31 maggio 2018

La donna in Etruria:

Pare che la concezione della donna in Etruria traspaia in particolar modo dalle fonti pittoriche.
Tuttavia, prima di esporvi le testimonianze archeologiche di cui abbiamo notizie, preferirei scrivere un excursus storico-linguistico di carattere introduttivo.
Questo per poter stimolare un po’ del vostro interesse verso una civiltà che per certi versi affascinante ma poco conosciuta.

Gli Etruschi sono vissuti nel primo millennio a.C.  (in un periodo compreso tra VIII° e I° secolo a.C.) in una zona piuttosto vasta dell’Italia Centrale, che comprendeva tutta la Toscana, l’Umbria Occidentale e il Lazio Settentrionale.
I Romani chiamavano la regione degli Etruschi con due nomi: Etruria e Tuscia, da cui appunto è derivata l’attuale denominazione di “Toscana”.
I Greci invece li chiamavano Tirreni, dal momento che le loro terre si affacciavano sull’omonimo mare.
Vi sono due date storiche importanti da ricordare nella storia del popolo Etrusco: la prima, che è il 360 a.C., in cui la città di Veio è stata sconfitta dall’esercito romano e il 281 a.C., anno in cui è avvenuta la totale sottomissione dell’Etruria a Roma.

Villar, nella sua corposa opera Gli indoeuropei e le origini dell’Europa, espone due supposizioni che riguardano le loro origini: la prima, relativa al loro carattere autoctono (originari e da sempre residenti nella penisola italica) e la seconda, relativa a una loro possibile origine dalla Lidia, regione asiatica.
Quest’ultima ipotesi si trova anche nelle Storie di Erodoto.
Buona parte dei glottologi ritengono che l’etrusco sia una lingua non appartenente alla famiglia indoeuropea, ma ad uno strato pre-indoeuropeo. 
Però come si fa ad esserne certi, se in realtà la lingua etrusca non è mai stata decifrata?
Nel 1964 sono state trovate tre lamine d’oro di attestazione bilingue, dal momento che gli studiosi hanno riconosciuto, accanto alla lingua etrusca, la corrispondente traduzione in punico, lingua parlata degli antichi Cartaginesi.
Il punico appare un idioma pressoché intraducibile, identificato soltanto grazie a delle testimonianze scritte di Plauto, commediografo della latinità arcaica che riporta nel Poenulus alcuni versi in questa lingua. Probabilmente le lamine contengono delle formule.
Alcuni glottologi tuttavia, si azzardano a pensare che l’etrusco possa essere una forma dell’hittita, la lingua che per prima (in effetti, nel III° millennio a.C.) si è separata dall’indoeuropeo comune.
Ad ogni modo, finché non si riescono a tradurre delle frasi, non potremmo mai avere la prova scientifica che potrebbe sostenere una parentela fra etrusco e qualche lingua indoeuropea, perché bisognerebbe conoscere almeno parte del lessico e la sua struttura grammaticale.
Della struttura grammaticale non conosciamo niente, mentre invece, a proposito del lessico, Villar ci informa che si è riusciti a tradurre una sola parola, che corrisponderebbe al numero “tre” in italiano. Si tratta della sillaba “ci”.
Ecco a voi dei confronti linguistici (esempio già fatto nel post del 4/01/2018):

Indoeuropeo: *treyes
Antico indiano: trayas
Greco antico: τρεῖς
Latino: tres
Italiano: tre
Etrusco: ci 

Io, ve lo dico, propendo di più per l’ipotesi pre-indoeuropea anche per il fatto che, come vedremo tra pochissimo, l’Etruria per un certo periodo era probabilmente una società fondata sul matriarcato, proprio come i popoli preistorici prima della presunta invasione degli indoeuropei.

Presso gli Etruschi, fino a un certo periodo, le donne godevano di molti più diritti che non presso i Greci o i Romani.

Grazie a degli affreschi tombali trovati a Tarquinia risalenti al VI° secolo a.C. si è scoperto che la donna partecipava al simposio: le immagini più ricorrenti infatti raffigurano la coppia coniugale semidistesa su una klìne, spesso sullo stesso lettino.
tomba dei Leopardi

Agli eventi dei banchetti, tuttavia, non mancavano nemmeno delle musiciste e delle danzatrici, ben visibili in alcune scene.
All’inizio del VI° secolo a.C. inoltre, nelle raffigurazioni che riguardano le partenze degli eroi sui carri o dei combattenti, compaiono anche delle figure di donne, spesso nei panni delle mogli dei guerrieri.

Per quel che riguarda la pittura dunque, la presenza femminile è vista soprattutto nel ruolo coniugale di moglie del dominus.

Il tema dei coniugi compare anche nelle testimonianze scultoree a noi pervenute. 
Un esempio di ciò è sicuramente il Sarcofago degli sposi, statua in terracotta situata al di sopra del coperchio di un sarcofago che dovrebbe contenere le ceneri di un defunto.
Questi coniugi, forse partecipanti ad un banchetto reale, sono in posizione semisdraiata. 


Mentre le loro braccia e i loro volti sono stati resi in modo realistico, le parti inferiori invece sembrano piuttosto appiattite.

Tuttavia, ci accorgiamo che nel V° secolo a.C. la concezione del ruolo della donna sembra cambiare. Almeno da quello che possono comunicare e significare le pitture.
In questo periodo infatti, nelle scene di simposio compaiono solo ed esclusivamente personaggi maschili.
Alle donne è riservata soltanto un’occasione di raffigurazione: il compianto funebre, in cui, da morte, vengono piante dalle persone amate.

Credo sia interessante segnalare un’ulteriore testimonianza artistica, risalente alla metà del V° secolo a.C.: la Tomba dei demoni azzurri.
Questo affresco, rinvenuto in una delle tombe di Tarquinia, rappresenta il viaggio di una donna defunta verso l’oltretomba.
La barca di Caronte la conduce in un ambiente in cui dei grandi demoni la deridono.
Al di là delle pitture e di qualche scultura, non sappiamo dire altro a proposito per esempio della letteratura e delle leggi etrusche.
Dobbiamo limitarci ad osservare le testimonianze artistiche.




24 maggio 2018

Uomini e donne nell'antica Grecia:

I post successivi a questo saranno dedicati a riflessioni e considerazioni sulla concezione della donna nelle antiche culture occidentali. 

Dal momento che la mia tesi verte anche sulla contrapposizione tra maschile e femminile, ho studiato un saggio da cui ho appreso notizie interessanti che hanno ulteriormente ampliato il mio bagaglio culturale (quello c'è sempre bisogno di arricchirlo, anche perché nel consultare e studiare certe fonti mi sono resa conto per esempio che le mie conoscenze delle tradizioni culturali dell'antica Roma fanno abbastanza pietà!).

Molto recentemente ho imparato che una tesi di laurea non riguarda mai unicamente una sola disciplina di studio. Ho scelto Storia della Musica, ma il mio elaborato triennale è un po' musicale, un po' letterario e anche un po' antropologico.

In questo post verranno esposte delle fonti mitologiche, letterarie e giuridiche prodotte nell'Antica Grecia. Nel prossimo invece farò dei riferimenti archeologici interessanti sulla civiltà etrusca e nel terzo arrivo all'antica Roma.



GENERI E RUOLI NELLA CULTURA GRECA:

Non credo sia mai esistita una civiltà più misogina di quella dell'antica Grecia, soprattutto per quanto riguarda Atene.

1. MITOLOGIA, LETTERATURA E FILOSOFIA:

1.1. MITOLOGIA:


Questa fino a due settimane fa non la sapevo!
Nell'antichità era molto radicata la convinzione che le donne in generale fossero caratterizzate da un eccesso di "libido", ovvero, da una modalità eccessivamente passionale di vivere una storia d'amore.
(A me è sempre sembrato il contrario!)
Tiresia

Comunque, all'epoca nessuno si sognava di mettere in discussione questo pregiudizio, il cui chiaro rimando si può riscontrare nel mito di Tiresia.
Tiresia, lo apprendiamo dalle tragedie greche di Sofocle e di Euripide, era un indovino cieco ma, al contrario degli altri uomini, aveva avuto la singolare opportunità di sperimentare sia la condizione di uomo che quella di donna.
A seguito di questo esperimento Zeus gli aveva rivolto una domanda piuttosto spinosa e pungente:
"Chi dei due prova più piacere nel rapporto sessuale?"
Tiresia gli aveva risposto che il privilegio del piacere era senza dubbio femminile, dal momento che le "parti" del corpo di godimento della donna sono in numero maggiore rispetto a quelle maschili. Tiresia infatti assegna nove parti all'uomo e dieci parti alla donna.     
        

Per questo la "libido" femminile è sempre comunque in eccesso rispetto a quella maschile, che invece sa rispettare il "senso della misura".

1.2. LETTERATURA:

Cominciamo da Semonide di Samo, vissuto nella seconda metà del VII° secolo a.C.
Di Semonide abbiamo un frammento conosciuto come Il biasimo delle donne, basato sul presupposto che Zeus avesse creato l'uomo e la donna in modo differente, però, aveva plasmato dieci tipi diversi di donne basandosi su differenti specie animali. Nove tipi su dieci sono molto negativi.
Per Semonide le donne sono quasi tutte degli animali schifosi.
Vi cito la traduzione italiana di alcune parti della poesia:

Vv. 1-6:
Diversa il dio fece l'indole della donna,
al principio. L'una dalla scrofa dalle setole lunghe:
tutto nella sua casa è sudicio di brago,
giace in disordine e rotola a terra;
lei, senza lavarsi, in vesti sordide,
nel letale siede e ingrassa.

Vv. 12-20:
Quella della cagna, malvagia tutta sua madre,
che tutto vuole sentire e sapere,
dappertutto perlustra, e vagando
latra, anche se non c'è anima in vista.
E non smetterebbe neppure con le minacce,
neanche se adirato le spezzassi con un sasso
i denti, e neanche dicendole parole di miele,
e neanche se si trovasse seduta accanto agli ospiti;
invece senza posa continua l'inutile gridare.

Vv. 43-49:
Un'altra dall'asina abituata alle botte;
quella con le minacce e con gli insulti in qualche modo
si rassegna a tutto, e lavora
abbastanza; e intanto mangia in un cantuccio,
notte e giorno, e poi mangia anche presso il focolare.
E fa lo stesso per le faccende d'amore:
si prende come amante chiunque venga.

Vv. 57-68: 
Un'altra nasce dalla cavalla delicata bella criniera,
rifiuta lavori umili e fatica,
non toccherebbe macina, neppure lo staccio
solleverebbe, non spazzerebbe l'immondizia da casa,
per paura della cenere neppure al focolare
si siederebbe. Ma l'uomo lo costringe a prenderla:
ogni giorno si lava dallo sporco
due volte, anche tre, si cosparge di profumi,
porta sempre i capelli acconciati,
lunghi e coronati di fiori.
A vederla, questa donna è uno spettacolo
per gli altri, per chi ce l'ha è una rovina,

Vv. 83-87:
Un'altra la fece dall'ape; quando la trova uno è fortunato;
a lei sola non si accompagna biasimo,
fiorisce grazie a lei, e prospera la casa,
invecchia amata con l'amato marito,
la prole è bella e ammirata.


I versi in totale sono 118. Comunque, notate bene una cosa: qual'è l'unico tipo di donna che al poeta va bene??!! Quella operosa come un'ape, ovvio! Sostanzialmente, quella diligente e zelante nelle faccende domestiche.
Comunque, a mio avviso Semonide doveva inserire due categorie importanti, una negativa e una positiva, due categorie diffusissime sia nei tempi antichi che ai giorni nostri: la donna-gallina, ovvero, un genere di donna dotata di un cervello piccolo tanto quanto le galline e la donna-quercia, cioè la donna protettiva, capace di amare profondamente, caratterialmente forte e in grado di risollevarsi dai brutti periodi. Non è soltanto l'operosità e il darsi da fare che contano, ma anche la psicologia interiore, elemento determinante nell'affrontare la vita e le relazioni anche con il sesso opposto!
...Comunque notate bene che non si è azzardato a fare classifiche di tipologie di uomini!
Non sarebbe stato misogino se lo avesse fatto.

Nel mio percorso di studi finora ho approfondito maggiormente la letteratura greca, più di quella latina, soprattutto i generi dell'epica e della lirica. Omero lo conoscete tutti, anche grazie a qualche mia analisi testuale svolta qui.
Però c'è un altro poeta greco che ha composto dei poemi epici, vissuto in epoca arcaica: mi sto riferendo a Esiodo.
Zeus e Metis

Esiodo ha composto la Teogonia. Ragioniamo sulla parola del titolo: Θεòs (=theòs) significa "dio" e γίγνομαι (ghìgnomai), tra i vari significati, vuol dire anche "nascere". In quest'opera Esiodo ci racconta l'origine di molte tra le divinità dell'Olimpo. Inoltre, elenca anche le mogli di Zeus.
La prima moglie di Zeus era Metis, la creatura più intelligente di qualsiasi mortale e di qualsiasi divinità  e capace di trasformarsi in qualsiasi cosa.
Il re degli dei un giorno la inghiotte, proprio nel periodo in cui lei era in attesa di un loro primo figlio.

Perché la inghiotte?
Il testo del poema ce lo spiega: "perché la dea gli insegni cos'è il bene e cos'è il male" (Teogonia, v. 900) e quindi, come spiega Maurizio Bettini nel trattato che sto leggendo:  " (...) così facendo egli assimila un tipo di intelligenza che è a un tempo deliberazione e comprensione, discorso e conoscenza."
 
In sostanza, Zeus, preoccupato, (sì, anche se sembra un aggettivo poco idoneo da attribuire a un dio, in questo contesto si può tranquillamente dire così) vuole lui stesso trasmettere in modo diretto la forza e le qualità mentali al figlio.
 
Per essere più chiara nella mia spiegazione, il re degli dei teme che il figlio erediti i pregi e le virtù soltanto dalla madre e attraverso la madre.
Non vuole essere sostituito né superato e ha paura di venire privato del merito di aver trasmesso la forza fisica e intellettuale al nascituro.
Accade che Metis scompare nel ventre di Zeus e che Zeus in un certo senso "partorisce". Partorisce Atena dalla testa. E Atena, oltre ad essere saggia e intelligente, è amante della guerra. E' una dea molto particolare, dotata di qualità che all'epoca potevano essere possedute soltanto dagli uomini.

Ritengo opportuno fare un salto cronologico di due secoli e quindi di passare al V° secolo per menzionare Aristofane, un commediografo che odiava tutto ciò che era femminile.
In una delle sue commedie, egli afferma che le donne devono essere dominate dal momento che sono le "disgrazie del mondo, la fonte di tutti i mali, cause di odio e di guerre".
 
E qui ritorno al mondo dell'epica omerica. Magari Aristofane, mentre scriveva quel verso, pensava a Elena di Troia che, sedotta da Paride, fugge abbandonando il marito Menelao.
La mitologia dice che gli eserciti a Troia si sono combattuti a causa di Elena, ma storicamente; (mi raccomando distinguete sempre tra mito e realtà), storicamente è possibile che la guerra sia stata causata da motivi economici.

 
Nel IV° secolo a.C., Senofonte il "tuttologo" (i libri di letteratura lo catalogano come uno storico, ma sono riduttivi) fa pubblicare un dialogo intitolato L'Economico. I due protagonisti della conversazione sono Isomaco, un aristocratico sposato con una donna molto più giovane, e il filosofo Socrate.
Ad un certo punto della conversazione si parla di una sorta di "divisione delle competenze" tra generi sulla base di certe qualità innate. Si dice infatti che l'uomo, dal momento che è dotato di più forza e di più ardimento, deve occuparsi di "faccende esterne alla casa", quali la politica, le leggi, la religione e l'economia. La donna invece, di indole più mite e fisicamente più debole, deve limitarsi al ruolo di generatrice di figli, rimanendo in casa per dirigere le faccende domestiche.
L'uomo inoltre, in quanto più anziano e con una maggior esperienza di vita, deve dare ordini alla moglie.

Se notate, questa concezione di uomo/donna ha continuato a sopravvivere per molti secoli, per tutto il Seicento, per tutto il Settecento e per gran parte del XIX° secolo. Soltanto nel secolo scorso le cose sono un po' cambiate.
Chi di voi è nipote di nonne che lavoravano e che quindi contribuivano all'economia del nostro paese? Io sì, una delle due lavorava. In filanda, cioè in fabbrica, a partire dalle 4 e mezza della mattina.
Anche nel brano dell'addio tra Ettore e Andromaca su cui mi sono concentrata il mese scorso si intuisce una certa divisione dei ruoli, nel punto in cui Ettore saluta la moglie raccomandandole di ritornare a casa e di dirigere le loro serve per i lavori al telaio, perché "la guerra è cosa da uomini".
 
Al di là di questo, è il mio brano preferito di letteratura greca, perché è l'unico testo greco in cui traspare un sentimento di tenerezza e di amore vero tra uomo e donna.
Tutto il resto è violenza sessuale o desiderio di accoppiamento soltanto da una parte e non dall'altra.

In Archiloco c'è più che altro la voglia di fare sesso, perché costringe al rapporto la ragazza che vuole sposare. Non la ama per davvero, vuole sposarla per il semplice fatto che è bella e quindi da lei potrà avere dei "bei figli".
Alceo e Anacreonte erano altri due violentatori e due amanti dei ragazzini del loro stesso sesso.
I gemelli Antigone, Ismene, Eteocle e Polinice nascono da una violenza sessuale, o meglio, dall'incesto tra Edipo e la madre Giocasta.
Questi sono soltanto alcuni esempi di unioni "malate e perverse".
E, come se non bastasse, alcuni vasi attici a figure rosse contengono dei volgari riferimenti sessuali. Si può definire una "pornografia disegnata su un modello artigianale", in cui siamo ben lontani da sentimenti come "affetto" e "tenerezza" e in cui gli "amichetti", considerati sia dagli artisti sia dalla mentalità sociale dell'epoca come degli "elementi di forza e di virilità", sono anormalmente lunghi.
... Fossero solo questi gli elementi di autentica virilità...
 

Non so se esista questa parola ma ve la scrivo: gli uomini della Grecia antica erano a mio avviso affetti da gunaicofobia. Ho formato questa parola unendo γυναικός (ghinaicòs), genitivo singolare di γυνή (ginè), "donna" + φόβìα (fobìa), "paura".
Gli uomini greci avevano paura della sensibilità che certe donne potevano manifestare in molte circostanze. Forse, anche per questo cercavano di non dar loro diritti.

1.3. FILOSOFIA:

Platone è il filosofo delle contraddizioni. E' ateniese, intanto.
Non ci è dato capire bene che cosa pensi esattamente anche per quel che riguarda la questione maschile/femminile.
Prima, nella sua Repubblica, dice che l'unica differenza tra uomo e donna è che l'uomo genera e la donna partorisce. Nonostante le loro diversità anatomiche, entrambi hanno il diritto ad un'istruzione e ad un'educazione ginnica.
Non dice nulla di straordinario rispetto ai tempi, primo perché la scoperta dell'utero è avvenuta nella preistoria, secondo, perché a Sparta le ragazze erano obbligate ad accedere ad un'educazione fisica, oltre che musicale e domestica.
Poi però, dichiara l'inferiorità femminile. (?)

Aristotele è decisamente maschilista. Per questo filosofo infatti, la relazione tra uomo e donna dev'essere a fini procreativi, dove il primo è dominante e la seconda è dominata.
Aristotele era un altro "tuttologo" che ha commesso un sacco di errori. Soprattutto in biologia e anatomia umana.
Sentite questa: per Aristotele, l'uomo è dotato di un corpo caldo, in grado di realizzare la cozione del sangue per farlo diventare seme (? cioè ma... il corpo maschile si comporterebbe come una  pentola da fornello???!! A parte che i fornelli non esistevano all'epoca ma...  come fa un individuo umano a cuocere il sangue? Ad accorgerci di questa assurdità siamo capaci tutti, anche chi, come me, in ambito scientifico è ignorante come una zappa).
La donna invece è fredda, ed è per questo che ogni mese perde del sangue. Il filosofo considera la procreazione come l'unione di un corpo caldo con uno decisamente più freddo.
Tra l'altro, Aristotele non si limita soltanto a questa castroneria, ma ne dice anche un'altra più grave: l'uomo che genera soltanto figlie è parzialmente impotente e, durante il rapporto, si fa dominare dal sesso opposto.

2. LA GIURISPRUDENZA GRECA:

Premesso che di leggi e di diritto so molto poco, vi riporto qui alcune iniziative legislative da parte di Dracone e di Solone.

2.1 DRACONE:

Dracone è erroneamente conosciuto come un legislatore severissimo del VII° secolo a.C., dal momento che aveva cercato di rendere la convivenza civile ad Atene meno crudele, contribuendo alla nascita del diritto penale. Le sue leggi sull'omicidio infatti avevano sancito la fine della vendetta privata in casi di omicidio.
Dracone inoltre, nello stabilire delle regole per il risarcimento in caso di omicidio involontario, aveva fatto in modo di non dare un ruolo troppo importante ai parenti per matrimonio e quindi soprattutto alle mogli.
Dunque, l'αἴδεσις (àidesis), accordo di pace che si poteva instaurare tra l'omicida e i parenti delle vittima, non poteva mai essere regolato da donne, dal momento che, essendo considerate più emotive, non erano ritenute abbastanza razionali per poter accettare un compromesso simile.
Per quanti secoli e millenni si è detto in modo molto convinto che le donne sono molto emotive e gli uomini invece sono in grado di ragionare con la testa?!
Hanno fatto crescere anche me con questa teoria che, per carità, io la ritengo vera al 60%, ma non al 100%.
Negli ultimi tempi io ci metto "parecchia testa" nel fare le mie scelte, quotidiane e di vita.

2.2 SOLONE:

Poeta e legislatore ateniese decisamente maschilista e... gunaicofobo del VI° secolo!

Iniziamo da un vocabolo però. Oἶκος (òichos) ha come primo significato "casa" e come secondo "beni di famiglia".
Economia deriva da oἶκος + νόμος (nòmos) (letteralmente: "legge della casa").
Νόμος inoltre, era lo spirito delle leggi e delle ordinanze. 

La figlia di Νόμος è Dìke, la Giustizia.

Il nucleo familiare, ovvero l'oἶκος, doveva essere governato da un membro maschile della famiglia, quindi per questo la precedenza nelle successioni ereditarie era data ai figli maschi, eredi di primo grado.
La legge sulle successioni intestate prevedeva inoltre che i parenti per parte di padre avessero maggiori diritti rispetto ai parenti per parte di madre.
Le figlie invece ricevevano una parte dei beni del padre al momento delle nozze, ma non dopo la sua morte.
Per secoli e secoli, la dote è sempre stato un fondo concepito per mantenere la donna sposata.

Poi era anche vero che, soprattutto in epoca molto arcaica (mille secoli prima di Cristo), se la figlia si sposava con uno straniero era esclusa da qualsiasi spartizione del patrimonio paterno, dal momento che era considerata troppo lontana.

Comunque, la legge diceva esattamente così: "Anche se posti a maggiore distanza generazionale, i maschi e i discendenti di maschi hanno la precedenza nel caso provengano dagli stessi genitori".
Il nipote maschio (il figlio del figlio) precedeva il nipote figlio della figlia.

13 maggio 2018

Senso di responsabilità:


Avete presente Giada Di Filippo, la studentessa originaria del Molise che si è tolta la vita in un modo orribile? E' trascorso poco più di un mese da questo evento e, sia online sia su alcune riviste, si continua a farne accenno. 
Quindi ora me la sento anch'io di esprimere ciò che penso a proposito. E, già da ora, mettetevi nell'ordine delle idee che in certi punti sarò piuttosto pungente, se non sarcastica. Come nel paragrafo che sto per scrivere qui sotto.

Domenica 7 ottobre mi sposo. Mamma mia che emozione!!! Ho già diffuso degli eleganti inviti su cartoncino bianco a parenti, amici e conoscenti, ho già fatto preparare i confetti, ai gestori del ristorante in cui ho effettuato la prenotazione ho già dato indicazioni precise sia sul numero di persone presenti a pranzo che sui tipi di menù. Domani vado a ordinare il modello dell'abito da sposa che mi piace di più: bianco neve con ricami di pizzo sulle maniche.
Però c'è un piccolo problema: che non sono fidanzata!!!! 

Non è affatto vero!!!! :-)
E' vero che quest'estate mi laureo, semmai. Ma la mia condizione di nubilato non ha i mesi contati, almeno per questo 2018!

Vi concedo due minuti per ridere, se siete persone intelligenti in grado di capire l'ironia. 
Comunque, questo non è stato l'esatto comportamento di Giada, della serie: "organizzo tutto quanto,  prendo in giro tutti quanti anche se manca un requisito fondamentale per poter rendere vero un traguardo che sto fingendo di raggiungere?!!?!!"
Vi ricordo che la ragazza aveva già fatto confezionare le bomboniere, aveva detto al padre di prenotare al ristorante, aveva scelto l'abito più elegante da indossare, si era addirittura inventata il giorno in cui avrebbe dovuto discutere la tesi! 
Però, capite bene che la preparazione della festa di laurea è vana e assurda se non si è riusciti a superare nemmeno un esame. Non è che fosse indietro o che gliene mancasse soltanto qualcuno: in cinque anni di iscrizione alla facoltà di Farmacia non aveva mai sostenuto esami. 
Anzi, vi dirò di più: non risultava nemmeno più iscritta all'Università, dal momento che lo scorso settembre non aveva più presentato il rinnovo dell'iscrizione con conseguente rata da pagare.
E così, nel giorno della "non-laurea", ormai incapace di sostenere tutto questo bel teatrino, si è buttata dal tetto dell'Ateneo di Napoli.
Un caso del genere, oltre che essere degno di essere messo "sotto i riflettori", non è estremamente patologico?

In un recente numero di "Famiglia Cristiana" una madre di famiglia, con entrambi i figli frequentanti l'Università, si chiedeva: "Ma perché una ragazza arriva a mentire così alla propria famiglia?"
Le è stato risposto che con i figli poco più che adolescenti bisogna continuare a dialogare e bisogna parlare del percorso di studi che hanno intrapreso, anche chiedendo loro di stampare, una volta all'anno, il libretto elettronico per vedere non soltanto il rendimento nei singoli esami superati ma anche il ritmo con cui il figlio affronta gli anni accademici.
I miei genitori hanno fatto con me più o meno così. La prima volta che mi hanno chiesto di stampare il registro elettronico è stato nel settembre 2016, quando ormai ero iscritta da quasi due anni.
Questo non per mancanza di fiducia nei miei confronti, ma per due motivi: rendersi effettivamente conto del mio buon andamento e conservare una copia cartacea del mio rendimento accademico.
La seconda e ultima volta che ho ristampato il mio piano di studi con i voti verbalizzati è stato nel luglio 2017, alla fine dell'ultima sessione estiva che ho affrontato.

Io comunque sono abbastanza d'accordo con la risposta data.
Tuttavia, bisogna tener presente anche che i giovani, nel momento in cui intraprendono gli studi universitari, sono tutti maggiorenni. La maggior parte degli studenti che frequentano l'Università è costituita da una fascia di età 19-27.
Ribadisco, come ho fatto in altri post, che intorno ai 20 anni una persona dovrebbe essere responsabile delle scelte che compie, nello studio come nel lavoro. Innanzitutto, si dovrebbe iniziare a intraprendere un corso di laurea con la ferma intenzione di terminarlo in tempi ragionevoli.

Ad ogni modo, è estremamente doveroso da parte mia precisare che, sebbene ai giorni nostri sia aperta a tutti la possibilità di conseguire una laurea, non tutti i giovani sono "adatti allo studio" o almeno, a "sostenere gli impegnativi ritmi accademici". Probabilmente anche Giada non era adeguata a proseguire gli studi dopo le scuole superiori. Sia ben chiaro: con la mia affermazione non intendo disprezzare nessuno. Sto dicendo la verità: c'è chi fa fatica perché non riesce a concentrarsi, c'è chi non riesce nemmeno ad aprire i manuali, c'è chi continua a iscriversi agli appelli e poi, per qualche oscuro motivo, non si presenta mai al momento dell'esame...
Voglio soltanto affermare che chi non è portato per lo studio e chi più semplicemente non ne ha la minima voglia non è né un perduto né un fallito: può sempre lavorare come commesso, cassiere, barista o cameriere, tutti lavori onestissimi e dignitosissimi.
Lavori spesso precari, è vero, ma piuttosto di essere un "nenè" (non studente né lavoratore), va bene anche un contratto lavorativo di sei mesi, perché, bene o male, guadagni qualcosa e ti senti utile.
Prima di considerarvi dei falliti aspettate di raggiungere i 60 anni, di essere dei pluridivorziati che vivono sul lastrico e che non riescono a rapportarsi con i figli.
Questi io li chiamo dei veri e propri fallimenti esistenziali, anzi, catastrofi esistenziali.
Però non aspettate i 26 anni (Giada è morta a questa età) per capire che non siete "tagliati" per lo studio. Aspettate al massimo i 22: quando, arrivati alla mia età di adesso, vi rendete conto di faticare un sacco negli studi, oppure prendete atto del fatto che non riuscite a dare/superare esami, parlate con i genitori, considerando la possibilità di iniziare un lavoro.
Oltre ai lavori elencati sopra, so che si può sempre frequentare un biennio specialistico per prendere un secondo diploma di istruzione superiore. Questa è stata una grande invenzione da parte della Fedeli, perché, dopo questi due anni di scuola aggiuntivi, il 98% dei frequentanti riesce a trovare lavoro in tempi rapidi.
Perché la laurea deve essere l'unico sbocco possibile dopo la maturità??!
Comunque, i genitori sono importantissimi, per me almeno mamma e papà lo sono stati, pur con le loro abissali diversità di carattere e con il loro differente modo di porsi nei miei confronti.
Se siete sinceri con gli adulti che vi hanno cresciuto, scoprirete che vi daranno una mano volentieri nel cambiare i vostri percorsi di vita.

Ma perché lei non è riuscita a dire alla famiglia che non riusciva a combinare nulla all'Università?
Me lo sono chiesta per diversi giorni.

Secondo mia madre i genitori di Giada nutrivano troppe aspettative verso la loro figlia e dunque lei avrebbe nascosto le sue reali difficoltà per paura di essere giudicata.
Per mia mamma insomma, si tratta di un rapporto generazionale che non ha funzionato, in cui una giovane figlia non si è sentita compresa né ascoltata.

Per me può essere anche questo, non avendola conosciuta, ma ci tengo a puntualizzare il fatto che a 26 anni una non è più una bambina, ma una giovane donna adulta. Nessuno l'ha costretta a raccontare balle colossali puntandole una pistola alla tempia. L'ha voluto lei. 
Anche le bugie sono scelte, sapete: una persona, per evitare di accettare la realtà con tutte le sue complicazioni, decide di rovinarsi con una serie di menzogne. Poi, una bugia tira l'altra, fino al punto in cui diviene difficile tornare indietro.

Con tutto il rispetto per una morta suicida, ma Giada era molto immatura.
Piuttosto di ingannare così tanto le persone che amava, poteva dire chiaramente che non ne poteva più di Università, che non ne aveva voglia, che voleva andare a lavorare, anche a costo di essere buttata fuori di casa.
O forse Giada non aveva voglia nemmeno di trovarsi un lavoro??
Ho capito che per i genitori è sempre una delusione quando un figlio interrompe gli studi, ma mille volte meglio un figlio mai laureato che lavora piuttosto che un menzognero nullafacente. Questa ragazza che cosa ha fatto per il bene di se stessa in questi ultimi anni? Niente!

Io penso che se il 9 aprile, invece di uccidersi in quel modo schifoso, lei avesse rivelato alla sua famiglia la verità, penso che comunque sarebbe finita sui giornali.
Dai, è troppo clamoroso un caso in cui i genitori scoprono nel giorno della laurea che la loro figlia non ha mai combinato niente in cinque lunghi anni!
Un po' di morale, a pensarci bene, potrei fartela, ora che non ci sei più: io studio duramente. Sono quasi arrivata alla laurea triennale.
Non sono nemmeno lontanamente paragonabile alle mie quasi coetanee che partecipano a "Uomini e donne": quelle str****tte, per fare una bella figura di fronte al pubblico e di fronte ai loro corteggiatori, dicono che studiano o che sono "laureande", ma se lo fossero davvero, non avrebbero il tempo di farsi ammirare in televisione quasi ogni giorno.
Io sono una vera laureanda. E, nonostante abbia terminato il ciclo di esami previsti nel piano di Lettere, non ho il tempo materiale per farmi vedere su uno schermo televisivo. Sto facendo più fatica a scrivere un post la settimana in questo periodo che non quando ero una semplice studentessa che dava esami, pensa un po'!! Perché devo leggere, consultare, scrivere, aggiungere, prestare attenzione alla lunghezza dei capoversi dei paragrafi, fare le note a piè di pagina con precisi riferimenti bibliografici, distinguere bene il maiuscolo, il maiuscoletto e il corsivo, attenermi ad una struttura di lavoro contenutistica oltre che grafica e di interlinea.
La tesi è parecchio impegnativa, per questo mi dà un po' fastidio quando sento qualcuno che, non avendo la minima idea di come si scrive un elaborato per il conseguimento della laurea, dà d'intendere agli altri che "si sta occupando della tesi".
Oltre al mio attuale lavoro di studentessa, conta che faccio e ho sempre fatto attività di volontariato: negli scorsi anni nel mio comune e partecipando ad alcuni campi di lavoro fuori Verona, quest'anno in parrocchia e, per qualche mese, l'ho svolto anche di domenica, all'interno di una sala cinematografica.
Oltre a ciò, tieni presente che da un anno a questa parte do qualche ripetizione per pagarmi almeno qualche acquisto e i biglietti d'autobus.
Cioè, io nella mia vita, adesso come adesso, ho appena il tempo di mangiare, di dormire e di andare in bagno. A casa, quando non studio, aiuto i miei nei lavori domestici. Ormai so fare tutto tranne che stirare.

Capisci che la laurea non ti arriva se schiocchi le dita? 
Nemmeno il moroso arriva con un semplice schiocco di dita!
Non siamo maghi, siamo esseri umani. Per raggiungere una meta, dobbiamo per forza faticare e metterci un determinato periodo di tempo.

Io però effettivamente, qualche colpa tendo ad attribuirla anche ai genitori e al fidanzato di Giada.
Possibile che nessuno abbia mai sospettato la verità? Come hanno fatto a crederle su tutto?
Possibile che lei sia stata così abile a ingannarli tutti?
Ma dai... e il fidanzato disperato che faceva già dei progetti di matrimonio... ma dai... ma prima di sposarsi bisogna finire di studiare e cominciare a lavorare!
Ma dai... ma che fidanzamento è un rapporto in cui non ci si dice la verità, in cui non si riesce a mettere a nudo le proprie fragilità? Ma quanto dialogo c'è stato tra questi due?

Vabbè dai, non rincaro la dose di commenti.
Concludo con un pensiero, una teoria: se critico l'atteggiamento di Giada non è perché mi ritengo la ragazza migliore del mondo. 
E' perché detesto la falsità.


8 maggio 2018

"Quasi amici": la diversità come risorsa


Lo abbiamo fatto vedere ai nostri adolescenti (annata 2003) e ieri sera, nel corso della verifica finale, abbiamo scoperto che questo film è stata una delle cose che a loro è piaciuta di più.
Effettivamente l'ho rivalutato molto.

Il film è ambientato nella piovosa Francia e i protagonisti della storia sono Philippe, un tetraplegico colto, molto ricco, vedovo e malinconico e Driss, giovane disoccupato di origini africane che proviene da un ambiente familiare economicamente e culturalmente misero.
Proprio come Max e Kevin in "Basta guardare il cielo", Philippe e Driss all'inizio sembrano due mondi diametralmente opposti, troppo diversi tra loro per poter instaurare un rapporto significativo.

Che cos'è per voi l'amicizia?
Io mi sono accorta di non sapere la risposta. Perché non mai  sperimentato per davvero l'amicizia. L'ho cercata, ma non so ancora in che cosa consiste precisamente. Ad ogni modo, tutte le esperienze che ho provato a fare per anni, tutta la mia cieca e ingenua fiducia che ho riposto per anni in alcune persone mi hanno insegnato che l'amicizia, prima ancora che gli interessi in comune, esige la reciprocità: se il mio interesse per l'altro come persona non è ricambiato questo significa che non siamo amici e che il nostro è un rapporto a vicolo cieco, destinato a finire tra rabbia, risentimento e delusione.
Per alcuni l'amicizia è un rapporto che implica il continuare a coltivare i contatti con persone conosciute nell'infanzia, in genere vicine alla propria età; per altri è una relazione che si instaura solo se si possono condividere molti interessi in comune e solo se si possono avere delle personalità simili, per altri ancora è un qualcosa che riguarda soprattutto il vedersi di tanto in tanto in qualche bar o pizzeria o locale notturno.
Ma forse le vere amicizie solide e durature scaturiscono da incontri inaspettati, da occasioni che, almeno all'inizio di un'esperienza, non ti fanno istintivamente sognare una futura-prossima amicizia.
Vale a dire: occasioni o primi incontri che non inducono subito la tua mente a immaginare un film illusorio, in cui vengono proiettate avventure e chiacchierate che ci si aspetta di fare con una persona appena conosciuta che suscita in noi simpatia.

E a questo punto, un po' anche come provocazioni oltre che come domande di riflessione, vi chiedo: Quando è possibile un rapporto di amicizia tra due persone molto/troppo diverse? Che cosa, a vostro avviso, nei rapporti quotidiani può far finire un'amicizia?

Per ragionare partite dalla derivazione latina della parola diverso: "divergo, divergere", e quindi "dissimile, contrastante".
All'inizio del film, quelle di Driss e di Philippe sono delle personalità contrastanti, delle abitudini contrastanti, degli stili di vita contrastanti.
La parola "contrasto" non necessariamente deve sempre essere collegata al litigio.
Cioè, dipende dai contesti: a volte è un litigio, altre volte è sinonimo di "diversità stridente", che però può diventare motivo di fascino.
Per gli artisti: sapete meglio di me che cos'è il contrasto cromatico. Come se io accostassi all'interno di un dipinto il verde e il rosso, il primo colore freddo, il secondo colore caldo. A me sinceramente non fa schifo vederli accostati in un dipinto. Però la loro grande divergenza salta immediatamente all'occhio.
Dipende dai contesti considerare esteticamente bella la loro compresenza:  dipingere le mura interne di una cucina con righe verdi e rosse è un'idea degna di persone piuttosto grezze, dipingere una bandiera di rosso e verde invece è una buona idea, ci sta.
Ci sono dei casi in cui rosso e verde stanno molto bene insieme, me ne accorgo in questi giorni che sono spuntati anche i papaveri in mezzo ai campi: danno un po' di vivacità a tutto quel verde alimentato dalla pioggia.
E così è anche tra le persone: talvolta, come nel caso di Philippe e Driss, le divergenze evidenti che appaiono incolmabili possono in realtà essere attenuate dagli atteggiamenti o dalle situazioni.
Il contrasto è proprio sempre negativo? 
Io credo che, se vissuto con maturità ed equilibrio, possa portare alla nascita di un rapporto sincero e autentico. 
La schiettezza di Driss, seppure inizialmente venata anche da grossolanità e da ignoranza, convince Philippe ad assumerlo. 
La loro occasione di incontro è un colloquio di lavoro al quale Driss viene sottoposto.

Per quel che riguarda la seconda domanda, anche in questo caso potrei aiutarvi fornendovi alcune cause che possono minare anche un ottimo rapporto di affinità tra due persone: incapacità di accettare osservazioni, doppie facce, freddezza, incostanza.


Ad ogni modo, dicevo che Philippe, sin dall'inizio, intuisce e apprezza la schiettezza di Driss.
E, pur sapendo che è un ex-drogato con dei precedenti penali, decide di assumerlo come badante.
Nei primi tempi il giovane non si rivela proprio attento e serio: basti pensare quando di proposito versa sulle gambe di Philippe l'acqua bollente da thé e anche alla scena in cui, nel fargli la doccia, tutta la schiuma dello shampoo finisce sui piedi dell'assistito... e nonostante tutto ciò, Philippe ride sotto i baffi e al massimo, lo rimprovera bonariamente.

A me è piaciuta soprattutto la scena in cui loro due, in seguito a una piccola crisi respiratoria di Philippe e dopo una passeggiata notturna per Parigi, entrano in un locale aperto dove Philippe racconta a Driss il suo passato, piuttosto infelice non soltanto per il grave incidente subito che ha comportato la paralisi del suo corpo, ma anche per la perdita della moglie Elise: "il mio vero handicap non è la paralisi, è non avere più lei", dice a un certo punto.

Driss, nei confronti di Philippe si comporta molto meglio dei familiari di quest'ultimo: la figlia adolescente di Philippe è frivola, prepotente, incurante del padre. Però lo spettatore non se la sente di condannarla, dal momento che è una ragazza triste, oppressa dalla solitudine e dalla poca stima in se stessa, orfana di madre e con un padre infermo.
Il fratello di Philippe mi è sembrato un uomo freddo: quando lo incontra non gli chiede mai "come stai?" o "come ti senti?". Mai! Lo rimprovera, mettendolo in guardia da Driss: "Non ha nessuna pietà nei tuoi confronti! Non puoi far entrare chiunque in casa tua, soprattutto nel tuo stato."
E Philippe, molto calmo, gli risponde: "E' esattamente questo quello che voglio: nessuna pietà."

Se Philippe è molto bravo nel prendere con ironia il comportamento di Driss, quest'ultimo è dotato di un grande pregio, rispetto agli altri badanti: mai una volta che manifesti commiserazione per la paralisi o per le crisi notturne o per il dolore della perdita. Vale a dire che lo tratta da pari: l'approccio di relazione è esattamente quello che si può avere con una persona sana. Sostanzialmente, è di questo che Philippe ha bisogno.

Il finale è stupendo. E la colonna sonora è principalmente di Einaudi.
Però, come mai "quasi amici" e non "amici in perfetta sintonia"? Alla fine del film entrambi sanno comprendere bene l'uno lo stato d'animo dell'altro. Però, entrambi si rendono conto di non poter rimanere legati per tutta la vita. Il loro è un rapporto bellissimo, ma Driss è ancora molto giovane e per questo, secondo Philippe, merita di sperimentare altre opportunità di lavoro.

Quel che è magico in quest'opera cinematografica è che l'uno prende qualcosa dell'altro, come di per sé dovrebbe essere anche nei rapporti d'amore: Philippe inizia a dire qualche parolaccia e ad adottare degli atteggiamenti un pochino rudi nei confronti dei badanti neo-assunti che non gli piacciono, Driss invece esce "sgrezzato" dalla lussuosa villa di Philippe. Esce con un bel po' di cultura in più (ha imparato a capire l'arte contemporanea e a dare la definizione di un verso alessandrino!) e con la capacità di regolare e moderare certi comportamenti aggressivi.

Il Mereghetti, dizionario di critica cinematografica molto duro e molto "cattivo" nel dare voti e giudizi ai film, scrive a proposito di "Quasi amici":

"Tratto da una storia vera, quella dell'aristocratico Philippe Pozzo di Borgo, immobilizzato dopo un incidente di deltaplano, e del suo assistente magrebino Abdel, il film costruisce la sua riuscita sulla complicità che i due personaggi mettono in campo: non si scherza alle spalle ma in faccia, senza pietismi o condiscendenze, sottolineando l'impossibilità di Philippe di muoversi e le sue frustrazioni sessuali. I due registi (Omar Sy e Francois Cluzet), autori anche della sceneggiatura, dimostrano furbizia e senso dello spettacolo, ed è indubbio che si rida spesso e di una comicità pacificante e liberatoria. Driss porta un soffio di vita nell'esistenza di un uomo ricco e depresso."

Poi però, nonostante tutti questi apprezzamenti, che voto gli mette?! 5/10. Carogna! Illogico!
Come se io, nel correggere un tema di un alunno, gli scrivessi un commento del genere "Forma chiara e corretta, contenuti buoni e ben organizzati" accompagnato da un 5 e non da un 8.

Alcune settimane più tardi, ho proposto ai miei adolescenti uno spezzone dal cartone di Shrek 1.
Anche qui, Ciuchino e Shrek divengono magicamente amici, nonostante la profonda diversità di carattere, nonostante i modi profondamente diversi di approccio alla vita.



Per quasi tutto il film, è soltanto Ciuchino che ci tiene a instaurare l'amicizia con un orco burbero, chiuso e antipatico.
Però questo è un dialogo che funge da anticamera per la nascita di un buon rapporto tra di loro: Shrek confida a Ciuchino che cosa lo mette a disagio, Ciuchino gli fa da appoggio, essendo privo di pregiudizi.

Devo aver detto ai ragazzi una cosa di questo genere:
"I muri e le muraglie non sono positivi se servono a isolarsi dal mondo esterno o a dividere. Pensate alla storia, al muro di Berlino che ha separato fratelli, amanti e amici.
Se nei rapporti innalziamo dei muri verso l'altro, significa che in noi c'è timore di conoscere l'alterità e di rapportarsi. Il muro è chiusura e pregiudizio. Pregiudizio che spinge qualche vostro coetaneo a comportarsi in modo molto pesante verso qualcuno, in modo tale da renderlo vittima di bullismo. Prendere in giro qualcuno perché è diverso è segno di fragilità e di paura. Accoglierlo in gruppo e apprezzarne le qualità è un bene, un qualcosa che si dovrebbe sempre fare. Perché poi potrebbe succedere che un ragazzino della vostra età, visto che ha sofferto molto le derisioni, decida di chiudersi in se stesso. Fate in modo che questo non accada né nella vostra vita scolastica, né in futuro, quando proseguirete gli studi e andrete al lavoro."

Ed è con questo commento che concludo il post. Sperando che gli animati che mi leggono abbiano ben compreso il senso di quello che volevo trasmettere. Avendo subito del bullismo psicologico, sapevo bene quello che stavo dicendo.

Una precisazione importante: il video su Shrek era collegato anche al tema della fiducia, argomento che i miei coanimatori avevano sviluppato anche con dei giochi e con la proposta della lettura di un brano del Vangelo sul cieco nato che si reca nella piscina di Siloe e si lava gli occhi e così scopre di vederci, scopre che i suoi occhi sono in grado di dare forma e colori alle cose. Meraviglioso!!