26 luglio 2018

Sigismondo D'India e le lacrime dei maschi:

Mi rendo conto che il titolo del post è strano, ma ne comprenderete bene il senso leggendo ciò che ho scritto nei paragrafi sottostanti.
Capitemi, è l'autore che ho trattato nella mia tesi, dunque mi sembrava carino condividere qualcosa qui dopo mesi di ricerche.

BIOGRAFIA DI D'INDIA:

Non disponiamo di molte notizie a proposito della vita di Sigismondo D'India.
Sicuramente è vissuto a cavallo tra Cinquecento e Seicento.
Era originario di Palermo e, come è facile immaginare, proveniva da una famiglia aristocratica.
In quell'epoca storica potevano accedere agli studi letterari e musicali soltanto coloro che provenivano da famiglie influenti o comunque ricche e nobili.
A livello prettamente biografico, ci sono cinque date rilevanti nella vita di D'India: 1606, 1609, 1611, 1623, 1624.
Nel 1606, come attesta il filologo musicale Tim Carter, il compositore si trova a Mantova, al servizio del duca Vincenzo Gonzaga. In quello stesso anno, viene fatta pubblicare la sua prima raccolta di madrigali a cinque voci.
Al 1609 risale invece la pubblicazione del primo libro delle Musiche, contenente ben 47 brani musicati, di cui 21 polifonici. Preciso che il termine polifonia è un composto da πολύς (polùs=molto) + ϕωνή (foné=voce) e quindi significa: "più voci", contrapposto alla monodia, che deriva invece da μόνος (mònos=unico) + ᾠδή (odè=canto).
Nel 1611 D'India si trasferisce a Torino alla corte dei Savoia, dove rimane per 12 anni e dove è probabile che abbia conosciuto Giambattista Marino, autore dell'Adone.
Nel 1623, come attesta Lorenzo Bianconi, lo troviamo al servizio del cardinale Maurizio di Savoia a Roma e a partire dall'anno successivo serve anche gli Estensi a Modena.
Ci mancano le certezze sia riguardo alla data di nascita che a quella di morte.
Si suppone però che sia vissuto in un arco cronologico di 50 anni (1580-1630).

OPERE DI D'INDIA:

In un arco di tempo compreso tra il 1606 e il 1624, D'India ha realizzato ben otto libri di Madrigali a cinque voci e cinque libri di Musiche.
Nelle Musiche compaiono sia brani monodici sia brani polifonici.
Nel corso del primo capitolo del mio elaborato finale mi sono focalizzata soprattutto sui contenuti dei cinque libri delle Musiche, dal momento che essi offrono una panoramica chiara e completa delle tecniche compositive dell'autore.

Nel primo libro delle Musiche è interessante rilevare in particolar modo che viene messo in musica il lungo monologo di Mirtillo, personaggio del Pastor Fido di Guarini, pastore di origini divine che ama profondamente Amarilli, discendente del dio Pan (nella cultura greca, divinità figlia di Ermes, dio delle selve e della natura).
Il monologo di Mirtillo è di carattere malinconico, dal momento che il personaggio, all'arrivo della primavera, contempla la natura e ricorda con molta nostalgia l'amata che non vede da un anno.
Questo brano era stato messo in musica anche da Jacques de Wert, all'interno del suo undicesimo libro di Madrigali, uscito nel 1595
Entrambi i musicisti hanno suddiviso questo testo letterario formato da 45 versi in cinque sezioni.
Il dottor Andrea Garavaglia rileva tuttavia una sostanziale differenza tra il lavoro di Wert e quello di D'India: mentre Wert dà vita ad una melodia polifonica, D'India invece lo mette in musica a voce sola.

Nel secondo libro delle Musiche prevalgono i brani polifonici cantati da due voci: un esempio di ciò è proprio il monologo di Falsirena, lungo ben 64 versi e tratto dall'Adone di Marino.
Falsirena conduce Adone nel suo palazzo e, dopo che egli si assopisce all'interno di una delle stanze, lei inizia a interrogarsi su ciò che prova. I primi versi del brano dicono infatti: "Ardo, lassa o non ardo?"
Il brano contiene anche dei suggestivi passaggi melismatici. Chiarisco che il melisma (dal greco μέλος, ovvero, "aria, canto") è una tecnica musicale che consiste nel caricare un gruppo di note su una sola sillaba testuale. Per cui, nell'ultima parola "amore", le due voci totalizzano ben 112 melismi!

Il terzo libro è la prova evidente del fatto che questo compositore musicava componimenti compresi in un arco cronologico piuttosto ampio: in questa raccolta infatti troviamo sonetti di Petrarca, di Bembo, di Gabriello Chiabrera; un passo dell'Aminta, favola pastorale di Tasso, alcune ottave della Gerusalemme Liberata e alcuni brani tratti dall'Adone.
Petrarca è stato operativo nel Trecento, Marino invece nel Seicento.
Nel terzo libro tra l'altro, appaiono dei dialoghi messi in musica attraverso vari espedienti: alternanza delle voci, sovrapposizioni vocali, eco, contrasto.

E arriviamo agli ultimi due libri, che presentano una singolare novità: nel quarto libro ci sono i lamenti di Orfeo e di Apollo, nel quinto invece il lamento di Giasone.
Ed è proprio questo l'aspetto più originale e più innovativo di D'India!
I testi dei tre lamenti, come asserisce Bianconi, sono "frutti dichiarati della Musa poetica del musicista". In parole meno ridondanti: i testi sono stati scritti dal compositore stesso, che ha dato poi anche un'impostazione musicale.
Prima di allora, nessun musicista aveva mai scritto dei lamenti che poi metteva in musica.
Il Lamento di Arianna ad esempio è stato messo in musica da Monteverdi, ma il testo è di Rinuccini.

Inoltre, i lamenti di Sigismondo D'India risultano svincolati da un ampio contesto narrativo: sono brani a se stanti, non sono inclusi all'interno di un'opera teatrale.
Dal momento dunque che si tratta di testi indipendenti, questi lamenti rendono l'atto del lamentarsi come l'emblema della condizione ontologica di chi prova dolore e angoscia.

I LAMENTI MASCHILI:

Non ci sono noti i motivi per cui D'India abbia voluto soprattutto dei personaggi maschili per i suoi lamenti.
Tra l'altro, il genere letterario del lamento prevedeva esclusivamente delle figure femminili, secondo le convenzioni sociali dell'epoca.
L'ho trascritto in altri post: per molti secoli, sin dall'antichità e più che mai nel periodo dell'antico regime (Seicento), il ruolo fondamentale dell'uomo consisteva soprattutto nel farsi garante dei valori culturali e morali dell'epoca. Non gli è quindi consentito piangere e disperarsi per vicende di vita privata. Non può assolutamente farlo: il pianto lo porterebbe a distrarsi dai suoi importanti compiti sociali.
Vi riporto qui due opere della classicità che ben riflettono questa mentalità che è perdurata per millenni: l'Economico di Senofonte, dialogo tra Socrate e l'aristocratico Isomaco in cui gli uomini, in quanto dotati di maggiore forza fisica e ardimento, sono tenuti a partecipare attivamente alla vita politica, alle leggi e agli eventi sociali, mentre le donne invece devono mostrarsi madri amorevoli e mogli fedeli, fedeli soprattutto all'ambiente domestico.
Ovidio invece, nel primo libro della sua Ars Amandi, afferma che la "libido" femminile è sfrenata e rovinosa, mentre quella maschile "rispetta i confini della legge".

Era assolutamente necessario inoltre, all'interno della seconda parte della mia trattazione, evidenziare che il lamento è un genere diverso dalla follia.
Sono entrambe delle rappresentazioni teatrali che riguardano la sofferenza amorosa ma, mentre la follia implica l'enfasi dei gesti, il lamento invece si focalizza in particolar modo sull'interiorità degli individui sofferenti, che si rivolgono idealmente alla persona che li ha fatti soffrire.

D'India elabora il genere del lamento in modo del tutto curioso!
I lamenti da lui scritti e musicati sono in realtà cinque: oltre a quelli menzionati sopra, bisogna tener conto anche del Lamento di Didone e del Lamento di Olimpia, anch'essi fatti pubblicare nel 1623.
Didone e Olimpia sono donne abbandonate dai loro amanti.
Orfeo invece, perde Euridice per sempre dal momento che ha violato le leggi imposte da Plutone, sovrano dell'oltretomba.
Apollo, dal canto suo (e questo è davvero insolito!), è una divinità che si dispera a causa della trasformazione di Dafne in alloro.
Il testo di Giasone è notevole per un altro motivo: egli non soffre per amore. Giasone è un padre straziato dal dolore dell'improvvisa perdita dei suoi tre figli, massacrati dalla terribile e vendicativa moglie Medea che non accettava la loro separazione e soprattutto, detestava il fatto che il marito avesse intenzione di sposarsi con un'altra.

Prima che io vi dica qualcosa su ogni lamento maschile di questo autore vi invito a farvi una domanda: pensate a personaggi della tradizione letteraria italiana. Avete individuato mentalmente un personaggio maschile che piange per amore e che desidera morire e che si lamenta?!
Non rispondetemi "Orlando" di Ariosto, per favore. Non vale!
Orlando è furioso, non è malinconico. E' disperato sì, ma non si lamenta: impazzisce e, per l'appunto, si infuria! Inizialmente si rifiuta di credere che Angelica, la donna di cui è perdutamente innamorato, abbia preferito di gran lunga Medoro a lui ma poi, quando gli si palesa davanti agli occhi la realtà dei fatti, urla, si strappa i capelli e con la sua spada taglia i tronchi di tutti gli alberi che gli si trovano davanti.

IL LAMENTO DI ORFEO:

Quattro secoli fa, l'immagine di un Orfeo languente era già molto radicata in Italia.
Il testo di questo lamento inizia con una serie di domande che ben rispecchiano l'iniziale disorientamento del personaggio:

Lamento di Orfeo, vv. 1-9:

Ohimé che veggio, che miro?
Chi lasso mi ti toglie, 
Euridice, mio bene?
Chi mi ti invola, ohimé,
cara degli occhi miei luce e pupilla?
Chi dunque del mio core, 
chi dell'anima mia lasso mi priva?
Ah, che non vegg'io, 
ch'alcun ponga soccorso al dolor mio!

Dal punto di vista musicale, queste domande iniziali vengono musicate secondo un andamento melodico ascendente, fino all'esclamazione "Ah", in cui si raggiunge la nota più acuta.
A partire da "che non vegg'io" inizia una sequenza melodica discendente, finalizzata a evidenziare lo sconforto di Orfeo.
Di poco successiva alle domande, l'autore inserisce una memoria recente nella storia personale di Orfeo: egli in effetti ricorda come la morte terrena di Euridice sia avvenuta in un momento di serenità.

Lamento di Orfeo, vv. 10-12:

Ohimé, come su l'alba 
delle delizie mie, delle mie gioie,
cadde repente l'espero de' mali!

 Da notare che in questo punto l'andamento melodico diviene tranquillo e asseconda così la fase riflessiva, in contrasto con la concitazione precedente.

Nel corso dell'esecuzione del componimento, Orfeo prega le divinità infernali di restituirgli Euridice e si lamenta a proposito della severità delle norme dell'oltretomba.
Ma la supplica si volge presto in disperazione e accentuazione del dolore a causa dei quali il protagonista si sente morire. 

Alla fine del lamento, Orfeo sviene a causa del dolore.

 Lamento di Orfeo, vv. 61-67:

A così grave duol già cede l'alma,
perde la lena il cor e'n guisa d'angue,
che giace a terra, moribondo langue.
Tremando agghiaccio, freddo il viso e smorto;
privo di moto, tramortito io resto.
Già cede al duolo il cor già stanco e lasso,
io vengo meno e resto immobil sasso.

Garavaglia osserva che questo lamento sembra presentare per lo più i caratteri di un lamento femminile: il protagonista infatti, subito dopo aver infranto le condizioni di Plutone per vedere se Euridice lo segue, si rende conto che l'amata è improvvisamente scomparsa. Ma la causa di questa sparizione consiste proprio nell'errore di Orfeo: nel voltarsi infatti egli infrange le regole dell'oltretomba, vìola le leggi del sistema socio-culturale e dunque si rivela certamente fragile con questo atteggiamento poco maschile.

IL LAMENTO DI APOLLO:

Nel testo di D'India Apollo appare un dio molto addolorato a causa di un amore non corrisposto.
Si era mai visto prima un componimento il cui protagonista, essere di natura divina, si lamentasse per la metamorfosi dell'amata??! Mai!
Come nel lamento di Orfeo, anche qui D'India inserisce all'inizio del testo delle domande che Apollo rivolge a sé e idealmente all'amate scomparsa:

Lamento di Apollo, vv. 1-8:

Che stringo? Ah, dove sono e in qual parte?
Dove sei dileguata,
dove sei tu sparita,
anima mia gradita?
Come senza il tuo giorno
in tenebre di duol sepolta vivi?
Ed io non meno e spiro e parlo e sento?
Ahi, che moro al gioir, vivo al tormento.

Tuttavia, nella sezione centrale del lamento, Apollo riflette su se stesso e, immaginando le disastrose conseguenze della sua morte per l'umanità intera, riprende coscienza del suo ruolo divino.
Senza Apollo infatti, l'umanità verrebbe privata della luce, fonte indispensabile per la vita.

La consapevolezza del suo ruolo divino implica il prevalere della ragione sul dolore per cui, quando alla disperazione si sovrappone la razionalità, la struttura metrica del lamento diviene regolare, in versi organizzati in quartine con uno schema delle rime ABBA/CDDC:

Lamento di Apollo, vv. 17-24:

Non fia ch'in seggio assiso errando intorno                              A
con l'eterna mia luce il mondo avvivi,                                        B
ma di vita le piante e i fiori privi                                                 B
darò tenebre eterne e notte al giorno.                                        A


E di lugubre manto il ciel vestito                                                 C
in eclissi perpetua, in nube oscura,                                             D
nel primo stato tornerà natura,                                                  D
ché più bel sol di me vegg'io sparito.                                          C


Prima invece, nella sequenza iniziale che ho ricopiato, si nota chiaramente l'alternanza tra endecasillabi e settenari sciolti.

Un ultimo particolare non trascurabile sta nel fatto che Apollo, alla fine del lamento, non sviene ma parte, dal momento che ha superato il dolore: "da te, caro tesoro/da te parto, cor mio, parto e non moro!"

IL LAMENTO DI GIASONE:


E passiamo a quello che ha più diritto degli altri di lamentarsi e di disperarsi!

Giasone non è come Orfeo e Apollo, prima di tutto perché si trova costretto, davanti ai cadaveri lacerati dei figli, a prendere atto in modo traumatico di ciò che è accaduto.
Quindi, qui non ci sono delle domande iniziali di disorientamento o di ricerca dell'oggetto d'amore.
E poi, l'autore inserisce tre versi endecasillabi struggenti, in cui traspare già il desiderio del personaggio di morire:

Lamento di Giasone, vv. 1-3:

Ancidetemi pur, dogliosi affanni,
poiché non trovo loco al mio languire.
Trafiggetemi pur, ch'io vuò morire!

Ho trovato molto affascinante il paragone che Garavaglia ha istituito con il Lamento di Arianna di Rinuccini.
Garavaglia in pratica dice che l'esordio di questo lamento di D'India richiama alla mente i primi cinque versi del lamento musicato da Monteverdi:

Lamento di Arianna, vv. 1-5:

Lasciatemi morire.
E che volete voi che mi conforte,
in così dura sorte,
in così gran martire?
Lasciatemi morire.

D'India, come Rinuccini, tende a ripetere a fine strofa il verso iniziale. Ma non è una ripetizione letterale come nel Lamento di Arianna, bensì concettuale: "ancidetemi" (uccidetemi) e "morire" sono semanticamente vicini. Inoltre, il soggetto di "trafiggetemi" è sempre "dogliosi affanni".
Forse D'India non ha ritenuto giusto riproporre la ripetizione letterale del verso perché non la riteneva adatta ad esprimere la continua mutevolezza dell'animo umano.
Anche se la ripetizione sarebbe di norma nelle forme testuali destinate alla musica.

Da considerare però che D'India replica più volte all'interno di questo monologo il distico (coppia di versi) che fa: "Ancidetemi pur, doglia e martire!/ Trafiggetemi pur, ch'io vuò morire!"

Questo lamento prevede più interlocutori ideali: i figli morti e la moglie Medea, non presente in scena.
La molteplicità di interlocutori permette di rilevare i sentimenti antitetici di Giasone: l'odio verso la ex moglie e l'affetto verso i figli.

Lamento di Giasone, vv. 27-31:

Medea, spietata e dura,
perché non ti privai di vita allora
quando eri mia? Crudele!
Perché dal petto non ti trassi il core?
Perfidissima fiera! Ohimé, ch'io spasmo!

Proprio in questo punto in cui Giasone maledice Medea, l'andamento melodico diviene gradualmente ascendente e il ritmo accelera man mano che il cantante-interprete emette le parole.

Naturalmente, anche nella tragedia di Euripide, Giasone manifesta un forte astio verso la moglie, la chiama, a buon diritto: "abominio".

Nella seconda parte del lamento, D'India sviluppa una situazione drammatica davvero molto particolare: nell'istante successivo in cui il protagonista dichiara di voler rinunciare al potere regale, crede di essere prossimo alla morte, dal momento che la sua è una sofferenza indicibile.
In realtà, si tratta soltanto di un piccolo cedimento.

Lamento di Giasone, vv. 48-59:

Ma qual sent'io, qual duolo
m'imgombra il petto e l'alma!
Ahi, che finir mi sento,
già sento palpitarmi 'l cor nel seno,
già manco e moro, ahi lasso, io vengo meno!

Non moro dunque? E vivo e spiro ancora?
Mori, morto al dolore!
Mori, morto mio core!
Non più, non più trofei!
Non più ornamenti e fregi!
Squarcisi il ricco manto e a terra cada
la gemmata corona e 'l reggio scettro!

 Gli ultimi tre versi appaiono molto espressivi, sia dal punto di vista verbale che dal punto di vista musicale:

Lamento di Giasone, vv. 60-62:

Figli, se morti siete, io più non vivo,
non più v'abbraccio, v'accarezzo e adoro,
ma dolente già manco e spiro e moro.

 
Nel collasso finale, la voce ascende gradualmente di toni fino alla parola "spiro" (dove raggiunge il fa diesis, la nota più acuta di tutto il lamento), per poi precipitare improvvisamente prima di tacere.
Queste intonazioni mettono ben in risalto tra l'altro il climax discendente dell'ultimo verso: "manco, e spiro e moro". 

Un'ultima considerazione: avrete sicuramente notato che D'India, oltre che musicista, è un letterato molto colto dal momento che ricorre a termini ed espressioni tipiche di autori medievali, che dunque già nel Seicento erano considerate un po' antiquate, come: "lasso" (=povero), "veggio" (=vedo, e qui vi ricordo gli stilnovisti con il verso "veggio negli occhi de la donna mia"), "ancidetemi" (=uccidetemi, tipico anche questo dell'italiano del Duecento), "duol" (=dolore), "guisa" (modalita' dell'italiano antico per dire "e in questo modo, e così"), langue (=soffre, languisce).

Da notare infine alcuni latinismi, come "cor" (dal latino cor, cordis), "miro (dal latino "mirare", vedere), fiera (parola latina per indicare "belva"), alma ("anima").

Oltre a ciò, richiamo alla mente anche alcune somiglianze letterarie: Orfeo chiama Euridice "mio bene", proprio come fa Tasso in un madrigale amoroso che inizia con le parole: "amatemi, ben mio".
E infine, il verso del medesimo lamento: "tremando agghiaccio, freddo il viso e smorto" ricorda alcune parole del sonetto di Petrarca "Pace non trovo et non o' da far guerra": "et temo et spero et ardo e son un ghiaccio". 
Il freddo, il ghiaccio, nella nostra tradizione letteraria fa riferimento ad un dolore e ad un tormento che in un certo senso "raggela l'anima", toglie la voglia di ridere e di vivere serenamente.


23 luglio 2018

Finalmente laureata!!

-Cronaca del mio giorno di laurea-

... finalmente ho un attimo di libertà per potervi raccontare in modo abbastanza sintetico il giorno della mia laurea!

Inizio dalla notte.
Nella notte tra il 16 e il 17 luglio devo aver fatto più di un sogno, dal momento che non riesco a legare in un'unica narrazione tutti gli episodi creati dalla mia diabolica mente la notte prima di questo grande evento.
Mi ricordo che andavo in Università su un calesse trainato da due cavalli e che per questo motivo arrivavo in aula in vergognoso ritardo.
E questa è soltanto la prima immagine che sto rievocando in modo nitido, a distanza di circa una settimana.
Ho inoltre anche una vaga idea della mia discussione in un altro piccolo sogno, che racchiude in particolar modo i particolari dei volti molto seri dei membri della commissione che, invece di ascoltarmi, borbottavano tra loro: "Che argomento strano! Ma la signorina non poteva svolgere una tesi d'altro genere, una tesi più normale, più consona al suo percorso di studi?"
(A Lettere, l'affascinante disciplina chiamata Storia della musica è molto poco scelta dai laureandi).
E infine, mi ricordo che rubavo i confetti a una che aveva preso 100/110.
Ma dai, poveraccia!!!
Perché avrei dovuto fare una cosa così crudele??
Prendere 100 in una laurea che riguarda discipline umanistiche significa concludere il ciclo degli esami con una media che sta circa un punto al di sotto della mia, quindi, significa essere degli studenti medio-alti.
Io ho terminato gli esami con 27, 54 (ora che è finito questo primo ciclo di studi universitari intensi, impegnativi ma gratificanti posso rivelarvi con precisione anche la mia media esatta).

Il martedì mattina è passato in un lampo: oltre a farmi sistemare i capelli sono stata dalla fiorista per ritirare la corona d'alloro e infine ho terminato di raggruppare i confetti per amici e parenti.
Stranamente, pur essendo tesa, avevo fame a pranzo.

Poi siamo partiti per giungere alla meta.
Sono entrata in aula alle 14.40 esatte. La mia discussione è durata ben 20 minuti.
Più che un'interrogazione mi è sembrata una specie di chiacchierata: sono riuscita a mostrarmi sicura di me stessa nell'esposizione degli argomenti della tesi.
Ho parlato a ruota libera, ho spiegato senza intoppi e con tutta sincerità il mio "metodo" di analisi delle fonti, ho lodato (e se lo meritava eccome!) il mio relatore per la sua premura e per il suo zelo nelle correzioni, ho illustrato in modo chiarissimo le differenze tra un madrigale e l'altro...
Persino il controrelatore ha rilevato "una capacità critica notevole e una maturità molto profonda nei collegamenti."
Dio mio, conviene proprio credere in ciò che si studia!!!
Come è terminata la mia discussione??!!
Il professor Chiecchi, docente con il quale ho affrontato il primo esame di letteratura italiana durante il primo anno di corso, visibilmente interessato alla figura di Sigismondo D'India, poeta-compositore protagonista della mia trattazione, ha iniziato ad avanzare delle supposizioni sul suo operato...

Alle 15 non vedevo già l'ora di andarmene in trattoria a festeggiare. I miei avevano gli occhi lucidi per l'orgoglio, mia cugina si è complimentata dicendomi: "Accidenti, Anna, li hai stesi con la tua proprietà di linguaggio!!"
Senza contare che pochi minuti dopo il mio relatore, il signor Vincenzo Borghetti, signore per età anagrafica e anche e soprattutto per indole, mentre io e i miei familiari ci trovavamo nel corridoio del piano terra dell'edificio, mi è venuto incontro con espressione decisamente simpatica: "Come sta? Si è rilassata ora che la discussione è finita? Lei non se ne andrà subito da qui, vero??! La aspettiamo alla proclamazione e, mi raccomando, lo festeggi questo risultato, lo festeggi!"

E anche il momento della proclamazione degli esiti finali è arrivato, circa un'ora dopo che io ero uscita dall'aula.
Ecco, strano a dirsi, ma ero più tesa al momento della proclamazione che non al momento della discussione!
Essendo abbastanza timida, per me non è stato proprio il massimo che oltre un centinaio di persone presenti in aula magna sapessero il mio risultato finale!
Quando sono stata invitata a salire sul palco per le strette di mano finali ai docenti, ero come in trance.
Credevo di sognare e invece no, invece no, mi stavo realmente laureando, per davvero alcuni membri di un eminente istituto dello stato italiano riconoscevano il mio elevato livello culturale.
Inoltre, per davvero ho terminato in tre anni e otto mesi un percorso decisamente tosto e "selettivo".
Raggiungono il traguardo della laurea in Lettere (classiche e moderne) meno studenti di quanti ne immaginiate.
E' vero, non ci sono formule fisiche o nozioni di anatomia, ma i "pacconi" di manuali da studiare per ogni singolo esame ci sono eccome! Bisogna impegnarsi e concentrarsi per arrivare al titolo di studio.
Non ho praticamente ascoltato la formula ufficiale di proclamazione. Per caso ho captato la parola "centocinque", ma per puro caso.
Ero come trasognata. Mi hanno dato il massimo dei punti che potevano dare ad una tesi triennale secondo il regolamento della mia facoltà.
Mentre scendevo dal palco dell'aula pensavo: "Cavolicchio, praticamente sono ad un passo dal massimo dei voti!"
Che poi, a mio avviso, essere ad un passo dal 110 non vuol dire esattamente aver preso 109.
Significa essere arrivati al termine del percorso con un voto molto alto che rappresenta piuttosto bene le capacità e le passioni di una ragazza che ha impiegato molte energie sui libri, per arricchirsi interiormente, oltre che per coronare il sogno di divenire insegnante.
La mia tensione sta leggermente scendendo soltanto ora, a pochi giorni dall'evento.
La cena al ristorante è andata benone, questo anche grazie a cugini e zii paterni che hanno avuto la brillante idea di sottopormi a un cruciverba divertente nella quale venivano riassunte le mie abitudini di vita, i miei interessi e le mie esperienze.

Ma sapete qual'è stato il complimento più bello che ho ricevuto?
Quello di mio zio Vincenzo, uno dei miei zii materni.
Eccovi le sue testuali parole: "Mi hai superato di due punti, io avevo preso 103. Con la tua brillante discussione mi hai fatto venire voglia di ritornare all'Università!"


Questa è stata la torta che ho scelto: era un cheesecake ai frutti di bosco molto fresco e squisito.
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Se qualcuno di voi mi chiedesse i passaggi e i procedimenti specifici che si devono affrontare per svolgere l'elaborato finale, saprei certamente rispondervi in modo chiaro, ampio e soddisfacente.
Questa "appendice" al post è stata pensata per lo più sia per tutti i futuri studenti universitari sia per chi programma di laurearsi nel 2019.
Gli step inseriti valgono per ogni tipo di facoltà.

PRIMO STEP:

Superare la maggior parte degli esami previsti dal percorso di studi.
Ogni triennale consta in 180 CFU (crediti formativi universitari). Io ho chiesto la tesi al mio docente di Storia della Musica subito dopo aver raggiunto i 150 CFU. Era la metà di ottobre, mi mancavano ancora 4 esami da dare per cui ero sicura di potercela fare entro luglio.
La facoltà di Lettere a Verona consente agli studenti triennali di scegliere il relatore e l'argomento della tesi già quando si sono raggiunti i 120 CFU.
Allora, è pur vero che 120 corrisponde ai 2/3 di 180, ma io ho ritenuto opportuno ritardare di un pochino la scelta per non trovarmi con l'acqua alla gola.
A febbraio 2017 avevo raggiunto i 120 CFU, ma ho preferito far passare tutta l'estate prima di dedicarmi seriamente alla fase di consultazione delle fonti.
Se avete conseguito 120 CFU  significa che al completamento del vostro curriculum accademico mancano circa 6 o 7 esami... Non molti, è vero, ma non proprio pochissimi!!
Per cui, il mio personale e "affettuoso" consiglio sarebbe quello di conseguire tra i 140 e i 155 CFU prima di iniziare a dedicarsi seriamente all'elaborato finale di laurea.

SECONDO STEP - FASE DI CONSULTAZIONE:

Noi universitari, pensate un po' che bello sfizio, ci scegliamo alcune discipline da inserire nel piano di studi, scegliamo quando dare gli esami e infine, scegliamo docente e disciplina della nostra tesi.
Una volta raggiunto un buon numero di crediti si deve dunque prenotare, tramite posta elettronica, un colloquio con un docente in modo tale da poter concordare l'argomento.
Se andate a colloquio con qualche idea meglio, il mio era molto disponibile ad accogliere idee e spunti.
Solitamente il docente offre anche delle precise indicazioni bibliografiche per la ricerca iniziale.

A questo punto, si inizia a cercare i titoli dei manuali e delle monografie suggerite dal docente su pagine online come Internet culturale.
Internet culturale è molto conveniente, sia perché indica la precisa collocazione geografica dei libri, sia perché dispone di cataloghi elettronici scientifici, linguistici, artistici, storici e letterari.

Un indice di bibliografia di musica profana pubblicata tra 1500 e 1700 che mi conveniva sfogliare si trova alla Biblioteca Comunale di Vicenza.
Grazie a questo indice, il cui principale autore è Emil Vogel, sono riuscita a farmi un'idea abbastanza precisa sulle opere musicate da Sigismondo D'India.
Per me sono stati indispensabili soprattutto Sigismondo D'India "drammaturgo" di Andrea Garavaglia, Il Seicento di Lorenzo Bianconi (opera di storia della musica del Seicento nella quale erano inserite alcune pagine su D'India) e Con che soavità: studies in Italian opera, song and dance 1580-1740 di Tim Carter, filologo musicale australiano.
Non stupitevi troppo nel caso in cui il professore inserisse tra i consigli bibliografici qualche titolo straniero, magari in lingua inglese. Succede. Perciò in questa sede è caldamente consigliato di mantenere i rapporti con una lingua straniera (attraverso film, letture e ascolti) dopo la maturità.

Altro avvertimento! Può succedere (ed è facile che accada durante la preparazione di una tesi!) anche che all'interno di un manuale non riusciate a trovare notizie inerenti all'argomento o importanti o comunque interessanti. Come nella mia consultazione del manuale della Balsano intitolato Tasso, la musica e i musicisti.
All'inizio volevo soprattutto concentrarmi sui madrigali di Tasso musicati da D'India ma poi, approfondendo le conoscenze, ho saputo evidenziare aspetti decisamente più originali di questo compositore... Più che i madrigali di Tasso egli preferiva mettere in musica brani di favole pastorali come l'Arcadia di Sannazaro e il Pastor Fido di Guarini.
Per cui, durante la fase di consultazione (che dev'essere svolta con grande attenzione!!) può accadere di dover decidere di modificare i contenuti dell'argomento.
E così, io sono passata da "I madrigali di Tasso musicati da Sigismondo D'India" a "La produzione musicale di Sigismondo D'India" per poi arrivare al titolo definitivo "Sigismondo D'India e i madrigali drammatici".

In ogni caso siete tenuti a inserire in bibliografia ogni fonte scritta, anche quelle che avete soltanto sfogliato.
Consiglio mio: iniziate a scrivere la tesi dalla bibliografia!


TERZO STEP- STRUTTURA CONTENUTISTICA:

Una volta consultate e lette delle fonti serie e attendibili si deve progettare un piano di lavoro.
Ecco, l'indice per me è la seconda pagina che si deve scrivere!
In questa fase è importante chiedersi: che cosa posso mettere in evidenza dell'autore? (sempre se fate una tesi musicale o letteraria) Quali sono gli elementi più originali con i quali egli ha arricchito la  storia della cultura occidentale?
Ovviamente, in questa fase bisogna pensare a quanti capitoli suddividere la trattazione, ai titoli da attribuire ai capitoli, ai paragrafi per ogni capitolo e ai contenuti da inserire in ogni paragrafo.
Naturalmente la vostra struttura di lavoro deve essere controllata e approvata dal docente-relatore.
Questa è stata la mia:


QUARTO STEP- SCRITTURA:

Si scrive la tesi facendo molta attenzione alla forma grafica, dal momento che oltre ad un testo la tesi deve avere delle note a piè di pagina che indicano in modo chiaro e preciso titolo del libro, autore, luogo di edizione e casa editrice, anno di pubblicazione e numero esatto delle pagine a cui si fa riferimento.
Per interlinea, margini del testo, note a piè di pagina, numeri delle note a piè di pagina e caratteri fate riferimento alle indicazioni del docente o ad un eventuale regolamento di istituto.
La stesura della tesi è per lo più una rielaborazione delle teorie esposte dagli autori studiati.
Si scrive con parole proprie ciò che altri autori hanno affermato.
Ci sono, è vero, anche delle citazioni letterali, ma devono essere limitate. (non più del 10% del totale)

 Eccovi due esempi:

In caso di citazioni letterali:        Bianconi, Il Seicento, Torino, EDT 1991, cit., p.19

In caso di citazioni indirette, si deve sempre accompagnare le notizie bibliografiche sopra enunciate con espressioni come: "Si veda", "Vedi":

          Si veda Garavaglia, Sigismondo D'India "drammaturgo", Torino, EDT 2005, cit. pp.11-13

Un buon relatore si interessa del lavoro del proprio laureando per cui i singoli capitoli andranno inviati per posta elettronica, in modo tale che li possa correggere per migliorare la qualità del lavoro.

QUINTO STEP-RILETTURA:

Dopo aver scritto il proprio elaborato, è necessario rileggerlo più di una volta per controllare errori, imperfezioni, violazioni involontarie di norme grafiche, numeri di pagine....
La tesi conclusa la si fa rilegare.
Questo è il momento in cui il laureando deve consegnare in segreteria: domanda ufficiale di laurea firmata e, successivamente, alcune copie della sua tesi.

SESTO STEP-DISCUSSIONE!!!

....e poi finalmente si è dottori "inghirlandati"...!!!







...Per informazioni sui contenuti specifici della mia tesi, al prossimo post!!



14 luglio 2018

Ricordi pre-laurea (II):


Rieccomi, mi mancava soltanto il periodo dei miei scritti delle medie da pubblicare qui.
Ne ho scelti alcuni; quelli che mi sono sembrati i più significativi.

Scritti risalenti alla prima media non ne ho trovati.

5 febbraio 2008 (la sottoscritta all'epoca aveva 12 anni e 4 mesi)
Altro dettaglio da non trascurare: ricordo benissimo che in quell'anno la Pasqua era arrivata prestissimo, una cosa come il 20 marzo addirittura; per cui il 5 febbraio c'era già il ponte di Carnevale.

Caro diario,
che dirti a proposito della giornata di oggi?
Tra poco la cena sarà pronta. 
Domani andiamo a sciare in montagna e oggi in effetti io e mia mamma siamo state a Villafranca a procurarci sci, felpone grosse, guanti e scarponi da montagna.
La commessa di quel negozio per me era una gran cafona e presuntuosa: stavo per infilarmi un maglione sopra il mio e, quando mia mamma me lo ha fatto notare la commessa ha scosso la testa, l'ho vista ti giuro, come per dire: "Che ragazzina imbranata!"
 Io odio essere giudicata dagli altri. Ma perché mia mamma non l'ha presa a sberle??!
Ho già 12 anni, prima o poi me ne sarei accorta di avere due maglioni addosso! Poi, è un errore che può capitare a tutti, anche agli adulti più saggi! Che ho fatto di così sbagliato?
Mi si è annebbiato l'umore.
Quando sono tornata a casa però, ho finito i compiti di grammatica... Fantastico, italiano mi risolleva sempre il morale! Dovevo individuare le differenze tra i complementi di luogo, ed è stato come un gioco logico. In italiano non prendo mai meno di nove, per questo spesso passo i compiti ai miei compagni. Però dico anche a loro: "Se pensate bene a quello che leggete, riuscite sicuramente a imparare l'analisi logica." 
Che giornata! Mi sono divertita, rilassata e arrabbiata allo stesso tempo. 
Spero domani sia un giorno migliore... 


7 febbraio 2008


Caro diario,

ieri ci siamo divertiti molto in montagna a sciare. Sono partita che mi sentivo i capelli unti: volevo lavarmeli prima di partire ma mia mamma, testarda come un mulino a vento, aveva detto che sciando avrei sudato e che quindi avrei potuto lavarmi al ritorno a casa.
Mia mamma che non ha mai sciato prima è caduta soltanto una volta in una giornata! Con il fondo devo dire che se la cava bene.
Io e papà invece ci siamo avventurati su una pista piena di dislivelli, con salite e discese.
Abbiamo pranzato al sacco.
Avresti dovuto vedere come erano ridotti i miei poveri capelli a fine giornata!
Sarò stata in doccia mezz'ora prima di potermi sentire davvero pulita...
Ah... stamattina ho preso otto in storia! Argomenti: Lutero e controriforma. 
Per giugno rivoglio il mio 10 cronico in italiano e penso anche che potrò raggiungere il 9 sia in storia che in geografia.


Eccola qui, quasi l'unica cavolata che ho combinato da adolescente: quella volta ho sprecato un bel po' di acqua, a tal punto che mia mamma mi ha detto, ridendo: "Ti senti abbastanza pulita adesso? Non mi risulta che tu sia "tanta"!!" (L'avete capita? Era una battuta che ogni tanto le faceva la sua migliore amica Renata, morta nel '91).

11 luglio 2008 (Estate tra seconda e terza media, due mesi prima di compiere 13 anni)


Questa è una poesia. A tutti racconto la solita balla: che ho iniziato a scrivere poesie a 15 anni. In realtà già alle medie ne facevo qualcuna di apprezzabile... Ecco, ora conoscete anche questo mio segreto. Dopo otto anni di attività online su blogger avete il diritto di conoscermi più profondamente.

IL CIELO:

Oh azzurro, sereno cielo,
maestoso come i mari e i monti...
Ora è estate
e tu fai risplendere il sole su questa terra.
La tua immensità è lontana, lontana,
non ha confini e si apre intorno a noi uomini,
in un azzurro intenso.
Oh, se solo potessi raggiungerti, o infinito cielo,
se solo sapessi volare...

 














 9 novembre 2008  (13 anni compiuti non da molto)
 

(Oh, qui sì che ero davvero una grande! Quel che mi chiedo però è questo: perché mai mi è venuto in mente di sostituire "diario" con "memoriale"? Non me lo so spiegare!)

Preziosissimo memoriale,
sempre più comuni, più frequenti, sono gli stati che hanno problemi economici.
Io volevo parlarti del Pakistan, uno stato asiatico che è molto in crisi. E' uno di quegli stati in cui esiste lo sfruttamento economico minorile, un fenomeno che negli ultimi anni ha avuto dimensioni veramente mondiali. E a quanto pare ancora oggi, chi attacca interessi economici alti, si espone a rischi gravissimi, come dimostra la storia di Iqbal.
Iqbal era stato venduto dai familiari a quattro anni, aveva iniziato a lavorare in una fabbrica di tappeti e lavorava per 16 ore al giorno.
A 10 anni era riuscito a scappare e a rifugiarsi da un'associazione del Pakistan che si occupava di liberare i bambini dalla schiavitù.
Ed è stato grazie a questa associazione che il mondo ha iniziato a conoscere Iqbal.
Poi però, nel 1995, Iqbal era stato assassinato, per le sue testimonianze.

Io sono una ragazza decisa, un po' rigida, difficilmente mi commuovo; per il mio carattere è più facile indignarsi per le ingiustizie gravi come questa tragedia che non piangere e commuoversi.
Stavolta non mi vergogno ad ammettere che, una volta letta questa storia, mi è venuto da piangere.
Miseria e povertà sono diffuse in tutto il mondo.
Se poi penso all'Africa... L'Africa è tutta una tragedia: troppi gli analfabeti, troppi i lavoratori sfruttati da marche europee potenti che li pagano pochi centesimi al giorno, troppi anche i disoccupati e i malati di AIDS... Ma come fanno i bambini africani ammalati a sorridere? Come fanno certi africani a trovare la forza di sorridere e di reagire alla tristezza?
In quei posti, poco è il denaro, poca l'igiene, poca la speranza di vita... Ma cos'è la vita?
Per me è come un raggio di sole che illumina il cielo blu intenso, un blu che sembrerebbe monotono senza i raggi solari.
Anche la terra (cioè il nostro pianeta) sarebbe tetra e monotona senza il sole e i suoi raggi.

10 novembre 2008

 (...)  La nostra vita non è mai finita appena accade una tragedia: continua. La vita continua e offre altre opportunità. Si ottengono soddisfazioni solo con l'impegno. E la speranza è utile nelle situazioni difficili.
Noi giovani abbiamo un'enorme responsabilità: guidare il futuro del mondo. E gli adulti si fidano di noi.
"Se noi adulti non crediamo nei giovani siamo perduti", diceva Don Andrea a messa domenica.
Credo che abbia ragione.
Io vorrei essere una donna che contribuirà a modificare il mondo in maniera positiva, come sperano gli adulti.


Il fantastico 2008... L'anno in cui per me è arrivato lo sviluppo, quindi, grazie a questo, ero un po' più bella, con le guance leggermente paffute.
Il fantastico 2008... quando ho iniziato a sentir sbocciare dentro di me una primavera fatta di speranze, di aspettative e di sogni.


... tutti in questi giorni mi dicono: "In bocca al lupo"... Vi dirò: siccome mi sto veramente stancando della mia condizione di laureanda, che sta durando da ottobre 2017, ultimamente spero che questo lupo crepi al più presto!





11 luglio 2018

Ricordi pre-laurea (I):

Sapete più o meno tutti che ultimamente sto vivendo un periodo particolarmente emozionante!!
Stasera, per la prima volta in tutta la mia vita (e non so se succederà ancora), io sono riuscita a commuovere me stessa!!
Mi ritrovo qui a casa tra gli scatoloni che contengono miriadi di quadernini riempiti di racconti e di riflessioni, quadernini che comprendono un arco cronologico piuttosto esteso (dalla seconda elementare a tutto il biennio del liceo).
Mi ha fatto un gran piacere ritrovarli e vi giuro che, nel leggere alcune parti, ridevo e piangevo al contempo.
Per farvi conoscere la bambina e la ragazzina che ero, ho deciso di riportare nei prossimi due post alcuni miei scritti d'infanzia e alcuni invece tipici di una persona che ha appena iniziato ad avviarsi verso l'età adulta. Meno male che, come dice ogni tanto mia madre, ho il difetto di conservare tutto e di non buttare via nulla!
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27/12/2003 (all'epoca la presente sottoscritta aveva esattamente 8 anni e 3 mesi)

Questo è un racconto.

LA LEGGENDA DI MERCURIO:

Mercurio nacque da un miscuglio di polveri. Appena nato, cominciò subito a girare intorno a Palla di Fuoco.
Palla di Fuoco voleva molto bene a Mercurio: era il pianeta più affettuoso e più dolce, che gli ruotava molto più vicino di tutti gli altri.
Gli altri pianeti osservavano gelosi Mercurio e palla di Fuoco li rimproverava per questo.
Mercurio aveva ancora pochi anni di vita quando Palla di Fuoco gli insegnò a girare anche intorno a se stesso.
Poi il tempo passò.
Mercurio però aveva un difetto: non aveva imparato ad accettare di staccarsi da Palla di Fuoco.
"Sei cresciuto ora, devi imparare ad allontanarti da me", gli diceva Palla di Fuoco.
"Ma io ti voglio bene, voglio stare sempre con te, non posso staccarmi da te! Voglio mangiare, dormire, ridere con te! Tu sei la vita!" rispondeva il piccolo pianeta, mentre tutti gli altri pianeti ridevano per prenderlo in giro.
"Guai a voi se ridete ancora del mio pianeta preferito!" li rimproverava il sole.
Mercurio allora piagnucolava e gli si avvicinava sempre di più.
Con un bel sorriso, Palla di Fuoco gli disse: "Se ti avvicini ancora di più a me rischio di bruciarti con i miei raggi potenti. Tu non devi bruciare, perché altrimenti moriresti. E tutto l'Universo ha bisogno di te."
Così Palla di Fuoco convinse Mercurio a staccarsi un po' da lui.
Ora Mercurio è vecchissimo perché ha milioni e milioni di anni, ma vuole ancora bene a Palla di Fuoco.

Dai, essendo cresciuta inizio a intravedere un piccolo messaggio che forse inconsciamente volevo veicolare a me stessa: prima o poi tutti diventiamo grandi, prima o poi tutti dobbiamo imparare a superare quella forte dipendenza che da piccoli abbiamo dai genitori.


7/09/2004 (alla sottoscritta mancavano 19 giorni al compimento dei 9 anni)

AMICIZIA E PACE:

C'era una volta una ragazzina di 10 anni che un giorno passeggiava con il suo gelato al limone e alla menta. Si chiamava Chiara ed era famosa nel suo paese per essere una bambina buonissima.
Ad un certo punto, nel camminare incontrò un signore anziano molto povero, con i vestiti pieni di toppe, di strappi e di buchi.
Chiara ebbe pietà, si fermò e gli disse: "Ti regalo l'unica moneta che ho in tasca e anche il mio gelato."
"Grazie, che bambina dal cuore d'oro! Vorrei ricambiare la tua generosità con questa pianta di geranio: è l'unica cosa che ho. Perché i suoi fiori diventino belli dovrai innaffiarlo due volte al giorno." Il vecchio signore povero si era intenerito.
Chiara era ritornata a casa felice, aveva piantato il geranio in un'aiuola del suo giardino e aveva iniziato a prendersi cura dei suoi fiori.
Da quando la ragazzina lo innaffiava, il geranio ogni giorno aveva iniziato a fare dei fiori colorati: rossi, gialli, arancio, tutti splendenti e profumati.
"Quel geranio è meglio del mio prato", diceva lo zio.
"E' più bello delle ortensie vicine alla siepe! Il tuo geranio è magico, Chiara", esclamava la mamma, molto sorpresa.
"Mi piacerebbe avere un fiore così, le mie camelie non fioriscono ancora!", diceva la nonna.
Ogni giorno, Chiara invitava gli amici a vedere il geranio, il più affascinante di tutti gli altri fiori.
La gente un po' la invidiava per quel geranio, un po' la ammirava.

Non so cosa abbiate pensato voi di questa, ma io la vedo un po' come un indiretto incoraggiamento a sfruttare i propri talenti e anche a prendersi cura dell'altro.
La bontà e la sensibilità fanno soffrire sì, ma permettono a chi le ha molto sviluppate di vivere più intensamente delle persone vuote e inconsistenti.

Se state pensando che fossi una bambina strana, beh, questo appellativo ve lo concedo.
A chi mai potrebbero venire in mente storie del genere??!!
Non ho imbrogliato, ve lo assicuro, le ho trascritte esattamente così come le ho lette sul quadernino: in terza elementare avevo "ottimo" in italiano con una maestra che non regalava voti e che dava "ottimo" soltanto a chi, nello scrivere, "ci metteva del suo".
Già allora sapevo coniugare benissimo tutti i tempi dell'indicativo e del congiuntivo.
Me lo sono sentita dire in continuazione per tutta l'infanzia e l'adolescenza che non sono normale!!
Sì ma è proprio per questo mio modo di essere che ho bisogno di amici...

Vi propongo gli ultimi tre passi....

Vacanze al mare del luglio 2005 (e fu così che verso i 10 anni iniziai a sentire in me una certa vena poetica).
Era stata un'estate stupenda in cui mi ero fatta una settimana di mare e tre settimane di montagna a San Zeno.

(11 luglio 2005)
Caro diario,
oggi è una bellissima giornata a Sottomarina,
il sole splende e si può fare il bagno nel mare. Il mare è molto vicino al condominio dove alloggiamo.
Quando sono al mare, mi disperdo tra le onde che somigliano a strisce argentate e blu.
Ieri avevo fatto conoscenza con un'onda che si chiama Marina.
Gioco con lei, le vado incontro e aspetto che lei mi spinga verso la spiaggia.
Nel mare c'è posto per tutti perché è molto grande e a volte irrequieto o dolce.
E' molto diverso e molto meglio dei miei campi; lì ci sono solo pianure, caldo afoso e temporali, niente di interessante.
Io non ho fratelli purtroppo e sono sola in un vasto mare di campi. 
I bambini come me non sono fatti per essere figli unici!
Marina è un'onda tranquilla, blu scura con riflessi argentati e azzurri. 
E' un'onda calma che ha una gran voglia di giocare con me.

(13 luglio 2005)
Caro diario,
stamattina non sono andata in spiaggia a causa di un acquazzone con pioggia e pochissimi tuoni. Sarà durato mezz'ora. Però il cielo, fino a mezzogiorno è rimasto coperto di nubi grigie.
Poi è tornato il sole. 
Alle 16 siamo andati in spiaggia; Marina mi ha corso incontro bagnandomi.
Mentre io nuotavo lei mi avvolgeva, poi quando mi giravo lei mi spingeva verso la riva. 
Ma quanto ci siamo spruzzate, poi?? Era divertentissimo, era troppo bello.
Io le lanciavo gli spruzzi e poi mi allontanavo nuotando e lei mi travolgeva a ondate dolci.
Era una comunicazione nel linguaggio del mare.
Poi ci siamo salutate ed è arrivato il momento della merenda.
Marina era splendida oggi. Era blu chiara con riflessi azzurri e la schiuma salata con riflessi di diamante.
Mi sono proprio divertita!


10 maggio 2006
 (10 anni e mezzo, a fine quinta) Propositi di "vida loca" ;-) :-)

E' una giornata bellissima oggi, c'è caldo e c'è anche la brezza. 
Peccato che ci sia stato rientro e che quindi io sia appena tornata da scuola.
Che fortunati che erano Dimon e Pumba del Re Leone! 
"Hakuna matata"... ma che dolce poesia! 
E si divertivano tutto il giorno, cantavano, scherzavano e ballavano tutto il giorno!!
Mica avevano a che fare con una maestra deficiente che alle due del pomeriggio ci urla dietro se sbagliamo i calcoli di un problema!
Non è cattiva, ma quando è nervosa si arrabbia troppo!
Mi sono arrampicata su un albero per sentire i canti degli uccelli.
Io da grande voglio diventare come Mister Incredibile... cioè, in realtà non me ne frega niente dei superpoteri. Voglio avere lo stesso carattere di Mister Incredibile, sempre gentile e disposto a lottare contro l'ingiustizia e la cattiveria.


ATTENZIONE! A tutti i miei lettori:. In questi giorni, se mi volete un po' di bene, incrociate le dita per me, per quello che mi aspetterà martedì: discutere davanti a gente molto più colta di me un autore originale ma semisconosciuto!
Incrociate le dita per me non soltanto perché in ballo c'è un esame di laurea, ma anche perché continui a dare il meglio di me come persona, come animatrice e come un membro dei responsabili di un grest parrocchiale!
Un sincero grazie intanto al nostro Don Pietro: se, in una condizione emotiva come la mia mi sto dimostrando in grado di preoccuparmi di bambini, ragazzini e adolescenti è perché lui è un curato che supporta psicologicamente me e tutti i giovani che hanno voglia di fare!





9 luglio 2018

Le moltepici interpretazioni della poetica di Vittorio Sereni:


E' un autore italiano piuttosto interessante, conosciuto però per lo più da chi approfondisce gli studi letterari.
Ho deciso di presentarvelo in maniera "diacronica" per farvi vedere come si evolve la poetica di questo letterato nel corso della sua vita e in base alle sue esperienze.


BIOGRAFIA E OPERE:

Vittorio Sereni era nato a Luino (attuale provincia di Varese) nel 1913, aveva studiato Lettere a Milano e, durante gli anni Trenta, aveva iniziato a insegnare italiano e latino in un Liceo Scientifico.
Nel frattempo, collaborava anche con riviste culturalmente legate al movimento dell'Ermetismo, come Il Frontespizio, Campo di Marte e Corrente.
Nel 1941 era stata pubblicata la sua prima raccolta di poesie intitolata Frontiera, che raccoglie dunque tutti i componimenti scritti prima dello scoppio del secondo conflitto mondiale.
In Frontiera, il protagonista è soprattutto il paesaggio del Lago Maggiore e il paese di Luino in cui il poeta era nato e cresciuto: traspaiono vari stati d'animo.
A questo proposito scrive Herman Grosser:
"un paesaggio lacustre carico di memorie, inquietudini , presagi (...) nel quale il poeta proietta sguardi e aspirazioni profonde oltre la frontiera (con la Svizzera): motivi questi che, con quelli collegati della navigazione, dei battelli, dei porti, custodiscono un senso non tanto politico (libertà rispetto alla dittatura fascista) quanto in ampio senso esistenziale (...)"

Di questa raccolta ho apprezzato soprattutto una poesia intitolata Terrazza, di cui inserisco l'analisi.

Terrazza:

Improvvisa ci coglie la sera.  
Più non sai  
dove il lago finisca;  
un murmure soltanto  
sfiora la nostra vita  
sotto una pensile terrazza.  
Siamo tutti sospesi
a un tacito evento questa sera  
entro quel raggio di torpediniera  
che ci scruta poi gira se ne va.


Già il senso del primo verso risulta carico di interpretazioni:

A) Se si interpreta la sera come la vecchiaia, allora l'autore potrebbe voler dire che il tempo scorre velocemente, fino al punto in cui ci si accorge di essere giunti alla maturità avanzata della vita, in cui quasi tutto (sogni, desideri, progetti di vita) dovrebbe essere stato realizzato e vissuto.

B) O semplicemente: la giornata è passata in fretta, quasi non ci si accorge che la sera è giunta, portando i suggestivi colori del tramonto.

vv. 2-3: Il lago Maggiore segna il confine con la Svizzera. Di fronte a Luino infatti, c'è la sponda svizzera. Qui probabilmente, o c'è una perdita di punti di riferimento visuali, o si tratta di un timore, o meglio, dell'allusione ad un timore ben preciso: la possibile scomparsa dall'orizzonte della sponda svizzera, territorio neutrale e libero da dittature.
Io però ho anche pensato ad una perdita di confini psico-esistenziale: se la sera è la vecchiaia, allora, una cosa rimane invariata tra infanzia, giovinezza, età adulta e anzianità: in qualsiasi età non puoi pretendere di conoscere né i confini dell'Universo né quelli della tua stessa vita. In nessuna età hai il controllo dei confini della tua esistenza, e questo, da vecchi, può anche essere una constatazione che mette angoscia e paura.

Murumure invece è una parola onomatopeica. Allude al rumore di un tuono.
Pascoli, nel Lampo, utilizzava bubbolio lontano.
Questo rumore comunque, "rompe" la quiete del sole che cala e costituisce il presagio di una catastrofe esistenziale ma anche storica, visto che sfiora la nostra vita.
Va da sé quindi che la pensile terrazza, collegata a quel siamo tutti sospesi, indica attesa. Ma non un'attesa lieta, quanto piuttosto un'attesa tragica, silenziosa, dolorosa che è una sorta di preludio di un tacito evento, misterioso.
E mentre il poeta osserva e attende che cosa compare all'improvviso? Una torpediniera.
La torpediniera è una nave da combattimento che attraversa il lago e costituisce un altro presagio di natura funesta.

Questa poesia mi ha fatto ricordare il modo in cui trascorrevo le mie estati quando ero bambina (parlo in particolar modo di un arco temporale compreso tra il 2004 e il 2008): un'amica di mia zia, proprietaria anche di una casa a San Zeno di montagna, paese ai piedi del Baldo, all'epoca ci prestava quella che sarebbe dovuta essere la sua dimora estiva.
Quella casa con grande giardino era ed è in una posizione meravigliosa: dalla grande terrazza si poteva vedere il lago di Garda e, nelle giornate più limpide, tutta la sponda bresciana, compresa la penisola di Sirmione.
Io ho sempre amato la montagna, la freschezza del suo clima, il silenzio, il sole sorridente che con i suoi riflessi abbraccia le rocce, le acque del lago e le barche...

Vista Garda da San Zeno

... In seguito scoppia la guerra. 
Sereni viene fatto prigioniero dall'esercito inglese in Algeria, come molti altri italiani inviati in guerra.
Nel '47 dunque esce Diario d'Algeria raccolta che costituisce una toccante testimonianza riguardo alle condizioni dei prigionieri. Traspaiono qui le tematiche di: dignità umana, ansia di libertà, frustrazione per non poter partecipare in modo diretto al corso degli eventi e senso di oppressione.

Non sanno d’essere morti:

Non sanno d’essere morti
i morti come noi,
non hanno pace.
Ostinati ripetono la vita
si dicono parole di bontà
rileggono nel cielo i vecchi segni.
Corre un girone grigio in Algeria
nello scherno dei mesi
ma immoto è il perno a un caldo nome: ORAN
 
Prigionieri in Algeria del '43
Qui la prigionia è equiparata alla morte. Però, i prigionieri d'Algeria non hanno pace: sono vivi in realtà, ma non sono liberi e per di più, sono lontani dalle loro famiglie e dai loro luoghi natali.
Sereni inserisce anche un'allusione al senso di solidarietà tra compagni di prigionia, tutti pervasi da sentimenti di tristezza e di oppressione.
Ciò che nella loro prigionia essi possono fare è interpretare i segni celesti, facendo anche previsioni per il futuro. Un futuro che, dal momento che si conoscono poco gli eventi della realtà esterna ai campi di prigionia, appare difficilissimo non soltanto prevedere ma anche ipotizzare.
Gli ultimi tre versi del componimento si riferiscono agli spostamenti da un campo all'altro ai quali i prigionieri erano sottoposti. Tutti i campi però, si trovano in una città dal clima caldo, in cui, a causa dell'odio e della guerra, serpeggia un'atmosfera infernale: Orano.

Negli anni successivi alla guerra, la più importante carica lavorativa che Sereni aveva ricoperto era stata la direzione della Mondadori. 
I suoi componimenti risalenti agli anni '60 ben descrivono la condizione dell'uomo contemporaneo che indubbiamente usufruisce con facilità delle nuove tecnologie, ma che in ogni caso, proprio come le generazioni del primo Novecento, si trova di fronte alla precarietà dell'esistenza.
La principale raccolta di poesie del "tardo Sereni" si intitola Strumenti umani, pubblicata nel 1965.
Mi sembra inoltre importante precisare che, nel periodo del dopoguerra, il medesimo autore si dedica anche a tradurre opere di autori inglesi e francesi quali: Ezra Pound, René Char, Guillaume Apollinaire, Albert Camus e William Carlos Williams.
Vittorio Sereni è morto a Milano nel 1983.
Di Strumenti umani riporto testo e commento di una poesia.

Ancora sulla strada di Zenna:


Perché quelle piante turbate m'inteneriscono?  
Forse perché ridicono che il verde si rinnova  
a ogni primavera, ma non rifiorisce la gioia?  
Ma non è questa volta un mio lamento  
e non è primavera, è un'estate,  
l'estate dei miei anni.  
Sotto i miei occhi portata dalla corsa  
la costa va formandosi immutata  
da sempre e non la muta il mio rumore 
né, più fondo, quel repentino vento che la turba
e alla prossima svolta, forse finirà.  
E io potrò per ciò che muta disperarmi  
portare attorno il capo bruciante di dolore...
Ma l'opaca trafila delle cose  
che là dietro indovino: la carrucola nel pozzo, 
la spola della teleferica nei boschi,  
i minimi atti, i poveri  
strumenti umani avvinti alla catena 
della necessità, la lenza  
buttata a vuoto nei secoli, 
le scarse vite, che all'occhio di chi torna  
e trova che nulla nulla è veramente mutato  
si ripetono identiche, 
quelle agitate braccia che presto ricadranno,  
quelle inutilmente fresche mani 
che si tendono a me e il privilegio 
del moto mi rinfacciano...  
Dunque pietà per le turbate piante  
evocate per poco nella spirale del vento 
che presto da me arretreranno via via 
salutando salutando.  
Ed ecco già mutato il mio rumore  
s'impunta un attimo e poi si sfrena  
fuori da sonni enormi  
e un altro paesaggio gira e passa.


Innanzitutto specifico che Zenna è un paese che si trova a pochi chilometri di distanza da Luino, per cui, anch'esso era un luogo ben conosciuto dall'autore.
L'avverbio del titolo "ancora"  allude al ritorno di Sereni nei luoghi dell'infanzia.
E' bellissima quella personificazione iniziale che dice: piante turbate. Il senso del participio passato è ambiguo, ma è proprio per questo che è affascinante.

Turbate da cosa? Sono forse mosse da un vento energico?? Oppure dal rumore delle automobili che percorrono la strada? 
E se fosse una metonimia oltre che una personificazione? Se quello turbato fosse Sereni stesso, che, commosso nel rivedere la natura dei suoi luoghi natali, "trasferisce" per iscritto un'emozione a delle piante (come faceva Leopardi in A Silvia, parlando di sudate carte?)

Vedete che affascinante che è la letteratura italiana e come aiuta a creare ponti tra l'interiorità e la realtà esteriore? Non si è mai finito di riscoprirla!
Pochi versi più in là, compare la ricorrente abitudine di collegare le età della vita con le stagioni. E' come se il poeta dicesse: "Non è la stagione primaverile né la giovinezza genuina che mi fa provare questa forte sensazione, che mi aiuta a vedere la bellezza e il rinnovamento della vita in queste piante. E' piuttosto l'età adulta, già carica di memorie e anche di esperienze durissime."

Il poeta osserva il paesaggio dal parabrezza della sua auto e gli sembra che la costa del lago gli si delinei innanzi come un elemento uguale a se stesso.
L'automobile, tenetevelo in mente, è simbolo dell'industrializzazione della società italiana, per cui il poeta, attraverso un mezzo che nel primi anni del Novecento i futuristi consideravano emblema di progresso e velocità, si accorge che in quei paesini lo stile di vita è rimasto semplice, che la gente si serve ancora di oggetti tipici di un mondo pre-industriale e inconteminato dall'aggressività del capitalismo e della pubblicità.
Dunque, l'opaca trafila delle cose quali la carrucola nel pozzo e la spola della teleferica nei boschi, rispondono unicamente all'esigenza di soddisfare i bisogni primari dell'uomo.
La povertà e la semplicità di un mondo rimsto contadino sembrano addirittura "rinfacciare" al poeta il privilegio del benessere.

Negli ultimi versi del lungo componimento (vv. 32-35), la staticità del paesaggio (sonni enormi) si contrappone al moto dell'automobile (e un altro paesaggio gira e passa).

Luino ai giorni nostri