14 ottobre 2016

"Il riccio":


"Il riccio" è il sesto in classifica tra i miei film preferiti; una posizione al di sotto di "Basta guardare il  cielo".
E' dall'inizio dell'estate che miei lettori attendono questo scritto. L'ho promesso ed eccolo qui!
Sto scrivendo in una giornata di ottobre in cui piove a catinelle!

L'inizio del film inquadra il viso molto serio di una ragazzina che dice davanti ad una telecamera:
"Mi chiamo Palomà. Ho dodici anni. Vivo a Parigi, in un appartamento da ricchi. I miei genitori sono ricchi, la mia famiglia è ricca. Io e mia sorella, perciò, siamo virtualmente ricche. Ma malgrado ciò, malgrado tutta questa fortuna e tutta questa ricchezza, da molto tempo, so che la destinazione finale è la boccia dei pesci: un mondo in cui gli adulti passano il tempo a cozzare come mosche contro lo stesso vetro. Ma una cosa è certa: io nella boccia non ci vado! E' una decisione ben ponderata. Alla fine dell'anno scolastico, il giorno 16 giugno, giorno del mio tredicesimo compleanno, tra centosessantacinque giorni,  io mi suiciderò."

E, dichiarate le sue intenzioni, esce dalla sua camera portando la telecamera in mano.
Vi ricordate il titolo di un post che ho scritto qualche anno fa? Faceva così: "Inseguire le stelle... volare leggeri nel cielo notturno... Non vivere come un uccello in gabbia!".
Bene, ora vi rivelo che questa frase me l'aveva ispirata proprio il personaggio di Palomà.
Palomà
Lei ha utilizzato la metafora dell'acquario con i pesci, io invece l'immagine dell'uccello in gabbia.
Ma entrambe, anche se in modi diversi, esprimiamo lo stesso concetto.
Palomà non è una pazza psicotica, anzi, è una ragazzina molto più matura della sua età, molto intelligente e anche molto sensibile. Perché allora non vuole crescere? Perché non condivide affatto i principi della società in cui i suoi genitori sono inseriti e in cui, in un futuro che appare irreversibilmente programmato, dovrà entrare anche lei. La dodicenne infatti detesta l'ipocrisia, la monotonia, il conformismo e la superficialità che caratterizzano il mondo altoborghese. Ne è talmente disgustata che desidera finire la sua vita il prima possibile, dal momento che non vede alternative a quel mondo agiato ma asettico e privo di affetti.
Palomà aspira alla libertà, alla libertà del suo essere. Con lei io avevo ed ho diversi punti in comune (non il proposito di suicidio, però, mi raccomando!!). Andate pure a ripescare il titolo del post sopra citato:

https://riflessionianna.blogspot.com/2011/01/inseguire-le-stelle-volare-leggeri-nel.html

In quel 5 gennaio 2011 avevo fatto un viaggio mentale. La letteratura ci insegna che tutti gli uomini possono permettersi di viaggiare, con la mente e con la fantasia, da un'immagine all'altra.
Questo può accadere non solo quando si è profondamente concentrati nella lettura di un romanzo ma anche quando, in un momento di tempo libero, chiudiamo gli occhi e permettiamo alla nostra mente di formare immagini di paesaggi e di luoghi piacevoli in cui compaiono anche le persone che amiamo o che abbiamo amato.
Ad ogni modo, in questo viaggio mentale avevo immaginato di essere dapprima un'aquila, poi una rondine. Questi due uccelli sono sempre stati per me simbolo della libertà. Con quel pensiero io quindicenne invocavo la libertà. Ma non la libertà assoluta che non rispetta i diritti altrui, quanto piuttosto una piena responsabilità nelle mie decisioni e un pieno godimento dei miei sogni di ragazzina. Naturalmente traspariva anche una leggera ma sincera malinconia generata dal ricordo dei poveri del mondo.

Così continua poco dopo il ragionamento della nostra protagonista:
"Non è perché progetto di morire che devo lasciarmi ammuffire come una verdura avariata. L'importante non è morire né a che età si muore, ma quello che si sta per fare in quel preciso momento. In Taniguci (Cina) gli eroi muoiono scalando l'Everest. E il mio Everest è fare un film. Un film che mostri perché la vita è assurda. La vita degli altri e la mia."
Ora credo sia il caso di descrivere sinteticamente i componenti della famiglia di Palomà: il padre è un funzionario, molto più dedito alla carriera che agli affetti privati; la madre, affetta da inquietudini e da periodi di depressione, prende degli psicofarmaci per curarsi; la sorella Colombe è una studentessa universitaria vuota, antipatica e boriosa. Con lei Palomà ha un pessimo rapporto.

La co-protagonista della storia è Renèe, la portiera del condominio in cui Palomà vive. Reneè ha più di cinquant'anni, è vedova da ventisette e vive sola nella sua guardiola, al piano terra del palazzo. Soltanto il suo grasso e peloso gatto, chiamato Leòn, le tiene compagnia. Inizialmente appare come una persona scorbutica, arcigna, riservata e poco curata nell'aspetto fisico.
Poi però un giorno, arriva un nuovo inquilino alla guardiola per chiederle le chiavi del nuovo appartamento... Si tratta di Kakuro Ozu, un giapponese molto gentile, molto ricco e molto colto, oltre che raffinato. Anche Kakuro è vedovo e solo. Mi piace moltissimo questa figura; apprezzo soprattutto la sua cordialità e l'evidente eleganza.
Kakuro inoltre è privo di pregiudizi nei confronti delle persone e anzi, con il suo straordinario sesto senso intuisce immediatamente che la portiera non è quella che sembra. 
In effetti, Renèe, pur non avendo una laurea, ha coltivato nel corso degli anni la sua passione per la lettura, in particolare, per i romanzi russi e per i film giapponesi in bianco e nero. Ecco due aspetti che la donna ha in comune con il simpatico giapponese. 
Il signor Ozu instaura un buon rapporto dapprima con Palomà, la quale entra di tanto in tanto in casa sua anche per farsi dare delle lezioni di giapponese, visto che lo studia a scuola come lingua straniera.
Kakuro e Palomà parlano anche di Renèe. Palomà dice al giapponese: "Renèe mi fa pensare a un riccio. All'esterno è bardata di aculei, una vera fortezza. Ma ho l'impressione che all'interno sia raffinata come quelle bestioline falsamente indolenti, ferocemente solitarie e terribilmente eleganti."
Sapete invece a quale similitudine faccio ricorso io per definire una persona timida che apparentemente sembra chiusa in se stessa? Quella della quercia. Secondo me, una persona è assimilabile ad una quercia quando apparentemente si dimostra dura e riservata ma in realtà, il suo animo trabocca sia di sentimenti positivi e profondi sia di nobili ideali di vita. 
Il tronco di un quercia infatti è duro, solido, impenetrabile. Ma ricordiamoci anche che all'interno della quercia c'è la linfa, una linfa vitale che la rende una creatura vivente del mondo naturale.

Renèe e Kakuro
La sincera amicizia tra Renèe e Kakuro inizia con un invito a cena da parte di quest'ultimo. Inizialmente Renèe non vorrebbe accettare, dal momento che non si sente all'altezza di un ricco borghese, ma poi, convinta dalla signora Manuela, l'unica amica che ha, decide di andare, con una nuova pettinatura e con un abito elegante.
Durante la cena tra i due, compaiono nel film i nomi di alcuni piatti giapponesi: il sashimi, il ramen (zuppa) e i kijosa (spaghetti che si mangiano rumorosamente).
Kakuro regala inoltre a Renèe una pregiata edizione del romanzo "Anna Karenina" di Tolstoj.

Più avanti, nasce anche un bel rapporto tra Palomà e Renèe: la ragazzina di tanto in tanto si rifugia nella guardiola della portiera per sfuggire alle urla della sorella e alle piccole follie della madre, la quale quotidianamente parla con le piante che innaffia. 
Grazie a queste due figure adulte significative (mi riferisco a Renèe e a Kakuro ovviamente), Palomà inizia a dubitare dei suoi progetti di morte.
Ecco cosa dice ad un certo punto del film, quando si trova da sola di fronte alla telecamera:"Mi si vede il destino scritto in fronte? Se voglio morire è perché credo di sì. Ma se esistesse la possibilità di diventare quello che ancora non si è? Avrò saputo fare della mia vita altra cosa di quello a cui mi si destinava?"

Sono pensieri che fanno venire i brividi, soprattutto perché vengono pronunciati da una ragazzina.
Qui Palomà sembra quasi l'Innominato del romanzo di Manzoni. L'Innominato, nella notte in cui ha fatto rapire Lucia per esaudire il capriccio di Don Rodrigo, ripensa a tutti i suoi misfatti e si sente sporco, indegno, cattivo. Prova una tale ripugnanza verso se stesso che decide, per un istante, di suicidarsi. Poi però, il pensiero della frase di una Lucia supplichevole: "Dio perdona tante cose per un'opera di misericordia!", lo fa desistere da questo proposito: "E se ci fosse davvero questa vita eterna?", pensa il nobile. E quindi, sarebbe come se pensasse: "E se ci fosse ancora per me la possibilità di cambiare stile di vita e di diventare così quello che non sono mai stato e quello che non sono?"

Non è un film a lieto fine, questo. Però Palomà apprende un'enorme lezione di vita attraverso la morte di Renèe.
Palomà in effetti, dopo aver rinunciato completamente all'idea del suicidio, dichiara:  
"Quello che conta, non è morire, ma quello che si fa nel momento in cui si muore. Renèe, lei che cosa faceva al momento di morire? Era pronta ad amare."

Notate bene un particolare: queste frasi risuonano nel buio dell'appartamento di Renèe, dopo che Kakuro ha raccolto e portato via i libri della defunta e dopo che Palomà ha chiuso la porta. Per sempre.

La colonna sonora del film è così bella da far piangere! Io piango ogni volta che la sento, perché è come se il pianista e compositore libanese Gabriel Yared  avesse cercato di penetrare l'Universo, di esplorare l'infinito... Non so se riuscite a capirmi.

Ad ogni modo, eccola qui:
N.B.: Godetevi l'immagine fissa, il bel visino dell'attrice francese Garance Le Guillermic. E' più giovane di me di due anni. Quando ha recitato in questo film ne aveva 12.





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