6 ottobre 2016

"La pazza gioia":


Pochi giorni fa hanno dato questo film al cinema del mio paese. Io mi aspettavo una pellicola divertente e leggera, invece... invece è un'opera tutt'altro che leggera. Quando sono uscita dalla sala mi piangeva il cuore, davvero.
Svolgerò qui sotto una recensione particolare: mi concentrerò soprattutto su Donatella, la più disgraziata delle due protagoniste.

LINEE ESSENZIALI DELLA TRAMA:

Siamo nel 2014, ovvero, un anno prima che in Italia vengano chiusi gli ospedali psichiatrici giudiziari. Ora a voi questo sembrerà un dettaglio poco rilevante, ma, se continuerete nella lettura, comprenderete l'utilità del presente riferimento cronologico.
La vicenda si svolge in Toscana, a villa Biondi, un edificio destinato a delle donne affette da squilibri mentali. Beatrice è una di loro. E' una figura che suscita subito il sorriso nello spettatore, già a partire dalla prima scena, quando la si vede passeggiare nel giardino della struttura con l'ombrellino aperto come riparo dal sole. Logorroica, vanitosa e molto orgogliosa delle sue origini aristocratiche, non perde alcuna occasione per criticare le altre compagne. Basti pensare che, durante un colloquio con una degli psicologi della comunità, definisce le altre signore delle decerebrate. Lo saranno anche state, ma sicuramente non meno di lei!

Beatrice
Una mattina però, arriva nella struttura Donatella, una ragazza di 28 anni. La prima volta che questa figura compare sullo schermo fa veramente impressione: la giovane, oltre ad essere molto magra e oltre ad avere le stampelle e una gamba steccata, presenta il volto insanguinato e i capelli visibilmente unti, scarmigliati, trascurati. Tutti particolari che fanno intuire un tentato suicidio. Ve lo dico fin da ora: Donatella soffre di una gravissima forma di depressione. In pochi giorni, tra Beatrice e Donatella si instaura una bella amicizia, definita dagli operatori della struttura: "un legame benefico per entrambe".
Entrate in sincera confidenza, le due donne decidono di fuggire dalla Villa e riescono nel loro intento.
Gli operatori però, preoccupati e angosciati per la fuga di due loro utenti, cercano di rintracciarle con molto impegno.  Da questo momento le due protagoniste della storia iniziano a vivere una serie di intriganti avventure e, come dice Beatrice, si danno "alla pazza gioia"
Non aggiungo altro, perché è proprio ora che avviene la parte più significativa del mio articolo.




LA FIGURA DI DONATELLA:

Donatella
Perché una ragazza di 28 anni dovrebbe essere depressa? A ventotto anni non si dovrebbe forse essere nel pieno dell'energia, nel pieno delle forze vitali? Beh', lei non lo è. Ma perché?
Perché non è mai stata amata da nessuno. Perché ha alle spalle un passato molto doloroso, che le ha frantumato l'anima in mille pezzi, proprio come un oggetto di vetro appena caduto a terra.
Donatella è profondamente infelice, ma è buonissima. Attraverso questo personaggio, il regista del film, il grande Virzì per l'appunto, trasmette al pubblico le ragioni e i motivi per cui ha voluto proporre un film incentrato sui comportamenti di due squilibrate, su due sofferenti.
Donatella è sola al mondo, completamente sola, almeno fino a quando non conosce Beatrice. 

Una sera, mentre si trovano sulle rive del mare, Donatella trova la forza di raccontare a Beatrice il suo passato. Le frasi dal lei pronunciate in quella scena sono tutte evidenziate in grassetto blu. Notate bene che, nel narrare il suo passato, la ragazza parla sempre al presente. Questo è un dettaglio significativo, dal momento che il suo dolore è molto forte, molto intenso. Soltanto queste frasi iniziali sono all'imperfetto: "Da bambina piangevo sempre. Piangevo a scuola, a casa. Piangevo anche quando mia mamma mi rimproverava e mi diceva di non piangere." 
Io non sono competente in materia, solo gli psicologi e i neurologi possono saperlo ma io sospetto che alcuni individui, sin dall'infanzia, possano già manifestare una certa propensione alla depressione. Ad ogni modo, una buona parte la fanno anche le situazioni familiari, le circostanze della vita e alcuni eventi altamente drammatici.
Donatella ha subito il divorzio dei genitori: sua madre non l'ha mai capita né supportata, suo padre invece è un musicista completamente disinteressato alla figlia.
Nel corso degli anni Donatella ha sempre provato un vero e proprio disgusto verso una madre narcisista, mentre invece ha sempre riposto una grande stima nel padre. Di lui ha ammirato soprattutto la professione e l'elevata cultura. Ma, ad un certo punto del film, il genitore si rivela molto deludente: quando Donatella viene curata con dei sedativi all'ospedale in seguito ad una crisi isterica avuta in piena notte e in un luogo pubblico, riceve una visita del padre. Proprio in quel momento la ragazza gli fa ascoltare, salvata sul suo smarthphone, la canzone intitolata "Senza fine". Poverina, è convinta che il padre ne sia l'autore e che l'abbia dedicata a lei. Invece, ecco la risposta, sincera ma devastante: "Io dedicarti una canzone??! Non lo farei mai!" 
Donatella non sapeva che questa canzone è invece di Gino Paoli. Eccovela, bella ma così bella da commuovere!


Sin da adolescente la ragazza è stata vittima della tossicodipendenza e ha frequentato spesso le discoteche, nelle quali ha ballato come cubista e dove anche, per sua disgrazia, ha incontrato diversi uomini. Fino al momento in cui ha scoperto, a vent'anni, di aspettare un figlio da un uomo sposato il quale, proprio come fanno tutti i gran signori, si è successivamente dileguato, mancando innanzitutto ai propri doveri di marito e sfuggendo inoltre alle proprie responsabilità.
A quel punto Donatella è caduta in depressione, in una depressione profonda. E' stata una ragazza madre molto seguita dai servizi sociali, i quali hanno deciso, man mano che passava il tempo, di collocare il bambino in una struttura specializzata, all'interno della quale però lei poteva entrare ogni giorno per vederlo.
"Dicono che sto sempre peggio, che non sono in grado di curarmi del bambino. E una mattina, arrivano i carabinieri a portarmelo via. Io voglio guarire, ma non è che se mi tolgono Elia io sto meglio".
Continua così: "Io vado a trovarlo tutti i giorni. Lo prendo in braccio. Quando l'orario delle visite si conclude, vengono a togliermelo. Me lo staccano dalle spalle, ditino per ditino. E allora Elia scoppia a piangere, mentre invece quando è accanto a me non piange mai."

Già discorsi di questo genere fanno comprendere che essere depressi non significa né essere cattivi né essere incapaci di provare sentimenti. La giovane donna trova un suo equilibrio soltanto nella relazione con il figlio.
Gli assistenti sociali un giorno concedono a Donatella una passeggiata all'aperto con il figlio, che ancora non cammina. Inizialmente è serena: guida il passeggino sorridendo alla gente. Poi però incontra l'uomo con il quale ha concepito il figlio. Ineccepibile di fronte alla moglie e ai figli, molto sprezzante verso di lei. Dopo quell'incontro, Donatella, in preda ad un impeto di disperazione, corre piangendo per le vie della città, fino al momento in cui arriva su un ponte costruito al di sopra del mare.
"Mi butto giù, perché voglio smettere di soffrire. Prendo in braccio Elia, e mi lancio. Sotto acqua stiamo bene, avvolti in un unico abbraccio andiamo sempre più giù, sempre più giù. Omicidio-suicidio, dicono. Ma non capiscono proprio niente."

Nulla era premeditato, ma da un sovrastante senso di abbandono è nata però una tragedia ancora più grande: la separazione definitiva dei due. Per questo grave atto Donatella era stata privata della potestà genitoriale e rinchiusa per qualche tempo in un ospedale psichiatrico giudiziario (OPG).

Anche nel corso del film, la donna viene collocata nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere (MN). Una mattina, delle infermiere la trovano accasciata a terra, in preda a una forte crisi di pianto. Sconvolte, chiamano un medico, un medico premuroso che le chiede: "Di che cosa hai bisogno?";  e lei: "Voglio l'elettroshock". Il dottore l'aiuta ad alzarsi e la riaccompagna a letto. Di questo Donatella gli è molto riconoscente, al punto tale che, oltre a dire: "Oddio, grazie! Grazie!", gli dà dei piccoli baci su una spalla.
Donatella rimane all'ospedale per pochi giorni, dopodiché, una lettera di Beatrice la spinge a scappare. Un altro punto della storia in cui la ragazza si dimostra affettuosa è quando Beatrice si offre di aiutarla a trovare suo figlio.

Il finale del film è significativo, soprattutto perché l'umore di Donatella cambia in meglio: la ragazza incontra sulla spiaggia suo figlio, un bambino sui sette anni. I due iniziano a parlarsi, con tutta serenità. I genitori adottivi di Elia osservano la scena da lontano, ma non chiamano i carabinieri. In fin dei conti, i due coniugi provano una profonda pietà per Donatella, dal momento che la considerano una persona da curare, da aiutare, non certo da disprezzare a causa di una patologia mentale. Donatella ed Elia giocano tra le onde del mare. Poi, quando un altro bambino chiama Elia a giocare a pallavolo, Donatella rimane ancora sola, e il suo volto si rabbuia nuovamente, anche se il figlio le ha detto: "Spero di rivederti ancora".
Gli sguardi tra madre biologica e madre adottiva si incrociano per un instante: quello della madre adottiva è un sorriso sincero, privo di pregiudizi. Quello di Donatella è profondo e limpido. 
La nostra protagonista, attraverso quell'incontro, ha elaborato un sano e serio progetto di vita di questo genere: "Ritorno in comunità e mi faccio curare davvero. Non faccio follie, mi comporto bene, accetto i farmaci e le cure, così un giorno forse potrò rivedere mio figlio."
Con il sottofondo del brano "Senza fine", Donatella raggiunge Villa Biondi, dove Beatrice la attende alla finestra della sua stanza.

Ci tengo a precisare che il film non è una critica alle leggi. Il giudice ha avuto i suoi buoni motivi a togliere Elia a Donatella: una persona molto fragile affetta da depressioni e soggetta ad impulsi così estremi non è in grado di crescere un bambino.
Virzì vuole piuttosto offrire un'immagine pietosa dei malati mentali: essi si trovano in condizioni tristi perché spesso alle loro spalle ci sono vicende tragiche, forti delusioni affettive, terribili sensi di colpa.

Donatella non fa rabbia alcuna, fa solo una gran pena e tenerezza.




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