16 febbraio 2017

In memoria di alcune vittime di mafia:

In questo post vengono delineate le biografie, corredate anche da commenti, di due siciliani che hanno cercato di risvegliare le coscienze dei loro concittadini per liberare le loro terre oppresse dall'ingiustizia e dalla corruzione mafiosa.
 


 

GIORGIO BORIS GIULIANO: 



Giorgio Boris Giuliano era nato a Piazza Armerina in provincia di Enna nel 1930. Figlio di un ufficiale della marina militare, aveva trascorso alcuni anni della sua infanzia in Libia, luogo in cui il padre lavorava.
 Nel 1941 la famiglia si era trasferita a Messina, città in cui Giorgio aveva conseguito la laurea in Giurisprudenza.
 Nel 1962, dopo aver vinto il concorso per divenire commissario della polizia, era stato assegnato alla Sezione Omicidi della Squadra Mobile di Palermo. Durante gli anni Settanta aveva ottenuto anche una specializzazione presso la FBI National Academy.
 Boris Giuliano aveva intuito che in quegli anni Cosa Nostra stava organizzando un traffico di droga internazionale nel quale la città di Palermo avrebbe dovuto fungere da snodo centrale tra i Paesi dell'Est e gli Stati Uniti. Con grande zelo e determinazione conduceva le sue inchieste, sperando di riuscire a indebolire l'enorme potere di una cosca mafiosa. 
Ma il 21 luglio 1979, mentre stava pagando il caffè in una pasticceria di Palermo, il criminale Leoluca Bagarella lo aveva ucciso con sette colpi di pistola.
 Giorgio Boris lasciava vedova una moglie e orfani tre figli, tutti ancora bambini. 
Il primogenito Alessandro aveva soltanto 12 anni nel '79. Profondamente scosso da questa grande tragedia, una volta divenuto adulto ha intrapreso la carriera investigativa. E' ora vicequestore a Lucca, in Toscana.

Riporto qui sotto alcune parole di Alessandro Giuliano riferite al padre: 
 


"Mio padre Boris Giuliano è sempre stato vicino agli ultimi, senza essere un sacerdote. Quando in questura a Palermo arrivava un bambino povero che si era perso, lo portava sempre a casa nostra. Invece di lasciarlo aspettare negli uffici freddi in mezzo ai calcinacci, come era prassi fare in quegli anni, lo accompagnava da noi. Suonava il campanello e lo presentava a me e alle mie sorelle. Così, per confortarlo. Aveva una profonda e rara umanità. Ha trasmesso un potente messaggio, a me e ai miei colleghi: bisogna fare il proprio dovere fino in fondo e si può essere poliziotti senza dimenticarsi di essere uomini."

 



Nel 1995, al processo per l'omicidio, sono stati condannati all'ergastolo sia Leoluca Bagarella, come esecutore materiale del delitto, sia i suoi mandanti, ovvero: Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Giuseppe Calò e Nené Geraci.




"Ciò che per la mia famiglia conta è che il suo sacrificio e quello di tanti altri servitori dello Stato non venga mai dimenticato."
 
Alessandro ripete spesso questa frase alla fine delle interviste. 




Paolo Borsellino ha commentato in questo modo gli omicidi avvenuti per mano mafiosa, con particolare riferimento alla vicenda di questo valoroso poliziotto: 




"Se gli organismi statali avessero assecondato l’intelligente impegno investigativo di Boris Giuliano, probabilmente le strutture organizzative della mafia non sarebbero così enormemente potenziate e molti efferati assassinii, compreso quello dello stesso Giuliano, non sarebbero stati consumati”. 


Avere il fegato di uccidere un padre premuroso con i suoi tre figli e privare una donna del marito con sette spietati colpi di pistola denota una malvagità sconvolgente, frutto degli atteggiamenti arroganti e spregiudicati di una mafia che fino all'inizio degli anni Novanta godeva purtroppo di uno strapotere incredibile. La storia di Boris Giuliano fa venire i brividi. Ma questa tragica vicenda deve risvegliare, soprattutto in noi giovani, i valori della giustizia, della verità e dell'onestà che quel vicequestore ha cercato di difendere. La memoria delle vittime di mafia è indispensabile per poter costruire un futuro migliore per il nostro Paese. La mafia si combatte con l'indignazione di fronte alle iniquità, con la fortezza d'animo e con la conoscenza. Non certo con l'ignoranza! E anche e soprattutto cercando di comportarsi sempre in modo corretto e leale verso gli altri, partendo dalle piccole azioni quotidiane di ogni giorno.



 

ROSARIO LIVATINO:

Parto da un breve video nel quale si racconta il modo in cui il magistrato è stato ucciso.





Rosario Livatino era nato a Canicattì (Agrigento) nel 1952. Dopo aver conseguito la maturità classica, nel 1971 si era

iscritto alla facoltà di giurisprudenza di Palermo. Laureato con il massimo dei voti, nel 1978 aveva vinto il concorso per divenire magistrato e aveva iniziato a lavorare presso il Tribunale di Caltanissetta. Un anno dopo però si era trasferito al tribunale di Agrigento.

E' stato assassinato il 21 settembre 1990 mentre si recava con la sua auto in Tribunale. I suoi quattro assassini erano membri della Stidda agrigentina, organizzazione criminale rivale di Cosa Nostra.

 Alcuni mesi dopo la sua morte, l'allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga definì "giudici ragazzini" tutti i magistrati poco più che trentenni impegnati nella lotta alla mafia. 
Devo precisare che aveva utilizzato parole ingiustamente sprezzanti. Eccovele: 

 


"Non è possibile che si creda che un ragazzino, solo perché ha fatto il concorso di diritto romano, sia in grado di condurre indagini complesse contro la mafia e il traffico di droga. Questa è un’autentica sciocchezza! A questo ragazzino io non affiderei nemmeno l’amministrazione di una casa terrena."
 


Ecco com'erano negli anni Novanta (e come sono sempre stati purtroppo!) i politici italiani: ingrati verso i cittadini che si preoccupavano di difendere la legalità, insensibili di fronte alle morti premature e violente delle vittime di mafia e spesso conniventi con i ceppi criminali.

 Papa Giovanni Paolo II aveva ricordato Livatino come: "un martire della giustizia e indirettamente della fede".  

Nel 2011 è stato firmato dal vescovo di Agrigento il decreto per l'avvio del processo di beatificazione. 
Le testimonianze per il processo di beatificazione sono state raccolte da Ida Abate, una sua insegnante, la signora anziana che potete vedere nel video sotto riportato.








Nel 2014, nell'udienza al Consiglio Superiore della Magistratura, Papa Francesco ha ricordato così il giudice Livatino: "Fu un giudice leale alle istituzioni, aperto al dialogo, fermo e coraggioso nel difendere la giustizia e la dignità della persona umana."


Bello, chiaro e incisivo è anche il recente commento di Don Tonio Dell'Olio, sacerdote molto attento ai temi di legalità e giustizia sociale, originario di un paesino pugliese.

 


"Rosario Livatino era uno di quei magistrati di poche parole. Poche apparizioni, poche interviste, niente salotti buoni. Per lui parlavano le inchieste scottanti che portava avanti, l'acume investigativo, zero compromessi. Per quanto possa sembrare strano, l'ostilità gli venne non solo e comprensibilmente dagli ambienti malavitosi ma anche dalle istituzioni che avrebbero dovuto sostenerlo e proteggerlo. A distanza di quasi 27 anni (venne ucciso nel settembre del 1990), la vita discreta di questo giovane resta un riferimento illuminante su metodo e sostanza dell'agire per la giustizia. Ma anche una testimonianza di vita e di fede. Ucciso quando aveva 38 anni, Rosario Livatino ha vissuto il suo impegno professionale come dovere civico e morale. Ed è un vero peccato che in molti si siano accorti solo dopo del suo alto valore. La vicenda di Livatino deve farci aprire gli occhi sull'oggi. E' una provocazione per i nostri comportamenti e i giudizi fin troppo sbrigativi che scarichiamo su situazioni e persone. Che Rosario Livatino ci contamini almeno un po' con il suo rigore, con la sua inflessibilità e con la sua testimonianza di fede. Ho ragione di credere che molti dei problemi che ci troviamo ad affrontare oggi, altro non sono che la somma di tanti piccoli compromessi, quasi impercettibili, trascurabili, che abbiamo collezionato nel corso del tempo. Fiocchi di neve che diventano slavina." 

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