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5 ottobre 2013

L'immaginario mentale a confronto con il tempo presente nella cultura

La mia fervida passione per la letteratura mi aiuta sia a riflettere su interessanti tematiche attuali sia a valutare attentamente le differenze tra il mondo dell'immaginazione e il mondo reale.
Pochi giorni fa, il nostro insegnante di italiano ha chiesto a me e ai miei compagni di leggere e di analizzare "L'infinito", una celebre poesia scritta da uno dei più straordinari letterati italiani, Giacomo Leopardi.
Vi propongo quindi con entusiasmo il  testo e l'analisi, al fine di esprimere alcune significative riflessioni che riguardano la vita.



















 



L' "Infinito", meravigliosa lirica composta nel 1819 da Giacomo Leopardi, appartiene alla raccolta degli "Idilli" che è stata pubblicata per la prima volta nel 1826.
Il componimento è formato da quindici versi endecasillabi sciolti (senza rima).
Il poeta si trova sul Monte Tabor ("ermo colle"), un' altura solitaria nei pressi di casa Leopardi ed è seduto dinanzi a una siepe che cela ai suoi occhi il lontano orizzonte.
Si noti come, nei primi tre versi della lirica, la presenza dei dimostrativi "quest'-questa", relativi rispettivamente al colle e alla siepe, indichino in modo molto chiaro un paesaggio reale e conosciuto molto bene dall'autore.
Tuttavia, mentre egli ammira la natura che lo circonda, immagina al di là della siepe "interminati spazi", "sovrumani silenzi" e "profondissima quiete" ma avverte un sentimento di paura causato dall' idea di uno spazio così immenso che la mente umana fatica a concepire("ove per poco il cor non si spaura").
Ecco che qui ritroviamo il SUBLIME, teoria molto cara agli intellettuali romantici che designa un insieme di sensazioni indescrivibili provocate dalla contemplazione di un paesaggio burrascoso, tempestoso, pericoloso o estremamente vasto.
 A questo proposito, apro una breve parentesi per dire che mi è piaciuta moltissimo una teoria espressa nella Critica del Giudizio dal filosofo tedesco Immanuel Kant. Egli descrive il sublime dinamico come una sensazione suscitata dalla presenza di potenti forze naturali che da una parte provocano nell'essere umano un senso di profonda piccolezza materiale mentre dall'altra gli permettono di percepire il senso della sua grandezza ideale dovuta alla dignità di essere umano pensante e portatore di morale e di ideali.

Tornando invece alla poesia, per accentuare il fatto che, dal verso 4 al verso 8 il poeta sta rivolgendo l'attenzione alla sua fantasia e non più ad un paesaggio a lui noto, è utile evidenziare l'aggettivo dimostrativo "quella", riferito alla siepe, che indica un certo distacco dalla realtà.
Improvvisamente però, il suono del vento che muove i rami degli alberi, riporta alla realtà Leopardi, che paragona dunque questa sensazione uditiva, che simboleggia il tempo presente,  all' "infinito silenzio" che aveva immaginato nella sua fantasia.
In questo modo, ricorda le sue esperienze passate , ovvero, le "morte stagioni" con l'eterno e con il presente, caratterizzato dalla voce del vento.
Con questo geniale componimento, il poeta sottopone al controllo razionale la propria immaginazione e connette così  l'IMMAGINARIO MENTALE con "l'HIC et NUNC ", il qui ed ora, relativo alla realtà e al mondo della razionalità e comprende inoltre che la tendenza verso l'infinito è vana, inutile, dal momento che la mente dell'uomo è costituita da limiti. Infatti, la figura stessa dell'essere umano è molto limitata e incredibilmente piccola se viene paragonata ai fenomeni della natura e alla magnificenza di questa. 
L'espressione "mi fingo" indica proprio che Leopardi SA DI FINGERE e quindi sa benissimo anche che la vita esige sia il discernimento tra la fantasia e l'irrazionalità sia la loro conciliazione. 
Leopardi finge per un attimo spazi vastissimi e profondi silenzi e subisce il richiamo del vento al presente. Questo dovrebbe farci riflettere sul fatto che se un essere umano valorizza troppo l'immaginazione o i ricordi del passato significa che vuole evitare di affrontare una realtà difficile e pesante, fatta di contraddizioni e, purtroppo, anche di tragedie e di compromessi e crede (molto grave!) di poter realizzare i sogni che coltivava in un'epoca passata ma che non sono più realizzabili nella condizione presente. 
Dall'altro lato della medaglia però, è giusto rilevare che una vita fondata esclusivamente su principi razionali è una vita arida e priva di sentimentalismo. Non si vive di sola razionalità come non si vive di sola immaginazione.

La tendenza verso l'infinito gli procura una momentanea consolazione e una momentanea astrazione dalla realtà triste e angosciante in cui vive. Bisogna infatti constatare che il 1819 è stato un pessimo anno per Leopardi per il fatto che, desideroso di condividere i suoi interessi culturali con il mondo esterno, progetta un tentativo di fuga dalla casa paterna che però fallisce. Questo fallimento, suscita in lui pensieri profondamente pessimistici nei confronti della storia e del contributo dell'essere umano nel mondo. 

 Leopardi è diverso dalla maggior parte degli intellettuali romantici i quali, per sfuggire ad una realtà frustrante, si rifugiano o nel passato o nell'immaginazione. E' soprattutto per questo che io lo ammiro.