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26 marzo 2022

"Pane e ciliegie", A. Sarfatti

Dovrei esporvi la mie recensioni, arricchite da analisi linguistico-sintattiche, di Senilità e di Uno, nessuno e centomila ma... cioè, non posso permettermelo perché il mondo della scuola mi sta impegnando molto in questi mesi. Negli ultimi giorni ho fatto il salto dalle elementari alle medie. Altra realtà scolastica, ancora più conforme alle mie capacità e al mio stile di insegnamento, altra mole di lavoro e altre gratificazioni. 

Vorrei dare ai lettori veronesi un avviso, considerando anche il fatto che, soprattutto dall'inizio del 2022, non solo sto seguendo diverse iniziative presso il nostro centro pastorale diocesano ma faccio parte anche di un gruppo che sta nascendo in questo ambiente. Nel settore del CPR-Verona (Centro pastorale ragazzi) si stanno organizzando, in vista di quest'estate, sette campi estivi rivolti alla fascia d'età 9-13 anni, ovvero, rivolti ai ragazzini tra la IV° elementare e la II° media. Ho già dato la mia disponibilità come animatrice per il campo 2, che va dal 3 all'8 luglio, per il campo 3, che va dal 10 al 15 luglio, e per il campo 4, dal 17 al 22 luglio. Non significa che ci sarò a tutti e tre, ma che, in un futuro prossimo, saranno i sacerdoti che stanno organizzando il tutto a dirmi in quale esatta settimana verrò collocata tra queste tre. Ho fatto il copia-incolla del link nel quale potete trovare qualche ulteriore dettaglio:

http://www.giovaniverona.it/articolo/campi-tracchi-estate-2022/522

Se siete veronesi come me oppure se vivete in provincia di Verona e avete figli o nipoti alla fine delle elementari oppure in età da medie considerate l'opportunità e, se volete, cominciate a pensare di fare una sorta di pre-iscrizione presso le vostre parrocchie. Non aspettate il mese di maggio, fatelo nei prossimi giorni, perché si tratta di esperienze serie che devono essere organizzate bene. Successivamente arriveranno informazioni più precise (anche per me che animerò) sulle quote d'iscrizione e sul materiale da portare. Preciso che al momento io non so più di quel che c'è scritto alla pagina del link sopra. Quindi, a partire da oggi, tenete monitorata la pagina del CPR in caso di interesse.

Ad ogni modo, nella mia vita è piuttosto chiaro che è questa la fascia d'età di cui mi dovrò occupare, come insegnante e come educatrice. D'altra parte faccio brillare gli occhi a chi si trova o alla fine dell'infanzia o nella pre-adolescenza...

Ad ogni modo stasera approfitto per presentare un romanzo destinato prima di tutto a questa fascia d'età, utile per far approfondire alle età 9-13 il periodo storico 1939-1945 e per far conoscere alcuni aspetti della cultura ebraica.

1) CONTENUTI GENERALI DEL ROMANZO:

Milano, maggio 1939. Israel Kalk, la moglie Giorgetta e il loro figlio Motele di 9 anni sono ai giardini di Porta Venezia. Lì incontrano Brigitte e Werner, piccoli profughi ebrei provenienti da Berlino, figli di una donna tedesca e di un ebreo polacco deportato, alcuni mesi prima, nei campi di concentramento dalla polizia nazista.

Israel invita i due bambini appena conosciuti e quasi coetanei di Motele a fare merenda in una latteria nelle vicinanze. 

Da quel giorno, nasce nella mente di Israel l'idea di istituire una mensa per i profughi ebrei. D'altra parte, lui stesso è un ebreo proveniente dalla Lituania.

Nei primi tempi, la nuova mensa offre pranzo e cena ai bambini e agli adolescenti ebrei, poi diventa anche uno dei nostri attuali doposcuola caratterizzato da sostegno nei compiti, da momenti di gioco, da lezioni di musica che, piuttosto frequentemente, i ragazzi più grandi impartiscono ai più giovani: Motele impara a suonare il violino da Arturo quindicenne inizialmente taciturno ma molto dotato in musica e molto riflessivo.

Ecco dunque che la mensa diviene non soltanto un ambiente di convivialità e di istruzione ma anche un luogo nel quale ci si sostiene, ci si aiuta nelle difficoltà quotidiane e nella precarietà della guerra e si creano belle amicizie.

Oltre a ciò, Israel Kalk, in accordo con i suoi collaboratori e con i suoi finanziatori, vuole che vengano garantite ogni anno anche le celebrazioni delle principali festività ebraiche. Questo almeno fino all'agosto 1943, quando la mensa viene bombardata. Ma nemmeno di fronte a questo dramma Israel Kalk si arrende, visto che inizia a trasferire la mensa a Lucino (provincia di Como) per poter ancora garantire qualche occasione di ritrovo e di condivisione ai pochi bambini rimasti.

Senza dimenticare che, durante i primi anni del secondo conflitto mondiale, alcuni bambini della mensa vengono internati nei campi di concentramento con le loro famiglie soprattutto nelle zone dell'Italia centro-meridionale.

2) FESTIVITA' EBRAICHE MENZIONATE NEL LIBRO:

A) BAR MITZVAH (BAT MITZVAH per le ragazzine di 12 anni): Segna, per i ragazzini di 13 anni, l'ingresso nel mondo delle responsabilità degli adulti. Era un giorno che sanciva l'obbligo di partecipare, per il giovanissimo ebreo praticante, alle iniziative della vita religiosa.

B)HANUKKAH: la traduzione letterale dall'ebraico all'italiano sarebbe festa di inaugurazione. Durava otto giorni e, in questa occasione si commemora la vittoria dei Maccabei, nel II° secolo a.C., contro i greci Seleucidi e il loro re Antioco, il quale avrebbe voluto che il popolo ebraico rinunciasse alla propria religione per sottomettersi al suo dominio. La Hannukah inizia al tramonto del giorno 24 del mese di Kislev (a dicembre per noi). Durante questi giorni si cucinano e si mangiano i sufganiot, bomboloni fritti.

C) ROSH HASHANA': Letteralmente significa capo d'anno. E' una ricorrenza che dura 10 giorni. Il giorno del KIPPUR, che chiude questo breve periodo, prevede il digiuno per l'intera giornata. Non cade mai prima del 6 settembre cristiano e gregoriano.

D) PESAH: non è altro che la Pasqua. Dura otto giorni e si celebra la ricorrenza della liberazione dalla schiavitù dell'Egitto (Esodo e Mosè). Si mangia pane azzimo in questi giorni, non pane lievitato. 

All'interno del romanzo sono presenti altri termini che rimandano alla religione ebraica, come ad esempio la menorah, candelabro a sette braccia che riconduce ai sette giorni della creazione nella Genesi e la Torah, testo sacro degli ebrei.


3) ALCUNE FIGURE PRESENTI NEL ROMANZO:

Nel corso dei capitoli compaiono alcuni personaggi interessanti oltre a Motele, Werner e Brigitte. C'è Miriam, adolescente mite e solare che ama scrivere e raccontare storie ai bambini più piccoli. C'è Arturo, attratto da Miriam che ha talento per il violino, Anna, amante degli animali e sorella minore di Arturo che sogna di diventare veterinaria. 

Ogni ragazzino custodisce un talento o musicale o artistico (basti pensare all'inclinazione di Brigitte per il disegno) o scolastico. Tutti i frequentatori della mensa sono uniti dalla voglia di amicizia, dalla speranza di poter ricostruire un futuro migliore, dalle privazioni della povertà, dal dolore del distacco delle figure paterne che o sono costrette a partire per il fronte o vengono internati nei campi di concentramento prima dei figli bambini.

Purtroppo non tutti sopravvivono al terribile periodo storico in cui vivono e quindi non tutti arrivano all'anno 1945. 

4) MOTELE KALK:

Indubbiamente è un personaggio che mi è piaciuto molto. All'inizio della storia ha 9 anni, alla fine 15. Ha un ottimo rapporto con entrambi i genitori ma soprattutto con la figura paterna, dal quale si sente pienamente compreso e supportato.

Si tratta indubbiamente di un ragazzo intelligente, sensibile. Fin dall'inizio sono evidenti la sua sofferenza e il suo nervosismo nei confronti della situazione di emarginazione che si trova costretto a vivere: è un ebreo mezzo lituano e mezzo italiano. Nel momento in cui Motele si allontana per giocare un po' al parco con Brigitte e Werner, appena conosciuti, Giorgetta dice al marito: mettiamoci nei suoi panni, perdere d'un colpo compagni e maestra deve essere stato molto duro. E per una questione di razza, per una ragione che lui non può nemmeno comprendere.


Vi ricordo infatti che nel settembre del '38 Mussolini aveva approvato le leggi razziali anti-ebraiche. Per questo bambini, giovani e insegnanti ebrei erano stati espulsi dalle scuole pubbliche, dove si erano vietati libri di testo scritti da ebrei.

Motele è anche generoso: penso ad esempio al momento in cui, una domenica pomeriggio, invita Brigitte e Werner e la loro madre al suo decimo compleanno. Per loro cucina tutta la mattina e prepara una squisita torta con pere e cannella.

Insomma, a mio avviso Motele Kalk presente quasi tutte le caratteristiche dei bambini della sua età: voglia di autonomia, curiosità verso la vita degli adulti e verso il mondo in generale con le sue decine di domande al giorno, ammirazione per i genitori, senso di giustizia (a quest'età possono essere più semplici e più giusti degli adulti), sincerità spiazzante che svela la pura verità su persone ed eventi ( ma a volte è una verità spietata e micidiale), disagio e irritazione nei confronti di ciò che non si comprende o che non piace.

5) I NAUFRAGHI DEL PENTCHO:

Immagino che molti tra i miei lettori non conoscano questa vicenda storica narrata invece in questo libro.

Il Pentcho era un battello che ospitava centinaia di migranti polacchi, slovacchi ed ebrei che nel maggio del 1940 si erano imbarcati a Bratislava verso la Palestina. Il battello aveva navigato lungo il Danubio finché non era naufragato nel mar Egeo sulle coste dell'isola di Rodi. Lì, una nave militare italiana aveva trasportato i pochi sopravvissuti a Ferramonti, in provincia di Cosenza.


6) CHI ERA ISRAEL KALK?

Il libro è basato su una persona realmente esistita. Israel Kalk era nato nel 1904 in Lituania nel villaggio di Pikeli da una famiglia di ebrei praticanti. A causa dello scoppio della prima guerra mondiale e della continua minaccia dei pogrom da parte delle truppe filo-zariste, i Kalk lasciano la Lituania. In Lettonia Israel frequenta il Liceo russo dopodiché si trasferisce a Milano per poter frequentare l'Università, dal momento che in Lettonia era preclusa agli ebrei. Qui studia Ingegneria presso il Politecnico e, presso il Circolo studentesco ebraico, ha modo di approfondire la letteratura yiddish. In questa circostanza conosce Giorgetta Lubatti. I due giovani convolano a nozze nel 1928. Israel trova lavoro presso la Compagnia Generale di Elettricità, anche grazie alla conoscenza di sei lingue: lituano, lettone, italiano, russo, tedesco, yiddish. Tuttavia, a causa delle leggi razziali, viene licenziato dalla CGE nel settembre 1938. Ma riesce a trovare, successivamente un impiego presso una ditta più modesta di cavi e apparecchiature elettriche. Nel frattempo con la moglie Giorgetta traduce dei libri di poesia della letteratura yiddish in italiano.

Ed è vero che, dopo aver conosciuto Werner e Brigitte, il signor Kalk riesce a creare un'organizzazione assistenziale privata che consiste nella Mensa dei Bambini ebrei profughi, inaugurata nel giugno del 1940 grazie all'aiuto e al sostegno di alcuni amici e conoscenti come Manfredo D'Urbino e Leone Feiwel. 

Inoltre, attraverso la Mensa dei Bambini, Kalk porta inoltre assistenza anche ai profughi rinchiusi in alcuni campi di internamento istituiti nel 1940, in particolar modo, ai profughi rinchiusi nel campo di concentramento fascista di Ferramonti di Tarsia, in Calabria. 

A causa dei bombardamenti della palazzina in cui era collocata la mensa a Milano, Israel trasferisce la mensa a Lucino, non molto lontano dalla Svizzera, dove, verso la fine del 1943, fugge. Viene internato a Ginvera e liberato nel '45.

Dopo la guerra il signor Kalk trova un impiego presso la ditta Edison e decide di farsi coinvolgere nella camera del commercio italo-israeliana. Intanto raccoglie le storie di molte delle persone che hanno frequentato la sua mensa. E queste storie diventano e sono tuttora dei documenti preziosi contenuti negli archivi del Centro di documentazione Ebraica di Milano.

Israel Kalk è morto nel 1980.


18 marzo 2022

"Il flauto magico", W. A. Mozart:

In questi tre mesi ho intuito che in realtà non è che "faccio l'insegnante" e "faccio l'educatrice", ma SONO UN'INSEGNANTE E UN'EDUCATRICE. 

È ben diverso: significa che la mia realizzazione culturale e umana avviene e dovrà avvenire soprattutto in ambienti scolastici, culturali e di servizio sociale. Il riassunto di queste mie quattro lezioni sul Flauto magico di Mozart, opera proposta ad entrambe le mie quarte, ne costituisce indubbiamente una prova.

Ho promesso a me stessa che non smetterò mai di ampliare il mio percorso di auto-formazione: in questi giorni sto leggendo il saggio della Chiarioni, ex docente di Lettere in pensione, intitolato Ti racconto una fiaba- la narrazione come percorso interculturale.
L'autrice qui insiste sul fatto che gli argomenti delle lezioni dedicate alle fiabe devono suscitare il coinvolgimento degli alunni e, per farlo sorgere, le insegnanti devono interpretare le storie che propongono alla luce del loro vissuto e alla luce di valori utili per la vita.
Su questo sono assolutamente d'accordo, anche se non condivido alcune delle sue spiegazioni su qualche fiaba che descrive e spiega all'interno dei capitoli. Eccovi un'argomentazione: la Chiarioni elogia la fiaba africana Karitong'o l'orco come la dimostrazione della stupidità del male. Io invece trovo assurda, cruenta e stupida l'intera storia: è di un cannibalismo esasperato. La stupidità del male la si trasmette ai bambini e ai preadolescenti con le figure dei Troll dello Hobbit di Tolkien, quelli sono un ottimo esempio a mio avviso.
Se penso alla mia finora unica esperienza di insegnamento, credo che la si potrebbe riassumere così: "La vita che avrai non sarà mai distante dall'amore che dai" (Ermal Meta, Vietato morire). Lo canta un uomo che ha vissuto un'infanzia di soprusi e di violenza, da servizi sociali, con il padre-bestia che ha avuto quindi, perché non dovrei crederci io a questa sua massima di vita, io che ho avuto "soltanto" e semplicemente un padre poco presente dal punto di vista emotivo? (Ha inciso anche questo fattore sulla mia natura introversa, eh.)

Per trasmettere i contenuti del Flauto magico mi sono organizzata così: prima ho dedicato due lezioni alla lettura della storia con la musica di ouverture di sottofondo. Avevo preso in prestito dalla biblioteca comunale la versione semplificata della storia di Pierre Coran e di Charlotte Gastaut. 
Poi, durante la terza lezione, ho fatto riassumere ad alcuni volontari la storia narrata (bravissimi, soprattutto in 4°F, dove più di qualcuno sapeva a memoria dopo quasi una settimana molto di quello che avevo letto) e ho distribuito una fotocopia nella quale avevo riassunto le tematiche a mio avviso più importanti, che potevano ricondurre anche a dei valori di vita e a dei semplici messaggi quotidiani. 
E infine, abbiamo discusso in maniera davvero costruttiva sul personaggio della Regina della Notte. Clamorosamente, proprio da lei è infatti scaturito un discorso sulla non-violenza e sulla pace. 

1) PERSONAGGI PRINCIPALI:


TAMINO: Giovane principe, protagonista.


PAPAGENO: Mercante di uccelli, aiutante del protagonista.


SARASTRO: Re giusto e mite, protettore di Pamina.


PAMINA: Giovane principessa amata da Tamino.


PAPAGENA: L'amata di Papageno.


REGINA DELLA NOTTE: Regina malvagia che all'inizio tenta di manipolare Tamino.


MONOSTATOS: Gigante rivale in amore di Tamino.


*Monostatos e la Regina della Notte sono antagonisti, cioè, si oppongono a Tamino, gli creano difficoltà nel suo intento.




2) RIASSUNTO DELLA STORIA ADATTATA DA CORAN E DALLA GASTAUT:


Siamo nell'antico Egitto. 

Papageno, mercante di uccelli, sta camminando in un fitto bosco con una gabbia di uccelli. Ad un tratto scorge in una radura un giovane svenuto e, poco più in là, un enorme serpente trafitto da tre lance. 

Il giovane principe Tamino riprende i sensi e chiede a Papageno: "Hai ucciso tu il serpente che mi stava inseguendo?". Papageno gli mente rispondendogli sì. Ma da una roccia brilla un lampo accecante: compare Astrifiammante, la Regina della Notte, che svela le menzogne del mercante di uccelli e dice a Tamino che sono state tre damigelle ad annientare l'enorme rettile. La Regina ha una figlia, Pamina. Mostra un'immagine della ragazza al principe che se ne innamora all'istante. Astrifiammante dona un flauto al giovane e gli affida un'impresa: liberare Pamina dalla prigionia del re Sarastro. Regala inoltre a Papageno un carillon.

Quindi, con Papageno, il nostro protagonista si avvia per raggiungere la reggia. Una volta arrivati, si trovano a dover affrontare delle belve feroci che sbarrano loro la strada. Ma Tamino suona il flauto magico e le belve iniziano a ballare per poi allontanarsi.

Avviene successivamente l'incontro con Sarastro, tutt'altro che malvagio: egli è in realtà il protettore di Pamina. Quindi anche Astrifiammante ha mentito.

Dopo essere entrato nel castello di Sarastro, Papageno, affamato, incontra nelle cucine una vecchia che, davanti ai suoi occhi, si trasforma in una giovane ragazza vestita di piume di uccelli: si tratta di Papagena. 

Quando il giovane percorre il giardino della reggia di Sarastro incontra Pamina. Ed è così che, presto, viene ricambiato del suo sentimento.

Ma, per realizzare il loro sogno d'amore, devono affrontare alcuni ostacoli non da poco: l'opposizione aggressiva del gigante Monostatos, che ama, non ricambiato, Pamina, un muro di fuoco e un muro d'acqua. 

Tamino riesce a superare tutti questi ostacoli, anche, in parte, con l'aiuto di Papageno che, mediante il carillon, fa allontanare Monostatos. Tamino riesce ad aprire un varco sia nel muro di fuoco che nel muro d'acqua suonando il flauto magico. 

Il racconto termina con la benedizione di Sarastro alle due coppie dell'opera: Tamino/Pamina e Papageno/Papagena. 





3) “IL FLAUTO MAGICO”- TEMATICHE IMPORTANTI:


A) LA BUGIA: 


“Sei tu che hai ucciso l'orrendo serpente che mi stava inseguendo?”, chiede Tamino a Papageno quando si risveglia nel bosco. E Papageno gli risponde: “Sì, sì... sono stato io”. 



Ma, poco dopo, la Regina della Notte dice: “il mercante sta mentendo! Non è stato lui a uccidere il serpente ma le mie tre damigelle! (…) l'infame Sarastro ha rapito mia figlia e la tiene prigioniera nel suo castello.” In realtà Sarastro non è per nulla infame e non tiene prigioniero nessuno: “Pamina non è mia prigioniera. Suo padre mi ha chiesto di proteggere sua figlia dalla Regina che sogna di dominare il mondo”.


Quindi...


PAPAGENO mente a TAMINO per conquistarsi rapidamente la sua fiducia e la sua amicizia. Ma viene smentito dalla Regina della Notte. 

La REGINA DELLA NOTTE mente però a TAMINO: Pamina non è prigioniera di Sarastro ma si trova sotto la sua protezione. La Regina è una manipolatrice: manovra Tamino per “portarlo dalla sua parte”.


B) IL FASCINO DELLA MUSICA: 


Tamino, una volta giunto presso il cortile del castello di Sarastro, si trova di fronte a degli animali feroci. Ma suona il flauto magico e le belve rimangono incantate.



Poco dopo, nella storia, il carillon di Papageno fa allontanare Monostatos, gigante rivale di Tamino.

Quando un muro di fuoco si alza poi di fronte a Pamina e a Tamino, il giovane principe suona il flauto e, come per magia, si apre un varco.

Poi, sempre grazie al flauto magico, i due giovani passano attraverso il muro d'acqua. 

Il padre di Pamina aveva predetto che solo un cuore puro avrebbe potuto trarre, da quel flauto, suoni dai poteri magici.


CUORE PURO=Significa “cuore sincero e sensibile”, quindi per questo vicino alla bellezza della musica e delle forme d'arte. Solo i cuori puri possono essere capaci di trasmetterci il messaggio che il male nel mondo, per quanto atroce, non avrà mai l'ultima parola.


C) L'AMORE: 


In quest'opera musicale ci sono due coppie: Pamina-Tamino e Papagena-Papageno.

Si tratta, in entrambi i casi, di un amore sincero e profondo, che suscita gioia e sintonia da entrambe le parti. 

In particolare, nel caso della coppia Pamina-Tamino, l'amore aiuta a superare le difficoltà.



D) LE PROVE: 


Le molte prove affrontate da Tamino gli permettono di soddisfare il suo sogno, ovvero, quello di poter amare Pamina e di poter condividere con lei la vita. 

Questo ci fa comprendere che per realizzare i nostri sogni e per raggiungere obiettivi e risultati dobbiamo sempre impegnarci e mai arrenderci per realizzarci.


4) RIFLESSIONI SUL TEMA DELLA PACE PARTENDO DALLA REGINA DELLA NOTTE:


(Vero e puro dialogo tra me e le classi)


Alcuni di voi mi hanno detto che avrebbero voluto un finale diverso, ad esempio, il ritorno della Regina della Notte e la sua morte violenta, uccisa o da Tamino o da Papageno.

E qui, cari lettori del mio blog, non immaginate i loro commenti focosi: "Siii!!! La volevamo sbranata dai leoni", "Strangolata!", "Tagliata a pezzettini!!", "Decapitata!", "Bruciata viva come le streghe di molti secoli fa!", "A morte la regina della Notte!"... 

Se fosse un'aspirante insegnante, raccomanderei ad Astrifiammante di non mettere mai piede né in 4°E né in 4°F... non credo ne uscirebbe viva! :-)

Comunque ho dato loro un compito facoltativo: non vi entusiasma il finale lieto? Scrivetene uno voi! Chi, più romantico, ha scritto: "Pamina e Tamino si sposano e hanno tre figli" e chi, più combattivo, ha voluto un epilogo un po' più, diciamo, articolato: "Pamina e Tamino vanno a vivere insieme ma ritorna la Regina della Notte dal Regno delle Tenebre e... avviene una battaglia con Tamino e Papageno dove la Regina muore trafitta dalle lance".


Bambini, ho avuto anch'io la vostra età e quindi da una parte capisco in pieno il vostro forte desiderio di vedere il male sconfitto in modo definitivo.

In una versione di questa storia un po' più ampia rispetto a quella che vi ho letto e riportato, la Regina della Notte, dopo aver tentato di entrare nella reggia di Sarastro per ucciderlo, viene trafitta dai luminosissimi raggi del Sole, che simboleggiano le forze del bene. 

In ogni caso, la regina Astrifiammante non muore, né nel libretto dell'opera composto nel 1791, né nelle versioni narrative adattate ai bambini.


E da qui è partita la domanda che ha dato il via a questa riflessione:

Ditemi: per voi la vendetta fa bene a chi la compie? 

Vi leggo una definizione dal mio Dizionario Garzanti, giusto per farvi riflettere sul vero senso delle parole della nostra stupenda lingua:


VENDETTA= Si tratta di un danno che si fa a qualcuno in modo tale da “pareggiare i conti”.


Quindi, ricordate il Codice di Hammurabi?! 

Nel 1750 a.C., legge e giustizia volevano dire: qualora un uomo rompa un osso ad un altro, gli sia rotto un osso.


Ma è questa la vera giustizia? Fare del male a chi ti fa del male?


Poi è arrivato il Cristianesimo. 

Nel Vangelo di Matteo (capitolo 5, versetti 38-42 per l'esattezza) Gesù dice: avete inteso che fu detto occhio per occhio, dente per dente; ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra.


In 4°F: "Coooosa??!"  "Ma stiamo scherzando?!"

Bambini, Gesù non era affatto un pazzo. So che per voi è molto facile tradurlo con un "fatti mettere i piedi in testa", ma vorrei spiegarvi bene il senso più profondo: 


1)Non rispondere al male con il male.


2)Non odiare chi offende e ferisce.


3)Non cercare vendetta, nemmeno se si ha ragione.


E qui ho citato Gandhi:


Il genere umano può liberarsi della violenza soltanto ricorrendo alla non-violenza (Gandhi).


NON VIOLENZA=La pace dobbiamo praticarla ogni giorno nel nostro modo di vivere, con le nostre scelte, i nostri pensieri e le nostre azioni. E con senso di responsabilità.

  

12 marzo 2022

"Elogio degli uccelli", G. Leopardi, "Operette morali":

Tra poco sarà primavera. Per questo ho pensato di proporvi alcune parti di uno dei testi delle Operette Morali di Leopardi.

Amelio, filosofo solitario, stando una mattina di primavera con i suoi libri seduto all'ombra di una sua casa in villa, e leggendo, scosso dal cantare degli uccelli per la campagna, a poco a poco datosi ad ascoltare e pensare, e lasciato il leggere, all'ultimo pose mano alla penna e in quel medesimo luogo scrisse le cose che seguono: "Sono gli uccelli naturalmente le più liete creature del mondo. (...) Intendo di essi medesimi in se, volendo dire che sentono giocondità e letizia più che alcuno altro animale. (...) Si veggono gli altri animali comunemente seri e gravi, e molti di loro paiono anche malinconici: rare volte fanno segni di gioia; e questi piccoli e brevi, nella più parte dei loro godimenti e diletti non fanno festa. (...) Gli uccelli per lo più si dimostrano nei moti e negli aspetti lietissimi (...) per ogni diletto e contentezza che hanno cantano."

Il nome di questo filosofo solitario fa pensare ad Amelio Gentiliano, vissuto nel 3° secolo a.C. e allievo di Plotino, il rappresentante del neoplatonismo antico. 

Il concetto fondamentale della filosofia di Plotino è quello dell'Uno, ovvero, il principio da cui tutto deriva. L'Uno è infinito, per gli umani risulta impossibile definirlo attraverso il tempo e lo spazio ed è il principio del molteplice. L’Uno, sosteneva Plotino, è come una fonte luminosa che irradia luce attorno a sé senza mai impoverirsi, cioè, è una luce che non diviene mai flebile.

villa= latinismo per "campagna".

non fanno festa= Gli altri animali non sembrano gioiosi e contenti di far parte del creato, al contrario degli uccellini. Questa espressione comunque mi ricorda quel verso della poesia La quiete dopo la tempesta (primo tema di italiano del primo quadrimestre della quinta da 9+) che fa: odo augelli far festa (dopo il temporale si intende). In questo componimento, anche se il cielo è ancora "umido" (umidità dell'aria), il sol ritorna e sorride per li poggi e le ville

WOW! Sembra la descrizione di una giornata dal tempo variabile in Alto Adige: dopo un temporale primaverile o estivo, sembra proprio che il cielo sorrida quando il sole fa capolino tra le nuvole e si riflette sui balconi di legno.

Ma La quiete dopo la tempesta ha un significato che va al di là del tempo metereologico: quando infatti si dice uscir di pena/ è diletto fra noi si introduce il tema della breve durata della tranquillità d'animo nella vita di ogni uomo. Quel che vuole dire Leopardi è sostanzialmente questo: i momenti di serenità sono brevi e dovuti ad una momentanea cessazione del dolore. 

Gli uccelli dunque provano diletto e contentezza. Inevitabilmente devo fare un riferimento al Passero solitario, componimento che avevo imparato integralmente, di mia iniziativa, a 11 anni. Già in prima media sapevo che cosa volevo fare della mia vita, era tutto chiarissimo se mi commuovevo di fronte alle traduzione dell'Iliade della Calzecchi Onesti, di fronte all'addio fra Ettore e Andromaca. In quel periodo Il passero solitario mi sembrava una poesia lunghissima e meravigliosa, dai suoni e dalle frasi dolcissime che ricordavano un pochino la mia indole introversa, anche se, essendo ancora bambina, non capivo circa la metà delle parole (è la lingua letteraria).

Anche il passero canta. Cantando vai finché non more il giorno/ ed erra l'armonia per questa valle. (versi 3-4)

Errare sta per "vagare", proprio secondo l'etimo latino. Il passero prova felicità, è ben inserito in un contesto primaverile in cui il sole fa brillare i campi. 

Tuttavia, il passero solitario non sta in compagnia degli altri uccelli proprio perché, come il suo autore, non è un gregario. 

Riflettete bene su questo: chi è il gregario?! Conviene essere dei gregari? Mi pare lo specifichi anche Machiavelli: deriva da grex, gregis (=gregge). Ovvero, chi tende a seguire ciecamente le tendenze di un gruppo, senza farsi troppe domande sul fatto che queste mode e tendenze possano o meno giovargli. 

Si sta sempre bene da soli?! O la solitudine comporta anche problemi relazionali e... sofferenze?

Forse l'ho caricato su questo blog già tempo fa ma... questo spezzone di Shrek 1 riassume quel che finora è stata la mia vita: una sofferenza nel rapportarsi con diverse persone che non hanno mai voluto andare al di là della superficie, al di là della mia timidezza, al di là di quel che appaio. Giudicata ed etichettata senza alcuna possibilità di far un po' cambiare idea; e questo è proprio quel che mi è successo nel 2021 con quel gruppo di coetanei egoisti, cattivi, insensibili, esibizionisti. 

Meno male che ultimamente ho altre risorse più gratificanti da questo punto di vista!

La vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente tra il dolore e la noia, passando per l'intervallo fugace, e per di più illusorio, del piacere e della gioia. (Schopenhauer).

E, a proposito di tempesta, l'Elogio degli uccelli prosegue così:

(Gli uccelli) nella tempesta si tacciono, come anche fanno in ciascuno altro timore che provano e, passata quella, tornano fuori cantando.

Anche queste due righe non ricordano forse che tutte le creature della Terra sono fragili e di passaggio?! La natura, come si diceva nei primi anni dell'Ottocento, è sublime, cioè, è meravigliosa e temibile per alcuni fenomeni che manifesta e che ci terrorizzano proprio perché ci mettono di fronte alla nostra precarietà. 


Possiamo anche pensare a Campo di grano con volo di corvi di Van Gogh: il cielo qui è burrascoso e inquietante. Si tratta di uno dei suoi ultimi dipinti, se non dell'ultimo suo dipinto, poche settimane prima di suicidarsi. Qui non c'è soltanto un tempo metereologico inquieto che preannuncia un forte temporale, ma una terribile angoscia...


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Nei Carmina Burana (latino medievale), gli uccelli e il loro canto sono sempre abbinati all'arrivo della primavera. Eccovi alcuni esempi:

CB 69=leto nemus avium/ cantu viduatur (il bosco viene privato del lieto canto degli uccelli- per l'arrivo della stagione fredda).

CB 83= Silent cantus nemorum (tace il canto nei boschi, a causa dell'arrivo dell'inverno).

CB 85= Ecce florescunt arbores,/ lascive canunt volucres (gli alberi fioriscono, gli uccelli cantano in modo piacevole). 

CB 151= Aves dulci melodia/ sonant garrula (cantano gli uccelli quando fioriscono gli alberi).

CB 156= Dulcis avium concentus/ sonat: gaudeat iuventus! (il dolce concerto degli uccelli risuona: gode la gioventù! -Invito a risvegliare la voglia di amare).

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Ma sapete che ho sognato che un mio alunno di quarta diventava un mio collega a scuola?

Ho fatto un sogno ambientato nel futuro dove avevo poco più di 40 anni, ero di ruolo in una secondaria di primo grado e l'anno scolastico era iniziato con una fantastica novità: l'arrivo di un collega di Lettere da poco laureato e ancora molto giovane... cioè un mio ex- alunno che, nel 2021-2022, era uno dei pochi che invertiva la tendenza della classe, cioè, preferiva le materie umanistiche e l'etimologia delle parole ai numeri e ai calcoli. Per di più, dovevamo collaborare in maniera stretta e continuativa, visto che avevamo le stesse materie, la stessa sezione e le stesse classi. 

Dove in una classe io insegnavo l'analisi del periodo, Manzoni e Ungaretti lui completava le ore "storico-letterarie" con le spiegazioni sulla prima guerra mondiale e i continenti extraeuropei e dove io spiegavo la scoperta dell'America e le città europee lui faceva Boccaccio e l'analisi logica. Questi sono i casi dei "docenti complementari", come li chiamano alle medie.

Comunque stanotte in sogno l'ho anche difeso da qualche genitore. Devo difendere i miei ex-alunni da critiche immotivate e ingiuste, nell'eventualità in cui me li ritrovassi come colleghi. 

C'è qualche alunno e alunna che ha già dichiarato che vorrebbe diventare mio/a collega.

*A partire dalla prossima settimana vorrei riportarvi alcuni appunti a proposito delle lezioni sul Flauto magico di Mozart che ho preparato per le quarte... Ho fatto lezione con i bambini, molto incuriositi dalla storia, affascinati dalla musica al punto tale da creare anche alcuni disegni stupendi.


2 marzo 2022

"Il villaggio di cartone", film sull'immigrazione di Ermanno Olmi:

La pace non si riduce a un'assenza di guerra (...). 
Essa si costruisce giorno per giorno,
nel perseguimento di un ordine voluto di Dio,
che comporta una giustizia più perfetta tra gli uomini.
(Beato Paolo VI)

"La pace non è assenza di violenza 
ma presenza di giustizia"
(Aram I, 1947, chiesa armena)

"L'umanità deve porre fine alla guerra
o la guerra porrà fine all'umanità".
(John F. Kennedy)


Il villaggio di cartone è un film di Ermanno Olmi che ormai ha una decina d'anni. A me è piaciuto, al di là della lentezza delle scene e al di là della patina malinconica e drammatica. I contenuti sono più attuali che mai, anche perché molto presto tutta l'Europa dovrà affrontare sicuramente la gestione di folle di profughi provenienti dall'Ucraina.
Naturalmente il film si riferisce agli immigrati provenienti dall'Africa e dai paesi di religione musulmana. 
Ad ogni modo, eccovi il riassunto arricchito da alcune mie riflessioni.

CONTENUTI, PERSONAGGI E RIFLESSIONI:

Il film inizia all'interno di una chiesa parrocchiale, probabilmente costruita nel corso del Novecento. Penso di averlo intuito osservando bene alcune caratteristiche: lo spazio non è poi così ampio, ci sono i banchi di legno, c'è una vetrata colorata in alto sopra l'altare, non ci sono affreschi né statue. Al di sopra dell'altare c'è un crocifisso, una scultura contemporanea ricalcata sul modello medievale del Christus patiens, ovvero, del Cristo sofferente. All'epoca di Giotto questi modelli di crocifissi erano finalizzati a suscitare la compassione dei fedeli.

Non viene mai precisato il nome della parrocchia, anche se si presume sia collocata nell'Italia settentrionale. All'interno della chiesa, comunque, c'è un sacerdote anziano che prega, accorato e zelante. 
All'esterno si sentono rumori di sirene della polizia.
Ad un tratto, irrompono, senza permesso, ruspe e macchinari che smantellano tutto l'arredamento sacro. Nel giro di pochi minuti quella chiesa perde tutti i simboli della fede cattolica divenendo una stanza spoglia e semibuia. 
Poco dopo, al suo interno, si stabilisce un gruppo piuttosto folto di immigrati che hanno attraversato il deserto del Sahara e il Mediterraneo. Non hanno nulla, soltanto quattro stracci addosso. Sono affamati, impauriti, senza tetto. Pochi di loro conoscono la lingua italiana. Non tutti sono in buona salute. Ci sono anche dei bambini. Ad ogni modo, tutti quanti sono sprovvisti del permesso di soggiorno.
Nei primi momenti il sacerdote è un po' sorpreso e smarrito, ma indubbiamente applica la carità verso di loro.

Ecco come interpreto ciò che è accaduto finora nel film:

- Olmi vuole innanzitutto invitare il clero italiano ad avvicinarsi maggiormente alle situazioni sociali di povertà e di emarginazione, indipendentemente dalle gerarchie (vescovi, educatori nei seminari, padri spirituali nei seminari, parroci, coordinatori delle unità pastorali, co-parroci, monaci, frati, curati, diaconi).

- Una chiesa fatta soltanto di riti, di rosari, di processioni, di messe e di tradizioni popolari (=è così soprattutto in Veneto) è un'istituzione inutile. La chiesa, oltre ad essere un'istituzione, dev'essere anche una comunità viva e accogliente, senza protagonismi e chiusure. La chiesa, compresi naturalmente i credenti praticanti, deve essere una realtà di aiuto concreto ai poveri e agli ultimi. Deve stimolarli, come si fa agli sportelli di ascolto Caritas, a uscire dalle situazioni di indigenza e di difficoltà: contattare i servizi sociali per trovare un lavoro o un corso di formazione professionalizzante. Se non ci si apre a chi è simile a noi pur essendo differente in lingua, cultura, religione e tradizioni, si rischia di divenire delle personalità giudicanti e ottuse, come il fariseo in Luca 18, 9-14:

Disse ancora questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell'altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato».

- Le sirene della polizia rimandano al fatto che la legge non è sempre ciò che è giusto. Legge e giustizia non sempre coincidono e, non soltanto l'Italia, ma in tutta l'Europa è presente anche un atteggiamento di diffidenza e di ostilità verso i migranti. Sovente si sono sentiti, in questi ultimi anni, commenti come: "Dall'Africa e dai barconi arriva di tutto, anche i delinquenti"/ "I clandestini sono inferiori a noi, non meritano l'accoglienza"/ "Aiutiamoli a casa loro" (ma se a casa loro ci sono i governi corrotti, l'AIDS, gli scontri etnici, la JIHAD e le dittature, come si fa??). 

-La civiltà occidentale è in decadenza, ma già da prima dell'invasione ucraina e prima della guerra chimico-batteriologica intesa come pandemia (è quel che penso da circa un anno e mezzo, ma mi raccomando, quel che scrivo io non è vangelo). La diffusione della tecnologia, della globalizzazione e di uno stile di vita frenetico che quasi non rende uomini e donne consapevoli del valore delle proprie giornate hanno contribuito a scalfire i valori, a indebolire il senso di identità locale e nazionale. Siamo in una società liquida, dove sembra che tutte le scelte che si compiono vadano bene. Non c'è più condivisione di principi o di valori. E nessuno si preoccupa per gli altri. La fede cristiana appare qualcosa di obsoleto e di antiquato eppure è, a mio avviso, la chiave del senso della vita. La fede è ciò che ti permette di affrontare con forza le difficoltà e i periodi dolorosi. 

Per buona parte del film i dialoghi risultano pochi. Chi parla un po' di più è proprio il parroco, che, accorgendosi di essere giunto praticamente al capolinea della propria vita, con nostalgia rievoca la sua gioventù, sdraiato su un letto, quasi privo di energie, mentre uno dei migranti lo ascolta. Proprio come adesso, siamo alla fine dell'inverno e dalla finestra la rosea luce del sole si estingue mentre il cielo si oscura sempre di più.
Così l'anziano parroco conclude il suo discorso in questa scena: Ho fatto il prete perché volevo fare del bene. Ma il bene si può fare anche senza avere fede. Il bene è più della fede!

Ci sono atei e non praticanti che spendono la loro esistenza, fin da giovanissimi, al servizio del bene, promuovendo e facendo propri valori preziosissimi come l'onestà, la giustizia sociale, la coerenza, la lotta contro la criminalità, la solidarietà verso il prossimo. Giovanni Falcone era indubbiamente uno di questi. Come anche Leone Ginzburg.
Natalia Ginzburg era esattamente così: veniva da una famiglia di ebrei non osservanti (da bambina diceva: "I miei compagni fanno presepe e albero di Natale, io sono l'unica a non poterli fare") e non è mai stata veramente cristiana cattolica. Eppure un riflesso di Dio era indubbiamente dentro di lei.
Io ritengo che fede autentica e bene siano strettamente legati. Per fede autentica intendo quel che si scrive nel Docat, cioè questo: i cristiani non hanno nulla di eclatante e di strabiliante da offrire, ma una persona in particolare: Gesù Cristo. (...) hanno una sola cosa da annunciare: un Dio che si è fatto uomo. Il Dio di Gesù Cristo ci conosce e ci comprende nella nostra umanità.
Essere cristiani significa imparare ad accettare gli altri così come sono. 
Ho letto su un libro di Enneagramma e dei nove tipi di personalità, scritto da due psicoterapeuti e una suora, che il mio tipo, ovvero il Cinque, è evoluto e redento quando comprende che il voler conoscere il più possibile non è tutto e che soltanto questo non può dare senso alla sua vita. Una personalità Cinque diviene di una dolcezza commovente quando, alla notevole capacità di riflessione e alla vasta cultura, si unisce "l'amare il prossimo come se stessi". 
(...) D'altro canto però, il tipo Cinque redento dovrebbe imparare qualcosa di prezioso dal suo carattere opposto, l'enneatipo Otto: fidarsi di più del suo istinto e quindi pensare un po' meno e agire di più, imparando a sentire sul momento le emozioni negative come la rabbia.

Essere Otto non equivale sempre a "cattivo e prepotente". Ho riconosciuto i tratti dell'Otto in alcuni alunni delle due quarte: si può dire che abbiano una specie di intelligenza istintiva, oltre che un profondo senso di giustizia mischiato alla rabbia.
Dicevo che i migranti occupano sia la canonica, dal momento che vengono ospitati dal sacerdote, sia la chiesa, all'interno della quale creano proprio una sorta di villaggio di cartone, formato di sottili tende di stoffa e di cartoni trovati negli armadi di canonica e sacrestia.
Di tanto in tanto, al di fuori della chiesa e della canonica si sentono le sirene della polizia. 

Purtroppo il finale del film non è lieto. 
L'ultimissima inquadratura riguarda le alte, scure e minacciose onde del Mediterraneo. Onde che travolgono la fame di vita e il bisogno di speranza.

Il film è giocato sugli sguardi: significativo è lo scambio di occhiate tra famiglie di migranti e, in particolar modo, tra due giovani ragazze africane: una che è appena divenuta madre incontra il viso, benevolo e caritatevole, di una sua coetanea che, con la luce negli occhi, ammira il miracolo della vita. Quando nasce il bimbo, il vecchio sacerdote canta sottovoce Adeste fideles, come se volesse augurare a se stesso, ai migranti che lo ascoltano e all'intera umanità, un mondo migliore, in cui le diversità non sono più ostacoli o barriere ma cause e motivi di incontri e di dialoghi. Ecco cosa, a mio avviso, rappresenta quel piccolo neonato: la purezza dell'infanzia e la speranza in un'umanità nuova che sa affrontare la sofferenza mano nella mano.