28 settembre 2016

Tagore e la letteratura italiana:


Ritorna Tagore!
Con altri due componimenti che io trovo davvero stupendi.
Ho svolto l'analisi di questi canti e sono riuscita a trovare dei significativi parallelismi con alcuni poeti italiani. Eccoli qui:


 TAGORE, CANTO 10:

Oh, rendi nitida la mia anima nella cascata della luce mattutina,
detergi la polvere che mi copre e mi nasconde,
impigliata nella rete del sonno.
Tocca dolcemente con la verga d'oro la fronte della prima aurora.
Il vento soffia dal cuore dell'Universo,
il pazzo vento della vita, carico di canto.
Fa' che il mio cuore risuoni al suo tocco delicato.


E' una sorta di preghiera che nasce dal cuore del poeta nel momento in cui egli contempla la natura illuminata dal sole appena sorto.
A mio avviso, nella prima parte del canto, è possibile pensare a una contrapposizione semantica tra due concetti completamente diversi: mentre infatti la "luce mattutina" e "il vento della vita" starebbero ad indicare la voglia di vivere intensamente ogni giorno, la "polvere" e il "sonno" costituirebbero invece elementi di passività e forse anche di apatia. 
L'ho scritto più volte nei post precedenti: ritengo che gli esseri umani non possano mai provare un completo e duraturo stato di felicità e di pace interiore. Tra l'altro, sono propensa a credere anche che nessun uomo nel corso di un'intera giornata riesca a provare soltanto sensazioni positive.
I sentimenti attraversano la nostra mente, come le nuvole attraversano il cielo. 
I diversi stati d'animo sono causati dalle situazioni che la vita ci mette davanti, giorno dopo giorno.
Quando ricordo i giorni più felici della mia vita mi tornano alla mente anche le emozioni meno piacevoli che in quei giorni ho provato. 
Penso per esempio al giorno della mia Cresima (febbraio 2009): ero molto contenta, molto eccitata, impaziente di entrare in chiesa. Però allo stesso tempo ero agitata e nervosa, principalmente per due motivi: dovevo leggere le preghiere dei fedeli davanti a una folla di persone e poi... e poi volevo che la festa con i miei parenti fosse perfetta e impeccabile.
Anche il giorno del mio orale di maturità: ero tesa prima che mi interrogassero. Quando ero uscita, ho provato un sincero sollievo. Ero riuscita a concludere un lungo quinquennio che mi aveva fatta crescere, in tutti i sensi: fisico, culturale e psicologico. Però provavo anche una leggera apprensione verso l'ambiente universitario.
Tutti questi ragionamenti per affermare che l'animo del saggio e profondo Tagore è stato attraversato anche da stati d'animo negativi.
Tagore si rivolge alla Somma Divinità creatrice e custode dell'Universo per chiederle di alleviare il sonno e la pigrizia. Probabilmente è la polvere l'elemento che potrebbe far pensare all'apatia dovuta anche ad un senso di sfiducia nella vita. 
Ogni volta che da ragazzina ero giù di corda pensavo: "Ho la nebbia negli occhi".
Nebbia. Nebbia e polvere. In ogni caso, due elementi che non consentono una visione nitida della realtà.
Ed è vero. Nei periodi e nei momenti in cui si è molto tristi e avviliti non si riesce a scorgere con occhi limpidi ciò che ci circonda. Questo lo si comprende solo successivamente, quando si recupera sia la stima nelle proprie capacità sia la voglia di continuare a coltivare degli interessi e dei progetti.
Ad ogni modo, Tagore qui augura a se stesso di venire inondato dal vento della vita.
Quel vento che "soffia dal cuore dell'Universo" e che instilla in lui il desiderio di ricercare l'armonia, una profonda e significativa armonia con il creato. L'Universo è un'entità che emana l'energia vitale.

Avete presente la poesia "Fiumi" di Ungaretti, scritta nel periodo in cui egli stava combattendo la Prima Guerra Mondiale? Vi cito i versi 29-30: "Mi sono riconosciuto/ una docile fibra dell'Universo" e, poco dopo: "Il mio supplizio/è quando/ non mi credo/ in armonia".
In questo caso l'aggettivo docile si riferisce alla precarietà della sua condizione di uomo e di soldato; mentre il sostantivo fibra esprime un sentimento di comunione con l'Immensità che lo rende vivo.
In questo modo sono riuscita a spiegarmi meglio anche le prime parole del primo verso: "rendi nitida la mia anima", ovvero, rendila limpida, gioiosa e solare. L'alba allora potrebbe rappresentare una sorta di purificazione interiore mentre la Natura tutta, rivelando la sua bellezza e la sua varietà alla luce del sole, risveglia il desiderio del poeta di appassionarsi alla vita.



TAGORE, CANTO 13:

"Il giorno è compiuto.
Sottrai ai miei occhi
il velo di luce del sole calante.
Nel cuore delle Tenebre vivono le sorgenti
dell'eterna Luce.
Versale liberamente in me.
Alla fine, fa che tutte le parole
fondano e diventino una.
Dentro il cuore della Voce Silenziosa
gioca l'eterna melodia... 
                                                 Quella melodia sussurra alle mie orecchie."

E' tramonto. Il sole, nell'atto di scomparire dietro l'orizzonte, lascia una scia (un velo) di luce flebile.
L'imperativo "sottrai" è dovuto ad uno stato d'animo di lieve angoscia: nel contemplare il tramonto, Tagore ricorda a se stesso che la morte si sta avvicinando.
D'altra parte, non dimentichiamo che Tagore scrisse molti canti nell'ultima fase della sua vita.
Il buio delle "Tenebre" rimanda ad un concetto fatale e certo: il poeta è consapevole del fatto che, quando chiuderà gli occhi per sempre, non potrà più vedere nè la luce del giorno nè (tantomeno!) gli oggetti illuminati e animati da essa.
Però egli crede anche che nel buio della morte vi siano le sorgenti della luce Eterna, ovvero, della luce Divina. E così anche questo componimento diviene una preghiera rivolta al Creatore: sembra quasi che Tagore lo esorti a infondergli nell'animo la speranza di una vita ultraterrena in cui sarà possibile godere della visione di Dio per l'eternità.
Gli ultimi cinque versi del canto sono incentrati sulle modalità con cui il poeta entra in comunicazione con la Divinità: "l'eterna melodia" altro non è che l'emblema di un dialogo profondo fra Tagore e Dio, un dialogo che non ha bisogno di parole, un dialogo emozionante come può esserlo soltanto una soave melodia.

Dal punto di vista delle tematiche enunciate nella prima parte, questo canto mi ha ricordato la prima strofa de "l'Assiuolo" di Pascoli:

"Dov'era la luna? ché il cielo
notava in un'alba di perla,
ed ergersi il mandorlo e il melo
parevano a meglio vederla.
Venivano soffi di lampi
da un nero di nubi laggiù;
 veniva una voce dai campi:
chiù...

(...) "

Vi sono immagini molto suggestive: ci immaginiamo infatti il cielo immerso in una biancastra luce lunare che fa presagire l'alba.
Tuttavia, anche qui non mancano certo gli elementi oscuri: i barlumi dei lampi, un ammasso nero di nubi e il verso lugubre dell'uccello che si diffonde nell'aria.
Il verso dell'uccello si ripete alla fine di ogni strofa, fino al punto in cui il poeta conclude: "e c'era quel pianto di morte... / chiù".

Come nel canto di Tagore la luce del sole è flebile perché sta per essere sopraffatta dall'oscurità della notte, così in questa poesia di Pascoli la luce della luna è pallida perché rischia di venire celata dal nero spaventoso delle nubi.
In ogni caso, entrambe le immagini alludono sia alla fragilità dell'esistenza umana sia alla morte che incombe. Tagore ambienta la sua poesia all'imbrunire, mentre Pascoli all'aurora.

La differenza sta nel fatto che Tagore credeva fermamente in un luminoso aldilà, mentre Pascoli, come magari sapete o ricordate, era ateo, malinconico ed estremamente pessimista.


25 settembre 2016

Sabbioneta, piccolo gioiello lombardo.


E' da una vita che scrivo articoli e riassunti: su questo blog ho iniziato nell'estate 2010. Ma non è stato blogger la mia prima "palestra" di allenamento per coltivare le mie abilità di scrittura. Oltre a numerosi diari dell'epoca pre-adolescenziale, per un certo lasso di tempo (2007-2009), ho anche scritto alcuni articoli sul bollettino parrocchiale del nostro paese. Non erano altro che semplici e precise descrizioni dei viaggi che la mia cara Gabriella provvedeva a organizzare in modo efficiente.
Morale della mia breve favola di vita: sono anni e anni che mi sto esercitando e spero che i risultati si vedano. Vorrei che le mie abilità di scrittura crescessero con me, parallelamente.
Chissà se lei può vedere tutto quello che scrivo... da lassù.

Sabbioneta, giardini all'angolo
Ieri sono stata a Sabbioneta con i miei. Un'uscita svolta un po' in occasione del mio ventunesimo compleanno, un po' come premio a causa dei miei ottimi risultati all'Università. Il mio compleanno è domani, ma domani non avrò tempo per riflessioni, post, speculazioni e cose simili.
Mi è venuta un'idea però: proprio come facevo quando ero alle medie, ho deciso di svolgere un resoconto di questa uscita, anche come omaggio nel sentito ricordo di una persona esterna alla famiglia che mi ha sempre stimata molto e mi ha sempre incoraggiata, costantemente e senza doppie facce.
Dispongo di un bel po' di notizie storiche e artistiche.
Eccovele: 


SABBIONETA, ORIGINE DEL NOME E BREVE STORIA:

Il nome di questa graziosa cittadina deriva da "sabbia", ovvero, dai depositi alluvionali dei fiumi Po' e Oglio. I benedettini bonificarono il territorio nell' XI secolo costruendovi un piccolo borgo medievale. Nel 1428, il borgo venne ereditato dai Gonzaga, signori di Mantova. Nel corso del  XVI secolo, Vespasiano Gonzaga fece erigere una città secondo i canoni dell'architettura romana.

VITA DI VESPASIANO GONZAGA:

Vespasiano, figlio di Luigi Gonzaga e di Isabella Colonna, era nato nel 1531. Rimasto orfano di padre quando ancora era molto piccolo, la sua educazione era stata affidata alla zia Giulia, nobildonna che considerava molto importante una formazione principalmente umanistica per il futuro duca di Mantova.
Sin da giovanissimo aveva prestato servizio militare all'imperatore Filippo II di Spagna il quale lo aveva nominato Capitano Generale delle fanterie Italiane dal momento che aveva riconosciuto le sue brillanti doti strategiche. A 23 anni aveva ottenuto anche il titolo di vicerè di Navarra e nel 1585 aveva ricevuto da Filippo II il collare del Toson d'oro come riconoscimento delle sue qualità di difensore della religione cristiana.
Vespasiano amava con tutto se stesso la letteratura delle lingue classiche e l'arte antica; al punto tale che, quando aveva ereditato il ducato di Mantova, aveva cercato di realizzare una città, Sabbioneta appunto, ispirandosi ad uno schema classico.
Questo duca apprezzava e incentivava la cultura e nel corso della sua vita aveva dimostrato anche una notevole apertura mentale verso la popolazione ebraica presente nel mantovano: aveva sempre cercato di integrare gli ebrei all'interno della società, facendo costruire una sinagoga a Sabbioneta e rinunciando a segregarli in un ghetto. Ma non dev'essere stato di ottimo carattere, e questo lo si deduce facilmente dalle sue tormentate vicende familiari.
La prima moglie, che era la marchesa Diana di Cardona, era morta di apoplessia quando era ancora molto giovane. Sulla morte di Diana però esiste anche un'altra versione, alla quale io sarei più propensa a credere (anche nel Cinquecento c'era un alto grado di disumanità e di inciviltà!): colpevole di adulterio, sarebbe stata rinchiusa in una stanza del castello insieme al corpo dell'amante ucciso. Ogni giorno, un boia dal volto coperto, apriva la porta della cella per porgerle una coppa di veleno, fino al giorno in cui Diana, stremata dai morsi della fame, aveva bevuto dalla coppa letale.
Vespasiano si era risposato con Anna d'Aragona, dalla quale aveva avuto tre figli: il maggiore, Luigi, a soli 15 anni era stato ucciso dallo stesso Vespasiano con un calcio al ventre a seguito di un litigio sorto per una mancata riverenza.
Nemmeno il matrimonio con Anna d'Aragona era andato a gonfie vele: la donna infatti, in preda a forti depressioni, lo aveva abbandonato per ritirarsi in solitudine a Rivarolo.
Vespasiano era morto nel 1591 a seguito di un tumore cerebrale, nemmeno sessantenne.

I MONUMENTI PIÙ SIGNIFICATIVI DI SABBIONETA:


Palcoscenico
1) Il "Teatro all'Antica":
Fu l'architetto Vincenzo Scamozzi a progettarlo, nel maggio del 1588. All'esterno è costituito da due ordini: quello inferiore, con finestre, portali e spigoli contornati a bugnato e poggianti su un alto zoccolo, e quello superiore contraddistinto da lesene doriche binate, nicchie e finestre sormontate da timpani triangolari. Sempre all'esterno, si trova un'iscrizione: "Roma quanta fuit ipsa ruina docet". La traduzione letterale sarebbe: "Le stesse rovine insegnano quanto grande fu Roma." Ma io preferisco tradurre più liberamente, dal momento che questo edificio non è una rovina, è ancora intatto e meraviglioso: "Questo stesso edificio ci ricorda quanto Roma fu mirabile in passato".

All'interno, la sala rettangolare contiene una cavea semicircolare e un palco sul quale vi era la scena fissa di una prospettiva urbana costeggiata da edifici nobili e borghesi realizzati in legno, stucco e tele dipinte a finto marmo. (adesso è stata ricostruita per rendere l'idea di com'era).

Cavea
 
 Al di sopra della cavea si trova una loggia costituita da un colonnato corinzio sormontato da statue, tutte in stucco, che raffigurano alcune divinità dell'Olimpo.
Nelle nicchie ai lati del colonnato, quattro busti raffiguranti degli antichi condottieri.
Vi sono anche due affreschi parietali: a sinistra è rappresentata la piazza del Campidoglio e a destra invece Castel Sant'Angelo (questo purtroppo è mezzo cancellato).


L'edificio, completato nel 1590, conobbe un periodo di scandalosa decadenza dopo la morte di Vespasiano: nei secoli successivi infatti venne utilizzato come granaio, caserma militare e magazzino (Dio mio, che roba indegna!).
Il complesso venne sottoposto a lavori di restauro negli anni Cinquanta. Solo dal 1970 esso ritornò a svolgere la funzione di teatro.


2)"Palazzo Giardino": 
Il portico è spettacolare! Era il luogo in cui il duca si ritirava per leggere, studiare e trovare sollievo dagli impegni di governo.  L'edificio, a due piani e di forma allungata, fu decorato in un periodo compreso tra il 1578 e il 1588.
Molto rilevante dal punto di vista pittorico sono innanzitutto la sala dei miti, dove vi sono spazi ovali in cui sono raffigurati i miti di Aracne e Minerva, Dedalo e Icaro, Fetonte ed Apollo.
Nelle pareti del corridoio di Orfeo è dipinto sia l'episodio in cui Orfeo ammansisce le belve al suono della lira sia quello in cui egli stesso giunge agli Inferi dinanzi a Plutone e a Proserpina per recuperare Euridice.
Nelle pareti del camerino di Enea sono raffigurati episodi tratti dai primi sei libri dell'Eneide, mentre sulla volta compaiono sia dei dipinti relativi ad animali esotici sia degli ovali in cui sono rappresentate le virtù cardinali.

Aracne e Minerva
















Palazzo Ducale
3)"Palazzo Ducale":
Mi è piaciuto un po' meno rispetto agli altri edifici. Qui è soprattutto l'architettura che lo rende interessante e raffinato. Era il centro della vita pubblica e amministrativa di Sabbioneta ed è stato realizzato tra il 1560 e il 1561 dopo un incendio che aveva devastato l'edificio precedente. La parte inferiore della facciata presenta un porticato a bugnato con cinque aperture arcuate. La gradinata di ingresso invece è in marmo bianco. Le finestre sono sormontate da timpani triangolari e curvilinei alternati.

Il Palazzo si sviluppa su quattro livelli: il seminterrato, il piano terra, il piano nobile e il piano ammezzato.
Soprattutto i soffitti dei saloni sono decorati, talvolta in oro. Delle pitture parietali purtroppo rimane ben poco.
La stanza più significativa si trova al pinao nobile ed è il salone delle aquile, nella quale sono collocate le statue equestri scolpite da un artista veneto per celebrare le virtù militari di alcuni membri della famiglia Gonzaga: Luigi, Vespasiano, Gian Francesco e Ludovico.

statue equestri


Cappella dell' Incoronata
4) "Chiesa della Beata Vergine Incoronata": L'ingresso avviene tramite un portichetto con tre aperture arcuate a cui è addossato il campanile. Secondo la volontà testamentaria del padre, la figlia Isabella Gonzaga fece ristrutturare l'edificio tra il 1592 e il 1594. Sulle parti laterali della loggia di accesso sono murate due lapidi di considerevole importanza storica: quella di destra è dedicata al cardinal Pirro, zio di Vespasiano; mentre quella di sinistra si riferisce alla piena integrazione di cui godettero gli ebrei di Sabbioneta.

L'interno della cappella si sviluppa su tre livelli: il primo formato da otto arcate separate da lesene, il secondo da un matroneo ritmato da bifore, il terzo dal tamburo che sostiene la cupola, conclusa da una luminosa lanterna.
Presso l'altare principale è collocato anche il monumento funebre di Vesapsiano realizzato nel 1592 da Giovan Battista della Porta.
Vespasiano qui
 appare nelle vesti di Marco Aurelio, con la mano tesa.

Cupola cappella



















5) Chiesa di Santa Maria Assunta: Venne costruita nel 1581 su disegni dell'architetto mantovano Pietro Pesenti. La chiesa è a croce latina con una sola navata e a pianta ottagonale.
La facciata è caratterizzata da un motivo geometrico in cui vengono alternati marmi bianchi e rosa.



6) La Sinagoga: Concludo con la Sinagoga.



Si trova all'interno di un palazzo cinquecentesco, poco lontano dalla Chiesa dell'Assunta.
La decisione di costruire la sinagoga fu presa nel 1821 dalla comunità ebraica locale per marcare la sua autonomia amministrativa da Mantova.
L'ho accennato sopra: a Sabbioneta non esisteva il ghetto, anche se permanevano tuttavia ancora le limitazioni per la costruzione di un edificio monumentale.
L'aron, ovvero, l'armadio sacro, è collocato tra due colonne con capitelli corinzi ed è sormontato da un timpano con una scritta in ebraico a caratteri d'oro. La modesta sala è illuminata da finestre dalle quali penetra la luce del sole che cade proprio su alcuni banchi di legno ottocenteschi.

In terza media ho presentato una tesina sulla Shoah. Il genocidio più grave della storia dell'umanità visto con gli occhi di due bambini ("Il bambino con il pigiama a righe") e anche con gli occhi di un ragazzo di vent'anni rinchiuso a Dachau che si sorprende, con intensa malinconia, di vedere una farfalla nel campo.
Su questo blog ci sono diversi post dedicati allo sterminio degli ebrei.
Quindi, siccome sono sempre stata molto interessata all'argomento e anche alla cultura ebraica, ho fotografato, nella sala accanto alla sinagoga, alcuni oggetti liturgici.
















P.S.= Pensate a Yoram Friedman. Tutta l'umanità gli deve un pensiero, considerando almeno quanto è stato forte e tenace!


16 settembre 2016

A Tiziana sono dovuti rispetto e pietà!


"Dimentica quello che è stato, comunque non ritornerà.
Dimentica le mie parole, se puoi perdonami... Non sempre c'è un lieto fine. 
Dimentica l'amore e forse... anche il dolore passerà.
(...) Dimentica il dolore e forse l'amore ti ripagherà".

Sono le parole scritte e cantate da Raf in un singolo intitolato "Dimentica". Cerca di dimenticare.
Dimentica il nostro amore. Non devi far finta che non sia mai esistito. Solo... impara ad accettare la fine di una storia sentimentale che era già fragile, triste, insoddisfacente. Impara a perdonare te stessa e me. Impara a superare i tuoi fallimenti, anche relazionali. Per ogni fine c'è sempre un nuovo inizio. Forse in futuro camminerai su strade migliori. Ma impara a lasciarti alle spalle il passato e non soffrire inutilmente.
Non covare sentimenti di odio e di vendetta, altrimenti ti fai del male.



Certo, se tutti ragionassero alla maniera di Raf le nuove tecnologie come Whatsapp, i motori di ricerca e i social network non sarebbero strumenti finalizzati anche a diffondere e ad esibire tradimenti a sfondo sessuale nei confronti degli ex fidanzati.
La povera Tiziana ha avuto un'esistenza breve e infelice: abbandonata dal padre subito dopo la nascita, alcool dipendente a soli vent'anni, lasciata dal convivente all'inizio del 2015.
La povera Tiziana era affamata d'amore. Era infelice, sofferente, insoddisfatta di se stessa. Era alla ricerca di un amore autentico, generoso e gratuito. Di un amore che non ha mai né provato né sperimentato. Di un amore che purtroppo non potrà provare mai più.
Tiziana si trova in una bara. A causa della sua leggerezza, a causa del suo pessimo piano di vendetta e anche a causa della sua folle ingenuità. Sì, perché questa giovane ha commesso un grave errore senza immaginare nemmeno lontanamente le nefaste e nefande conseguenze che ne sono poi effettivamente derivate.
Ha permesso, anzi, è più esatto dire, ordinato ad un amico di riprendere i momenti in cui lei e un altro giovane facevano sesso per suscitare la rabbia dell'ex-convivente, definito tra l'altro un cornuto. Pensate a che punti può arrivare la delicatezza giovanile!
Ironia a parte, Tiziana non va né difesa con parole lontane dalla verità e dalla logica razionale, né disprezzata con commenti pesantemente sarcastici o con insulti incivili.

"Tiziana ha sbagliato. Ma ha sofferto moltissimo e ha pagato con la vita i suoi errori. Ora chiedo soltanto silenzio, rispetto e pietà", avrebbe detto una vera madre.
La ragazza non può essere stata plagiata da nessuno, perché era adulta e perché era consenziente.
Se ha voluto essere filmata allora non può essere stata ripresa contro la sua volontà. La sua famosissima frase: "Stai facendo un video? Bravo!" ne è la prova.
Quella frase era diventata un tormentone e i video erano addirittura finiti su alcuni siti porno.
Ed ecco che allora sono piovuti gli insulti e i commenti cattivi, dovuti alla continua diffusione di quei sei filmati che le hanno tolto la dignità di donna.
Rabbia, delusione verso gli amici, depressione, mancanza di validi sostegni psicologici e morali. E infine, il suicidio.
Chi decide di impiccarsi in cantina con un foulard non è soltanto un depresso. E', consentitemi un superlativo colloquiale e non letterario, stra-super disperato, dal momento che si sente soffocare da vergogna, da sensi di colpa, da umiliazioni cocenti. E da un'insopportabile isolamento sociale.

Non voglio soffermarmi più di tanto sui commenti che infangano ulteriormente la memoria di Tiziana e che i social come Facebook stanno provvedendo a rimuovere. Sembra che la malvagità e l'insensibilità non
abbiano limiti. Per favore, basta! Si è impiccata perché lei stessa non si sopportava più e non sopportava più quella vita. Aveva appena 31 anni. Ditemi voi se quella è l'età per morire.
A 31 anni, ovvero, quando si dovrebbero raggiungere degli obiettivi importanti come l'indipendenza economica e un posto di lavoro importante, impegnativo e sicuro. Trentun anni. L'età giusta per intraprendere delle scelte di vita cruciali come il trasferimento lontano dalla casa dei genitori, il matrimonio, l'arrivo dei figli.
Dovremmo imparare a tacere e a riflettere di fronte a gesti così estremi come quello di Tiziana.
Dov'è la compassione? Dov'é la sensibilità?

Per chiudere il post, vi propongo la scelta di due frasi:

A) La sensibilità è una scintilla che accende in cielo arcobaleni d'amore.
B) La sensibilità è un sentimento per palchisti, tipico delle persone fragili che trascorrono la vita a piangere e a preoccuparsi inutilmente per le disgrazie altrui.

... Chissà se tutti opteranno per la frase A)!
Tanto, si sa che nel  mondo purtroppo ci sono molti pornomani e persone che  non si fanno scrupolo a ledere la dignità altrui, mentre invece dovrebbero sottoporsi a un serio e profondo esame di coscienza!

9 settembre 2016

"Basta guardare il cielo": il valore dell'amicizia


 "Ogni singola parola fa parte di un'immagine, ogni frase è un'immagine. Quello che devi fare è lasciare che la tua fantasia leghi un'immagine all'altra".


Forse gli ex allievi di mia mamma ricordano questo film... Forse, ma dubito; d'altronde è trascorso molto tempo. Faceva parte del programma di religione delle terze medie dell'anno scolastico 2007/2008. Se lei per mancanza di tempo non riusciva a integrarlo nel suo programma annuale di insegnamento, delegava ai suoi colleghi di lettere il compito di farlo proiettare in aula video.

Anche questo è uno dei miei film preferiti.
Al vertice chiaramente, stanno "I passi dell'amore", "Colpa delle stelle" e "Bianca come il latte, rossa come il sangue" (meglio il romanzo di D'Avenia però, perché in questo caso il regista Giacomo Campiotti ha un po' modificato i contenuti della storia. Ha reso bene il carattere dei personaggi, ma i contenuti e gli eventi rappresentati non sono proprio così fedeli al libro). Poi viene "Into the wild" con il mitico Alex Supertramp. E poi "Basta guardare il cielo".

L'ho rivisto in questi giorni e alla fine ho pianto come una fontana, proprio come otto anni fa (e meno male che ero sola in casa, non voglio che mi vedano). Solo che otto anni fa ero ancora una bambina che giocava con i pupazzi, tra l'altro molto convinta del fatto che anche le piante, le rocce, i fiori e i fili d'erba avessero un'anima e provassero dei sentimenti. Ora sono una ragazza che potrebbe mettersi a piangere persino per un saluto o per un gesto d'affetto, che talvolta cammina lungo la strada con un serafico sorriso sulle labbra, senza sapere esattamente a cosa sia dovuta quella sensazione di pace interiore.

Ad ogni modo, in questa profonda e malinconica pellicola è raccontata la storia di un'amicizia tra due mondi che inizialmente sembrano incompatibili e diametralmente opposti: quello di Max, tredicenne insicuro che porta sulle proprie spalle il peso di un'enorme tragedia familiare; e quello di Kevin, un ragazzino incredibilmente intelligente affetto dalla sindrome di Morquio.
Non sto studiando medicina, ma devo confessarvi che quando ancora frequentavo il liceo ero rimasta piuttosto suggestionata dall'argomento delle malattie genetiche in biologia. Davvero, questo è stato uno dei pochi argomenti scientifici che ho approfondito con ricerche e letture personali.
La malattia di Kevin comporta la displasia delle ossa, dovuta alla carenza di un enzima che sarebbe necessario per la degradazione progressiva delle componenti della cartilagine (il cheratan solfato e la condriotina 6 solfato). I soggetti affetti da questa sindrome presentano innanzitutto una statura molto bassa che non supera i 130 cm, cifosi o altre malformazioni scheletriche, vulnerabilità alle infezioni virali e possibili patologie che possono compromettere la capacità visiva, come opacità corneali e congiuntivite cronica.
Una vera e propria disgrazia, insomma. Inutile precisare che non si sopravvive a lungo a questa malattia.
Kevin è un adolescente con un corpo da bambino, per questo viene soprannominato "Lo Storpio". Ma nonostante ciò, il suo sorriso sveglio e simpatico cela in parte l'enorme dramma con cui è costretto a convivere. Kevin è davvero una figura meravigliosa, un ragazzino che ha trovato la forza di creare attorno a sé un mondo caratterizzato da fantasie cavalleresche e da curiosità scientifiche.
Intendiamoci, non è un personaggio chiuso in se stesso che rifiuta il contatto con l'esterno. E' un giovanissimo genio capace di amare e desideroso di vivere intensamente ogni attimo che la vita gli concede. Anche se, come Jamie Sullivan, sa bene di essere presto destinato alla morte dal momento che il suo corpo non reagisce e non reagirà mai alle cure.

Max vive con i nonni e inizialmente sembra stupido, vuoto e inconsistente, incapace di dialogare con gli altri. In realtà il suo è un blocco mentale dovuto ad un gravissimo trauma che ha subìto da piccolo: ha visto il padre che strangolava la madre.
Max è il narratore della storia.
Egli stesso, nella prima scena del film, si definisce "un ragazzo senza cervello". Questo perché è assolutamente privo di autostima e di stimoli. Il suo rendimento scolastico è assai scadente.
Oltre a ciò è vittima di pesanti atti di bullismo da parte dei suoi coetanei, assolutamente insensibili, arroganti e... cattivi.
Può un adolescente essere cattivo? Secondo me sì. Alcuni adulti ingenui non vogliono che questo aggettivo venga attribuito a una persona in fase di crescita, ma questo perché hanno le fette di prosciutto sugli occhi e non vogliono vedere la realtà. Vogliono mistificare la realtà, ma in parte è anche colpa loro se certi giovani si esprimono alla maniera degli scaricatori di porto e agiscono in modo violento, alla stregua dei delinquenti più pericolosi. Certi adulti si rivelano davvero speciali nel rovinare i giovani...
"I passi dell'amore" e "Basta guardare il cielo" illustrano in modo molto realistico il problema del bullismo.
E, vi dirò di più: sia in "Bianca come il latte, rossa come il sangue" sia in "Colpa delle stelle" è molto evidente anche l'insensibilità... Io che adoro film e storie di questo genere, io che ci ho riflettuto molto attentamente ho pensato: ma dove c***o erano tutti gli altri? Cioè, dov'erano gli amici e i compagni di Beatrice, dov'erano le amiche di Hazel e gli amici di Gus nel momento in cui loro ne avrebbero avuto più bisogno? L'amicizia e l'affetto non consistono proprio nelle attenzioni che dovresti riservare alle persone che ami, o meglio, che dici di amare, quando esse si trovano nel dolore e nella malattia?  L'amicizia e l'affetto non comportano anche le memorie, rievocate con una lacrima e un sorriso, di un passato lieto e felice che è importante far riemergere quando si sta attraversando un presente buio e doloroso?
Dolore e condivisione... ma è proprio questa la vita??! Credo di sì. Alternanza di malinconia e di gioia, senza mai poter assaporare un completo e duraturo stato di felicità.

Questa è la scena del primo incontro tra Max e Kevin. Tocca le corde del cuore!



Max e Kevin si recano alla festa dei fuochi d'artificio ed è proprio questo evento che intensifica la loro magica alleanza contro gli attacchi di malvagi cavalieri che mirano a distruggere il loro grandioso regno fondato sulla solidarietà... ecco, anch'io ora sto ragionando alla maniera di Kevin.



Molto positiva è anche Gwen, la madre di Kevin, costretta a sopravvivere ad una terribile perdita e quindi ad un dolore immenso e profondo come l'oceano.
Kevin se ne va nel sonno, una settimana dopo il Natale. Non appena Max apprende la tragica notizia, si precipita fuori di casa pronto ad inseguire l'ambulanza che sta trasferendo all'ospedale il corpo di Kevin. Max è letteralmente fuori di testa: "Nooo!!! Non doveva succedere!! Mi aveva detto che gli avrebbero fatto un corpo nuovo, chimicamente perfetto!"
Proprio in quel punto Gwen gli dice una frase straziante: "E' morto perché il suo cuore era diventato troppo grande per il suo corpo".
Dio, come capisco questa frase! Perché scrivo poesie e anche perché so cosa significa perdere qualcuno a cui si vuole un bene dell'anima.

Max, un corpo nuovo non te lo fa nessuno. In nessun ospedale, in nessuna clinica.
Nemmeno le persone straordinariamente belle vivono in eterno, anzi, a volte certe circostanze della vita le allontanano da noi. E purtroppo accade che se ne vadano prima di noi.
Ma nella fase della sofferenza, i loro occhi si illuminano, il loro cuore si riempie sempre più di un amore altruistico e diviene sempre più grande, sempre più grande e anche sempre più leggero, leggero come un enorme palloncino librato nell'aria. Fino al punto in cui scoppia. E' così: il cuore delle persone molto buone scoppia quando diviene troppo grande.
Piangere e urlare è umano, ma prima si impara ad accettare la realtà della morte, che prima o poi avviene per tutti, meglio è.

Tuttavia, il regista non lascia lo spettatore con l'amaro in bocca.
La sera prima di morire, Kevin dona un piccolo quaderno a Max, dicendogli, con gli occhi lucidi: "Non è necessario che tu dica niente. Lo so che sei sopraffatto dalla gratitudine. Chiudi gli occhi. Ogni singola parola fa parte di un'immagine. Ogni singola frase è un'immagine. Quello che devi fare è lasciare che la tua fantasia leghi un'immagine all'altra. Ammesso che tu sia dotato di fantasia."
Prima di rientrare nelle rispettive case, i due ragazzi si scambiano uno sguardo oltremodo significativo: Kevin sorride per ringraziare Max, dal momento che quest'ultimo ha saputo stargli vicino in un letto d'ospedale e lo ha aiutato a vivere delle magnifiche avventure; Max osserva intensamente Kevin. I suoi occhi sono pieni di riconoscenza verso quel povero piccolo genio che lo ha spronato, sin dal loro primo incontro, a credere in se stesso.
Su quel quaderno Max scrive i ricordi della loro amicizia.

In questo film emerge anche la tematica dei pessimi padri. I pessimi padri, già... impari a conoscerne molti quando studi letteratura, anzi, quando fai della letteratura una delle principali ragioni delle tua vita. Leopardi aveva un pessimo padre, fortemente autoritario, oppressivo e avaro.
Anche il poeta Umberto Saba da ragazzino non aveva un buon rapporto con la figura paterna... anzi, è più corretto dire che non aveva rapporti con il padre perché in una poesia scrive: "Mio padre è stato per me l'assassino/ fino ai vent'anni che l'ho conosciuto". Da bambino sapeva bene che suo padre aveva abbandonato sua madre e naturalmente, come ogni bambino che si trova a vivere, o meglio, a subìre ciò, egli provava un fortissimo senso di avversione verso di lui. 
E questi sono soltanto due esempi. 
Ad ogni modo, Max teme di diventare violento come suo padre. Anche per questo è incredibilmente insicuro. D'altro canto, Kevin non ha mai conosciuto il suo, dal momento che, non appena ha sentito la parola "malformazione", è fuggito. 
"Tu non sei tuo padre: puoi assomigliargli, ma tu sei un altro", dice Kevin a Max. Infatti Max ha un cuore d'oro, è generoso e sincero.
 
Mi sono piaciute molto anche queste frasi pronunciate da Kevin:

"Il cielo è come una fotografia di milioni di anni fa. Un vecchio film prioettato lassù. Molte di quelle stelle si sono spente ormai, noi stiamo vedendo una replica."



Anche le stelle seguono il corso della natura. Anche le stelle nascono e muoiono. Ma il cielo si ripopola sempre di amabili meraviglie!


1 settembre 2016

Le cronache di Narnia: il leone, la strega e l'armadio- significati e simbologie religiose.

Sembra un libro destinato soltanto ai bambini. In realtà Lewis, l'autore, ha creato una storia intrisa di significati storici e religiosi, comprensibili soprattutto da giovani e adulti. 
Hanno anche fatto un bellissimo film!

E' il 1940. I bombardamenti distruggono Londra e seminano morti, terrore e angoscia. Per questo la madre di quattro fratelli, Peter, Susan, Edmund e Lucy, decide di separarsi da loro e di farli trasferire nelle campagne del Nord, più sicure e isolate. I quattro ragazzini vengono allora ospitati nell'enorme casa di un anziano professore.
In una mattina piovosa, dopo la colazione, Lucy, la più piccola, entra in un grande armadio di legno e qui scopre un nuovo mondo.
"... Dietro la prima fila di pellicce ce n'era un'altra. Lucy fece qualche passo, tenendo le braccia tese in avanti: non voleva sbattere improvvisamente contro la parete dell'armadio. Un passo, due, un altro. All'interno era buio, Lucy non vedeva niente e per quanto annaspasse con le mani non incontrava che il vuoto. Continuava ad avanzare e a scostare le pellicce per farsi spazio. Poi cominciò a sentire qualcosa che scricchiolava sotto le scarpe. -Ancora naftalina?-si domandò, chinandosi per sentire con le mani. I polpastrelli rivelarono qualcosa di morbido, sottile come sabbia e freddissimo. -Molto strano, sembra neve- mormorò Lucy. Un attimo dopo sentì contro il corpo e il viso qualcosa di duro e ruvido, perfino pungente. - Sembrerebbero rami d'albero- bisbigliò, sempre più sbigottita. E allora vide una piccola luce che brillava lontano, dritto davanti a lei. Lucy si rese conto che dove avrebbe dovuto esserci la parete di fondo dell'armadio c'erano invece alberi."

Durante la sua esplorazione di quel bosco magico immerso nel gelo della neve, Lucy incontra un fauno, il signor Tumnus.



Tumnus poi la invita nella sua caverna per la merenda e proprio in questo punto egli rivela alla bambina che in quel mondo chiamato Narnia c'è un inverno perenne a causa della malefica Strega Bianca, regina illegittima. Poi, piangendo amaramente, il fauno dice a Lucy di essersi messo al servizio della sovrana promettendole di rapire tutti i bambini che avesse incontrato per portarli nel suo castello.
Tumnus però, già affezionato a Lucy e colpito dalla sua bontà e della sua gentilezza, la riaccompagna al lampione. 
"-Non potrei farti una cosa tanto brutta, ora che ti conosco. Lo capisco da solo, sai. (...) Andiamo via subito. Ti riaccompagnerò al lampione e spero che riuscirai ad arrivare in fretta al regno di Stanza Vuota. Filiamo via, senza farci vedere. Lei ha spie dappertutto. Persino certi alberi...
(...) Nevicava ancora. I due viandanti camminavano in fretta, quasi furtivamente, senza aprire bocca e scegliendo i sentieri più bui e nascosti. (...) "

Che bella figura Lucy! Credo sia la migliore dei quattro. Dolce, fantasiosa, sincera, gentile, simpatica, rappresenta il calore umano e l'alta sensibilità artistica in grado di far commuovere le persone.

Come avrete potuto comprendere, Narnia è un regno dominato da un clima opprimente, tipico dei totalitarismi del XX secolo. E' utile sottolineare a questo proposito l'importanza della stagione in cui inizialmente è ambientata la storia proprio perché l'inverno sta ad indicare la diffidenza e il sospetto verso reali, possibili e presunti trasgressori delle regole di una dittatura. In un clima politico autoritario, la freddezza schiaccia il calore umano. Dialogo, libertà di pensiero e di espressione, manifestazioni di affetto sincero... tutto ciò è bandito in uno stato oppresso da un governo dispotico.

Quando Lucy racconta questa avventura ai fratelli, loro non le credono.
Peter, il maggiore, è un ragazzo molto buono. Dovrebbe avere intorno ai quindici anni. Responsabile e attento verso gli altri tre fratelli, mite, paziente e... giusto.
Susan appare un po' antipatica all'inizio, quando tratta duramente Lucy e rimprovera Peter di non prendere per il verso giusto i due fratelli più piccoli. Poi, però, nel corso dell'avventura, si rivela sveglia e piena di buon senso.

Edmund è il più problematico. La prima volta che entra nel regno di Narnia, una notte, seguendo Lucy di nascosto, incontra la slitta con la Strega Bianca. Il ragazzino si fa corrompere dalla Strega, che gli offre dei dolcetti squisiti promettendogli di farlo diventare re di Narnia e convincendolo a tradire i suoi fratelli. La regina infatti vuole conoscere i quattro ragazzini al solo scopo di ucciderli, per continuare a mantenere il suo potere.
Edmund, dopo questo incontro, diventa cattivo, scostante, sprezzante e bugiardo.

E' stato corrotto dal male. Come Adamo si è fatto corrompere dal serpente che l'ha indotto a mangiare i frutti dell'albero proibito per poter diventare potente come Dio. Però quelli della regina erano dolci e non mele.



Successivamente, anche Susan e Peter entrano nel regno. I quattro ragazzini vivono allora un'intensa
avventura in mezzo al bosco, accompagnati da due castori che vogliono condurli all'accampamento del leone Aslan, il legittimo re di Narnia.
Nel frattempo, durante la marcia con i castori, Edmund è fuggito di nascosto ed è ritornato dalla regina la quale, furiosa per averlo visto solo senza i fratelli, l'ha reso suo schiavo.

Man mano che Peter, Susan e Lucy percorrono i sentieri boscosi che costeggiano il fiume, il gelo dell'inverno lascia spazio all'arrivo della primavera: spuntano i primi fiori e compaiono i primi uccellini che cantano sugli alberi. 
Dunque, la speranza di un miglior governo e di un clima sereno e pacifico comincia a farsi strada tra le creature fantastiche e gli animali parlanti del regno. Aslan è la loro speranza, è il Messia che migliorerà la situazione.




Aslan invia un esercito di unicorni al palazzo della regina e in questo modo riesce a liberare Edmund e a riportarlo vivo e salvo ai fratelli.
La Strega Bianca però non è soddisfatta... Infatti, poco dopo lei stessa giunge da Aslan per chiedergli di restituirle Edmund, in modo tale da poterlo uccidere. Alla fine di un lungo colloquio tra il leone e la strega, Aslan decide di sacrificarsi al posto di Edmund.
Aslan è Gesù che decide di morire per salvare l'umanità dal male. 
Edmund infatti, sebbene si sia pentito di ciò che ha fatto ai fratelli, non è ancora del tutto libero dal male. Edmund è un traditore, come Giuda, però è anche come tutti noi umani: fragili, sempre tentati a compiere il male e mai del tutto innocenti.

Sopraggiunta la sera, Susan e Lucy seguono il maestoso leone fino alla Tavola di Pietra, luogo in cui egli deve immolarsi. Le due ragazzine rappresentano sia i discepoli di Cristo, pieni di affetto verso di lui ma impotenti verso l'enorme gravità del male che incombe; ma anche le donne che si recano al sepolcro. Per tutta la notte infatti, Susan e Lucy piangono la morte di Aslan chinandosi sul suo corpo. 


Il romanzo descrive bene sia la notte in cui Aslan viene ucciso che gli istanti che precedono l'assassinio:

"In lontananza, dove finiva il grande prato su cui era montata la tenda e cominciava il bosco, videro il leone che se ne andava lentamente. Le due ragazze non ebbero bisogno di consultarsi, si misero subito a seguirlo. Salirono per il pendio che portava oltre la valle e girarono a destra. Evidentemente Aslan seguiva la strada che avevano fatto quel giorno, diretto alla Tavola di Pietra. E camminava, camminava nell'ombra del bosco e nelle radure illuminate dal chiaro di luna, e di nuovo nel folto del bosco. Susan e Lucy avevano i piedi bagnati per la rugiada che inzuppava l'erba, ma non se ne curavano. Aslan, davanti a loro, sembrava in qualche modo diverso dal grande leone che avevano conosciuto: camminava trascinando la coda per terra, a testa bassa e lentamente, come se fosse stanco, stanco, stanco. (...) -Oh, bambine. Perché mi avete seguito?
-Non riuscivamo a dormire-rispose Lucy e non aggiunse altro, perché in qualche modo era sicura che Aslan conoscesse i loro pensieri. (Proprio come Dio conosce i pensieri degli uomini).
-Possiamo venire con te?- chiese Susan- Non importa dove.
-Mi farebbe piacere avere compagnia stanotte- mormorò il leone. Poi fece una pausa, come per riflettere prima di decidere-Venite pure, ma promettetemi che mi lascerete solo quando ve lo dirò. (...)
Mi sento triste a abbandonato. Mettetemi la mano sulla criniera e andiamo avanti così. Sentirò che mi siete vicine."

Questo punto ricorda l'agonia nell'orto degli ulivi, poche ore prima dell'arresto di Gesù. Anche qui: l'angoscia di Aslan è reale, perché sa che sta per andare incontro alla morte. Come l'angoscia di Cristo che suda sangue mentre prega Dio Padre, mentre si sente solo e abbandonato. ("Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?" è l'esclamazione che riportano i Vangeli).

La scena della morte di Aslan richiama proprio tutto ciò che Cristo ha subìto da parte degli uomini, senza difendersi. 
Come Gesù, Aslan non si difende mai dalle prese in giro, dalle percosse, dagli insulti.
Fino al punto in cui la strega, che, come avrete intuito anche voi rappresenta il demonio, poco prima di infilzargli la lancia nel petto, gli dice:
"-Dunque, chi ha vinto? E tu, pazzo, credi che con questo salverai il traditore? Io ti ucciderò al posto suo, come era nel patto: così la Grande Magia sarà rispettata. Ma quando sarai morto, chi mi impedirà di uccidere anche lui? Chi lo strapperà dalle mie mani, allora? Mi hai consegnato, e per sempre, il regno di Narnia. Hai perso la tua vita ma non hai salvato quella di lui. Muori nella disperazione!"

A volte il male sembra trionfare sul bene. Anzi, tutti noi, più volte, abbiamo avuto questa impressione nel nostro percorso di vita. Chi fa il bene è debole e soccombe, chi compie il male è forte e potente e dunque riesce sempre a trionfare.
Ma non è così perché Aslan, la mattina dopo, risorge. Proprio come Cristo... anzi, addirittura più rapidamente di Cristo.

"(...) Fu allora che, mentre spuntava il sole, sentirono dietro di sé un rumore fortissimo, il fragore assordante di un lastrone gigantesco che si spacca. -Cos'è stato?- chiese Lucy, afferrando intimorita il braccio di Susan.  -Ho... Ho paura di voltarmi- rispose Susan- Dev'essere successo qualcosa di terribile. (...) Nella luce del sole nascente tutto sembrava diverso: i colori e le ombre erano mutati a tal punto che in un primo momento non videro la cosa più importante. Poi sì: la grande Tavola di Pietra si era rotta in due pezzi, lungo una fessura trasversale che andava da parte a parte. E il corpo di Aslan non c'era più. (...)  -E' terribile- esclamò Lucy, rimettendosi a singhiozzare- Potevano almeno lasciarci il suo corpo! -Chi ha fatto una cosa simile? C'è un'altra magia?- si chiese Susan. -Sì, c'è un'altra magia- rispose una voce profonda alle loro spalle. Le due bambine si guardarono intorno Là, splendido nella luce del sole nascente, c'era Aslan."


Aslan, una volta caricate sulle spalle le due ragazzine, attraversa le valli e il folto bosco per giungere presso il campo di battaglia dove Peter e il suo esercito stanno combattendo contro la regina e le sue schiere.

C'è un particolare affascinante, sicuramente meritevole di una seria riflessione: la strega bianca odia sia i suoi sudditi che i suoi orridi cortigiani. La sovrana infatti trasforma in statue tutti coloro che osano contraddirla con un "bah".
Verso la fine del romanzo (e anche del film), Aslan, una volta risorto e prima di comparire nella grande battaglia finale, giunge con Lucy e Susan al castello della Strega. Nel cortile e in tutte le stanze trova nani, elfi e animali pietrificati, completamente immobili. Per ridonare loro la vita, il leone soffia con il suo fiato caldo sulle statue.
L'espressione "pietrificato dal male" è densa di significato. Quando una persona di buon animo e di grande sensibilità è circondata da indifferenza, invidia e cattiveria si avvilisce. Dal momento che odia il male e le ingiustizie, dapprima magari si indigna, promettendo a se stessa di non farsi mai condizionare dalle pessime persone che la circondano. Poi però, rimasta nella solitudine a osservare il male quasi da spettatrice, sprofonda in un'intensa malinconia e in un cupo pessimismo che oscura le speranze ma anche la voglia di agire in modo contrario e di mettersi in gioco.
Fino al punto in cui si sente talmente sola, indifesa e non valorizzata che sprofonda nella depressione, priva di aspettative verso il futuro. Questo è successo a molte persone intelligenti e piene di risorse morali in quei periodi storici di guerre, dittature e razzismo.
Se davvero la risurrezione di Cristo è il trionfo del bene sul male e dell'amore sull'odio, allora l'alito di Aslan è il messaggio di pace e di speranza che il Cristianesimo propone all'umanità, soprattutto ai sofferenti e agli avviliti.

Di simbologie qui se ne trovano fino a stancarsi...
Ad ogni modo, nel libro sono molto suggestive le descrizioni che l'autore fa a proposito di paesaggi notturni:

"Il paesaggio notturno era molto bello e sarebbe stato meraviglioso poterlo ammirare da una casa comoda e riscaldata, seduti in poltrona, vicino alla finestra. Ma anche camminando nella neve, con il fagotto sulle spalle, la piccola Lucy si godette il primo tratto di strada come se si trattasse di una gita. (...) Alzò gli occhi ad ammirare le stelle innumerevoli e la luna d'argento nel cielo, poi le alte cime degli alberi scintillanti di neve e giù, giù, la cascata di ghiaccio lucente e il fiume serpeggiante."


Stupendo, affascinante e anche rilassante... adatto ad un incontro culturale per adulti che vogliono approfondire tematiche cristiane e adatto anche, a mio avviso, ad un grest estivo.