6 ottobre 2017

Catullo e Foscolo a confronto:


Catullo è vissuto nel pieno del I secolo a. C., Foscolo invece è a cavallo tra Settecento e Ottocento.
Eppure, nonostante la lontananza cronologica, alcuni contenuti si assomigliano.

CATULLO, CARME 101:

La morte del fratello era stata una grave e dolorosa perdita per il poeta. Questo carme è simile agli epigrammi funebri per quanto riguarda l'aspetto del colloquio diretto con il morto.

"Multas per gentes et multa per aequora vectus
advenio has miseras, frater, ad inferias,
ut te postremo donarem munere mortis
et mutam nequiquam alloquerer cinerem,
quandoquidem fortuna mihi tete abstulit ipsum,
heu miser indigne frater adempte mihi.
Nunc tamen interea haec, prisco quae more parentum
tradita sunt tristi munere ad inferias,
accipe fraterno multum manantia fletu,
atque in perpetuum, frater, ave atque vale."


"Venuto fra tante distese di genti e di acque,
giungo, o fratello, alle tue spoglie sventurate
per rendere l'omaggio supremo dovuto alla morte
e dire vane parole al tuo cenere muto,
poiché la fortuna mi tolse la tua umana presenza,
povero fratello a me ingiustamente rapito.
Ma l'offerta, secondo l'antico costume dei padri,
come l'ultimo triste saluto rivolto alla tomba,
accoglila aspersa di molto pianto fraterno, 
e ancora, o fratello, salute in eterno e addio."

(Traduzione di Luca Canali).

Statua di Catullo
Il carme si apre proponendo immagini che suscitano una sensazione di remota lontananza della tomba (situata in Asia Minore), dal momento che l'autore afferma di aver viaggiato molto, a lungo e faticosamente.
Nei primi due versi vi sono due forme verbali attinenti alla sfera del muoversi, del viaggiare.
Il primo è il participio passato "vectus" deriva da "veho", ovvero "trasportare, andare", il secondo è il presente indicativo "advenio", verbo intransitivo che ha il significato di "arrivare, giungere". Da advenio deriva anche "adventus", sostantivo della quarta declinazione che significa "arrivo, venuta".
Fra circa un mese e mezzo (e quindi tra non molto) entreremo nel tempo dell'Avvento, periodo di quattro settimane che precede il Natale. Ecco, sappiate che la parola "avvento" ha mantenuto nel corso dei secoli lo stesso significato che aveva in latino.
Il secondo verso "advenio has miseras, frater, ad inferias" io l'ho tradotto così, perché comunque le mie traduzioni sono meno libere e meno eleganti di quelle di Canali:  
"io giungo, o fratello, per queste tristi offerte."
Le "inferiae" (questo il nominativo plurale), erano delle offerte a base di latte e miele che si soleva portare presso le tombe dei morti.
Notate poi l'espressione "mutam cinerem" al verso quarto, che troviamo anche nel sonetto di Foscolo "In morte del fratello Giovanni", perfettamente traducibile con "cenere muto". 
Queste parole richiamano certamente la decomposizione del corpo del defunto e, ciò che nel testo le separa, ovvero, "nequiquam alloquerer", il "parlare invano", evidenzia l'impossibilità di contatto tra i vivi e i morti. 

Mi fermo un attimo con l'analisi linguistica per farvi due domande: secondo voi, perché si piange quando muore una persona cara, che sia un familiare o un amico di lunga data?! 
Esiste un'altra vita dopo la morte? 
Oddio, mi rendo conto che una chiara e sicura risposta alla seconda domanda non ce l'hanno nemmeno i teologi e gli studiosi di Bibbia. Il Regno Ultraterreno è una speranza, non una certezza.
E qui mi permetto di riportare un passo del romanzo che sto scrivendo. E' ancora in fase di aggiunte e di modifiche e non so se potrà mai avere successo. Chissà se mai lo pubblicherò, perché non sono mai del tutto soddisfatta di ciò che scrivo!
Comunque, il contesto è questo: Zoe, la protagonista, è una ragazza di 17 anni molto sensibile e riflessiva, che ha seri problemi di relazione con le persone della sua età. 
Durante un progetto extra-scolastico conosce Laura, poco più grande di lei, con la quale scopre di avere molte cose da condividere.
Il loro dialogo, in uno dei capitoli è questo: 
Zoe, posso farti una domanda?” mi chiede Laura, sorridendo appena.
Cosa vuoi chiedermi?”
Secondo te esiste il Paradiso? Da quando non c'è più mia madre io me lo domando spesso.”
Per un istante, la sua domanda mi mette in difficoltà.
Io credo che esista un bel luogo ultraterreno dopo la morte. Ma, come tutti d'altronde, non ne ho la certezza assoluta.
Ad ogni modo, non faccio fatica a descriverle l'immagine del Paradiso che mi sono costruita: “Credo di sì. Forse è un bel giardino pieno di fiori e di angeli che cantano.”
Vorrei averne la certezza, Zoe. Sai, io non frequento molto la chiesa e in famiglia non siamo mai stati molto praticanti. Mio padre dice che la religione non è necessaria nella vita delle persone.”

Notate bene che Zoe dice: "credo di sì"
Ed è ciò che tutti i credenti dovrebbero rispondere a una domanda come quella di Laura, apparentemente ingenua ma in realtà molto profonda e difficile.
"Credo di sì". Quel "credere" non è tanto l'emblema dell'incertezza, quanto piuttosto enunciazione di una caratteristica appartenente alla sfera religiosa cristiana: sperare che ci sia qualcosa dopo la morte, e non il nulla.

Ad ogni modo, se si piange parecchio quando qualche nostro caro se ne va per sempre, è perché la sua morte modifica in modo drammatico la nostra vita relazionale: è impossibile relazionarsi con una persona che fisicamente non c'è più, di conseguenza, è assurdo pretendere che risponda alle nostre domande o che replichi qualcosa alle nostre frasi, insomma, è assurdo pretendere che entri in un dialogo verbale con noi. 
Ma, come afferma Foscolo nel "Carme dei Sepolcri", l'atto del parlare di fronte alla tomba di un morto ci dà la consolazione di poter instaurare un legame con il defunto generato dal ricordo e dalla memoria.
Va da sè, comunque, che finché è ricordato, il morto non muore mai!

Ad ogni modo Catullo è profondamente addolorato. Lo si intuisce chiaramente soprattutto al verso sei: "Heu miser indigne frater adempte mihi"= "O povero fratello a me ingiustamente strappato".
"Adempte" è il vocativo del participio perfetto del verbo "adimo", ovvero, "strappare".

Nei versi finali, Catullo continua la cerimonia di consegna del dono alla tomba.
La formula "ave atque vale", cioè "addio per sempre" era pronunciata, nell'epoca dell'antica Roma, da parenti e amici nel momento della sepoltura del loro congiunto.


FOSCOLO, IN MORTE DEL FRATELLO GIOVANNI:

Giovanni Foscolo era il fratello minore di Ugo e aveva il brutto vizio del gioco d'azzardo. 
Nel dicembre del 1801, a causa dell'impossibilità di saldare un enorme debito, si era ucciso, a nemmeno 21 anni.

"Un dì, s'io non andrò sempre fuggendo
di gente in gente, me vedrai seduto
su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
il fior de' tuoi gentil anni caduto.

La madre or sol suo dì tardo traendo
parla di me col tuo cenere muto,
ma io deluse a voi le palme tendo;
e se da lunge i miei tetti saluto,

sento gli avversi numi, e le secrete
cure che al viver tuo furon tempesta,
e prego anch'io nel tuo porto quiete.

Questo di tanta speme oggi mi resta!
Straniere genti, almen le ossa rendete
allora al petto della madre mesta. "

Ritratto di Foscolo
Questo è un sonetto. Vi ricordate un pochino di Petrarca? Petrarca ne aveva scritti 366 nel Canzoniere!
Il sonetto è quel componimento formato da quattro strofe (due quartine e due terzine) di versi endecasillabi.

Foscolo aveva avuto un'esistenza molto tormentata non soltanto per vicende familiari tragiche come questa ma anche per vicende politiche.
Era stato in esilio per motivi politici.
"S'io non andrò sempre fuggendo di gente in gente" corrisponde a "Multas per gentes et multas per aequora vectus".
Ecco dunque che il senso di lontananza si unisce al dolore della perdita.
Foscolo si sente "sradicato" dalla terra in cui è cresciuto.

"Gemendo il fior de' tuoi gentili anni caduto". 
 Caduto concorda con fior; questa è un'ipallage, dal momento che sostantivo e aggettivo concordato non si trovano vicini.
A differenza di Catullo, Foscolo sottolinea chiaramente la giovanissima età di Giovanni. 
Ventun anni. 
Ora i 21 anni sono gli anni della formazione accademica, dell'orientamento nel mondo del lavoro, della ricerca di amicizie significative, della curiosità verso l'altro sesso.
Due secoli fa i 21 anni erano, per molti, il momento del matrimonio.
Per Giovanni invece questa è stata l'età della morte, e per questo motivo il poeta fa riferimento all'immagine del fiore prematuramente caduto.
Poco dopo, si parla della madre dei due fratelli, Diamantina Spathis (era greca), che cerca di instaurare una relazione spirituale con "le mute ceneri" di un figlio.
E poi ci sono le mani tese verso il luogo della tragedia.

Nella prima terzina Foscolo accenna agli affanni e alle angoscie che hanno caratterizzato gli ultimi mesi di vita di Giovanni. Notate bene il latinismo "cure" da "cura, ae", prima declinazione.
In latino e fino a metà Ottocento questa parola aveva come primo significato "preoccupazione" , mentre, negli ultimi decenni, è prevalso il senso di "premura".

Alla fine della poesia, l'autore prefigura la propria morte parlando di sè come corpo già morto.
E' sostanzialmente una supplica rivolta agli stranieri affinché rendano la sua salma a sua madre.

Pare quasi che Foscolo abbia predetto a se stesso la sua fine: egli infatti è morto all'estero, in un quartiere povero di Londra circa trent'anni più tardi, assistito soltanto dalla figlia Floriana.

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