30 gennaio 2025

Un'eloquente poesia sulla tragedia della Shoah:

Vi propongo una poesia di Salvatore Quasimodo relativa agli orrori di Auschwitz, scritta pochi anni dopo l'apertura del campo di sterminio da parte dei sovietici.


"AUSCHWITZ", SALVATORE QUASIMODO:

Laggiù, ad Auschwitz, lontano dalla Vistola,
amore, lungo la pianura nordica,
in un campo di morte: fredda, funebre,
la pioggia sulla ruggine dei pali
e i grovigli di ferro dei recinti:
e non alberi o uccelli nell’aria grigia
o su dal nostro pensiero, ma inerzia
e dolore
che la memoria lascia
al suo silenzio senza ironia o ira.

Tu non vuoi elegie, idilli: solo
ragioni della nostra sorte, qui,
tu, tenera ai contrasti della mente,
incerta a una presenza
chiara della vita. E la vita è qui,
in ogni no che pare una certezza:
qui udremo piangere l’angelo il mostro
le nostre ore future
battere l’al di là, che è qui, in eterno
e in movimento, non in un’immagine
di sogni, di possibile pietà.
E qui le metamorfosi, qui i miti.
Senza nome di simboli o d’un dio,
sono cronaca, luoghi della terra,
sono Auschwitz, amore. Come subito
si mutò in fumo d’ombra
il caro corpo d’Alfeo e d’Aretusa!


Da quell’inferno aperto da una scritta
bianca: “Il lavoro vi renderà liberi”

uscì continuo il fumo
di migliaia di donne spinte fuori
all’alba dai canili contro il muro
del tiro a segno o soffocate urlando
misericordia all’acqua con la bocca
di scheletro sotto le docce a gas.
Le troverai tu, soldato, nella tua
storia in forme di fiumi, d’animali,
o sei tu pure cenere d’Auschwitz,
medaglia di silenzio?


Restano lunghe trecce chiuse in urne
di vetro ancora strette da amuleti
e ombre infinite di piccole scarpe
e di sciarpe d’ebrei: sono reliquie

d’un tempo di saggezza, di sapienza
dell’uomo che si fa misura d’armi,
sono i miti, le nostre metamorfosi.
Sulle distese dove amore e pianto
marcirono e pietà, sotto la pioggia,
laggiù, batteva un no dentro di noi,
un no alla morte, morta ad Auschwitz,
per non ripetere, da quella buca
di cenere, la morte.



Si tratta indubbiamente di una poesia difficile e cruda in certi passaggi. Inizio dalla prima strofa, specificando subito che la Vistola è un fiume che attraversa Cracovia.


Salvatore Quasimodo ha chiaramente abbandonato l'ermetismo per abbracciare una poesia neorealista che denuncia le atrocità della guerra. 
Nei primi nove versi Auschwitz appare agli occhi dei lettori un campo di morte in mezzo ad una pianura bagnata da una pioggia fredda e funebre, due aggettivi negativi che alludono alla mancanza di solidarietà umana nel luogo al quale si fa riferimento. Ad Auschwitz inoltre l'aria è grigia sia per il clima tipico dell'Europa nord-orientale sia, soprattutto, per il fumo dei forni crematori.
Il poeta apostrofa il sentimento dell'amore, cancellato e bandito in un contesto di morti crudeli, ingiuste e attuate in modo sistematico.
Ad Auschwitz non ci sono alberi né uccelli neppure nei pensieri degli internati. 
In antitesi ho pensato alla poesia di Pavel Friedman, ebreo polacco morto a 23 anni ad Auschwitz nel '44, deportato a Terezin nel '42. Nel componimento di questo ragazzo il fulcro è l'ultima farfalla che egli ha visto, "d'un giallo così intenso" "come una lacrima di sole quando cade sopra una roccia bianca". 


Sia i ghetti sia i campi di sterminio risultano luoghi totalmente distanti da libertà e bellezza della natura, delle quali la farfalla è simbolo.
Ma, come ammette il giovanissimo Friedman, "le farfalle non vivono nel ghetto".
Uccelli e farfalle sono emblema di libertà e di apertura mentale che non sembrano ammesse in un'epoca storica di guerra e di massacri. 
E alla fine, i prigionieri di Quasimodo sono simili a Pavel Friedman: in entrambi i casi, le vittime hanno perduto la speranza di poter uscire dai campi di concentramento, solo che Pavel Friedman rievoca con malinconia la farfalla gialla, le vittime a cui Quasimodo si riferisce non immaginano nemmeno più degli elementi naturali positivi e vitali.

(...) ma inerzia
e dolore che la memoria lascia
al suo silenzio senza ironia o ira.

Negli ultimi tre versi della prima strofa si pone attenzione alla memoria, indubbiamente dolorosa dal momento che riguarda un genocidio. 
Tuttavia è importante considerare che l'autore parla anche di "inerzia". Come mai? 
Con questo secondo aggettivo Quasimodo intendeva dar voce ad un senso di colpa da lui provato di fronte agli orrori di Auschwitz. Forse si sente in colpa per non essersi attivato in modo tale da poter salvare qualche ebreo o magari si sente colpevole per non essersi pienamente informato di ciò che accadeva nei campi di concentramento e di sterminio durante il secondo conflitto mondiale.

Infine, il poeta riflette sul fatto che risulta impossibile sia ironizzare sul ricordo di Auschwitz, perché si dimostrerebbe insensibilità, sia provare rabbia, sentimento insufficiente per un vero e proprio riscatto morale. Di fronte a questa immane tragedia conviene forse di più un silenzio malinconico e meditativo.

La seconda strofa si apre con la menzione a due generi letterari nati nell'antichità e lontani da questo componimento, ovvero, le elegie, composte, sia nell'Antica Grecia sia nell'Antica Roma, per occasioni di vita pubblica e privata, e gli idilli, poesie di argomento pastorale.
Il poeta, dopo aver dichiarato di volersi allontanare da questi due generi, dice di voler ricercare le ragioni della sorte umana esplorando le contraddizioni della mente: è male attuare uno sterminio, è male che ogni essere umano sopisca etica e coscienza per umiliare, svilire e sopprimere la dignità d'altri. Eppure è stato fatto. 
E, soprattutto, è male commettere il male sapendo di fare il male! State a vedere che dovrò cambiare idea a proposito del film La zona d'interesse grazie a questi versi... magari è davvero un film sulla banalità del male, quindi, come nel 90% delle volte, ha ragione Matthias. 
Poi io non ho letto il saggio della Arendt, lui sì. Forse la previa lettura della Banalità del male aiuterebbe molto a comprendere i contenuti del film La zona d'interesse.

Probabilmente con il termine "metamorfosi" l'autore si riferisce alle orribili trasformazioni che coinvolgevano purtroppo gli ebrei internati nei campi: da persone a scartini senza dignità, senza libertà, senza futuro.

Nella parte finale si ricorda il mito di Alfeo e di Aretusa. Ve lo riassumo brevemente: Aretusa era una ninfa che, durante una battuta di caccia al seguito di Artemide, si perde e finisce sulle sponde di un fiume. Decide di spogliarsi per immergersi nelle sue acque. Alfeo, il dio del fiume, si innamora di lei e così Artemide la trasforma in una fonte facendola riemergere ad Ortigia. Con l'aiuto di Giove, anche Alfeo riesce a raggiungere quest'isola.

si mutò in fumo d’ombra
il caro corpo d’Alfeo e d’Aretusa!

Per "fumo d'ombra" si intendono forse quelle migliaia di vite spezzate dai nazisti di coppie e coniugi ai quali è stato negato il futuro. 

All'inizio della terza strofa Auschwitz viene definito un inferno anche perché è un posto introdotto da una scritta che in realtà è una terribile beffa per i deportati: "Arbeit macht frei"

Questi versi rievocano il canto III° dell'Inferno di Dante, quando, all'entrata, Virgilio e Dante scorgono una scritta scura che funge da monito: "Lasciate ogne speranza voi che ch’entrate".

Tuttavia è fondamentale tenere a mente una differenza: l'Inferno della Divina Commedia è un luogo ultraterreno in cui vengono applicati i criteri di giustizia divina, l'inferno di questa poesia è strettamente collegato alle abiezioni umane.

Il poeta prosegue poi nella descrizione di angherie, morte e soprusi subiti dagli ebrei. 

La terza strofa si conclude con l'apostrofe ad un soldato delle SS:

o sei tu pure cenere d’Auschwitz,
medaglia di silenzio?

L'espressione "cenere di Auschwitz" è molto legata al fatto che i militari nazisti al servizio di Hitler hanno seppellito la propria coscienza, la definizione invece di "medaglia del silenzio" al fatto che qualsiasi soldato tedesco, durante gli anni della soluzione finale, eccelleva in omertà nascondendo la propria parte di responsabilità etica.

Infine, nell'ultima strofa, Quasimodo ci elenca quel che resta di Auschwitz: trecce, amuleti, scarpe e sciarpe. 

Reliquie che possono insegnare agli uomini di ogni tempo l'importanza di misurarsi con la propria umanità e, in particolar modo, a conservare la memoria di genocidi come questo.


Quel "per non ripetere" dell'ultimo verso rimanda ad un breve componimento di Ungaretti intitolato "Non gridate più" e scritto poco dopo la fine del conflitto, di cui riporto soltanto la prima strofa:

Cessate d’uccidere i morti,
Non gridate più, non gridate
Se li volete ancora udire,
Se sperate di non perire.

Questa è una poesia contro la brutalità dell'odio umano, è un invito a superare le divisioni per poter riscoprire la solidarietà e la fraternità umana a partire dal paradosso del primo verso: "Cessate d'uccidere i morti".

Sia Quasimodo sia Ungaretti, con la loro poesia, desiderano che l'odio tra gli uomini venga sopito in modo tale che non sia vano il sacrificio di milioni di vite spezzate e che eventi di gravissima portata come quello della Shoah non si ripetano più.


... Vecchi ricordi ripescati da un periodo non facile, a proposito dell'importanza del ricordo.







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