4 febbraio 2021

Orazio, Epistola I, VI:

LE EPISTOLE DI ORAZIO:

Orazio (65 a.C., 8 a.C.) è il primo autore dell'Antica Roma ad aver scritto delle epistole (=lettere) in versi esametri. Il primo libro delle Epistole viene pubblicato nel 20 a.C. e contiene 20 lettere.

Per diverso tempo gli studiosi si sono chiesti: queste lettere erano per davvero indirizzate a degli amici di Orazio oppure erano degli esercizi poetici dell'autore? 

Sono vere entrambe le supposizioni: i destinatari delle Epistole oraziane erano o uomini presenti e importanti nella vita pubblica oppure uomini di lettere, quindi sicuramente erano in grado di comprendere i contenuti, la tipologia del lessico e dei versi impiegati in questi scritti. Se quindi da un lato le epistole non possono essere state prive di agganci con la realtà, dall'altro, tutti questi destinatari piuttosto illustri dovevano sentirsi coinvolti in una sorta di "gioco letterario" nel ricevere le epistole.


EPISTOLA VI:

Espongo qui e traduco, ragionando soprattutto sul lessico, alcune parti dell'epistola sesta. Questa epistola è indirizzata a Numicio. E' abbastanza probabile che si tratti di Numicio Pica Cesanio, di cui non sappiamo molto, oltre al fatto che era stato questore in Asia Minore.

vv 1-14:

Nil admirari prope res est una Numici

solaque quae possit facere et servare beatum.

Hunc solem et stellas et decedentia certis

tempora momentis sunt qui formidine nulla

inbuti spectent; quid censes munera terrae,

quid maris extremos Arabas ditantis et Indos

ludicra quid plausus et amici dona Quiritis

quo spectanda modo, quo sensu credis et ore?

Qui timet his adversa, fere miratur eodem

quo cupiens pacto: pavor est utrubique molestus,

inprovisa simul species exterret utrumque.

Gaudeat an doleat, cupiat metuatne, quid ad rem

si, quicquid vidit melius peiusve sua spe,

defixis oculis animoque et corpore torpet?

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Non meravigliarsi di nulla è quasi l'unica cosa, Numicio,

la sola che possa renderti e conservarti felice.

C'è chi questo sole e gli astri e le stagioni

che si avvicendano secondo determinati intervalli li osserva 

senza essere preso da alcun timore: che cosa pensi

dei doni della terra, che cosa delle ricchezze del mare 

che allietano i lontanissimi Arabi e gli Indi, che cosa 

dell'approvazione e dei doni dell'amico Quirite, in che modo 

bisogna considerarli, con quale pensiero e con quale volto?

Colui che teme il contrario di questi, quasi si stupisce

allo stesso modo di chi brama: in entrambi i casi c'è l'apprensione

penosa, appena apparsa, l'immagine terrorizza entrambi.

Che gioisca o si dispiaccia, che desideri o tema, che cosa cambia se,

qualsiasi cosa abbia visto migliore o peggiore della propria

speranza, resta intorpidito, con gli occhi sbarrati, nella mente e nel corpo?

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Parto da quel nil admirari. Nihil, ovvero, "nulla", se fossimo in un testo in prosa. Come specifica Cucchiarelli, il cui apparato critico era programma di un mio recente esame, il μηδὲν ϑαυμάζειν, quindi "il non meravigliarsi di nulla", era un motto caratteristico dell'etica greca: era in effetti un motto pitagoreo. Però è più facile che Orazio pensasse qui al Cicerone delle Tuscolanae disputationes: sapientis est  enim proprium  nihil quod paenitere possit facere (...) cum acciderit admirari, e cioè: è infatti proprio del sapiente non fare nulla di cui possa pentirsi (...), di non meravigliarsi di nulla quando accade.

Giunto nella maturità della sua vita (alla fine dell'epistola 20, l'ultima del primo libro, Orazio dichiara di avere 44 anni), questo poeta e letterato sente il bisogno di dedicarsi all'approfondimento delle dottrine filosofiche, più che alla composizione di carmi e di giambi. Questa è una premessa importante, visto che questa è una delle epistole più ricche di contenuti filosofici, perché il nil admirari richiama anche all'imperturbabilità del saggio stoico, che, soprattutto in Marco Aurelio, consiste nel rimanere insensibile alla meraviglia.


Al verso 3 c'è l'accusativo plurale
stellas. Alla luce delle considerazioni di Cucchiarelli credo lo si possa considerare un "false friend". Vedete infatti che ho tradotto "astri", più generico di "stelle". Un termine specifico per stella è "sidus, sideris".

Quattro versi dopo, ecco ludicra, neutro plurale da "ludicrum". Già in Catullo si trova "ludicra" con l'accezione di "giochini del mare". In effetti "ludus" è "gioco", da cui, nel nostro italiano "attività ludiche". Io ho tradotto "ricchezze del mare", in ogni caso, il termine allude alle conchigliette e alle alghe. 

Quel che Orazio vuole comunicare qui è che le preziose meraviglie del mare e anche della terra sono piccolissime, insignificanti di fronte all'immensità dell'Universo. E' un esercizio di astrazione che io compio quasi ogni giorno e che tutti dovremmo praticare, se non altro per farci un bel bagno di umiltà.

Poi ancora: munera terrae, i doni della terra. Qui i doni della terra sono le messi. Munus è spesso sinonimo di "donum". 

In questi primi 14 versi dell'epistola svolgono, credo io, un ruolo molto importante i verbi che riguardano il senso della vista: se nel primo verso troviamo "admirari" da "miror" (ammirare), in seguito troviamo ripetuto "specto, spectare" in vari modi e tempi: "spectent"/"spectanda" e, al verso 13, "vidit".

Notate che ho evidenziato con il giallo tutte le parole inerenti alla sfera semantica della paura: 

v.4= "formidine": riferito al terrore irrazionale di fronte ai fenomeni naturali, frequentemente legato alla meraviglia.

v.9= "timet", v.10= "pavor", da cui deriva l'italiano "pavido". 

v.11= "exterret", che sta ad indicare una paura talmente forte che paralizza. In Lucrezio il terrore è legato al sogno e all'oscurità, ma qui è la vista che angoscia e tormenta l'essere umano.

v.12= "metuat", legato ad altri tre verbi che indicano le quattro passioni fondamentali secondo lo stoico Zenone: "gaudeat" (=gioia), "doleat" (=dolore), "cupiat" (=desiderio). E "metuat" è "paura". Tra l'altro, al verso 12 c'è anche un chiasmo: 

                                        A                   B              A         B

                                   Gaudeat an doleat, cupiat metuat

Poco dopo, quel defixis oculis, quegli occhi sbarrati indice di terrore misto a meraviglia. Per i romantici dell'Ottocento il sublime era proprio questo: provare, di fronte ad un paesaggio suggestivo o di fronte alla potenza della natura, un terrore misto a meraviglia.

La paura... Sfida principale dell'enneatipo 6 dell'Enneagramma! La razionalità è un grande dono, ma l'eccesso di ragione porta al voler avere tutto sotto controllo, al sospetto e anche alla paralisi mentale nei casi in cui si provino timori infondati che non hanno riscontro con la realtà.

E, a proposito di paure, anche di paure stupide e surreali, quale migliore occasione dell'epistola I, VI per soffermarsi un pochino su certi comportamenti?!

Con una volontaria dell'Emporio molto più adulta di me l'altro ieri, durante uno dei pochi "tempi morti" senza clienti, abbiamo ragionato sulla fragilità giovanile. Fragilità maschile soprattutto, ho detto io.

In una mail di molto tempo fa, il professor D'Avenia mi diceva che la componente maschile giovane o giovanissima di adesso spesso teme di mostrare la propria sensibilità al mondo esterno. No, questo è il mio problema, non il loro! O almeno: ragazzo= timoroso di mostrare sensibilità non sempre è vera.

Molti ragazzi sono davvero insensibili e pieni di pregiudizi, supponenti, arroganti, presuntuosi, incapaci di rapporti e di umanità.

Sapete qual'è la verità?!! La verità è che molti di voi sono strapieni di idee preconcette, paralizzati da pregiudizi verso quelle che voi chiamate, soprattutto in senso dispregiativo e misogino "femmine". E poi volete metter su famiglia????!!! Ma scherzate, involuti come siete?! Ma non ce la farete mai se non vi sforzerete di superare certi atteggiamenti pre- adolescenziali e certi blocchi che vi portano soltanto a generalizzare su una categoria!! 

E le lune storte dovute alle mestruazioni, e la volubilità, e l'autolesionismo, e l'anoressia, e "quanto si dà botta" se ha studiato ed è laureata, e "è carina ma scema" se è ignorante... "Parla troppo" e non va bene. "Non parla mai", e non va bene, perché "è inaccessibile e irraggiungibile, non lo dice ma ci considera tutti inferiori a lei".

Ma smettetela!

Molti maschi (e mi permetto di scriverlo per una volta in senso polemico e a mia volta dispregiativo) non sanno più parlare né ascoltare, anzi, in alcuni casi, quel che sanno fare è inventare una ragazza fragile, anoressica, che odia se stessa ma che nella loro realtà quotidiana non esiste e spacciarla agli occhi di centinaia di migliaia di followers come loro fidanzata o compagna e allora fanno finta di dedicarle tutto l'amore possibile e scrivono frasi stucchevoli e patetiche che fanno commuovere tutti quegli imbecilli, ma non meno miserabili di loro, che sotto i loro post ridicolmente "mielosi" li definiscono poeti e addirittura "uomini rari"! Certo, come no... Uomini rari che nella vita reale non sanno relazionarsi e che oltretutto hanno arroganza e cattiveria da vendere. Se siete così vi rendete conto che sareste da curare? Fatevi un esame di coscienza!!

Specifico che non per tutti vale quel che ho appena scritto. 

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vv.24-33:

Quicquid sub terra est in apricum proferet aetas,

defodiet condetque nitentia. Cum bene notum

porticus Agrippae, via te conspexerit Appi,

ire tamen restat Numa quo devenit et Ancus.

Si latus aut renes morbo temptantur acuto 

quaere fugam morbi. Vis recte vivere, quis non?

Si virtus hoc una potest dare, fortis omissis

hoc age deliciis. Virtutem verba putas et

lucum ligna: cave ne portus occupet alter,

ne Cibyratica, ne Bithyna negotia perdas;

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Il tempo porterà alla luce tutto ciò che è sottoterra

seppellirà e nasconderà ciò che splende. Quando

il portico di Agrippa e la via di Appio ti avranno ammirato

ben conosciuto da tutti, tuttavia non ti resta che andare dove

giunsero Numa e Anco.

Se il cuore e i reni vengono afflitti da una malattia grave

cerca la fuga dalla malattia. Vuoi vivere rettamente, chi non 

lo vorrebbe?

Se la sola virtù può darti questo, fatti forte e a questo mira,

lasciate da parte le mollezze.

Se ritieni che la virtù sia soltanto una parola e il sacro bosco

 legname, stai attento che il rivale non ti occupi i porti 

e che tu perda i tuoi affari di Cibira o di Bitinia.

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Questa parte dell'epistola io la vedo come una forte critica all'eccesso di ambizione: non serve ambìre troppo, non serve aspirare al potere né ai beni materiali, perché la morte è destino comune a tutti gli uomini, di qualsiasi classe sociale essi siano, indipendentemente dagli incarichi che hanno svolto: finirai anche tu nella tomba, caro Numicio, proprio come i grandi re ancora più antichi di noi, ad esempio, Numa Pompilio e Anco Marzio.


Questo punto dell'epistola mi ricorda Parini, con il suo Dialogo sopra la nobiltà del 1757: è un'opera ispirata ai Dialoghi di Luciano di Samosata e vi sono un nobile e il poeta (che in vita è sempre stato di condizioni molto modeste) che, una volta defunti, si trovano a condividere la stessa tomba: 
l'aristocratico invita Parini ad allontanarsi da lui rispettando la gerarchia sociale, ma il poeta risponde con ironia di essersi abituato a sentire il cattivo odore che il nobile cadavere emana.

Quicquid sub terra est in apricum proferet aetas,/defodiet condetque nitentia: che il tempo abbia la capacità di portare alla luce ogni cosa era pensiero proverbiale nell'antichità. 

E' molto grave, questa frase, nel senso etimologico latino del termine: "serio". Tutta l'epistola è "grave" e contrasta con la precedente che, come vi ho dimostrato in un post di circa 2 mesi fa, riguardava un invito a cena. Però questa sentenza proverbiale è vera: vorrei qui riportare una frase di una lettera dell'umanista fiorentino Poggio Bracciolini a Guarino Veronese. E' una lettere che riguarda il ritrovamento, al monastero di San Gallo, nel xv° secolo, di un manoscritto contenente l'intera Institutio Oratoria di Quintiliano e un altro manoscritto contenente metà delle Argonautiche di Valerio Flacco. Poggio ad un certo punto scrive: Erant enim non in bibliotheca libri illi, ut eorum dignius postulabat, sed in teterrimo quodam et obscuro carcere, fundo scilicet unius turris, quo ne capitalis quidem rei damnati retruderentur: Quei libri infatti non stavano nella biblioteca, come avrebbe richiesto la loro dignità, ma in una sorta di carcere tristissimo e oscuro, cioè nel fondo di una torre, dove non si confinerebbero neppure i condannati alla pena capitale.

Per l'appunto, il tempo prima o poi riporta alla luce ciò che è sepolto o sembrava perduto, ciò che è stato celato, nascosto per secoli agli occhi di molti.

v.31: Virtutem verba putas. La virtù è soltanto una parola? La virtù produce e conduce alla felicità? Forse Orazio ha qui in mente l'aneddoto di Bruto morente a Filippi contenuto in una tragedia intitolata Eracle: Oh virtù, io ti praticavo come un valore, ma sei soltanto una parola.

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vv.67-68:

Vive, vale. Siquid novisti rectius istis,

candidus inperti; si nil, his utere mecum.

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Vivi e stai bene. Se conosci precetti migliori di questi,

comunicameli sinceramente, altrimenti, serviti con me di questi.


Così Orazio conclude la stesura dell'Epistola. Da vale deriva "valetudo" (salute). La salvezza è invece "salus, salutis", altro "false friend".

Quel che Orazio dice qui a Numicio è: serviti di questi precetti con me e, se ne conosci altri, comunicameli in risposta.

Il messaggio fondamentale dell'Epistola I, VI può essere riassunto così a mio avviso: La capacità di astrazione e la ragione sono grandi risorse ma che non devono fissarsi su ricchezze e oggetti materiali, perché altrimenti si rischia di dimenticare la precarietà della nostra condizione umana.


SINTESI DEI 9 TIPI (varianti, ali e sottotipi esclusi):


I TRE CENTRI: 

Testa= 5,6,7

Cuore= 2,3,4

Viscere= 8,9,1


I TRE SOTTOTIPI:

Autoconservativo= L'importante è essere in vita in quanto uno.

Sessuale= Ricerca dell'altro da sé e di una vita a due.

Sociale=  Spinta ad esperienze di comunità e al servizio sociale.


Tipo 1= L'ordine, l'autodisciplina, il rigorismo etico e la morale sono degli ottimi principi con i quali convivere nel corso di un'esistenza umana. Tuttavia è bene non eccedere nel giudicare in modo eccessivamente duro se stessi e gli altri. 

Tipo 2= Essere in genere solari, generosi e aiutare gli altri è lodevole e ammirevole ma senza superbia e senza manie di protagonismo, accettando a propria volta l'aiuto degli altri nei momenti del bisogno. 

Tipo 3= L'azione, l'efficienza, la voglia di successo, il porsi continuamente degli obiettivi da raggiungere sono componenti che permettono di raggiungere grandi traguardi e che inoltre possono servire agli altri come esempio. E' bene desiderare di avere successo in un ambito, è bene curarsi della propria immagine ma l'importante è evitare menzogne, falsità e scorrettezze. 

Tipo 4= L'impulso creativo, la manifestazione e la profondità dei sentimenti sono dei punti di forza, non di debolezza! Se si è dotati di empatia, di sensibilità, si immaginazione, perché invidiare o addirittura odiare chi non è in sintonia con questo modo di sentire o chi ha doti e qualità diverse da queste?!

Tipo 5= La fame di conoscenza, la serietà, il non-attaccamento ai beni materiali, la capacità di studio e di riflessione riguardo soprattutto ad un ambito culturale, la capacità di ascolto verso il prossimo sono pregi da tenere stretti. Devono essere delle "finestre aperte sul mondo, sull'Universo", non dei pretesti per isolarsi secondo il principio del "Mi sento un alieno/a, tanto nessuno mi capisce veramente". Le relazioni sono un impegno e una bella sfida per questo carattere, ma è soprattutto qui che emerge l'immensa sensibilità che di solito un 5 tiene sotto la "scorza".

Tipo 6= La prudenza, il senso del dovere e il senso di responsabilità, la lealtà e l'onestà sono delle qualità che tutti dovrebbero avere, alle quali tutti dovrebbero aspirare. Il tipo 6, ancor più dei suoi vicini "geografici" 5 e  7,  rischia di farsi sommergere da ansia, apprensione, paura e preoccupazioni nelle situazioni della vita quotidiana. Certo, la paura è umana. Però bisogna anche saper vivere cercando di affrontarla: bravi i sei sessuali e i sei sociali che spesso ci riescono!

Tipo 7= Il considerare la vita come "contenitore pieno di possibilità e di opportunità", la ricerca della felicità, l'entusiasmo, il senso dell'umorismo sono qualità decisamente affascinanti! Però possono anche essere delle armi a doppio taglio, dipende dal percorso di vita e di maturazione che un 7 compie: a volte la tendenza a fuggire dal dolore e l'esplorare molte esperienze porta ad essere vuoti e superficiali, altre volte invece porta a vivere appieno il presente cercando di valorizzare il bicchiere mezzo pieno. Penso che nessun altro tipo caratteriale sappia valorizzare il bene e "l'attimo" come sa farlo un 7 allo stadio sano o, in espressioni più tecniche "abbastanza integrato". 

Tipo 8= La voglia di prevaricazione, l'arroganza, il deridere i punti deboli degli altri, l'attitudine a dominare rovina la propria vita e le vite altrui. L'autorità non è oppressione ma piuttosto guida, intelligenza, punto di riferimento e di sostegno.

Tipo 9= La calma, la pacatezza, il desiderare l'armonia con gli altri e con il mondo e in certi casi, la capacità di sanare i conflitti e di mediare penso che oramai appartengano a pochi, perché siamo in un mondo in cui ci si insulta e ci si aggredisce sui social. Purché questa calma non divenga indolenza, pigrizia e tendenza al rimandare di continuo!

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Da qui, lo ammetto, l'ho fatto per divertirmi un pochino. Ho provato a collegare caratteri e città italiane, caratteri e canzoni, caratteri e testi letterari. Magari non tutte le analogie saranno ben riuscite o magari non su tutte sarete d'accordo, ma dopo una spiegazione di letteratura latina ci voleva.

ENNEATIPI E STATI DEL MONDO:

Enneatipo 1= GERMANIA

Enneatipo 2= SPAGNA

Enneatipo 3= CINA

Enneatipo 4= FRANCIA

Enneatipo 5= NORVEGIA

Enneatipo 5 ala 4= AUSTRIA

Enneatipo 6= GIAPPONE 

Enneatipo 7= MESSICO

Enneatipo 8= STATI UNITI o FEDERAZIONE RUSSA

Enneatipo 9= CITTA' DEL VATICANO

Enneatipo 9 ala 1= SVIZZERA

ENNEATIPI E FRASI (con varianti, ali e sottotipi):

Enneatipo 1= Lo sapevi, peccare non significa fare il male: non fare il bene, questo significa peccare. (P. P. Pasolini)

Enneatipo 2 forte ala 1= Aiuta il tuo prossimo secondo le tue possibilità, e bada a te stesso per non cadere. (Siracide, 29, 20)

Enneatipo 2= La domanda più persistente e più urgente della vita è: "Cosa stai facendo per gli altri?"  (M. Luther King) 

Enneatipo 3= Stai lontano dalle persone che cercano di sminuire le tue ambizioni: le persone piccole lo fanno sempre, ma quelle veramente grandi ti fanno sentire che anche tu puoi diventare grande. (M. Twain)

Enneatipo 4= Ho la natura, l'arte, la poesia: se questo non è sufficiente cosa posso volere di più? (V. Van Gogh)

Enneatipo 4 ala 5= Quando perdiamo il diritto di essere diversi, perdiamo il privilegio di essere liberi (C. Evans Hughes)

Enneatipo 5 ala 4= La solitudine non è necessariamente nemica dell'amicizia e dell'amore. Nessuno è più sensibile di un solitario nelle relazioni. (C. Gustav Jung)

Enneatipo 5= Una vita senza ricerca non è degna per l'uomo di essere vissuta. (Platone)

Enneatipo 6= La casa non è dove sei nato ma dove ti vogliono bene (dal film "Il sole dentro)

Enneatipo 6 controfobico= Tutto quello che hai sempre voluto è sul lato opposto della paura (G. Addair)

Enneatipo 7 ala 6 = Il sole è nuovo ogni giorno (Eraclito)

Enneatipo 7= La felicità sono attimi e, quando arrivano, me li prendo senza esitare (Alda Merini)

Enneatipo 8= La prepotenza ti rende forte per un giorno, l'umiltà per sempre. (aforisma zen)

Enneatipo 9= La persona che non è in pace con se stessa sarà in guerra con il mondo intero. (M. Gandhi)

Enneatipo 9 ala 1 = Tutti pensano a cambiare il mondo, ma nessuno pensa a cambiare se stesso. (Lev Tolstoj)

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