19 febbraio 2016

Pietro Abelardo: la figura più affascinante della latinità medievale


Nel corso di questo primo semestre ho studiato anche una disciplina molto interessante denominata "letteratura latina medievale" e l'altro ieri ho dato l'esame.
A Verona questo insegnamento, al contrario di "letteratura latina classica", è opzionale; però io credo sia molto utile affrontarlo soprattutto per tre motivi:
-E' interessante studiare ciò che è avvenuto dopo l'età della Roma Imperiale e dopo il periodo della letteratura cristiana antica (S. Agostino, Tertulliano).
Come appare Pietro Abelardo in un manoscritto del XIV secolo
-Una buona parte dei politici europei tende a negarlo, ma è la verità: le radici dell'Europa sono cristiane! In particolar modo, in Italia per molto tempo la Chiesa ha avuto il monopolio della cultura.
Basti pensare infatti all'Alto Medioevo (periodo che va più o meno dal V fino al X secolo): in questi cinque secoli le uniche persone colte erano i monaci e i vescovi.
-Si tende a dire spesso: "Nel Medioevo non c'è stata cultura". Falsissimo! In quei dieci secoli sono vissuti degli intellettuali piuttosto brillanti che hanno prodotto soprattutto opere complesse e tutt'altro che mediocri di carattere teologico, filosofico e storico. Alcune delle loro idee sono sopravvissute sino ad oggi.
Davvero, per chi studia lettere questa disciplina si rivela molto arricchente!

Durante l'interrogazione il professore mi ha chiesto soprattutto di Paolo Diacono, uno storico di grande sensibilità e di considerevole levatura morale, vissuto nell'Alto Medioevo. Ma la figura che qui presento è Pietro Abelardo, vissuto a cavallo tra XI e XII secolo. E' una personalità che ha avuto una vita molto avventurosa e travagliata ma che ha dato importanti e significativi contributi alla riflessione teologica e filosofica.

BIOGRAFIA DI ABELARDO:

Gli studiosi collocano la sua data di nascita intorno al 1080 a Palais, in Bretagna. Dopo aver concluso gli studi filosofici a Parigi, nel 1114 gli viene dato l'incarico di docente presso la scuola cattedrale di Notre-Dame, dove intesse una relazione con Eloisa, la nipote di Fulberto, canonico di Notre-Dame.
Quando la giovane si accorge di essere rimasta incinta, Abelardo la fa fuggire in Bretagna e la sposa segretamente in modo tale da non compromettere la sua carriera di maestro. Però lo zio della ragazza, arrabbiatissimo, organizza una spedizione punitiva che si conclude con l'evirazione di Abelardo e con la diffusione della notizia della gravidanza di Eloisa, all'epoca incredibilmente scandalosa.
Pietro ed Eloisa decidono di rifugiarsi entrambi in due diversi monasteri: l'uno a Saint-Denis, l'altra ad Argenteuil. Pochi anni dopo, il filosofo ottiene dal suo abate il permesso di insegnare e nel 1123 fonda nei pressi di Troyes l'oratorio del Paracleto, scuola che ottenne un enorme successo presso i giovani, i quali accorrevano da tutta la Francia. Ma a causa delle sue posizioni teologiche anticonformiste, viene costretto ad abbandonare l'oratorio e a ritirarsi prima in Bretagna e poi a Cluny, dove muore nel 1142.

Una piccola curiosità: Abelardo era soprannominato "Golia" dai suoi avversari dottrinali. Nel Medioevo tale appellativo portava lo stesso significato del termine "demoniaco".
Una parentesi a proposito della lirica mediolatina: proprio nel periodo in cui vive Abelardo nascono la satira e la lirica goliardica. La satira, venata di ironia, nasce e si sviluppa con l'ingresso della dialettica in tutti i campi del pensiero, con il conseguente atteggiamento di ricerca della discordanza nelle cose. Toni satirici si trovano sicuramente nella poesia goliardica, scritta da maestri e studenti operativi naturalmente nel mondo delle scuole e delle Università. Essi erano detti "goliardi", ovvero, "figli di Golia= del diavolo".
La lirica goliardica, oltre ad affermare reali prese di posizioni politiche e religiose, critica ferocemente la corruzione degli ecclesiastici dell'epoca e rappresenta tutte le contraddizioni di una classe intellettuale che denuncia i propri difetti. L'attuale significato del termine "goliardo" deriva proprio dal Medioevo, dal momento che esso è attribuito a persone scherzose, ironiche, allegre e amanti della compagnia.

LA "LOGICA INGREDIENTIBUS":

"Logica Ingredientibus"= "Logica per principianti" (da "ingredior", "entrare, cominciare").
E' la sua principale opera filosofica, influenzata dalle teorie del suo maestro Roscellino. Abelardo si oppone a Sant'Anselmo d'Aosta dal momento che si pone su un "intelligo ut credam"= "comprendo per credere"-"intelligo" in latino medievale. Per Abelardo dunque è necessario possedere la conoscenza del mondo per poter giungere alla fede in Dio. Secondo il filosofo infatti le verità divine vengono raggiunte e dimostrate mediante la ragione. Il procedimento inverso "credo ut intelligam"= "credo per capire" invece intende porre in primo piano la fede per poter comprendere l'ineffabile mistero di Dio.
Abelardo aveva abbracciato la teoria nominalista, dottrina che ritiene che i termini di portata generale (gli universali) non posseggano una loro propria esistenza prima o scollegata dalle cose, ma vengano concepiti soltanto come nomi.  Egli dunque parte dall'idea che i nomi (anche individuali) sono sempre meno reali delle cose a cui si riferiscono. Gli esseri umani acquisiscono prima i concetti delle cose e poi, formatosi nella mente il concetto della cosa alla quale si è attribuito il nome, utilizza il nome stesso in proposizioni logiche di senso compiuto. Abelardo voleva dimostrare che la logica è una disciplina mentale che si occupa soprattutto di concetti e di proposizioni.
Per evitare di farvi venire il mal di testa faccio un paio di esempi: la rosa è un fiore delicato che spunta a tarda primavera, formata da molti petali profumati e foglie seghettate, con spine (ahimè!). Una volta che l'uomo si è formato questo concetto e gli ha attribuito un nome che ritiene adeguato e consono, lo utilizza in alcune frasi che si riferiscono proprio alla rosa, anche molto tempo dopo che la rosa stessa è sfiorita. Però l'adesione di Abelardo al nominalismo era rischiosa in ambito di speculazione trinitaria, perché se i concetti, sia universali che individuali, sono soltanto nomi, allora non esiste nemmeno la Trinità, che è il nome universale e vale per Padre, Figlio e Spirito Santo. Soprattutto in questo lo critica il monaco Bernardo di Chiaravalle, una delle personalità più intransigenti e più rigide dell'epoca. Bernardo... uno dei più ferventi predicatori a favore delle Crociate!

L' "ETHICA":

E proprio in quest'opera si registrano le sue innovazioni, pericolose per quel tempo!!
Egli si interroga sull'importanza da conferire, nella valutazione del peccato, dall'intenzione da parte di chi lo compie. "... Non quae fiunt, sed quo animo fiunt".
E qui, chi studia o ha studiato giurisprudenza, sicuramente si farà una sarcastica risatina, perché questa idea è fin troppo ovvia nel diritto penale. Non era però così scontata nel XII secolo!
Dunque, affinché esista la colpevolezza, è necessaria la consapevolezza dell'individuo a compierlo. Ed ecco che qui, i suoi avversari si scatenano affermando che questo pensiero nega il concetto di "peccato originale" presente nella Genesi e alla base della teologia morale del Cattolicesimo!
Però io sto pensando anche a questo: nella Genesi, Adamo sa bene che non deve mangiare dei frutti dell'albero perché glielo ha detto Dio. Dio lo ha avvertito di un pericolo. Dunque, quando cede alle parole del serpente, a mio parere egli dentro di sé è comunque consapevole di commettere un errore, di disobbedire a Dio. Quello che intendo dire è che Adamo ed Eva sanno di trasgredire, dunque il loro è davvero un peccato. Non per niente dopo aver mangiato si nascondono pieni di vergogna!  Modestamente credo che Bernardo di Chiaravalle abbia avuto torto...


L'"HISTORIA CALAMITATUM":


"La storia delle mie sventure". Questa raccolta di testi, che costituiscono il suo epistolario, fanno parte del genere autobiografico.
Molte sono lettere inviate ad Eloisa, la quale cerca di convincerlo sul fatto che il vero amore è quello libero e non quello legato da un contratto. Nelle sue lettere tra l'altro, Eloisa lamenta la sua monacazione forzata a cui peraltro Pietro l'aveva costretta per gelosia. Eloisa pone il problema del contrasto tra i suoi desideri interiori e il comportamento esteriore a cui si adegua per senso di responsabilità. 
In questo epistolario emergono da parte di Abelardo delle riflessioni profonde sulla sua gioventù, sui suoi ideali e sui suoi errori. L'intellettuale rievoca inoltre il loro reciproco innamoramento, verificatosi in un contesto culturale. Questa rievocazione rimanda al "libro galeotto" che porta alla perdizione Paolo e Francesca del canto V dell'Inferno
(vv. 129-138):
"Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto.

Per più fïate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.

Quando leggemmo il disïato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,

la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante".



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