2 marzo 2022

"Il villaggio di cartone", film sull'immigrazione di Ermanno Olmi:

La pace non si riduce a un'assenza di guerra (...). 
Essa si costruisce giorno per giorno,
nel perseguimento di un ordine voluto di Dio,
che comporta una giustizia più perfetta tra gli uomini.
(Beato Paolo VI)

"La pace non è assenza di violenza 
ma presenza di giustizia"
(Aram I, 1947, chiesa armena)

"L'umanità deve porre fine alla guerra
o la guerra porrà fine all'umanità".
(John F. Kennedy)


Il villaggio di cartone è un film di Ermanno Olmi che ormai ha una decina d'anni. A me è piaciuto, al di là della lentezza delle scene e al di là della patina malinconica e drammatica. I contenuti sono più attuali che mai, anche perché molto presto tutta l'Europa dovrà affrontare sicuramente la gestione di folle di profughi provenienti dall'Ucraina.
Naturalmente il film si riferisce agli immigrati provenienti dall'Africa e dai paesi di religione musulmana. 
Ad ogni modo, eccovi il riassunto arricchito da alcune mie riflessioni.

CONTENUTI, PERSONAGGI E RIFLESSIONI:

Il film inizia all'interno di una chiesa parrocchiale, probabilmente costruita nel corso del Novecento. Penso di averlo intuito osservando bene alcune caratteristiche: lo spazio non è poi così ampio, ci sono i banchi di legno, c'è una vetrata colorata in alto sopra l'altare, non ci sono affreschi né statue. Al di sopra dell'altare c'è un crocifisso, una scultura contemporanea ricalcata sul modello medievale del Christus patiens, ovvero, del Cristo sofferente. All'epoca di Giotto questi modelli di crocifissi erano finalizzati a suscitare la compassione dei fedeli.

Non viene mai precisato il nome della parrocchia, anche se si presume sia collocata nell'Italia settentrionale. All'interno della chiesa, comunque, c'è un sacerdote anziano che prega, accorato e zelante. 
All'esterno si sentono rumori di sirene della polizia.
Ad un tratto, irrompono, senza permesso, ruspe e macchinari che smantellano tutto l'arredamento sacro. Nel giro di pochi minuti quella chiesa perde tutti i simboli della fede cattolica divenendo una stanza spoglia e semibuia. 
Poco dopo, al suo interno, si stabilisce un gruppo piuttosto folto di immigrati che hanno attraversato il deserto del Sahara e il Mediterraneo. Non hanno nulla, soltanto quattro stracci addosso. Sono affamati, impauriti, senza tetto. Pochi di loro conoscono la lingua italiana. Non tutti sono in buona salute. Ci sono anche dei bambini. Ad ogni modo, tutti quanti sono sprovvisti del permesso di soggiorno.
Nei primi momenti il sacerdote è un po' sorpreso e smarrito, ma indubbiamente applica la carità verso di loro.

Ecco come interpreto ciò che è accaduto finora nel film:

- Olmi vuole innanzitutto invitare il clero italiano ad avvicinarsi maggiormente alle situazioni sociali di povertà e di emarginazione, indipendentemente dalle gerarchie (vescovi, educatori nei seminari, padri spirituali nei seminari, parroci, coordinatori delle unità pastorali, co-parroci, monaci, frati, curati, diaconi).

- Una chiesa fatta soltanto di riti, di rosari, di processioni, di messe e di tradizioni popolari (=è così soprattutto in Veneto) è un'istituzione inutile. La chiesa, oltre ad essere un'istituzione, dev'essere anche una comunità viva e accogliente, senza protagonismi e chiusure. La chiesa, compresi naturalmente i credenti praticanti, deve essere una realtà di aiuto concreto ai poveri e agli ultimi. Deve stimolarli, come si fa agli sportelli di ascolto Caritas, a uscire dalle situazioni di indigenza e di difficoltà: contattare i servizi sociali per trovare un lavoro o un corso di formazione professionalizzante. Se non ci si apre a chi è simile a noi pur essendo differente in lingua, cultura, religione e tradizioni, si rischia di divenire delle personalità giudicanti e ottuse, come il fariseo in Luca 18, 9-14:

Disse ancora questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell'altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato».

- Le sirene della polizia rimandano al fatto che la legge non è sempre ciò che è giusto. Legge e giustizia non sempre coincidono e, non soltanto l'Italia, ma in tutta l'Europa è presente anche un atteggiamento di diffidenza e di ostilità verso i migranti. Sovente si sono sentiti, in questi ultimi anni, commenti come: "Dall'Africa e dai barconi arriva di tutto, anche i delinquenti"/ "I clandestini sono inferiori a noi, non meritano l'accoglienza"/ "Aiutiamoli a casa loro" (ma se a casa loro ci sono i governi corrotti, l'AIDS, gli scontri etnici, la JIHAD e le dittature, come si fa??). 

-La civiltà occidentale è in decadenza, ma già da prima dell'invasione ucraina e prima della guerra chimico-batteriologica intesa come pandemia (è quel che penso da circa un anno e mezzo, ma mi raccomando, quel che scrivo io non è vangelo). La diffusione della tecnologia, della globalizzazione e di uno stile di vita frenetico che quasi non rende uomini e donne consapevoli del valore delle proprie giornate hanno contribuito a scalfire i valori, a indebolire il senso di identità locale e nazionale. Siamo in una società liquida, dove sembra che tutte le scelte che si compiono vadano bene. Non c'è più condivisione di principi o di valori. E nessuno si preoccupa per gli altri. La fede cristiana appare qualcosa di obsoleto e di antiquato eppure è, a mio avviso, la chiave del senso della vita. La fede è ciò che ti permette di affrontare con forza le difficoltà e i periodi dolorosi. 

Per buona parte del film i dialoghi risultano pochi. Chi parla un po' di più è proprio il parroco, che, accorgendosi di essere giunto praticamente al capolinea della propria vita, con nostalgia rievoca la sua gioventù, sdraiato su un letto, quasi privo di energie, mentre uno dei migranti lo ascolta. Proprio come adesso, siamo alla fine dell'inverno e dalla finestra la rosea luce del sole si estingue mentre il cielo si oscura sempre di più.
Così l'anziano parroco conclude il suo discorso in questa scena: Ho fatto il prete perché volevo fare del bene. Ma il bene si può fare anche senza avere fede. Il bene è più della fede!

Ci sono atei e non praticanti che spendono la loro esistenza, fin da giovanissimi, al servizio del bene, promuovendo e facendo propri valori preziosissimi come l'onestà, la giustizia sociale, la coerenza, la lotta contro la criminalità, la solidarietà verso il prossimo. Giovanni Falcone era indubbiamente uno di questi. Come anche Leone Ginzburg.
Natalia Ginzburg era esattamente così: veniva da una famiglia di ebrei non osservanti (da bambina diceva: "I miei compagni fanno presepe e albero di Natale, io sono l'unica a non poterli fare") e non è mai stata veramente cristiana cattolica. Eppure un riflesso di Dio era indubbiamente dentro di lei.
Io ritengo che fede autentica e bene siano strettamente legati. Per fede autentica intendo quel che si scrive nel Docat, cioè questo: i cristiani non hanno nulla di eclatante e di strabiliante da offrire, ma una persona in particolare: Gesù Cristo. (...) hanno una sola cosa da annunciare: un Dio che si è fatto uomo. Il Dio di Gesù Cristo ci conosce e ci comprende nella nostra umanità.
Essere cristiani significa imparare ad accettare gli altri così come sono. 
Ho letto su un libro di Enneagramma e dei nove tipi di personalità, scritto da due psicoterapeuti e una suora, che il mio tipo, ovvero il Cinque, è evoluto e redento quando comprende che il voler conoscere il più possibile non è tutto e che soltanto questo non può dare senso alla sua vita. Una personalità Cinque diviene di una dolcezza commovente quando, alla notevole capacità di riflessione e alla vasta cultura, si unisce "l'amare il prossimo come se stessi". 
(...) D'altro canto però, il tipo Cinque redento dovrebbe imparare qualcosa di prezioso dal suo carattere opposto, l'enneatipo Otto: fidarsi di più del suo istinto e quindi pensare un po' meno e agire di più, imparando a sentire sul momento le emozioni negative come la rabbia.

Essere Otto non equivale sempre a "cattivo e prepotente". Ho riconosciuto i tratti dell'Otto in alcuni alunni delle due quarte: si può dire che abbiano una specie di intelligenza istintiva, oltre che un profondo senso di giustizia mischiato alla rabbia.
Dicevo che i migranti occupano sia la canonica, dal momento che vengono ospitati dal sacerdote, sia la chiesa, all'interno della quale creano proprio una sorta di villaggio di cartone, formato di sottili tende di stoffa e di cartoni trovati negli armadi di canonica e sacrestia.
Di tanto in tanto, al di fuori della chiesa e della canonica si sentono le sirene della polizia. 

Purtroppo il finale del film non è lieto. 
L'ultimissima inquadratura riguarda le alte, scure e minacciose onde del Mediterraneo. Onde che travolgono la fame di vita e il bisogno di speranza.

Il film è giocato sugli sguardi: significativo è lo scambio di occhiate tra famiglie di migranti e, in particolar modo, tra due giovani ragazze africane: una che è appena divenuta madre incontra il viso, benevolo e caritatevole, di una sua coetanea che, con la luce negli occhi, ammira il miracolo della vita. Quando nasce il bimbo, il vecchio sacerdote canta sottovoce Adeste fideles, come se volesse augurare a se stesso, ai migranti che lo ascoltano e all'intera umanità, un mondo migliore, in cui le diversità non sono più ostacoli o barriere ma cause e motivi di incontri e di dialoghi. Ecco cosa, a mio avviso, rappresenta quel piccolo neonato: la purezza dell'infanzia e la speranza in un'umanità nuova che sa affrontare la sofferenza mano nella mano.





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