
"Mamma" è l'unica parola che per molti anni riuscirà a dire, ma nient'altro.
A 10 anni è come un bambino di 1 anno.

I due genitori reagiscono in modo diverso di fronte alla scoperta delle disabilità del figlio: mentre Mendel fatica ad accettarla e la ritiene un inspiegabile castigo di Dio, Deborah, con la lacrima perennemente sull'occhio, gli presta tutte le sue attenzioni e le sue cure, speranzosa che un giorno Menuchim possa migliorare e guarire. Al contrario del marito infatti, lei presta molta fiducia alle parole che un rabbino le dice dopo un incontro:

"Menuchim, figlio di Mendel, guarirà. Pari a lui non ce ne saranno molti in Israele. Il dolore lo farà saggio, la deformità buono, l'amarezza mite e la malattia forte. I suoi occhi saranno grandi e profondi, le sue orecchie limpide e piene di risonanza. La sua bocca tacerà ma le labbra, quando si apriranno, annunceranno il bene."


Il tempo passa e, a suscitare le malinconie e le arrabbiature di Mendel, ci pensano anche gli altri figli: Jonas, intorno alla maggiore età, decide di divenire membro ufficiale dell'esercito dello Zar e taglia completamente i rapporti con la famiglia, Shemariah, costretto dalla legge ad arruolarsi, diviene ben presto un disertore costretto a rifugiarsi negli Stati Uniti e, in quanto a Mirjam... è, a mio avviso, la vergogna della famiglia Singer.
Mirjam se la fa dalla mattina alla sera con i cosacchi e in ogni luogo.
E' la figura peggiore del romanzo, è probabilmente l'unica della famiglia che non ha e non avrà mai una redenzione.
Quello che mi ha colpita molto è stata anche la sua incapacità di amare, non solo un unico ragazzo, ma la famiglia di origine.
Mirjam sembra non avere nessun sentimento, Roth l'ha ridotta sostanzialmente ad un automa che continua a fare sesso per anni senza mai che le accadano conseguenze forti (morali e biologiche).

Nel momento in cui Mendel e Deborah scoprono, tramite una lettera, che Shemariàh è riuscito a formarsi una famiglia negli Stati Uniti, lasciano la Russia per raggiungerlo.
Ah sì: Menuchim non parte con loro. Viene affidato ad un'altra famiglia che se lo prende molto volentieri a carico.

1C) RIASSUNTO DELLA SECONDA PARTE DELLA STORIA:

La famiglia Singer raggiunge l'America e Shemariàh, che nel frattempo ha cambiato nome in "Sam".
Per diversi anni la vita in America va bene: Mendel diviene un commerciante e arriva il primo nipotino.
In America giungono notizie, tramite alcune lettere, anche da parte di Jonas, che nel frattempo è entrato a far parte dei cosacchi ribelli allo zar.
Mirjam è corteggiata da Mac, un giovane americano che prenderà naturalmente una brutta cantonata.
La farfallina malata di sesso finisce presto in manicomio, perché è la sua ossessione per i corpi maschili che la porta ad una follia tale che diviene necessario rinchiuderla in un ospedale psichiatrico.
Poi scoppia la guerra e Shemariàh è costretto a partire nuovamente soldato.
E poi ancora, arriva quel giorno terribile in cui Mendel e Deborah ricevono una lettera che annuncia la morte di Shemariàh e un'altra lettera che annuncia che Jonas è disperso in Russia.
Un figlio, tutto sommato molto bravo, che è stato ucciso da una guerra violenta (la prima guerra mondiale) e un altro che non si sa esattamente dove sia e, soprattutto, se sia vivo o morto.
Per Deborah è veramente troppo.

"Nel viso di Deborah non un tratto si altera. Le sue mani tirano a turno i capelli. Le sue mani somigliano a pallide bestie carnose a cinque gambe che si nutrono di capelli. Mendel è in piedi, le braccia incrociate sopra la spalliera della sedia. Deborah comincia a cantare. Canta con una voce maschile, che suona come se nella stanza ci fosse un cantante invisibile. La voce sconosciuta canta una vecchia canzone ebrea senza parole, una ninna nanna tetra, per bambini morti. 
(...)
A un tratto dal petto di Deborah esce un urlo. Suona come l'ultimo resto di quella melodia che ha cantato prima, una nota che è uno schianto, un'esplosione. Allora Deborah cade dalla sedia. Giace, molle massa piegata su di sé, sul pavimento."

... è morta.
Mendel, infuriato con Dio per tutti questi lutti che vive, si allontana dalle pratiche ebraiche, non prega più, diventa silenzioso.
Si ritiene una vittima della cattiveria di Dio.
Da una parte però, l'immenso dolore di Mendel è anche comprensibile: credo che delle disgrazie familiari così gravi facciano sentire chi le subisce più o meno come se stesse lottando contro il risucchio delle sabbie mobili. Angosciato e oppresso dalla disperazione.
Ma questo romanzo non lascia con l'amaro in bocca.
Una sera, dopo un concerto, Mendel incontra proprio il figlio che molto tempo prima era malato.
Menuchim è davvero guarito ed è diventato il più realizzato dei quattro figli, dal momento che risulta, a fine romanzo, un pianista di fama internazionale.
Oltre a ciò, Mendel ritorna a sperare in un possibile ritorno di Jonas (visto che Menuchim gli riferisce che è vivo) e... a risorgere di nuovo, a causa di un miracolo che mai aveva ritenuto possibile.

2) "FAMMI VOLARE", MARZIO MAROGNOLLI:

2A) IL SENSO DELLA COPERTINA DI "FAMMI VOLARE":


Il libro è stato pubblicato nel 2009 da una casa editrice di Città del Castello (Perugia), chiamata "Edmondo".
Il senso della presenza di questa donna che ha uno sguardo sì dolce ma anche pensieroso lo si desume nelle ultime righe di questo libro che, pur avendo soltanto 80 pagine, dal punto di vista dei contenuti risulta impegnativo quasi quanto il "Giobbe" di Roth.
Anche sulla forma il Marognolli non ha scherzato, dal momento che in più punti c'è una certa ricercatezza stilistica.
E' la purezza e la gentilezza di una giovane donna di nome Angelina che permette all'autore del libro di "risorgere" interiormente, dopo un periodo doloroso e travagliato.
E' l'amore di una donna, in questo caso, che "fa volare" il protagonista, che gli fa ritornare la voglia di sognare, di credere nel futuro e che gli permette di non sentirsi più solo e isolato nel suo dolore di fronte alla vastità della natura e dell'Universo.

2B) LA VITA DI MAROGNOLLI E IL RIASSUNTO DEI CONTENUTI DEL SUO LIBRO:

Premetto che non l'ho mai conosciuto di persona, visto che mio zio, molto recentemente, mi ha dato in mano il suo libro (copia regalo) perché io lo potessi leggere.
Però qualcosa so, grazie al dorso della copertina e grazie alle notizie di uno zio-parroco.
Marzio Marognolli (classe 1953) è veronese, ma ha studiato Giurisprudenza a Ferrara.
Dopo la Laurea ha sempre esercitato la professione di avvocato a Verona. Senza mai abbandonare l'idea di scrivere. (sua è anche la raccolta di poesie "La fabbrica dei sogni impossibili").
Attualmente, Marognolli è direttore del un circolo culturale comunale di Monzambano.

La narrazione è in prima persona. L'io narrante e protagonista delle vicende è un giovane studente che, proprio nel momento in cui sta per terminare gli studi universitari, scopre che il padre è molto malato.
Mai viene specificata la malattia, ma è facile che si tratti di un cancro ai polmoni.
Nei primi capitoli del libro si concentrano gli affetti familiari del protagonista.
Spicca la figura della sorella Giulia, una ragazza molto intelligente e affabile; che però "perde la sua luce" subito dopo la morte del padre. Si chiude in se stessa, fino al momento in cui, terminati gli studi presso la facoltà di Matematica, decide di partire per l'Australia.

Vi riporto qui un dialogo tra i due fratelli. Tenete ben presente che si tratta di due giovani disorientati di fronte alla definitiva perdita del loro padre. Marzio e Giulia erano molto vicini all'età che ho io adesso.

"(Giulia) «La vita nasce dalla materia e tutte le forme di vita sono nate dalla prima cellula, organismo determinatosi chimicamente, attraverso la selezione naturale. Le specie differenti sarebbero apparse secondo un processo di evoluzione e l'uomo sarebbe stato così il frutto più maturo della natura. Dio non esiste e non serve.»

(Marzio) «Ma quale selezione naturale? Selezione implica scelta, decisione, e una scelta presuppone sempre l'esistenza di un'autorità dotata di ragione. La verità è che nessuno scienziato è stato ancora capace di provare che la vita nasce dalla materia. Tutto è una creazione di Dio. » "

Dunque, riprendendo il filo della trama: muore il padre, la sorella si allontana per ricostruirsi una vita nell'altro emisfero, la madre muore poco più di un anno dopo e Marzio, povero di relazioni, è più che mai alla ricerca di una donna che lo faccia sentire accolto e amato.
Ciononostante mai una volta si arrabbia con Dio. 
E' un ragazzo che continua a farsi domande, che di tanto in tanto, nel silenzio delle sue solitarie passeggiate in riva al lago o in montagna, prega silenziosamente Dio.
Personalmente, credo che questo atteggiamento nei confronti della vita lo abbia aiutato a trasformare in arte il dolore e la solitudine di un periodo.
Lo credo perché l'ho sperimentato anch'io.
Alla fine, rielaborare il dolore e la solitudine della mia adolescenza attraverso la creazione di un romanzo, mi è servito a vedere l'esistenza con occhi diversi, con occhi di speranza e con un perenne sentimento di fame di vita.
Dopo circa tre anni, in una calda giornata di giugno, Marzio conosce Angelina, ovvero, una ragazza "ammirevole di grazia e di seducente candore".
E il libro termina con il primo bacio che Angelina e il protagonista si danno, alle ultime luci di un tramonto di fine estate:

"Non avvertivo la dimensione del tempo né quella dello spazio. Mi sentivo come in un volo, librato verso l'eternità".

2C) DESCRIZIONE DEL PAESAGGIO DI CRERO:

Crero. Ci sono stata due anni fa, in gita con un gruppo di amici dedito proprio a passeggiate, escursioni e visite di posti suggestivi. E' sulla Gardesana Veronese, prima di Pai e sopra Torri del Benaco.
Non è neanche un paese. E' una località con una trattoria, una chiesetta medievale e una vista panoramica stupenda.
Vi riporto una parte della descrizione di Marognolli:

" ... ammiro con intensità quel panorama seducente che ho davanti. L'esigenza di infinito che mi porto dentro sembra così appagarsi a poco a poco di fronte all'immensa superficie del lago. Ma al tempo stesso quasi un dolce sgomento accompagna il mio sguardo quando torno sul blu intenso dell'acqua che di sotto si staglia contro la costa con sfumature di verde, verde-azzurro che mi sembrano troppo lontane, irraggiungibili."

Crero