24 giugno 2021

"Narratori delle pianure", G. Celati

Con oggi si inizia la recensione di tutte le mie letture estive! Questa risale a inizio giugno.

Mentre leggo sto anche cercando di capire quali libri e quali racconti posso proporre, a partire da quest'autunno, in una scuola secondaria per adolescenti.

Sicuramente anche Lo hobbit di Tolkien lo è, una lettura per adolescenti. Io lo sto conoscendo e leggendo adesso visto che sono tra i coordinatori di un mini grest parrocchiale e sono incaricata di riadattare alcuni episodi del romanzo in scenette e dialoghi. Mi sto divertendo a farlo... Se solo sapeste quante tracce di temi secondo me si possono ricavare dalla figura di Gollum (=che subdolo, che insidioso)!! E poi c'è quel grande di Gandalf... Tutti nella vita abbiamo bisogno di un Gandalf o di una Gandalf. 

*Più avanti, entro quest'estate, ci sarà modo di presentarvi anche alcuni personaggi ed episodi di questo romanzo di Tolkien.

A mio avviso oggi c'è il caldino giusto per presentarvi alcuni contenuti di Narratori delle pianure, libro ambientato prevalentemente in alcuni luoghi della pianura Padana, soprattutto lombardi ed emiliani. Con mia grande sorpresa non ho trovato nessun racconto che riguardasse la bassa veronese, zona in cui vivono i miei parenti di parte paterna. 

Narratori delle pianure è una raccolta di novelle scritta da Gianni Celati e pubblicata nell'84, quindi, un anno dopo Palomar e quattro anni prima delle Lezioni americane. 

In questo post vorrei prima di tutto presentarvi i cinque racconti che mi sono piaciuti di più (1/6 del libro). Parto dai miei preferiti. Poi vi riporterò alcune osservazioni di carattere stilistico e linguistico formulate, in un articolo di alcuni anni fa, dalla professoressa Francesca Gatta, ora docente di Linguistica italiana presso l'Ateneo di Bologna.

Comunque, i primi racconti ex-aequo in ordine di gradimento sono: Bambini pendolari che si sono perduti e Meteorite dal cosmo.

NOTA: Moltissimi personaggi in questo libro di Celati sono senza nome. Infatti, proprio come nei Sillabari di Parise, si dice molto frequentemente: "un uomo", "due bambini", "una donna", "una ragazza giapponese".

1A) BAMBINI PENDOLARI CHE SI SONO PERDUTI:

In questa breve storia, due fratelli, rispettivamente di 11 e 13 anni (la ragazzina è la più grande) sono figli di genitori divorziati: vivono a Codogno con il padre ma nei fine settimana dovrebbero andare sempre a Milano dalla madre.

Sono due ragazzini malinconici, sfiduciati verso il mondo degli adulti, definiti, non a torto, nei loro dialoghi e pensieri: cretini e noiosi.

Quante volte mi sono chiesta, leggendo: "Ma dove cavolicchio è la loro madre, se questi protagonisti sono due minori che vagano per le vie di Milano, abbandonati a loro stessi?"

Comunque, un giorno, una volta arrivati a Milano con il treno, seguono da lontano alcuni adulti per le strade:

(...) hanno seguito per corso Magenta una donna tutta vestita di nero con grandi occhiali da sole, che al bambino sembrava simpatica. Ma quando è arrivata a un osteggio e ha dato dei soldi al posteggiatore dicendo: "Tenga", da come ha detto quell'unica parola loro hanno capito che era una donna noiosissima. Tanto che al bambino è venuto il disgusto in bocca a pensarci.

L'autore presenta una Milano piena di frenesia e di pericoli: pensate che i due bambini, nel giro di una mezza giornata, scappano da una sparatoria e finiscono nella casa di un adulto che tenta, soprattutto con la bambina, degli approcci sessuali. Ma riescono a fuggire.

Il racconto termina con una nebbia fittissima tra le campagne:

Nella nebbia voltandosi vedevano attorno a sé dovunque una grande parete bianca, in cui non riuscivano più a ritrovarsi l'uno con l'altro, e neanche a vedere il proprio corpo, né a percepire bene un richiamo. Avevano freddo e si sentivano soli, ma non potevano andare né avanti né indietro, e dovevano restar lì, in quello stranissimo posto dove s'erano perduti.

Mi torna in mente il Vangelo della domenica appena passata (Marco 4, 35-41). È uno dei miei brani biblici preferiti, dal momento che rievoca i momenti difficili e dolorosi della vita. Era un brano che a mio avviso alludeva non soltanto alla vita eterna dopo questa vita e  all'arrivo della vecchiaia e alle cose che non possiamo fare più come un tempo. Certamente anche a questo. Anzi, questo è forse il primo significato (non mi permetterei mai di contestare i brevi video fatti da Don Diego che arrivano ogni mattina sul canale Telegram, anche perché diversi di questi muovono il cuore, come il breve commento al 6 giugno):

Ma io credo che la tempesta sedata sia anche un simbolo che ci invita da una parte ad accettare i nostri momenti duri del passato e dall'altra a convivere con gli aspetti meno belli e faticosi del nostro presente. Di conseguenza, questo induce a vedere il volto di Gesù Cristo nelle persone che ci vogliono realmente bene, negli occhi di chi ti ama, nelle mani strette l'una all'altra. Dunque, la domanda di Gesù ai discepoli: "Non avete ancora fede?" è anche rivolta a noi e secondo me vuole dirmi/dirci: affidatevi/affidati. Affidati a chi ti ama, a chi ti vede con gli occhi di Dio e quindi ama profondamente e autenticamente anche tu. Hold my hand si intitolava una delle ultime canzoni di Michael Jackson (2010): Hold my hand baby I'll promise that I'll do all I can. Things will get better If you just hold my hand

E poi viene in mente anche una canzone di Avicii sulla solidarietà verso il prossimo (mi manca un botto questo grande artista! Era uno sghiandato ma aveva talento!): Heeeey brother... Do you still believe in one another? Hey sister, do you still believe in love, I wonder? Ohhh, if the sky comes falling down for you there's nothing in this world I wouldn't do.

Tornando alla novella: arriverà qualcuno per questi due ragazzini? Non lo sappiamo. Ad ogni modo, alla fine sono ancora in una situazione di solitudine e di pericolo:

Avevano fatto tanta strada venendo da lontano in cerca di qualcosa che non fosse noioso, senza mai trovar niente, e adesso per giunta chissà quanto tempo ancora avrebbero dovuto restare nella nebbia, col freddo e la malinconia, prima di poter tornare a casa. Allora è venuto loro il sospetto che la vita potesse essere tutta così.

1B) METEORITE DAL COSMO:

Probabilmente qui siamo in Emilia, in provincia di Modena. La protagonista in questo caso è una donna, la quale, interrotti gli studi universitari, decide di rinchiudersi in casa. Si chiude praticamente in se stessa e dunque si svelle totalmente dagli altri. Non esce più di casa per anni. Non vale la pensa uscire e fare esperienze, visto che per lei la gente è poco generosa e piena di pregiudizi. I familiari però riescono almeno a convincerla a recarsi da uno psichiatra che, conosciuto il suo disagio, le fa due profezie riassunte in soldoni qui sotto e profondamente legate l'una all'altra:

1) Fra un po' ti accadrà un evento che ti sconvolgerà.

2) A seguito di ciò inizierai a capire che anche tu sei come gli altri: anche tu giudichi e anche tu, standotene chiusa in casa, ti dimostri poco generosa verso il prossimo.

Cosa accade allora?

Che un giorno, mentre la protagonista anonima si trova nell'orto del giardino di casa sua, vede una piccola meteora cadere in fondo al campo che è di proprietà del padre. Il (fortunatamente) piccolo meteorite fa un buco profondo nel suolo e lascia alcune pietruzze radioattive che la protagonista conserva in barattoli nella cantina. A questo punto, decide di uscire finalmente da cancello di casa per recarsi in biblioteca e cercare libri sui meteoriti.


Poi ritorna dallo psichiatra e gli racconta l'accaduto. Lui le consiglia di acquistare degli abiti nuovi, per guarire del tutto. 

Il finale? Il matrimonio fra il dottore e la donna. Eccovela la morale:

Dice che, diventando vecchi, si impara a non badare più molto a quella specie di automa che fa tutto per noi, che parla quando deve parlare, saluta quando lo salutano, ride quando bisogna ridere. Siccome l'anima è sempre più attirata da qualcosa fuori di noi, allora, se non si è stupidi e incattiviti, si impara anche a non credere più alle parole e ai pensieri dell'altro che tratta con la gente al posto nostro. Si impara a trovar ridicoli i suoi giudizi su tutto, e a prenderli in giro parlando tra sé. E così, parlando molto tra sé, si può anche diventare più generosi.

Ho un'obiezione: solo diventando vecchi si impara ad essere più umani e meno giudiconi?! 

Sarebbe meglio imparare da giovani: i giovani, prima di diventare educatori dovrebbero fare un gran passaggio: diventare persone, non automi. Imparare a pensare e a sentire. Imparare un po' di empatia. Imparare a vedere i rapporti come un'opportunità di dialogo e di crescita. Le invidie, le gelosie, i "lei ha detto", "lei ha fatto", "hai visto come ha reagito?" e lo sparlarsi alle spalle bisognerebbe lasciarli ai bimbi dell'asilo nido, perché sono comportamenti di un infantilismo assurdo! Dopo i vent'anni non dovrebbero esistere.

2) IDEE DI UN NARRATORE SUL LIETO FINE:

Viadana. Confine tra provincia di Mantova e territorio di Parma. 


Un farmacista in pensione dedica l'ultima parte della sua vita a riscrivere i finali di tutti quei romanzi e di tutti quei poemi epici che prevedono conclusioni tragiche. Prima di riscrivere gli epiloghi, però, copre i finali pensati secoli e millenni prima da illustri autori con foglietti e strisce di carta:

Evidentemente non tollerava le conclusioni tragiche, le conclusioni melanconiche o deprimenti d'una storia. Perciò nel corso degli ultimi anni s'era dedicato a riscrivere il finale d'un centinaio di libri in tutte le lingue (...)

Un esempio concreto? Questo di un classico francese del XIX° secolo:

Molti dei suoi ultimi giorni di vita devono essere stati consacrati alla riscrittura dell'ottavo capitolo della terza parte di "Madame Bovary", quello in cui Emma muore. Nella nuova versione Emma guarisce e si riconcilia con il marito.

Voi vorreste cambiare il finale di un romanzo che avete letto di un film che avete visto? Io sì. Cambierei il finale delle Voci della sera della Ginzburg (ma che desolante!), ad esempio. Modificherei, ma senza cambiarlo del tutto, il finale del Mondo nuovo di Huxley: John va sulla stessa isola di Bernard ed Helmholtz, su un'isola incontaminata dagli innumerevoli disvalori del 2500 d.C. e lì trova una ragazza totalmente diversa da Lenina (A proposito: perché Huxley ha voluto chiamare Darwin Bonaparte il fotografo che spia John?!). 

Quanto ai film ecco... Forse cambierei il finale di Midnight in Paris

*Prossimamente vi spiegherò i motivi per cui il Tommasino delle Voci della sera è da considerare come una "personalità pericolosa" oltre che assolutamente inaffidabile. Ma ora non anticipo nulla.

3) SUL VALORE DELLE APPARENZE:

Cremona. Una donna che per anni ha svolto il lavoro di domestica nelle case di diversi ricchi borghesi è divorziata e ha un figlio indolente di 25 anni da lei mantenuto.

Nel corso di anni di lavoro e di sacrifici è riuscita a mettere da parte molti soldi (=lire, a quei tempi. Lire fino al 2001, se non vado errata). Comunque, il marito della signora in questione è andato via di casa per poter convivere con una compagna molto più giovane.

Arriva il momento in cui il figlio della donna sta per sposarsi, quindi, per l'occasione, lei spende tutti i suoi risparmi per stampare gli inviti per il ricevimento di matrimonio, per pagare il pranzo nuziale a circa 100 invitati, molti dei quali non si presenteranno al banchetto, e per regalare anche un appartamento al figlio e a sua moglie.

E, a questo punto, attraverso le rivelazioni di un avvocato, si scopre che la sposa è stata proprio la compagna del marito, che precedentemente l'aveva presentata al figlio. Oltre a ciò, la protagonista della storia scopre anche che ex marito e sposi hanno intenzione di convivere nello stesso appartamento che lei stessa aveva acquistato. 

Ma, e questo è il bello della novella, lei riesce a reagire con grande dignità:

Dopo, siccome sono entrati molti automobilisti di passaggio, lei li invita a sedersi con gli altri invitati, e invita tutti quelli che arrivano a sedersi e a mangiare. Così alla fine lo stanzone è tutto pieno di gente e il ricevimento meglio di così non avrebbe potuto andare, perché ognuno crede che gli altri siano invitati regolari e che gli sposi abbiano moltissimi amici. 

Padre e figlio che si contendono la stessa ragazza... Questo è un motivo letterario di stampo plautino (età arcaica della letteratura latina, II° secolo a.C.).

4) COME UN FOTOGRAFO È SBARCATO NEL NUOVO MONDO: 

Unico racconto ambientato in Veneto, nel veneziano. Qui è innanzitutto interessante una descrizione perfetta e precisa di geografia fisica. 

Quella della fotografia è la zona del Po di Gnocca.


Ca' Venier più che un paese vero e proprio è una zona di case sparse lungo il Po di Venezia, prima che il fiume si dirami nei due grandi bracci del Po di Pila e del Po di Gnocca, verso le sacche lagunari e poi il mare. In quel posto ciò che si vede all'intorno, più o meno da ogni punto dello spazio, sono solo distese di campi coltivati soprattutto a grano; più oltre verso Ca' Zullian spuntano all'orizzonte gli acquitrini, ma dovunque strade dritte a perdita d'occhio attraversano terreni piatti e sempre identici che sono vecchie lagune ora interrate.

C'è una certa uniformità e una certa piattezza in questo paesaggio. Più o meno come in ciò che circonda Sandolo, paese natale della madre del protagonista e narratore di un altro racconto della raccolta Il ritorno di un viaggiatore.

Cosa rimane di Sandolo, ex paese della pianura emiliana? 

Una chiesetta con un campanile, circondati da campi tutt'attorno. Mi è tornato in mente Cantòn, nella pianura veronese, a circa 4 km da Ronco all'Adige. In effetti, è una frazione di Ronco. Quando ero bambina Cantòn era un luogo dalle case diroccate. Ora comunque è molto meglio: le case vecchie sono state quasi tutte restaurate e, nei pressi di una piazzetta di cemento dove di tanto in tanto ci sono mercato e giostre, ci sono nuovi condomini. Il tutto è circondato da campi di polenta e da frutteti (la zona della bassa veronese tra Albaro e Roverchiara è denominata infatti "la terra delle mele").  

Oltre a questo mi è ritornata in mente anche Scardevara, altra piccola frazione di Ronco (= appena 1 km di distanza): qui, nei pressi dell'argine dell'Adige, c'è una chiesetta romanica con campanile e poche case vicine:


Come vedete quella strada è anche una ciclabile. 
Ma io l'ho percorsa con i miei cugini soprattutto a piedi.

La trama della novella non è nulla di straordinario: un fotografo un giorno viene inviato, da un settimanale ad alta diffusione, a fotografare questa zona di Ca' Venier. E scopre che in questo luogo le donne dialogano con le tombe dei morti.

A che cosa ho pensato qui? Al Carme dei Sepolcri di Foscolo, dedicato a Ippolito Pindemonte:

vv.1-3:

All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne
Confortate di pianto è forse il sonno
Della morte men duro?

vv.16-25:

  1. Vero è ben, Pindemonte! Anche la Speme,
  2. ultima Dea, fugge i sepolcri; e involve
  3. tutte cose l’obblio nella sua notte;
  4. e una forza operosa le affatica
  5. di moto in moto; e l’uomo e le sue tombe

  6. l’estreme sembianze e le reliquie
  7. della terra e del ciel traveste il tempo.
  8. Ma perché pria del tempo a sè il mortale
  9. invidierà l’illusion che spento
  10. pur lo sofferma al limitar di Dite?

Il tempo è travolgente: travolge tutto; uomini, tombe, legami... e l'oblio avvolge tutto, come il buio della notte. Per questo gli uomini non vogliono privarsi dell'illusione di una vita ultraterrena. Per Foscolo, è un'illusione consolatoria perfino il parlare con le lapidi dei propri cari.

Secondo voi è un'illusione parlare con le tombe dei propri cari? Per esperienza personale direi che ha un sapore "dolce-amaro".

ALCUNI CARATTERI STILISTICI DI QUEST'OPERA:

(Dal saggio di F. Gatta: Ombre e fantasmi nel remoto della "bassa". Deissi e passato prossimo nei Narratori delle pianure di Gianni Celati).

Lasciando completamente perdere un elemento tecnicissimo e specialistico del mio ambito di studi chiamato "deissi" (=riguarda i pronomi dimostrativi, ad ogni modo), vorrei mettere in luce tre aspetti dell'analisi di questa docente.

-Situazione narrativa non chiarita:

Le prime storie sono ambientate nella Lombardia Occidentale, le ultime al delta del Po, quindi, a Ravenna. La voce dell'autore-narratore si confonde con altre voci che narrano senza sopraffarle mai. Mi spiego meglio: nei racconti in prima persona affiora una certa ambiguità narrativa, mai risolta: sono racconti scaturiti da una trascrizione fedele e rispettosa di chi ha raccontato oppure tutti i racconti vengono riferiti da un unico narratore? Quanti sono i narratori delle pianure?

- Ricorrenza del passato prossimo: 

Questa è una caratteristica molto marcata dell'italiano parlato nelle regioni del Nord Italia. Predomina il passato prossimo a scapito della marginalità del passato remoto, più frequente, oggi come 35 anni fa, da Roma in giù. Il passato prossimo è più vago, perché non segna una linea di demarcazione precisa fra gli eventi narrati e il momento dell'enunciazione. È tempo composto e quindi esprime il perdurare delle conseguenze degli eventi precedenti al momento presente.

-Imprevedibilità nel cambiamento dei tempi verbali:

In diversi passaggi dell'opera compare comunque anche l'imperfetto. L'alternanza fra passato prossimo e imperfetto contribuisce, secondo Francesca Gatta, ad evocare quella dimensione di oralità che caratterizza buona parte delle opere letterarie del secondo Novecento italiano.

Compare anche il presente. E si tratta di un presente storico, volto ad attualizzare il racconto, come in questo passaggio riportato dalla studiosa:

Il raccontatore bandial ha confermato che tutte le canzoni sono inventate dai bambini che giocano per le strade. Ci sono dei cantanti che in questo modo sono diventati tanto famosi.

E qui invece si verifica un'alternanza imprevedibile di tempi verbali, in cui gli eventi vengono giustapposti gli uni agli altri e dunque è possibile affermare che i fatti riportati sono privi di gerarchia cronologica. Non c'è prospettiva, come nei quadri dei Fauves:

Un giovanotto di Mirandola, in provincia di Modena, aveva studiato per diventare ingegnere. Quando è diventato ingegnere è stato assunto in una fabbrica di ascensori, e quasi subito è stato mandato in Africa a installare e a collaudare un impianto di ascensori in un palazzo governativo. È partito e dopo la sua partenza di lui non si è più saputo niente per tre anni.



20 giugno 2021

"Il Giappone visto dal cielo":

Il Giappone visto dal cielo è un documentario, caricato su RaiPlay, relativo alla geografia e alla storia di questo splendido e affascinante arcipelago dell'Estremo Oriente. 

Ecco a voi il riassunto delle puntate.

1. HOKKAIDO:

È la regione giapponese meno urbanizzata e, al suo interno, ospita circa sessanta vulcani attivi che rappresentano poco più del 10% dei vulcani di tutto il mondo. Le estati sono fresche e gli inverni sono molto rigidi: le temperature scendono di decine di gradi sotto lo zero, anche se, come affermano i cartografi, quest'isola è alla stessa latitudine dell'Italia.

Hokkaido è meta turistica degli amanti dello sci e degli appassionati di escursioni. È praticamente ricoperta di montagne, foreste e campi.

Il centro dell'isola è denominato il tetto di Hokkaido dal momento che è costituito da catene montuose molto alte e imponenti.

Tra le meraviglie naturali, troviamo qui il Lago Mashu, di origine vulcanica, nella zona orientale, circondato da imponenti scogliere. 

La penisola di Shiretoko, lunga 70 km, è invece una lingua di terra: lungo le sue costa c'è del ghiaccio marino. All'interno del Parco Nazionale di Shiretoko si trovano circa 200 esemplari di orsi. 

Il nome della penisola deriva da un'espressione della lingua Ainu: "sir etok" che significa luogo in cui la terra si protende.

Gli Ainu erano un antico popolo di Hokkaido a stretto contatto con la natura. La colonizzazione dell'isola è avvenuta circa 150 anni fa da parte dei giapponesi, per evitare che i russi la occupassero e sfruttassero le sue importanti risorse agricole: i giapponesi sanno bene che da Hokkaido infatti provengono sia l'80% di coltivazioni di patate sia il 65% di coltivazioni di grano nazionale.

Altro luogo di grande fascino a Hokkaido è sicuramente Noboribetsu, cittadina termale situata nella costa sud-occidentale dell'isola. Qui la natura vulcanica del posto, caratterizzata dalla presenza di fumarole, permette il mantenimento delle sorgenti termali.


2.LA COSTA DI SANRIKU:

Questa costa, che si estende per diverse centinaia di km, è formata da rocce molto alte (anche 200 metri) con pareti a picco sull'oceano (=quindi per questo vengono chiamate falesie). Su alcune di queste coste crescono i pini rossi del Giappone. 

Alla base delle falesie si alternano piccole baie raggiunte da una linea ferroviaria locale che costeggia il litorale. Dal momento che questo luogo ha subito i danni dello tsunami del 2011, sono state edificate delle barriere anti-tsunami alte 15 metri e lunghe ben 400 km.

3.TOKYO:

Questa della foto è Tokyo Tower, una versione giapponese della Torre Eiffel di Parigi. 

Ad ogni modo, Tokyo, situata nella regione di Kanto sull'isola di Honshu, è una megalopoli con 14 milioni di abitanti dotata di grattacieli, spesso illuminati da luci al neon, notevolmente alti. È un labirinto ultra-moderno.

I più vecchi grattacieli della megalopoli si trovano ad ovest della città, mentre ad est c'è il quartiere di Edogawa, costituito non da palazzoni e grattacieli ma da piccole case. È qui che vivono poeti e pittori, con i loro murales dedicati al monte Fuji, immagine onnipresente nella mentalità dei giapponesi.

Il Monte Fuji è alto 3776 metri ed è un vulcano in quiescenza dal 1707. Nel 2013 è stato dichiarato "patrimonio mondiale dell'umanità".


Pensate che la zona più popolata di Tokyo è la baia, dove tra l'altro sfociano i tre fiumi che percorrono quest'enorme città: il Tama, l'Edo e il Sumida.

Alcuni secoli fa, Tokyo era un semplice villaggio di pescatori di nome Edo, ma è divenuta il più rilevante centro politico del Giappone a partire dal 1868, quando l'imperatore della dinastia Meiji aveva trasferito la sede imperiale da Kyoto a Edo. Da quel momento Edo era divenuta Tokyo.

Nel quartiere di Koto si trova il più grande mercato del pesce al mondo, aperto e inaugurato nel 1935. Qui si trova non soltanto il pesce pescato nel Mar del Giappone ma anche ortaggi, frutta e verdure. L'odore di pesce non si diffonde; anzi, c'è pulizia e ordine, visto che, all'interno degli edifici, i commercianti impiegano molta acqua di mare per conservare le diverse centinaia di specie di pesce che vendono.

Il 50% dei clienti del mercato è di Tokyo, il 30% di altre province giapponesi e l'altro 20% è invece straniero, proveniente soprattutto dall'Europa e dai paesi del Golfo Persico.

4.HIROSHIMA:

Hiroshima si estende nella baia omonima. È stata fondata alla fine del Cinquecento, in epoca feudale per il Giappone. Tre secoli dopo era diventata un importante polo commerciale e navale con la costruzione sia del porto di Ujina (1880) sia della ferrovia militare (1894).

Come sapete, il 6 agosto del '45 gli Stati Uniti avevano sganciato qui la bomba ad uranio. Alla fine di quell'anno si contavano 145.000 vittime a causa delle radiazioni. Malgrado la radioattività, nel '49 questa città veniva ricostruita e, già negli anni Cinquanta, erano stati eseguiti degli studi scientifici sulle malattie da esposizione radioattiva a medio-lungo termine.

Miracolosamente, la vecchia università era rimasta in piedi. Per i giapponesi, e soprattutto, per gli abitanti di Hiroshima, la "giornata della memoria" è proprio il 6 agosto. Come fanno i cittadini a ricordare la tragedia? 

Sull'acqua del fiume Ota mettono delle lanterne di carta: al loro interno sono scritti sia il nome di una vittima del bombardamento atomico sia il nome di chi mette in acqua la lanterna.

Anche se i testimoni di quel terribile giorno d'estate sono pochi e tutti sopra gli 85 anni, i giovani di Hiroshima sono ben decisi a conservare le loro memorie. 

Bellissima e toccante risulta quella parte di documentario nella quale viene intervistata una dottoranda trentenne nativa del luogo che, con la collaborazione di altri due colleghi e coetanei, negli ultimi tre anni si è occupata di intervistare i sopravvissuti alla catastrofe in modo tale da poter conservare il tragico ricordo di storia recente in un libro che raccoglie effettivamente tutti i racconti che le sono stati riferiti.

Moltissimi giovani a Hiroshima vorrebbero che le armi nucleari venissero bandite, per questo di tanto in tanto organizzano petizioni e manifestazioni in piazza.

Oggi Hiroshima è una metropoli abitata da 2 milioni di persone. 

5) ALTRE LOCALITA' DEL GIAPPONE CENTRO-MERIDIONALE:

5.1) SANTUARIO DI ITSUKUSHIMA:

Il santuario di Itsukushima, è stato edificato nelle vicinanze dell'isola di Miyajima e la sua fondazione si colloca fra il VI° e l'VIII° secolo. Il torii, ovvero, il portale di accesso, è stato eretto nel 1168 ed è fatto in legno di canfora. Con l'alta marea si accede al portale soltanto in barca, mentre, con la bassa marea, vi si accede anche a piedi.


5.2) SHODOSHIMA:

Quest'isola, luogo dal clima mite, è una meta turistica. Si trova nel Mar del Giappone. Si coltivano soprattutto olive. Ora crescono ulivi dove, soltanto 50 anni prima, crescevano risaie. Shodoshima è l'unico territorio giapponese nel quale gli ulivi crescono bene.


5.3) REGIONE DI SHIMANE:

Secondo lo Shintoismo è proprio qui che dimorerebbero le divinità. E, proprio in questo distretto regionale, si trova il santuario di Izumo, il più antico edificio Shintoista dedicato a Okuninushi, divinità dell'amore e del matrimonio, oltre che protettore delle industrie della seta. I giapponesi seguaci dello Shintoismo ritengono che proprio qui si radunerebbero le divinità, a inizio ottobre di ogni anno.

Incerta è la data della costruzione del santuario; sia sa soltanto che il padiglione principale risale al 1744. Ad ogni modo, la pianta è quadrata e costruita in legno liscio, con un tetto triangolare, con un semplice portico e con alcuni pilastri di sostegno.




11 giugno 2021

"L'immoralista", Andrè Gide:

 Prometto 

di esserti fedele sempre, 

nella gioia e nel dolore,

nella salute e nella malattia

e di amarti e onorarti 

tutti i giorni della mia vita.


Più cresco e più questa formula del rito del matrimonio mi piace. Ma in realtà in questa fase di vita non sto per sposarmi, sto per conseguire la laurea magistrale in Lettere. Arriverò, in un futuro non lontano, anche a realizzare il sogno e il progetto del matrimonio, ma sicuramente non entro il 2021.

Fedeltà, gratuità e reciprocità... è di questo che si nutrono amore e amicizia veri e propri. E penso che le relazioni più stabili e più forti siano fatte soprattutto di dialogo e ascolto.

L'Immoralista, opera della letteratura francese pubblicata nel 1902, è un romanzo su un matrimonio. Per la precisione, su un matrimonio infelice e su una dedizione quotidiana che sostanzialmente non viene ricambiata.

Il libro è composto di tre parti ed è ancora una delle mie letture primaverili (di metà aprile circa). Avrei voluto trovare un'edizione con il testo francese a fianco ma stavolta non ci sono riuscita.


PARTE PRIMA:

Michel, il protagonista della storia, vive a Sidi, località del Nord Africa poco distante dal deserto. Una sera giungono a fargli visita tre amici che ascoltano la sua storia. 

I quattro giovani uomini non si vedono da ben tre anni, ovvero, dal giorno del matrimonio di Michel. 

È proprio dal giorno delle nozze che inizia la narrazione del giovane vedovo. 

Nel ricordare il giorno del matrimonio, ammette:

L'avevo sposata senza amore, per compiacere soprattutto mio padre che era preoccupato all'idea di lasciarmi solo morendo. 

Al momento del matrimonio, Marceline ha 21 anni, Michel 25.

Michel ha perduto precocemente la madre, rigida seguace del luteranesimo, e ha avuto un'adolescenza fatta soltanto di studi: ha infatti imparato greco, latino, ebraico, arabo e sanscrito. 

Così arrivai a venticinque anni non avendo quasi guardato altro se non libri e antiche rovine e non sapendo niente della vita. Ebbi alcuni amici (e tra questi anche voi) ma più che amare l'amico amavo l'amicizia: la mia grande devozione per loro era in realtà bisogno di un nobile ideale. Di fatto non conoscevo veramente i miei amici così come non conoscevo me stesso.

Ad ogni modo, i due novelli sposi si recano in viaggio di nozze a Biskra, in Algeria. È un lungo viaggio di nozze, dura alcuni mesi, ma d'altra parte, sia Michel che Marceline sono figli dell'alta borghesia francese.

Qui Michel si ammala di tubercolosi e Marceline, con vero e proprio amore e dedizione, gli sta vicino e se ne prende cura. È una donna semplice e al contempo intelligente: legge romanzi, conosce molto bene le opere della letteratura inglese. Ed è amata dai bambini nordafricani. 

Michel non la tratta mai bene: si irrita per una bistecca troppo cotta, è scocciato dalla presenza dei bambini che vengono a trovare la moglie nella casa in cui momentaneamente vivono. 

Quel che mi ha colpita è che lei non perde mai la pazienza. Anzi, più Michel si innervosisce più lei si fa presente.

Suggestiva a mio avviso è la descrizione di un mattino di primavera nel frutteto di Lossif:

Questa terra africana, di cui non avevo mai conosciuto questa attesa segreta, dopo essere stata sommersa per lunghi giorni, si risvegliava dall'inverno, ubriaca d'acqua, turgida di linfe nuove; rideva tutta nella primavera prorompente che sentivo ripercuotersi e come riflettersi in me. 

Grazie alle cure costanti di Marceline, Michel inizia pian pianino a stare meglio. 

La sera prima di partire da Biskra per recarsi nell'Italia Meridionale, Michel prende tra le mani la Bibbia. La apre a caso e legge un versetto tratto dal Nuovo Testamento:

(...) Lessi queste parole di Cristo a Pietro, queste parole, ohimè!, che non avrei più dimenticato: "Adesso tu ti cingi da solo e vai dove vuoi andare; ma quando sarai vecchio, tenderai le mani"...

La salute di Michel continua a migliorare in modo significativo. Con la moglie continua i suoi viaggi. 

Però che matrimonio è il loro, se trascorrono pochissimo tempo insieme sia durante il giorno che durante la notte? Praticamente fanno il loro viaggio di nozze da "separati sotto gli stessi luoghi e sotto gli stessi tetti". Leggere per credermi.

Nel loro soggiorno a Sorrento, ad esempio, Michel esce ogni notte. Solo una volta, e soltanto attraverso dei pensieri mai espressi a voce, prova un istante di pentimento per la moglie:

Pensai che, quando diceva che io ero tutto per lei, non mentiva; e subito mi dissi: "Che cosa faccio io per renderla felice?"

(...)

Il sorriso era scomparso dalle sue labbra; l'aurora, che pure indorava ogni cosa, me la mostrò d'un tratto triste e pallida; e forse l'avvicinarsi del mattino mi disponeva all'angoscia: "Dovrò un giorno a mia volta curarti? Preoccuparmi per te, Marceline?", chiesi disperato dentro di me.

Questa prima parte si conclude con la decisione di Michel, al ritorno dal viaggio di nozze, di iniziare a insegnare in un collegio universitario francese. I suoi ex compagni di corso si ricordano infatti di quanto riusciva bene negli studi e di quanto fosse appassionato di storia antica. Per questo auspicano che Michel prenda una cattedra accademica.


PARTE SECONDA:

Terminato il loro viaggio di nozze, Michel e Marceline si trasferiscono in Normandia alla tenuta di Moriniere, vicino a Lisieux, di proprietà della madre di Michel.

E Marceline nel frattempo è incinta:

Sulla sua fronte traspariva ogni minima emozione, come un'acqua molto tranquilla s'increspa a un soffio di vento; sentiva misteriosamente fremere dentro di sé una nuova vita; mi chinavo su di lei come su una profonda acqua pura, nella quale, per quanto lontano si guardi, non si vede che amore.

Nell'immensa tenuta di campagna ci sono molti servitori, contadini e domestici: tra questi spicca la figura di Charles, figlio diciottenne del maggiordomo Bocage. Charles è praticamente agli antipodi di Michel: è sveglio, vivace, genuino, pragmatico e pieno di vita: tutto quello che faceva era di slancio.

A novembre, mese in cui Michel inizia la supplenza universitaria, i due si trasferiscono in un appartamento di Parigi. Peccato che, al settimo mese, Marceline faccia un aborto naturale con conseguente embolia.

Al settimo mese... Quando ormai una donna, sia nel secolo scorso che ora, si ritiene sicura di poter partorire.

Marceline è decisamente una ragazza al momento dell'aborto spontaneo: nonostante la mazzata, fisica e psicologica, riesce a riprendersi in tempi rapidi.

Il punto è che Michel è sempre e comunque lontano da lei:

Quando Marceline si sentì meglio e fu in grado di vedere gli amici, alcuni di essi vennero a stare da noi La loro compagnia tranquilla e affettuosa piacque a Marceline, ma fece sì che io rimanessi fuori di casa sempre più a lungo. Preferivo la compagnia della gente della fattoria, con la quale mi sembrava di imparare molte cose...

Riporto un'altra frase tristissima, squallida che proviene dai pensieri di Michel:

Quello che mi dava e che rappresentava per me Marceline era come un riposo per chi non si sente stanco.


PARTE TERZA:

E qui sarò breve. 

Michel continua ad essere assente, fisicamente e psicologicamente. E Marceline si ammala di tubercolosi.

Cieco fino alla fine, il protagonista decide di riportarla nei luoghi caldi del sud. Ritornano dunque in Italia meridionale (Napoli, Paestum) e infine in Nord Africa. 

Michel continua a comportarsi come prima: trascura la moglie costretta a letto e vaga per le vie cittadine. Marceline peggiora di settimana in settimana. Finché muore, al sorgere del giorno, in una stanza d'albergo di Tunisi, se non ricordo male.

Più o meno, il finale di questo romanzo ricorda l'epilogo della La signora delle camelie di Dumas figlio: Marguerite Gautier muore della stessa malattia, giovane e sola, senza legami e senza affetti profondi.

Significativa è una delle ultime frasi che la ragazza rivolge al marito:

Tu ami ciò che è inumano.

Vi inviterei a ragionarci un pochino sopra partendo da alcune domande: la cultura è tutto? Che significa "essere vivi"? L'aggettivo "inumano" a vostro avviso è riferito alla cultura del passato oppure a un determinato atteggiamento perseguito dal giovane Michel?

Per quanto mi sia piaciuto studiare, non ho vissuto e non sto vivendo soltanto di questo.

Comunque tra "inumano" e "disumano" non c'è differenza. Sempre mancanza di empatia verso il prossimo indicano.

Personalmente non credo che con quella frase Marceline alludesse ai libri di storia romana e di archeologia persiana che tanto appassionavano la sua metà, perché altrimenti probabilmente avrebbe detto qualcosa come:" tu ami ciò che è inanimato".  Per me voleva dire qualcosa come: "ti sei affezionato troppo al tuo egoismo, e a stento te ne rendi conto".




5 giugno 2021

"La casa in collina", Cesare Pavese:

Come dicevo ieri sera, La casa in collina è un romanzo di Pavese pubblicato nel '48, due anni prima della sua tragica morte.

A.FENOMENI SINTATTICI TIPICI DELL'ITALIANO DELL'USO MEDIO:

Come ho scritto anche nella mia tesi, l'italiano dell'uso medio è una varietà linguistica nazionale aperta nei confronti dei fenomeni del parlato. Ha quindi, in sé, locuzioni e costruzioni sintattiche tipiche dell'oralità e divenute, negli ultimi 70 anni, "panitaliane".

L'italiano dell'uso medio non è l'italiano popolare: quest'ultima variante è infatti utilizzata soltanto dai più anziani che, avendo per madrelingua il dialetto e avendo ricevuto forse un'istruzione elementare, inseriscono, nel loro modo di scrivere la lingua nazionale, errori grammaticali e fonetici (=la fonetica del loro italiano è condizionata dal dialetto).

Elenco qui alcuni fenomeni classificati come "tipici dell'italiano dell'uso medio" e presenti in questo breve romanzo. 

*C.C. fra parentesi= Sigla che sta per La casa in collina. Il numero delle pagine corrisponde a quello della più recente Edizione Einaudi del 2019.

1) DISLOCAZIONI:

Queste sono frequentissime nella lingua quotidiana di ognuno di noi. Presenti quasi in ogni pagina di Lessico famigliare e di Caro Michele, sono fenomeni nei quali il dato conosciuto, generalmente un sostantivo, viene ripreso da un pronome atono.

In Pavese ci sono alcune dislocazioni, ma non così tante come in Natalia.

A DESTRA:

-Stasera l'ha preso l'allarme (C.C., p.9)

-Ieri sera l'hai presa la sbornia? (C.C., p.41)

-Li consegnano i pacchi? (C.C., p.82)

A SINISTRA:

-I massacri li faranno con calma. (C.C., p.58)

-Mi chiesi invece se Dino lo mandavano a messa. (C.C., p.80)

-Otino non lo trovai ma la collina era quella. (C.C., p.117)


2) IL "SI PASSIVANTE":

In Pavese è frequentissimo, ma qui verranno elencati alcuni casi. Il "si passivante" in questo romanzo si trova con verbi modali come dovere, volere, sapere, potere. Ma anche con il verbo vedere, con "dire, capire" e con verbi aspettuali come "stare a":

-Non si sapeva ch'era un tempo così breve. (C.C., p.3)

-Si capisce (C.C., p.8)

-Si seppe l'indomani che molti tedeschi erano morti (C.C., p.52)

-Si può nascondersi in collina d'inverno? (C.C., p.77)

-Non si è visto nessuno (C.C., p.89)

-Si sta a vedere. (C.C., p.104)

-Di nessuno si sa bene dove stia in questi tempi. (C.C., p.111)

-Si può passare? (C.C., p.115)


3) IL "CI" ASSUME VALORE AVVERBIALE DI LUOGO:

Ce ne sono diversi in questo libro di Pavese:

-Ci tornavo la sera, dalla città che si oscurava, e per me non era un luogo tra gli altri ma un aspetto delle cose, un modo di vivere. (C.C., p.3)

-Ci trovai un mattino un soldato (all'osteria del Pino, intende), (C.C., p.63)

- Poco dopo, trovata una chiesa, c'entrai. (C.C., p.80)

-Ci sono i tedeschi. (C.C., p.87)

-Ci passavano intorno ragazzi, qualcuno ascoltava. (C.C., p.95)


4) IL "CHE POLIVALENTE":

Anche questo, largamente utilizzato nella lingua scritta e orale a partire dalla metà del Novecento. In Pavese il "che" assume un valore temporale, quindi, vale come i relativi "nel quale", "nella quale", "in cui":

-Era l'anno che io affittavo una stanza in Via Nizza, che davo le prime lezioni e mangiavo sovente in latteria. (C.C., p.10)

-Un mattino che ci colse un temporale appena giunti, rimpiangemmo, remando di furia, l'occasione perduta. (C.C., p.11)

-Sono paesi che al mercato ci si va col fucile. (C.C., p.66)

-Mi ricordai quella notte d'estate che alle Fontane si cantava e tutto doveva ancora succedere. (C.C., p.86)


5) IL "MICA" NELLE FRASI NEGATIVE:

Questo è soprattutto un settentrionalismo, da decenni frequente nella lingua parlata (=ma anche scritta) dell'Italia del nord. Sia in Pavese che nella Ginzburg, questo avverbio si trova soprattutto nei dialoghi:

-Non vuole mica mangiarmi. (C.C., p.9)

-Non è mica la roba, è il ricordo che fa. (C.C., p.83)

-Non è mica una vita. (C.C., p.107)


6) IL "CHE" COME AGGETTIVO ESCLAMATIVO E INTERROGATIVO:

Nel corso degli ultimi decenni, "che" viene impiegato anche come aggettivo in esclamazioni e domande. Ha sostituito "quale", come in questi casi:

-Che guerra! (C.C., p.64)

-Che guerra, che guerra. Vince chi riesce a scappar prima. (C.C., p.77)

-Che paese? (C.C., p.110)

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B) LE DESCRIZIONI DEI PAESAGGI IN COLLINA:

Sicuramente consistono in uno dei punti di forza di questo romanzo, ambientato nelle colline piemontesi nel pieno del secondo conflitto mondiale.

Ve ne riporto due in particolare, collocate all'inizio del romanzo:

1) Ma quella sera preferii soffermarmi su una svolta della salita sgombra di piante, di dove si dominava la gran valle e le coste. Così mi piaceva la grossa collina, serpeggiante di schiene e di coste, nel buio. In passato era uguale, ma tanti lumi la punteggiavano, una vita tranquilla, uomini nelle case, riposo e allegrie. Anche adesso qualche volta si sentivano voci scoppiare, ridere in lontananza ma il gran buio pesava, copriva ogni cosa, e la terra era tornata selvatica, sola, come l'avevo conosciuta da ragazzo. Dietro ai coltivi e alle strade, dietro alle case umane, sotto i piedi, l'antico indifferente cuore della terra covava nel buio, viveva in burroni, in radici, in cose occulte, in paure d'infanzia. (C.C., p.5)

2) Quando sbucai sulla strada e ascoltavo guardando nel buio, di là dalla cresta, quasi sommerso nelle voci dei grilli, suonava l'allarme. Sentii, come ci fossi, la città raggelarsi, il trepestìo, porte sbattersi, le vie sbigottite e deserte. Qui le stelle piovevano luce. (C.C., p.7)


C) TRAMA DEL LIBRO:

La storia dura circa una anno e mezzo, perché inizia nell'estate del '43 e termina nel novembre del '44. Nel pieno della guerra civile italiana. Vengono infatti menzionati personaggi ed eventi storici reali: la caduta di Mussolini, il governo Badoglio, la fondazione della repubblica di Salò, i rastrellamenti dell'esercito tedesco, i bombardamenti anglo-americani, la lotta partigiana.

Protagonista e narratore della storia è Corrado, insegnante di Lettere in un istituto di Torino, quarantenne e scapolo. 

All'inizio della guerra si rifugia in una casa in collina: per questo ha quotidianamente a che fare con contadini e persone semplici. Ritrova, in questi luoghi di campagna e di agricoltura, Cate, donna che alcuni anni prima era stata la sua amante e che ora è la madre di Dino (=soprannome abbreviato da "Corradino"). 

In poco tempo, il professore di Lettere si affeziona a Dino, bambino sveglio e intraprendente nonostante i suoi sette anni. Sospetta che sia suo figlio, ma questo dubbio non verrà mai risolto nel corso delle vicende: prima perché Cate si rifiuta di rivelarlo a Corrado, poi perché, una volta deportata dai tedeschi, non potrà più incontrare l'ex amante.

Nell'autunno del '43 i rastrellamenti vengono effettuati anche nelle zone collinari e nei paesini. Per questo Corrado abbandona la sua casa per rifugiarsi presso il Collegio di Chieri, diretto da una congregazione religiosa, con Dino, rimasto senza tutele e protezioni.

D) IL TEMA DELLA RELIGIONE IN QUESTO ROMANZO:

Strano a dirsi, ma c'è. Le chiese, i breviari, i libri di orazioni danno al protagonista un senso di pace e "uno sgorgo di gioia" (C.C., p.81) in tempo di guerra.

Durante il suo periodo di permanenza presso il Collegio di Chieri, Corrado instaura un buon rapporto con Padre Felice, uno degli istitutori. (Notate anche qui quanti "si passivanti" ci sono!):

Padre Felice mi disse che del breviario bisognava recitare soprattutto l'officio. Delle storie dei santi disse che molte erano entrate in quelle pagine chi sa come, eran pura leggenda, e che da un pezzo si attendeva che l'autorità rivedesse il testo e lo sfrondasse. A leggerlo bene ogni giorno ci voleva troppo tempo.

-Ma quello che importa,- gli dissi,- non sarà se un martirio è avvenuto davvero. Si vuole che chi legge non dimentichi quanto costa la fede.

Padre Felice annuì, chinando il capo.

-Piuttosto,- gli dissi,- serve a qualcosa rileggere sempre le stesse parole?

-Trattandosi di preghiere,- disse Padre Felice,- non conta la novità. Tanto varrebbe rifiutare le ore del giorno. Nel giro dell'anno si riassume la vita. La campagna è monotona, le stagioni ritornano sempre. La liturgia cattolica accompagna l'annata, e riflette i lavori dei campi.

Questi discorsi mi calmavano, mi davano pace. Era il mio modo di accettare il Collegio, la vita reclusa, di nascondermi e giustificarmi. (C.C., p.100)