26 febbraio 2023

"BRUTTE STORIE, BELLA GENTE", G. MATTERA:

L'autore di questo libro è un assistente sociale. Brutte storie, bella gente è suddiviso in quindici capitoli e, in ognuno di essi, ci vengono raccontate le vicende di persone in serie difficoltà che ricorrono al suo aiuto. Oltre a ciò, questo libro mostra in che modo sarebbe bene che si comportasse un assistente sociale.

Qui l'assistente sociale Alessandro Gatti, professionista che lavora in provincia di Trento, diventa sia l'alter ego dell'autore che il narratore di storie difficili, drammatiche e toccanti.

A costruire questo post mi hanno aiutata molto le considerazioni a matita di Matthias a fine libro (il mio ragazzo ha il dono della sintesi).

"Non risolvo i problemi. Almeno non da solo. Aiuto le persone a riconoscerli. Ad affrontarli. In modo appropriato. Per quel che mi riesce" dice Gianfranco Mattera durante una conferenza in università con alcuni studenti iscritti al corso di Scienze del servizio Sociale.

Propongo qui dei brevi riassunti, arricchiti di citazioni, di ogni capitolo:

1. LA SIGNORA ABEL:

La signora Abel, marocchina, è stata vittima di violenza domestica da parte del marito. Dopo averlo denunciato si è allontanata da casa, si è trovata un lavoro come addetta alle pulizie in una ditta e anche un appartamento.


Proviamo a stare in equilibrio con la signora Abel, a consolidare la scelta di ricostruire un progetto di vita indipendente, a non cedere al ricatto psicologico messo in atto dall'ex marito. A lui è intestata la casa di Ravina in cui vive con i figli, lui ha investito i risparmi, lui gestisce il conto cointestato con le Casse Rurali e trattiene i bancomat, lui manipola i figli, li costringe a non avere contatti con la madre nel tentativo di coartare la signora Abel e chiedergli di ritornare da lui, sotto il suo tetto, sottostando alla sua autorità. Per questo procedo con i colloqui ravvicinati: per sostenerla, per incoraggiarla, per non farla sentire sola.

Dopo più di un anno, i tre figli si riavvicinano alla signora Abel:

(...) i suoi figli le hanno chiesto di tornare a vivere con loro, con il papà, con l'uomo che l'ha malmenata e da cui è scappata. I suoi figli l'hanno pregata di mettere da parte il passato, di ritornare ad essere una famiglia. La signora Abel ha rifiutato. Ha pagato il caffè, ha baciato i suoi tre figli, li ha abbracciati ed è andata via. Prima di uscire dal bar ha detto loro di chiamarla se hanno desiderio di vederla, se hanno bisogno di parlare con lei, se vogliono un suo consiglio: lei per loro ci sarà sempre.

2. TASSENI:

Tasseni ha un passato di dipendenze. Sente delle voci:

Tasseni sostiene di ascoltare delle voci: giorno, notte. Uomini, donne, streghe, mostri, preti. A volte gli fanno compagnia, altre gli urlano cose spaventevoli, lo minacciano, gli danno ordini. Tasseni ha paura e non ha paura delle voci: sono il suo incubo, il suo piacere, la sostanza di cui non riesce a fare a meno. Per questo non prende le gocce che lo psichiatra gli ha prescritto: per sentirle ancora, per non disfarsene, per non lasciarle sfumare.

Tasseni vive in un monolocale che gli ha concesso la parrocchia di Povo ed è impegnato in lavori socialmente utili.

Ma all'assistente Gatti arriva una mail da parte del caposquadra di Tasseni che lo informa di uno scontro con un altro componente della squadra. Pur avendo un'indole tendenzialmente buona, se provocato, Tasseni può diventare violento.

Anche questo capitolo termina in modo positivo: la cooperativa sociale riforma le squadre di lavoro in modo tale che episodi di conflitto non si verifichino più e Tasseni, dopo essersi scusato per il suo scatto di rabbia con il caposquadra e i colleghi, si rende disponibile per iniziare un laboratorio di falegnameria.

Pazienza per le voci, se non riesce a staccarsene: che ci conviva pure! A chi fa del male? È questa la sua normalità, la sua lotta quotidiana, la stampella su cui si tiene in equilibrio.

3. ISMAIL:

Ismail è un adolescente che ha un rapporto conflittuale con il padre, il signor Bisaz, nordafricano in Italia da molti anni che svolge il lavoro di camionista.

Per regolare il figlio, il signor Bisaz ricorre all'assistente sociale sperando che quest'ultimo condivida l'idea di sistemarlo, per un certo periodo, in una struttura educativa:

Alza le mani al cielo, il signor Bisaz, maledice se stesso, la sua incapacità di padre. Da genitore comprendo lo smarrimento del signor Bisaz. È per lui inconcepibile il comportamento del figlio, non sta né in cielo né in terra. (...)

Considero che non è semplice gestire un adolescente, per lo più immigrato di seconda generazione, un ragazzino che si scontra con la cultura marocchina d'origine del padre e quella occidentale con cui si confronta ogni volta che mette il naso fuori di casa: due mondi opposti, due modelli contrastanti.

(...)

Spiego al signor Bisaz che collocare in una struttura educativa un ragazzino contro la sua volontà è una violenza, non serve a nulla, non è un progetto di vita, soprattutto non è la soluzione. E non è una soluzione delegare agli altri le proprie responsabilità di padre.

Così il narratore decide di divenire il mediatore di un incontro, presso il suo studio, tra padre e figlio. 

In questo modo il rapporto tra il signor Bisaz e Ismail inizia a migliorare: il signor Bisaz dà esplicitamente fiducia al figlio e Ismail inizia a comportarsi molto meglio e in maniera più responsabile.

4. ESTERINA:

Esterina è una novantenne che vive sola in un appartamento in Sardegna. Suo figlio vorrebbe che l'assistente sociale la convincesse a trasferirsi in una casa di riposo oppure ad accettare una badante o un'assistenza domiciliare.

Però è importante sottolineare che Esterina è autonoma e in salute per la maggior parte del racconto.

Quando accidentalmente la signora si rompe una gamba, il figlio Antonio se la prende con l'assistente Gatti e lo accusa di essersi fatto intortare dalla madre il giorno in cui è venuto a farle visita in Sardegna.

Alessandro Gatti suggerisce ad Antonio di ospitare la madre per un periodo a Trento, proposta la cui attuazione rende felice Esterina. 

5. TIZIANO:

Tiziano è un padre separato senza fissa dimora. Pur guadagnando un buon stipendio, deve sostenere il mutuo dell'appartamento in cui viveva e tutte le spese di mantenimento del figlio Roberto e della ex moglie Giulia.

In questo caso il ruolo di Alessandro Gatti consiste nell'indirizzare Tiziano presso un'associazione di padri separati e nel trovare un luogo per incontrare il bambino una volta alla settimana.

6. AFRIM:

Afrim risulta fortemente dipendente dall'alcol, al punto che, già alle nove del mattino, piomba ubriaco fradicio nello studio dell'assistente sociale, arrabbiatissimo perché gli viene respinta la domanda per l'assegnazione di un alloggio pubblico.

Il narratore cerca di convincerlo ad affrontare la realtà, mettendolo davanti allo specchio del bagno:

"Io vedo un uomo. Un uomo che non si cura più di se stesso. Che si è lasciato andare. Che è arrivato ad un punto di non ritorno. Che non ha il coraggio di riprendersi in mano il proprio destino" gli dice, proponendogli poco dopo di entrare in una comunità di cura.

"No assistente. Non è mia vita".

Eppure, anche in un caso umano del genere, Alessandro Gatti vede una piccola scintilla di luce:

"Tu no cattivo" dice, regalandomi il sorriso più sincero che abbia mai ricevuto. E' la seconda volta che quest'uomo mi sorprende. Che mi lascia senza parole. Con la sua umanità sconvolgente. Per me è ancora tempo d'imparare. Da un diseredato. Da Afrim. In tanto dolore: la bellezza di porsi per come realmente si è.

Questo capitolo mi ha inevitabilmente fatto ricordare un diseredato, più o meno nelle condizioni di Afrim, che per alcuni anni, tutte le estati si presentava ogni giorno nei locali vicini alla parrocchia di mio zio.

Come Afrim, era molto sporco e aveva il viso pieno di rughe. Come Afrim era solo, senza casa, senza lavoro. L'alcol gli aveva bruciato il cervello: accendeva senza scopo i rubinetti dell'acqua che sarebbe servita per innaffiare le aiuole della canonica. E l'acqua scorreva lungo il cemento vicino ai cancelli...

Che miserie! Non abbiamo mai saputo come si chiamasse... Girovagava nella zona del lago veronese più o meno tra il 2013 e il 2018. Poi non lo abbiamo più visto. Secondo me è morto uno degli inverni scorsi dormendo all'aperto oppure investito da un'auto. A pensarci provo parecchia malinconia.

E mi chiedo tuttora: ma come fa una persona a ridursi in quello stato?

Quel che è peggio è che sono da ritenere delle persone perse, impossibili da aiutare o da salvare perché manca loro la forza di volontà. Uomini come Afrim sono talmente lontani dalla vera libertà e dall'auto-consapevolezza che non riuscirebbero a resistere nemmeno un minuto in una comunità di disintossicazione dalle dipendenze.

7. GIORGIA:

Una mattina entra una coppia nello studio dell'assistente sociale: si tratta di Chiara e Matteo, genitori di Giorgia, quarantenne affetta da sindrome di down e anche da un esordio di Alzheimer precoce.

"Noi siamo vecchi. Stanchi. Ce la siamo cavata da soli. Io e mia moglie. Senza lamentarci, da buoni cristiani. Non abbiamo mai chiesto aiuto a nessuno. Ma ora che le forze vengono meno. Ora che il tempo per noi è agli sgoccioli, ora, per Giorgia, come si fa?"

Papà Matteo pone una questione etica enorme, che interroga l'intero sistema dei Servizi Sociali alla persona. Interroga la società civile, la politica, chi ci amministra, chi ci governa, chi fa le leggi, chi è chiamato ad attuarle.

Quel che può fare in questo caso un assistente sociale è indirizzare questa famiglia a contattare un centro residenziale che accoglie i disabili. Però è necessario trovare anche qualcuno che, dopo la morte di Chiara e Matteo, si occupi della tutela legale di Giorgia.

Questo capitolo si conclude con alcune considerazioni di Alessandro Gatti una volta che Chiara e Matteo sono usciti:

Mi è inevitabile pensare a mio figlio Luca, pormi delle domande. Da uomo. Da padre. Sarei stato capace di emulare mamma Chiara? Di rinunciare al lavoro, alle soddisfazioni, ai riconoscimenti professionali, alle amicizie, alle passioni... Quanto fortunato sono stato? Senza saperlo, senza sospettarlo.

8. IL SIGNOR OLIDE:

Già la prima volta che lo incontra il narratore sospetta che abbia una dipendenza dall'alcol: 

Potrei tranquillamente scambiarlo per uno dei senza tetto che bazzicano per i portici di via Pozzo, piazza Dante e la stazione...

Il signor Olide racconta di essere sposato con tre figli, di trovarsi un una condizione lavorativa precaria, di avere quattro mesi di affitto in arretrato oltre alle bollette della luce e del gas.

Chiede ai Servizi Sociali sostegno economico e alimentare, dopodiché sparisce:

E i suoi tre figli? Certo che mi pongo la domanda, ma non posso prendere delle informazioni a scuola o dal pediatra o dai vicini senza il consenso del signor Olide o di sua moglie. Non posso intervenire senza un mandato da parte della magistratura, non ho elementi per segnalare in Procura presso il Tribunale per i Minorenni un potenziale pregiudizio per i bambini.

9. DORIANA:

Doriana è un'infermiera che lavora in un reparto di chirurgia con due figli piccoli che il loro padre biologico non ha riconosciuto.

Si reca dall'assistente Gatti per mantenere i turni lavorativi soltanto la mattina. È  sola e, se lavorasse nei pomeriggi e nelle notti, non potrebbe permettersi una babysitter per i bambini. Quindi necessita di un documento da parte di un assistente sociale che attesti i suoi compiti di cura presso i figli.

10. IL SIGNOR LAKAR:

Si tratta di un giovane immigrato che vive in un quartiere di abitazioni popolari. È disoccupato e ha diversi mesi di affitto in arretrato.

Impiego più di mezz'ora nel tentativo di spiegare al signor Lakar che il Servizio Sociale non è l'agenzia del lavoro, non ha il potere di assegnare alloggi, non fa interventi economici senza approfondire le condizioni di vita delle persone, quelle dell'intera famiglia, la capacità lavorativa sua e della moglie.

11. ADELE:

Adele è una bambina cieca con i genitori separati: il padre ha abbandonato lei e la madre e per più di un anno non si è mai fatto sentire. Per questo il giudice gli ha sospeso la potestà genitoriale e ha voluto che gli incontri tra padre e figlia avvenissero in una spazio neutro, cioè, in una stanza in cui ci possa essere anche Federica, un'educatrice con cui Adele instaura un ottimo rapporto.

Naturalmente Alessandro si tiene costantemente in contatto con l'educatrice per informarsi sull'andamento degli incontri protetti:

Ad Adele serve la continuità nella relazione paterna: come reagirebbe ad un ennesimo tirarsi indietro da parte del padre? Dove troverebbe le forze per sopportare il peso di un nuovo abbandono?

Eppure, in più di vent'anni di professione, ho imparato che certi bambini sono in grado di scovare dal fondo dell'abisso in cui gli adulti li gettano energie e risorse inaspettate. Ho scoperto che i bambini sono in grado di perdonare, di tendere una mano, di dare una seconda possibilità...

In tutto questo c'è un serio problema: Fulvia, la madre di Adele, è contraria a questi incontri. Infatti dice ripetutamente che il suo ex marito è un irresponsabile incapace di tenere veramente fede ad un impegno. Ha le sue ragioni ed ha paura che Adele rimanga ferita e delusa di nuovo. Ma Alessandro Gatti le ricorda i bisogni più profondi della ragazzina:

(...) Non vuole che litighiate. Adele ha bisogno di una mamma comprensiva. Che non le vomiti addosso il suo malessere. Ha bisogno di un papà che l'accetti così com'è. Con il suo handicap. Ha bisogno che dialoghiate. Da persone civili. Per il suo bene.

12. CELESTINO:

Celestino è affetto da una malattia psichiatrica ed è internato a Villa Orizzonte, struttura con vista sul mare.

Celestino inventa storie di arpioni e baleniere, anche se è sempre vissuto in montagna. Eppure, la tendenza a crearsi un mondo fantastico è un modo per difendersi dalle barbarie dell'umanità.

Questa parte di libro termina con il suicidio di Celestino.

13. MANSURAH TANGWEY:

E' una donna nigeriana separata dal marito italiano e con due figli a carico. Sembra che il marito Bruno abbia lasciato il tetto coniugale dopo aver scoperto un tradimento da parte della moglie.

Mansurah ha un passato di prostituzione. Inoltre non è certo che Isaac e Miriane siano figli di Bruno.

Per permettere a Mansurah di sostenere le ingenti spese e per fare in modo che i suoi figli abbiano una vita dignitosa, Alessandro Gatti contatta il nonno paterno Alceste il quale, malgrado non stimi e non apprezzi Mansurah, accetta di aiutarla economicamente, ma in anonimato:

Con seicento euro al mese non ci si mette la mano sulla coscienza, non ci si redime dai peccati, non si scappa dalle proprie responsabilità. Stesso discorso per il figlio Bruno: non si mette la testa sotto la sabbia, non ci si rende irreperibili.

14. MARCELLA:

Questo è un caso seguito da Anita, la collega di Gatti.

Si tratta di una bambina figlia di due tossicodipendenti. Per questo, a soli tre mesi, è stata allontanata da loro e collocata in una struttura per minori.

Anita propone al Tribunale dei Minori una famiglia adottiva per la bambina, richiesta che le viene respinta. 

Non resta dunque che riorganizzare la ripresa degli incontri tra Marcella e i genitori, con la speranza che questi ultimi siano davvero in grado di dire addio alla droga.

15. MARIUCCIA:

E' l'ultima storia ma è anche la più toccante secondo noi due.

Mariuccia è sola: vive in un condominio e non ha marito né figli né parenti. Però con lei c'è Barabba, un cane che le tiene compagnia ogni minuto del giorno. 

Ma, a causa della morte del cane, Mariuccia cade in una depressione profonda, non ritira più i viveri, non vuole vedere nessuno, nemmeno Oreste, unico condominiale che con lei ha un po' di confidenza.

Ed è proprio Oreste che segnala lo stato disperato di Mariuccia all'assistente Gatti, che riesce ad entrare nell'appartamento della signora con carabinieri e vigili del fuoco.

Quando gli infermieri la portano in ospedale a causa della denutrizione e della disidratazione, il narratore ci consegna una riflessione pesante ma più vera che mai:

È una sconfitta della società civile quello a cui sto assistendo in questi istanti, una sconfitta della democrazia, delle politiche sociali, della mia professione di assistente sociale. Da oggi in avanti assocerò il sentimento della solitudine a Mariuccia, al suo sguardo spento, a quella sua mano protesa con disperazione nel vuoto della barella in cerca della zampa di un cane, e a Barabba, che ha terminato il suo compito, la sua missione: amare Mariuccia al posto delle persone.

16.  COSA PUO' APPRENDERE UN FUTURO ASSISTENTE SOCIALE CON QUESTA LETTURA?

Ho copiato questo paragrafo dalle annotazioni a matita di Matthias trascritte nella pagina finale riservata all'indice.

-Alessandro Gatti, più volte nel corso della narrazione di questi incontri con un'umanità sofferente alla ricerca di un appoggio e di solidarietà, ripensa alla sua personale situazione familiare e alle difficoltà nel rapportarsi con suo figlio Luca che non vuole più saperne di studiare ma allo stesso tempo evita di cercare lavoro.

-La professione di assistente sociale comporta notevoli carichi di lavoro. Le  agende sono piene di impegni: indagini socio-familiari, richieste di assistenza economica, visite domiciliari, riunioni con educatori delle comunità o delle strutture addette a minori e a disabili, pratiche amministrative.

-Il lavoro dell'assistente sociale, e questo è evidente in tutto il libro, implica il coinvolgimento delle risorse del territorio: contatti con associazioni caritatevoli, contatti con anche parroci  o associazioni religiose, rapporti con gli educatori e con chi si occupa di proteggere le donne dalla violenza domestica, il dovere di rispettare le decisioni dei giudici.

-Nel rispetto della sua professione, Alessandro Gatti viene incontro agli altri ma sempre seguendo il principio dell'autodeterminazione: non è sufficiente la nostra professionalità, sono le persone stesse a imporre dei limiti alle nostre azioni. Lavoriamo insieme, non possiamo sostituirci loro. Nostro scopo è perseguire la loro autodeterminazione, renderle soggetti attivi del proprio progetto di vita.

-Prima di risolvere una situazione di povertà, di solitudine, di precarietà lavorativa, di dipendenze da droghe o alcol è necessaria una volontà di cambiamento nel proprio stile di vita.

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Sulla base dei riassunti quale storia vi colpisce di più?


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