25 marzo 2016

Gesù esposto al potere: il processo romano secondo Giovanni


Questo è uno dei passi biblici più coinvolgenti all'interno del Vangelo di Giovanni.
Lo avevamo commentato durante il corso biblico-narratologico, ma stavolta, anziché riportare la spiegazione trascritta sugli appunti, espongo ciò che avevo pensato durante il momento di riflessione personale, fase che di solito negli incontri biblici precede il commento da parte del relatore.



 IL POTERE SUBITO E LA RESISTENZA DI GESÙ:

«Allora condussero Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l'alba ed essi non vollero entrare nel pretorio per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua. Uscì dunque Pilato verso di loro e domandò: "Che accusa portate contro quest'uomo?". Gli risposero: "Se costui non fosse un malfattore, non te l'avremmo consegnato". Allora Pilato disse loro: "Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra Legge!". Gli risposero i Giudei: "A noi non è consentito mettere a morte nessuno". Così si compivano le parole che Gesù aveva detto indicando di quale morte doveva morire.
Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: "Sei tu il re dei Giudei?". Gesù rispose: "Dici questo da te oppure altri te l'hanno detto sul mio conto?". Pilato rispose: "Sono forse io Giudeo? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?".  Rispose Gesù: "Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù". Allora Pilato gli disse: "Dunque tu sei re?". Rispose Gesù: "Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce". Gli disse Pilato: "Che cos'è la verità?". E detto questo uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: "Io non trovo in lui colpa alcuna. Vi è tra voi l'usanza che io vi liberi uno per la Pasqua: volete dunque che io liberi per voi il re dei Giudei?". Allora essi gridarono di nuovo: "Non costui, ma Barabba!". Barabba era un brigante.
Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. I soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora; quindi gli venivano davanti e gli dicevano: "Salve, re dei Giudei!". E gli davano schiaffi. Pilato intanto uscì di nuovo e disse loro: "Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui nessuna colpa". Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: "Ecco l'uomo!". Al vederlo i sommi sacerdoti e le guardie gridarono: "Crocifiggilo, crocifiggilo!". Disse loro Pilato: "Prendetelo voi e crocifiggetelo; io non trovo in lui nessuna colpa". Gli risposero i Giudei: "Noi abbiamo una legge e secondo questa legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio".
All'udire queste parole, Pilato ebbe ancor più paura ed entrato di nuovo nel pretorio disse a Gesù: "Di dove sei?". Ma Gesù non gli diede risposta. Gli disse allora Pilato: "Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?". Rispose Gesù: "Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall'alto. Per questo chi mi ha consegnato nelle tue mani ha un peccato più grande".
Da quel momento Pilato cercava di liberarlo; ma i Giudei gridarono: "Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque infatti si fa re si mette contro Cesare". Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette nel tribunale, nel luogo chiamato Litostroto, in ebraico Gabbatà. Era la Preparazione della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: "Ecco il vostro re!". 15Ma quelli gridarono: "Via, via, crocifiggilo!". Disse loro Pilato: "Metterò in croce il vostro re?". Risposero i sommi sacerdoti: "Non abbiamo altro re all'infuori di Cesare". Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso.  »


Le letture tratte dai Vangeli e lette in occasione della commemorazione della Passione, della morte e della Risurrezione di Gesù corrispondono a una fase piuttosto lunga della liturgia. Al punto tale che al celebrante rimane poco tempo per poterle spiegare, e allora a questo punto è bene rifletterci personalmente.
Ecco ciò che ho pensato io anche in relazione alle frasi che ho evidenziato nel testo.

Allora, a mio avviso è descritta una situazione tragicomica. Ci sarebbe infatti un buon motivo per poter ridere di gusto, se non si trattasse della condanna a morte del Figlio di Dio. Perché questo processo sostanzialmente è una farsa, una commedia assurda: ancora prima di prestare ascolto all'imputato, la sentenza è già stata decisa: "Egli deve morire perché si è fatto Figlio di Dio".
Il processo dunque da questo punto di vista non avrebbe senso, o meglio, diciamo che il suo svolgimento è stata una perdita di tempo da un punto di vista pratico-decisionale, ma dal punto di vista etico-morale si è rivelato invece molto complesso e intriso di concetti impegnativi. Effettivamente, Gesù offre in modo autorevole i suoi insegnamenti anche durante il processo, che lo pone in una situazione di massima fragilità e vulnerabilità. Proprio per il fatto che Egli è Via, Verità e Vita.
E' stupenda ad esempio una delle prime risposte che Gesù dà a un Pilato che riesce a concepire il potere e l'autorità soltanto dal punto di vista mondano: "Il mio regno non è di questo mondo". Il regno di cui Gesù parla non è il regno dei marziani o di alieni che vivono in galassie molto lontane. E' piuttosto un regno caratterizzato dalla Giustizia e dalla Misericordia del Padre. In questo processo si discute a proposito di due tipi di autorità: quella di Pilato che implica dipendenza, prevaricazione e manipolazione; e quella di Gesù che invece è riferita alla Tenerezza di un Dio che ci lascia liberi di compiere le nostre scelte di vita e che non ci manipola MAI.
E poi, una domanda di Pilato: "Che cos'è la Verità?".  E' il punto del testo che più mi impressiona.
Parto dall'etimologia del termine anche se so di essere noiosa.
verità= dal greco αλήθεια, scomponibile in α-λανθάνω con α privativo e quindi: "non-nascosto".
Con la predicazione di Gesù, è rivelato alle genti il messaggio di Dio.
E cito ancora Giovanni, capitolo 1 (capitolo peraltro molto caro a Gabriella- che avrebbe festeggiato il compleanno ieri): "Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe. Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto."
Ma quale Verità, però? La domanda di Pilato è anche la mia, la nostra.
Io sono molto attratta da un Dio che si fa uomo e che accetta di essere condannato ingiustamente, che si fa crocifiggere e che poi risorge. Anche se non mi ritengo degna di un Dio così buono. Ma davvero questo amore sconfinato e incondizionato di Dio bisogna meritarselo? Anche qui, quale dei due atteggiamenti è più saggio: vivere con la convinzione che noi dobbiamo meritarci l'amore di Dio con le nostre buone azioni generose oppure semplicemente godere e rallegrarsi di questa infinita misericordia che ci accompagna sin dalla fase prenatale nel grembo materno?
Ad ogni modo, questo punto mi è abbastanza oscuro: si intende la Verità dell'esistenza di un Dio onnipotente e creatore del mondo che ama l'uomo con tutto se stesso? Oppure la Verità sul giusto comportamento da assumere nella vita terrena (con la speranza che ne esista un'altra dopo la morte)? O forse entrambe le cose? Non finisco mai di farmi domande sui comportamenti e sulle azioni di Gesù, proprio perché vorrei capire fino in fondo ma non ci riesco. E così a volte mi capita di sprofondare in vere e proprie masturbazioni mentali.

Per concludere, Pilato si dimostra velleitario verso Gesù: desidera per Lui la salvezza, ma il problema è che non la desidera abbastanza per poterla attuare concretamente. E in effetti, la sua non è una scelta responsabile perché come si suol dire: "Se ne lava le mani".


Concludo per davvero con la breve analisi di un dipinto:


CRISTO DERISO, BEATO ANGELICO:



 Si trova in una delle celle riservate ai monaci all'interno del convento domenicano fiorentino di San Marco.
 Gesù è raffigurato al centro seduto su uno scranno rosso e indossa una veste bianchissima, simbolo di purezza e di innocenza. In basso ai lati: la Vergine a sinistra e San Domenico (fondatore dell'ordine dei frati domenicani) a destra. Entrambi sono assorti in una profonda e sentita meditazione.  Intorno alla figura del Salvatore,  sullo sfondo di un pannello verde, l'artista si limita a raffigurare i gesti dei soldati che deridono Gesù e quindi indica lo sputo del viso a sinistra e tutte le mani che picchiano e addirittura bastonano. E questa tecnica è sia essenziale sia geniale.
E gli occhi di Cristo, bendati, sopportano con pazienza le umiliazioni che gli vengono inflitte.

 

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