27 gennaio 2015

L'importanza del ricordo


 Il ricordo svolge un ruolo fondamentale nella vita di ogni persona. Esso infatti non consiste soltanto nel rievocare eventi del passato sotto forma di cronaca, ma implica soprattutto un coinvolgimento emotivo da parte nostra ogni volta che pensiamo ad avvenimenti vissuti in prima persona o raccontati da altri.

Il ricordo delle vittime della Shoah, ovvero, dei sei milioni di ebrei che durante la Seconda Guerra Mondiale vennero sterminati per mano dei nazisti nei campi di concentramento, ricorre il 27 gennaio.
La memoria di eventi terribili come questo dovrebbe essere quotidianamente viva in ognuno di noi, soprattutto nelle nuove generazioni, affinché comprendano che il razzismo può sfociare in atti eclatanti e orribili che annullano la dignità altrui e violano i valori della giustizia e della solidarietà.
Nel suo libro, intitolato: "Dopo il fumo", L.Millu afferma: "Quando, alla fine degli anni Cinquanta, si cominciò a parlare di "letteratura dell'Olocausto" e poi della "Shoah", l'imperativo a cui critici, scrittori, sociologi e storici della letteratura cercavano di rispondere, era ricordare. Ricordare nel senso più ampio di quest'accezione: ricordare per la propria salvezza e per quella degli altri." Il ricordo dunque, è utile sia per la propria salvezza morale sia per l'incolumità altrui.
L'importanza di ricordare gli eventi del passato è espressa anche nel romanzo: "Se questo è un uomo", in cui Primo Levi descrive con parole molto efficaci la miserabile condizione degli ebrei nei campi di sterminio: "Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case, voi che trovate a sera il cibo caldo e visi amici, considerate se questo è un uomo, che lavora nel fango, che non conosce pace, che lotta per mezzo pane, che muore per un sì o per un no. Considerate se questa è una donna, senza capelli e senza nome, senza più forza di ricordare, vuoti gli occhi e freddo il grembo, come una rana d'inverno. Meditate che questo è stato: vi comando queste parole." Con queste frasi, Levi invita il lettore a porsi una domanda: gli ebrei, durante la prigionia nei campi di concentramento, hanno mantenuto la dignità di esseri umani? Sicuramente i nazisti non riconoscevano la loro umanità, anzi, li consideravano dei "microbi" da estirpare. Ma gli stessi ebrei, poiché costretti a lavori forzati e vittime di sevizie atroci, perdevano sia la consapevolezza della loro umanità sia la loro dignità umana, essendo privati del diritto di vivere in decenti condizioni igieniche, strappati con violenza dai loro familiari, troppo stanchi e troppo deboli per pensare. E' dunque indispensabile ricordare le atrocità subite dalle vittime dell'Olocausto al fine di comprendere che talvolta i pericolosi pregiudizi nei confronti del diverso possono indurre l'uomo a compiere atti crudeli e terribili.
Camera a gas
Tuttavia al cune persone, quando menzionano l'evento della Shoah, tendono a minimizzare le ideologie razziste di Hitler. A questo proposito, nella sua opera "Auschwitz e il fallimento del pensiero", M. Milli asserisce: "Ogni parola che spendiamo per diminuire la dimensione della tragedia è una pallottola che carichiamo nella pistola degli assassini." Questa frase molto forte ci stimola a "immedesimarci" nelle tremende sofferenze patite dalle vittime. Milli invita anche a pesare bene le parole quando si parla di tragedie così grandi.
Come reagire quindi agli orrori della storia? E' conveniente stimolare al ricordo coloro che hanno vissuto questa tragedia? Sempre L. Millu, in "Dopo il fumo", riflette su questa tematica: "Ammettiamo che un certo grado di orrore sia insostenibile. Davanti a questo orrore, io reagisco, voi reagite con l'indignazione, lo spavento, l'urlo, oppure con la fuga, la fuga nel silenzio... Molte persone che hanno vissuto certi avvenimenti sono arrivate all'inaridimento... Eppure, solo quelli che hanno passato questa soglia hanno la possibilità di trasmetterci, nel modo più accettabile, più adatto, il resoconto dell'orrore." Alcune persone ritengono che la giornata della Memoria sia dannosa dal momento che ravviva il dolore del popolo ebraico. Questo è indubbiamente vero, ma si devono valorizzare le testimonianze, sia scritte che orali, di chi, con coraggio e con determinazione, rifiuta di chiudersi nel proprio dolore e racconta le angherie sofferte perché desidera gridare al mondo l'ingiustizia subita e vuole instillare nell'animo dei lettori e degli ascoltatori la voglia di progettare un mondo migliore.

...Reagire di fronte alle atrocità del passato con sentimenti di indignazione e di paura non basta. E' invece doveroso ricordare gli orrori della storia per invitare se stessi a coltivare la mitezza, la sensibilità e la lungimiranza, in modo tale che episodi simili non accadano più.



PROPONGO INOLTRE UNA POESIA SCRITTA DA UN EBREO DEPORTATO AD AUSCHWITZ:

Notte su Birkenau

Un’altra notte. Torvo, il cielo si chiude ancora
sul silenzio mortale volteggiando come un avvoltoio.
Simile ad una bestia acquattata, la luna cala sul campo —
pallida come un cadavere.
E' come uno scudo abbandonato nella battaglia,
il blu Orione — fra le stelle perduto.
I trasporti ringhiano nell’oscurità
e fiammeggiano gli occhi del crematorio.
È umido, soffocante. Il sonno è una tomba.
Il mio respiro è un rantolo in gola.
Questo piede di piombo che m’opprime il petto
è il silenzio di tre milioni di morti.
Notte, notte senza fine. Nessuna alba.
I miei occhi sono avvelenati dal sonno.
La nebbia cala su Birkenau,
come il giudizio divino sul cadavere della terra.

(Tadeusz Borowski)







21 gennaio 2015

I meravigliosi occhi di un bambino e il suo sorriso luminoso


Domenica 11 gennaio, nella Chiesa della parrocchia del Beato Andrea a Peschiera del Garda, è stato battezzato il figlio di una cugina di mia mamma. Questa nostra parente si è sposata nel 2013 e ora vive a Peschiera con il marito e il figlio di pochi mesi, che ha chiamato Giovanni. 
Giovanni è nato l'estate scorsa, in agosto. Di tanto in tanto, quest'autunno lo vedevo tra le braccia dei suoi genitori, tranquillo e sorridente.
Giovanni sorride sempre, qualsiasi cosa tu gli dica. Io, nella maggior parte dei casi, gli faccio qualche carezza e gli prendo la mano. Il punto è che questo splendido bambino stringe sempre, con la sua piccola manina, il mio indice lungo e magro... E i suoi occhi fissano i miei con intensità. Ho notato che le sue pupille si dilatano ogni volta che mi vede.
Se penso che domenica in chiesa non ha mai strillato... anzi, addirittura dormiva quando mio zio Attilio lo ha battezzato. Poi però, alla fine della celebrazione, era circondato da zii, nonni, cugini... e si godeva tutte le attenzioni che noi grandi gli riservavamo.
Ad ogni modo, se ora vi sto raccontando questo evento a distanza di undici giorni, è perché di tanto in tanto, tra una ripassata e l'altra (fra pochi giorni darò i miei primi esami universitari!!) mi ritorna in mente il suo bel visino, i suoi occhioni brillanti come i colori dell'arcobaleno, il suo sorriso luminoso come la luna piena...
Ho provato a immaginare il futuro di Giovanni; provo a pensare a come potrebbe essere da ragazzo e poi ancora da uomo adulto.
Vorrei che diventasse un ragazzo sensibile, generoso, sveglio... un ragazzo che, con il suo vivace sorriso, sappia infondere speranza e gioia nei cuori tristi, stanchi della solitudine e prostrati dalle frustrazioni quotidiane.
E mi auguro anche che, una volta diventato adulto, riesca sia a trovare un lavoro conforme alle sue aspirazioni sia a realizzare il sogno di una bella famiglia felice.

...E mentre domenica lo accarezzavo, mi ero ricordata anche di una breve lirica scritta dal poeta greco Anacreonte:

"ὦ παῖ, παρθένιον βλὲπων,
δίζημαί σε, σύ γ' ού κλύειϛ
οὐκ εἰδώϛ ὅτι τῆς εμῆς
ψυχῆϛ ἡνιοχεύεις
."

"Bimbo d'occhi femminei,
cerco te: tu non senti. E non sai
che tieni le redini di quest'anima mia."

"... e non sai che tieni le redini di quest'anima mia"- Certo, è vero, Anancreonte è il poeta dell'amore pederotico, ma questa è anche la frase che una mamma potrebbe dire al suo piccolo bambino... io credo che questa sia la lirica più suggestiva di Anacreonte. L'ultima frase risveglia, a mio parere, una sensazione di tenerezza nell'animo del lettore.
..."tenere le redini dell'anima"... quando una persona tiene le redini della tua anima, significa che è in grado di dare un senso profondo alla tua vita, che è in grado di renderti felice...





11 gennaio 2015

"La febbre dell'oro"



Un altro capolavoro cinematografico che ho apprezzato molto!

"La febbre dell'oro" é un film muto prodotto e interpretato da Charlie Chaplin negli anni Venti.
Tuttavia, per adeguare l'opera al nuovo pubblico del sonoro, Chaplin aveva sostituito gli intertitoli con dei commenti da parte di una voce narrante e, per la riedizione del 1942, aveva anche aggiunto una traccia orchestrale.
...A volte, quando sono sola in casa o sotto la doccia, mi capita di canticchiare la colonna sonora di questo film.

Il protagonista della storia è un omino vagabondo e solitario che percorre gli impervi sentieri montuosi dell'Alaska, sfidando il gelido vento del nord.
Lungo il cammino egli incontra molti cercatori d'oro.
Un giorno, per trovare riparo da una violenta tempesta di neve, l'omino si rifugia nella capanna di Black Larson, un ricercato dalla legge che lo accoglie malvolentieri. Qui incontra anche Giacomone (Big Jim nella versione anglo-americana), un uomo molto alto e grosso, alla ricerca di preziose pepite d'oro.
I tre uomini soffrono il freddo e la fame... Allora Black Larson esce per cercare cibo, ma, lungo il cammino, incontra gli uomini della legge, li uccide a colpi di pistola e si impadronisce dei loro viveri.
Poco dopo, "preso nel vortice delle sue cattive azioni, Black Larson fu spazzato via dal destino inesorabile", ovvero, precipita in un burrone per il distacco di uno spuntone di montagna.

 Intanto, tra Giacomone e l'omino si instaura un buon rapporto di convivenza. Alla vigilia di Natale, per placare i morsi della fame, l'omino cuoce in pentola una scarpa e la condivide con Giacomone.
(Fa sorridere il punto in cui Charlie Chaplin, che interpreta l'omino, arrotola i lacci della scarpa con una forchetta, come se fossero spaghetti!)
 Il giorno dopo, l'inaspettata comparsa di un orso e la sua cattura soddisfano il loro desiderio di cibo e, alla fine del lauto pranzo, le strade dei due uomini si separano.
A questo punto, nel film compare la descrizione di un altro luogo importante, nel quale si svolgeranno le vicende più significative della seconda parte del film.
 "... In quel deserto di ghiaccio, nacque dal sogno una città e gli esseri umani la riscaldavano con la loro vita, i loro amori, i loro desideri".

Dopo molte ore di cammino, il protagonista della nostra storia entra nel Tabarin di quel villaggio,
"...venne l'omino verso il Tabarin, verso quel faro del piacere, del ritiro di sogni perduti".
 Inizialmente si limita ad osservare le persone che ballano, cantano e bevono, ma poi... i suoi occhi si fermano, ammaliati, su Georgia, una giovane ballerina molto avvenente, che disdegna la corte di molti uomini, in particolare, le avances di Jack, giovane orgoglioso e arrogante. L'omino si innamora a prima vista della ragazza.
Durante la sua permanenza al villaggio, l'omino conosce l'ingegnere minerario Curtis, il quale, prima di partire per una lunga spedizione, gli affida la sua capanna, dandogli il compito di tenerla in ordine.
Una mattina, durante una piacevole passeggiata, Giorgia e alcune sue amiche si ritrovano davanti alla capanna di Curtis e vengono accolte con entusiasmo dall'omino. Tuttavia le ragazze, avendo intuito il sincero sentimento dell'amico verso Giorgia, gli sorridono e lo accarezzano in modo civettuolo e malizioso.
In seguito, le ragazze escono dalla capanna con la promessa di ritornare a cena per l'ultimo dell'anno.
Nei giorni seguenti, l'omino cerca di guadagnarsi qualche soldo spalando la neve (in realtà, la butta davanti alle case vicine per poi farsi pagare anche dai vicini, almeno fin quando non accumula la neve per sbaglio davanti alla prigione).

La notte di capodanno viene organizzata una festa al Tabarin, alla quale partecipa anche Giorgia. Nella capanna però, l'omino prepara la cena e la tavola imbandita e attende invano le sue giovani ospiti.
Nell'attesa però, l'omino si addormenta. Si risveglia a notte fonda, proprio nel momento in cui gli ospiti del Tabarin stanno gioiosamente brindando in occasione della mezzanotte. Allora egli esce dalla capanna, si reca al Tabarin ma, invece di entrare, spia le persone dalla finestra. Ad un tratto, a Giorgia torna in mente la promessa fatta all'omino.
La ragazza dunque si reca verso la capanna, entra, si accorge della tavola imbandita e viene presa dal rimorso. Il giorno seguente gli scrive una breve lettera:
"Mi perdoni di non essere venuta a cena. Vorrei incontrarLa per spiegarLe."

Nel frattempo, giunge al villaggio anche Giacomone, che coinvolge l'omino nella ricerca di preziose pepite d'oro nelle vicinanze della vecchia capanna.

I due uomini preparano una mappa per trovare la miniera. Poi entrambi si addormentano all'interno della vecchia capanna; ma...  
"Il destino è sempre il destino e giocò loro un piccolo scherzo e gli elementi si scatenarono ancora tuonando e ruggendo, mentre i nostri eroi dormivano profondamente..."

 Infatti, nella notte, una violenta bufera di neve sposta la loro capanna di legno, portandola in bilico sull'orlo di un precipizio.
Si svegliano entrambi all'alba e, camminando avanti e indietro per la baracca, notano che questa si inclina paurosamente, fino a rovesciarsi quasi del tutto. L'omino e Giacomone afferrano entrambi due grosse corde miracolosamente agganciate ad alcune rocce e riescono a salvarsi la vita pochi secondi prima che la capanna precipiti nel burrone.
Poco dopo, trovano la miniera d'oro che cercavano, diventano milionari e si imbarcano su un piroscafo."Diretti in patria, lasciavano le fatiche dell'Alaska per andare a vivere nel paese del latte e del miele, per ridere, vivere e godere del lusso. Erano famosi e assediati dalla stampa." 
Anche Giorgia è sul piroscafo, ignara dell'enorme fortuna che è toccata al suo spasimante...

Riusciranno a incontrarsi e a riconoscersi?... io stavolta non vi svelerò il finale della storia. E' una mia tendenza farlo quando svolgo le recensioni di libri, racconti e film, ma stavolta vorrei riuscire a suscitare in voi lettori una maggiore curiosità, ammesso che questa vicenda vi sia piaciuta...


ALTRE CONSIDERAZIONI:

Il film non è totalmente svincolato dalla storia degli Stati Uniti, dal momento che rivisita il mito americano della frontiera, in un racconto che concilia aspetti comici e poetici.
L'omino vagabondo, vero protagonista del film, uomo umile, puro, sensibile, affronta diverse avventure e travagli prima di diventare milionario.
Ritengo straordinaria la ripresa con i modelli in miniatura della capanna in bilico sul burrone che oscilla pericolosamente non appena Giacomone e l'omino fanno un minimo movimento.
E' interessante sapere che la famosissima scena in cui l'omino Chaplin cucina e mangia uno scarpone aveva riservato all'attore stesso una spiacevole conseguenza: un'indisposizione per l'effetto lassativo della liquirizia di cui era composto lo scarpone. La liquirizia venne consumata in grande quantità dato che la scena era stata ripetuta più volte.


RICONOSCIMENTI: 

Nel 1943, il film ricevette il primo premio Oscar e, nel 2000, l'American Film Institute lo ha inserito al venticinquesimo posto nella lista delle migliori cento commedie americane.


1 gennaio 2015

Capodanno 2015: costruiamo la pace!!


Ed è arrivato anche il 1° gennaio 2015.  Nell'aria limpida si diffonde il gioioso canto del vento. Gli uccelli si rincorrono e la neve brilla alla luce di un sole luminoso che splende alto nel cielo.
E' una bellissima giornata, ma fa molto freddo, ovviamente.


Ieri è stata una giornata particolarmente significativa per me: ho partecipato alla 47° marcia per la pace che quest'anno è stata organizzata a Vicenza dall'associazione cattolica "Pax Christi". Ho condiviso questa esperienza con una ragazza che negli ultimi mesi si sta rivelando un'amica davvero molto sincera per me.
La marcia è iniziata di fronte alla basilica di Monte Berico, suggestiva località collinare. In questa prima tappa, abbiamo recitato una preghiera scritta da Papa Francesco, un pensiero che invita noi cristiani ad adottare sentimenti di solidarietà e di fraternità nei confronti del diverso. Le frasi che mi sono rimaste impresse nella mente sono state:
"(...) Tieni accesa in noi la fiamma della speranza per compiere con paziente perseveranza scelte di dialogo e di riconciliazione, perché vinca finalmente la pace. E che dal cuore di ogni uomo siano bandite queste parole: divisione, odio, guerra! Signore, disarma la lingua e le mani, rinnova i cuori e le menti..."
Subito dopo, è stato letto un passo dall' "Elogio della follia" di Erasmo da Rotterdam. Vorrei riportarlo tutto, perché lo ritengo molto profondo:
"Quale preghiera, vorrei sapere, recitano i soldati durante le messe? Il "Pater noster"?  Faccia di bronzo! Osi chiamarlo "padre", tu che vuoi tagliare la gola al tuo fratello? "Sia santificato il tuo nome". Che cosa c’è che disonori il nome di Dio più che queste vostre risse?  "Venga il tuo Regno". Preghi così tu, che con tanto sangue hai edificato la tua tirannide?  "Sia fatta la tua volontà così in cielo come in terra". Lui vuole la pace e tu prepari la guerra? "Dacci il nostro pane quotidiano". Chiedi al Padre comune il pane quotidiano tu, che incendi le messi del fratello e preferisci morire di fame tu stesso, piuttosto che egli se ne giovi? Con che fronte pronunci queste parole:  "E rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori", tu, che ti appresti alla strage fraterna?  "E non ci indurre in tentazione". Scongiuri il pericolo della tentazione tu, che con tuo rischio provochi il rischio del tuo fratello? "Ma liberaci dal male". Chiedi di essere liberato dal male tu, che dal male sei ispirato a ordire il male estremo del tuo fratello?"

Naturalmente è stato ricordato anche il centesimo anniversario dall'inizio della Prima Guerra Mondiale, drammatico evento e "inutile strage" (come diceva Benedetto XV).
Sentivo che mio cuore batteva più velocemente quando è stata letta anche la poesia "Veglia" di Ungaretti.

    "Un’intera nottata
           buttato vicino
         a un compagno
          massacrato
       con la sua bocca
           digrignata
     volta al plenilunio
     con la congestione
       delle sue mani
           penetrata
        nel mio silenzio
             ho scritto
     lettere piene d’amore

       Non sono mai stato
              tanto
       attaccato alla vita"


 Proprio negli ultimi due versi è racchiuso il messaggio che l'autore vuole trasmettere: solo il dolore più estremo può suscitare un profondo attaccamento alla vita. Ungaretti infatti, scrive "lettere piene d'amore", rinnovando dunque il suo desiderio di vivere e di amare e comprendendo che egli deve continuare a vivere non soltanto per se stesso ma anche per tutti i suoi compagni morti durante la guerra.

La seconda tappa si è svolta a Campo Marzo, parco che si trova nelle vicinanze della stazione ferroviaria. Per me e per la mia amica questa seconda fase della marcia è stata la più divertente, innanzitutto per il fatto che ci è stata consegnata una lunga fiaccola (con la sua fiamma accesa davanti ai nostri occhi abbiamo attraversato tutto il parco) e poi anche perché abbiamo pregato cantando:
"Quante volte i cannoni dovranno sparar e quando la pace verrà? Quanti bimbi innocenti dovranno morir e senza sapere perché? Quanto giovane sangue versato sarà finché un'alba nuova verrà? -Risposta non c'é, o forse chi lo sa, perduta nel vento sarà.-".
Sono le domande che negli ultimi tempi mi sto facendo anch'io: quanti bambini innocenti moriranno ingiustamente a causa dei bombardamenti provocati dall'odio e dalla violenza? Quanti giovani ragazzi dovranno perire a causa della cattiveria?
Naturalmente vi sarà facile intuire che ho ripensato alla Strage di Srebrenica del 1995. Io sono nata in uno degli anni più bui della Storia Europea. E non ne vado fiera. Nel luglio del 1995 mia mamma era al settimo mese di gravidanza e mio zio Vincenzo si era laureato in teologia. Nella nostra famiglia regnava la felicità... e dall'altra parte dell'Adriatico dominava l'orrore, dal momento che si stava attuando un gravissimo massacro, a causa del quale si erano spente molte giovani vite.

"Addio ragazzo!
Le tue braccia
non potranno
mai più
stringere
le persone che ami.
 (...)
Addio ragazzo!
Del tuo limpido sorriso
non godrà più
la brillante luna
 che risvegliava
i tuoi innocenti desideri."

Ho recitato mentalmente due delle strofe che compongono la mia poesia "Addio ragazzo!", premiata ad un concorso letterario e pubblicata su questo blog proprio l'11 luglio 2014. L'ho composta con le lacrime agli occhi. L'ho letta diverse volte, silenziosamente, con le lacrime agli occhi. Sono una poetessa dilettante che cerca di esprimere i suoi stati d'animo e i suoi sentimenti con i versi, non sono una critica letteraria e non pretendo di diventarlo; anche se credo che siano soprattutto gli avverbi "mai più" e la correlazione "non...più" a conferire drammaticità al mio componimento.

Poi, nella mia mente ho formulato una specie di equazione: odio=guerra=violenza=dolore. L'odio è la principale causa della guerra. La violenza è generata dalla guerra. In un certo senso, è figlia della guerra. E violenza significa dolore.

Di fronte al "Busto di Gandhi" di Campo Marzo abbiamo ascoltato il famosissimo brano della Genesi che narra l'omicidio di Abele.
A seguire: una sosta nel Tempio di San Lorenzo, un'altra presso il Seminario Diocesano e infine la messa in Cattedrale.
E' stato il miglior  31 dicembre che abbia mai trascorso! Anche se, ad essere sincera, non ho partecipato alla messa in Cattedrale (anche se mi sarebbe piaciuto moltissimo!!!) perché dovevamo prendere il treno prima di mezzanotte.
Ma l'anno prossimo, se il Presidente di "Pax Christi" deciderà di organizzare la 48° marcia per la pace al di fuori del Veneto, ci fermeremo in un albergo per una notte!


... Un buon 2015 a tutti i miei lettori!!