9 luglio 2018

Le moltepici interpretazioni della poetica di Vittorio Sereni:


E' un autore italiano piuttosto interessante, conosciuto però per lo più da chi approfondisce gli studi letterari.
Ho deciso di presentarvelo in maniera "diacronica" per farvi vedere come si evolve la poetica di questo letterato nel corso della sua vita e in base alle sue esperienze.


BIOGRAFIA E OPERE:

Vittorio Sereni era nato a Luino (attuale provincia di Varese) nel 1913, aveva studiato Lettere a Milano e, durante gli anni Trenta, aveva iniziato a insegnare italiano e latino in un Liceo Scientifico.
Nel frattempo, collaborava anche con riviste culturalmente legate al movimento dell'Ermetismo, come Il Frontespizio, Campo di Marte e Corrente.
Nel 1941 era stata pubblicata la sua prima raccolta di poesie intitolata Frontiera, che raccoglie dunque tutti i componimenti scritti prima dello scoppio del secondo conflitto mondiale.
In Frontiera, il protagonista è soprattutto il paesaggio del Lago Maggiore e il paese di Luino in cui il poeta era nato e cresciuto: traspaiono vari stati d'animo.
A questo proposito scrive Herman Grosser:
"un paesaggio lacustre carico di memorie, inquietudini , presagi (...) nel quale il poeta proietta sguardi e aspirazioni profonde oltre la frontiera (con la Svizzera): motivi questi che, con quelli collegati della navigazione, dei battelli, dei porti, custodiscono un senso non tanto politico (libertà rispetto alla dittatura fascista) quanto in ampio senso esistenziale (...)"

Di questa raccolta ho apprezzato soprattutto una poesia intitolata Terrazza, di cui inserisco l'analisi.

Terrazza:

Improvvisa ci coglie la sera.  
Più non sai  
dove il lago finisca;  
un murmure soltanto  
sfiora la nostra vita  
sotto una pensile terrazza.  
Siamo tutti sospesi
a un tacito evento questa sera  
entro quel raggio di torpediniera  
che ci scruta poi gira se ne va.


Già il senso del primo verso risulta carico di interpretazioni:

A) Se si interpreta la sera come la vecchiaia, allora l'autore potrebbe voler dire che il tempo scorre velocemente, fino al punto in cui ci si accorge di essere giunti alla maturità avanzata della vita, in cui quasi tutto (sogni, desideri, progetti di vita) dovrebbe essere stato realizzato e vissuto.

B) O semplicemente: la giornata è passata in fretta, quasi non ci si accorge che la sera è giunta, portando i suggestivi colori del tramonto.

vv. 2-3: Il lago Maggiore segna il confine con la Svizzera. Di fronte a Luino infatti, c'è la sponda svizzera. Qui probabilmente, o c'è una perdita di punti di riferimento visuali, o si tratta di un timore, o meglio, dell'allusione ad un timore ben preciso: la possibile scomparsa dall'orizzonte della sponda svizzera, territorio neutrale e libero da dittature.
Io però ho anche pensato ad una perdita di confini psico-esistenziale: se la sera è la vecchiaia, allora, una cosa rimane invariata tra infanzia, giovinezza, età adulta e anzianità: in qualsiasi età non puoi pretendere di conoscere né i confini dell'Universo né quelli della tua stessa vita. In nessuna età hai il controllo dei confini della tua esistenza, e questo, da vecchi, può anche essere una constatazione che mette angoscia e paura.

Murumure invece è una parola onomatopeica. Allude al rumore di un tuono.
Pascoli, nel Lampo, utilizzava bubbolio lontano.
Questo rumore comunque, "rompe" la quiete del sole che cala e costituisce il presagio di una catastrofe esistenziale ma anche storica, visto che sfiora la nostra vita.
Va da sé quindi che la pensile terrazza, collegata a quel siamo tutti sospesi, indica attesa. Ma non un'attesa lieta, quanto piuttosto un'attesa tragica, silenziosa, dolorosa che è una sorta di preludio di un tacito evento, misterioso.
E mentre il poeta osserva e attende che cosa compare all'improvviso? Una torpediniera.
La torpediniera è una nave da combattimento che attraversa il lago e costituisce un altro presagio di natura funesta.

Questa poesia mi ha fatto ricordare il modo in cui trascorrevo le mie estati quando ero bambina (parlo in particolar modo di un arco temporale compreso tra il 2004 e il 2008): un'amica di mia zia, proprietaria anche di una casa a San Zeno di montagna, paese ai piedi del Baldo, all'epoca ci prestava quella che sarebbe dovuta essere la sua dimora estiva.
Quella casa con grande giardino era ed è in una posizione meravigliosa: dalla grande terrazza si poteva vedere il lago di Garda e, nelle giornate più limpide, tutta la sponda bresciana, compresa la penisola di Sirmione.
Io ho sempre amato la montagna, la freschezza del suo clima, il silenzio, il sole sorridente che con i suoi riflessi abbraccia le rocce, le acque del lago e le barche...

Vista Garda da San Zeno

... In seguito scoppia la guerra. 
Sereni viene fatto prigioniero dall'esercito inglese in Algeria, come molti altri italiani inviati in guerra.
Nel '47 dunque esce Diario d'Algeria raccolta che costituisce una toccante testimonianza riguardo alle condizioni dei prigionieri. Traspaiono qui le tematiche di: dignità umana, ansia di libertà, frustrazione per non poter partecipare in modo diretto al corso degli eventi e senso di oppressione.

Non sanno d’essere morti:

Non sanno d’essere morti
i morti come noi,
non hanno pace.
Ostinati ripetono la vita
si dicono parole di bontà
rileggono nel cielo i vecchi segni.
Corre un girone grigio in Algeria
nello scherno dei mesi
ma immoto è il perno a un caldo nome: ORAN
 
Prigionieri in Algeria del '43
Qui la prigionia è equiparata alla morte. Però, i prigionieri d'Algeria non hanno pace: sono vivi in realtà, ma non sono liberi e per di più, sono lontani dalle loro famiglie e dai loro luoghi natali.
Sereni inserisce anche un'allusione al senso di solidarietà tra compagni di prigionia, tutti pervasi da sentimenti di tristezza e di oppressione.
Ciò che nella loro prigionia essi possono fare è interpretare i segni celesti, facendo anche previsioni per il futuro. Un futuro che, dal momento che si conoscono poco gli eventi della realtà esterna ai campi di prigionia, appare difficilissimo non soltanto prevedere ma anche ipotizzare.
Gli ultimi tre versi del componimento si riferiscono agli spostamenti da un campo all'altro ai quali i prigionieri erano sottoposti. Tutti i campi però, si trovano in una città dal clima caldo, in cui, a causa dell'odio e della guerra, serpeggia un'atmosfera infernale: Orano.

Negli anni successivi alla guerra, la più importante carica lavorativa che Sereni aveva ricoperto era stata la direzione della Mondadori. 
I suoi componimenti risalenti agli anni '60 ben descrivono la condizione dell'uomo contemporaneo che indubbiamente usufruisce con facilità delle nuove tecnologie, ma che in ogni caso, proprio come le generazioni del primo Novecento, si trova di fronte alla precarietà dell'esistenza.
La principale raccolta di poesie del "tardo Sereni" si intitola Strumenti umani, pubblicata nel 1965.
Mi sembra inoltre importante precisare che, nel periodo del dopoguerra, il medesimo autore si dedica anche a tradurre opere di autori inglesi e francesi quali: Ezra Pound, René Char, Guillaume Apollinaire, Albert Camus e William Carlos Williams.
Vittorio Sereni è morto a Milano nel 1983.
Di Strumenti umani riporto testo e commento di una poesia.

Ancora sulla strada di Zenna:


Perché quelle piante turbate m'inteneriscono?  
Forse perché ridicono che il verde si rinnova  
a ogni primavera, ma non rifiorisce la gioia?  
Ma non è questa volta un mio lamento  
e non è primavera, è un'estate,  
l'estate dei miei anni.  
Sotto i miei occhi portata dalla corsa  
la costa va formandosi immutata  
da sempre e non la muta il mio rumore 
né, più fondo, quel repentino vento che la turba
e alla prossima svolta, forse finirà.  
E io potrò per ciò che muta disperarmi  
portare attorno il capo bruciante di dolore...
Ma l'opaca trafila delle cose  
che là dietro indovino: la carrucola nel pozzo, 
la spola della teleferica nei boschi,  
i minimi atti, i poveri  
strumenti umani avvinti alla catena 
della necessità, la lenza  
buttata a vuoto nei secoli, 
le scarse vite, che all'occhio di chi torna  
e trova che nulla nulla è veramente mutato  
si ripetono identiche, 
quelle agitate braccia che presto ricadranno,  
quelle inutilmente fresche mani 
che si tendono a me e il privilegio 
del moto mi rinfacciano...  
Dunque pietà per le turbate piante  
evocate per poco nella spirale del vento 
che presto da me arretreranno via via 
salutando salutando.  
Ed ecco già mutato il mio rumore  
s'impunta un attimo e poi si sfrena  
fuori da sonni enormi  
e un altro paesaggio gira e passa.


Innanzitutto specifico che Zenna è un paese che si trova a pochi chilometri di distanza da Luino, per cui, anch'esso era un luogo ben conosciuto dall'autore.
L'avverbio del titolo "ancora"  allude al ritorno di Sereni nei luoghi dell'infanzia.
E' bellissima quella personificazione iniziale che dice: piante turbate. Il senso del participio passato è ambiguo, ma è proprio per questo che è affascinante.

Turbate da cosa? Sono forse mosse da un vento energico?? Oppure dal rumore delle automobili che percorrono la strada? 
E se fosse una metonimia oltre che una personificazione? Se quello turbato fosse Sereni stesso, che, commosso nel rivedere la natura dei suoi luoghi natali, "trasferisce" per iscritto un'emozione a delle piante (come faceva Leopardi in A Silvia, parlando di sudate carte?)

Vedete che affascinante che è la letteratura italiana e come aiuta a creare ponti tra l'interiorità e la realtà esteriore? Non si è mai finito di riscoprirla!
Pochi versi più in là, compare la ricorrente abitudine di collegare le età della vita con le stagioni. E' come se il poeta dicesse: "Non è la stagione primaverile né la giovinezza genuina che mi fa provare questa forte sensazione, che mi aiuta a vedere la bellezza e il rinnovamento della vita in queste piante. E' piuttosto l'età adulta, già carica di memorie e anche di esperienze durissime."

Il poeta osserva il paesaggio dal parabrezza della sua auto e gli sembra che la costa del lago gli si delinei innanzi come un elemento uguale a se stesso.
L'automobile, tenetevelo in mente, è simbolo dell'industrializzazione della società italiana, per cui il poeta, attraverso un mezzo che nel primi anni del Novecento i futuristi consideravano emblema di progresso e velocità, si accorge che in quei paesini lo stile di vita è rimasto semplice, che la gente si serve ancora di oggetti tipici di un mondo pre-industriale e inconteminato dall'aggressività del capitalismo e della pubblicità.
Dunque, l'opaca trafila delle cose quali la carrucola nel pozzo e la spola della teleferica nei boschi, rispondono unicamente all'esigenza di soddisfare i bisogni primari dell'uomo.
La povertà e la semplicità di un mondo rimsto contadino sembrano addirittura "rinfacciare" al poeta il privilegio del benessere.

Negli ultimi versi del lungo componimento (vv. 32-35), la staticità del paesaggio (sonni enormi) si contrappone al moto dell'automobile (e un altro paesaggio gira e passa).

Luino ai giorni nostri


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