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27 gennaio 2022

Eschilo- "Prometeo incatenato":

Non riesco più ad essere regolare con i post. Sono troppo presa dal mio lavoro che amo (la mattina ci vado cantando a dire il vero).

Pensate che ieri notte ho dormito soltanto mezz'ora e, in quel breve arco di tempo, ho sognato che ero ancora più alta, ero armata di due mega-scudi: con uno proteggevo i miei alunni di seconda, con l'altro le due quarte. Difendevo i bambini da mostri che ci circondavano ma un fantasma orribile e spaventoso mi ha portato via quasi subito la seconda elementare. E continuavo a difendere le due quarte: colpivo fantasmi, streghe e mostri con tutto quel che trovavo ma non riuscivo ad ucciderli.

(Incredibile a dirsi, ma dalla seconda inizio a raccogliere qualcosa di positivo ora. Sono intelligenti. Ma devono maturare molto.)

Devo essere soggetta in questo periodo al "complesso di Atlante". Per questo inizio il post citando i versi 347-351 di questa tragedia nella mia traduzione. Atlante era il titano fratello di Prometeo:

Il destino di mio fratello Atlante, che è collocato nella regione occidentale mentre sostiene sulle spalle la colonna tra il cielo e la terra, peso difficile da sopportare, è per me motivo di angoscia.

PROMETEO INCATENATO:

Si tratta di una dramma ad atto unico.

LUOGO: Una rupe desolata, ghiacciata, ai confini del mondo. Siamo nella regione della Scizia.

TRAMA: Dopo aver rubato il fuoco agli dei e dopo averlo donato agli uomini, Prometeo viene punito da Zeus e quindi all'inizio del dramma Efesto, Dominio e Terrore lo incatenano ad una rupe. Con il fuoco, Prometeo ha dato agli uomini anche il pensiero, la coscienza e la memoria. Nel corso del dramma prometeo incontra: le Oceanine, figlie di Oceano, IO, una delle molti amanti di Zeus ed Ermes, messaggero dell'Olimpo.

Zeus predice ad Io che un nuovo re degli dei, Eracle (Ercole in latino), riuscirà a liberare Prometeo dalla punizione di Zeus. I miti narrano infatti che Zeus libera il titano scagliando una freccia all'aquila che gli divora il fegato.

Nell'ultima parte del dramma, Zeus invia Ermes per estorcere le profezie che Io ha riferito a Prometeo che viene scagliato in un burrone senza fondo dal momento che non le rivela.

PRIMA RAPPRESENTAZIONE DELLA TRAGEDIA: 460 a.C. C'è inoltre l'ipotesi che il Prometeo incatenato avesse fatto parte di una trilogia che prevedeva altre due tragedie di Eschilo delle quali ci restano pochi frammenti: Prometeo portatore di fuoco Prometeo liberato.

TRADUZIONI (MIE) DAL GRECO DI ALCUNE PARTI DEL DRAMMA:

vv.1-11:

DOMINIO: Siamo giunti al remoto territorio del mondo, al paese di Scizia, a un deserto senza uomini. Efesto, è necessario accingersi ad eseguire gli ordini che tuo padre ti raccomandava: legare presso le rocce scoscese colui che è capace di tutto, tra blocchi indistruttibili di catene d'acciaio. Infatti (Prometeo) sottrasse con il furto il germoglio (di Zeus), bagliore di fuoco utile ai mortali. Di tale peccato bisogna che egli renda giustizia agli dei, affinché impari a rispettare la signoria di Zeus, mettendo fine alla predisposizione di amare troppo gli uomini.

χθώνχθονός= Terra. Si tratta di un vocabolo presente soprattutto nella letteratura greca in versi, quindi, nelle liriche, nell'epica e nella tragedia.

ἄβροτος = Significa "immortale". C'è l'privativo, dal momento che βροτς significa "mortale".

Ma c'è un altro vocabolo che si riferisce alla sfera della mortalità: si tratta di θνητόι, "mortali", legato a θνῄσκω, che è "morire".

ἐρημία qui sta per "luogo solitario". η ἐρμος è il deserto solitario, mentre ἐρημόω è il vero per "rendere deserto, spopolare". Da questi vocaboli antichissimi derivano le parole italiane "eremo" ed "eremita".

vv. 18-27:

EFESTO: O presuntuoso figlio di Temi dai buoni pensieri, contro la tua e la mia voglia ti inchioderò con ceppi indissolubili a questa roccia, affinché tu non oda né voce né tu veda alcuna forma umana, arrostito dalla fiamma del sole di Febo, soffrirai lo sfiorire della pelle, per te motivo di gioia sarà la notte dal manto variopinto che cela la luce e di nuovo il sole disperderà la brina dell'aurora. Sempre il peso del male presente ti consumerà, infatti chi ti libererà non è ancora nato.

ὄψις= vista. Da qui derivano "ottica" e "oculista".

χροιά= pelle, corpo. Come δέρμα.

vv.107-108:

PROMETEO: Infatti dopo aver donato un privilegio ai mortali che ne avevano bisogno sono vincolato, da infelice, a questo supplizio.

Secondo la Teogonia di Esiodo, Prometeo aveva nascosto il fuoco rubato in un nartece, una canna adeguata a conservare le fiamme. 

LE DIVINITA' "DIVISE":

Di fronte al destino di Prometeo le divinità e gli esseri soprannaturali che compaiono in questa tragedia sembrano divisi nei loro stati d'animo e nelle loro opinioni: troviamo infatti alcuni "compassionevoli", come Efesto, Io, Oceano e le figlie.

E poi troviamo "i giudicanti": Dominio, Terrore ed Ermes.

Vi porto qualche esempio:

ERMES (v.66): Ah, Prometeo, io piango su questo tuo tormento.

ERMES A POTERE (v.72): E' necessario che io esegua questo, i tuoi ordini risultano infatti troppo superflui.

LE OCEANINE (vv.127-131): Non temere: infatti questa schiera, che a gara le ali veloci ha posato su questa rupe, ti è amica convincendo anche l'animo paterno.

ERMES CHE RIMPROVERA PROMETEO (v.944-946): Ehi, sapientone, oltremodo intestardito con la disobbedienza, peccatore verso gli dei visto che hai dato gli onori a chi dura un sol giorno, dico a te, ladro di fuoco!

a chi dura un sol giorno= Gli esseri umani soggetti a caducità e morte.

PROMETEO, TITANO AMICO DEL PROGRESSO:

Si dice che il Prometeo di Eschilo è simbolo tutt'oggi della lotta e della resistenza alla dittatura e al potere dispotico.

Prometeo è audace, determinato e... astuto.

Secondo l'etimologia greca il nome Prometeo significa: colui che pensa prima di agire".

Ultima osservazione, o meglio, ultimo spunto di riflessione mio: mi sembra che questo dramma di Eschilo ci inviti a porci la domanda cosa siamo noi quando siamo soli di fronte ad un'enorme sofferenza? Cosa siamo noi da soli di fronte alla vita?



14 gennaio 2022

Il tardo Ungaretti:

"DIALOGO":

Si tratta di una piccola raccolta scritta da due autori dal momento che nove poesie sono di Giuseppe Ungaretti e otto sono invece dell'amante Bruna Bianco, poetessa di origini italiane che, alla fine degli anni '60, viveva in Brasile. 

Nella seconda metà degli anni '60 il poeta, che faceva spola tra Italia e Brasile, ha intrattenuto una relazione sentimentale ed epistolare con questa giovane. Importante precisare che c'era una notevole differenza di età tra loro due dal momento che Ungaretti era nato nel 1888.

Vi presento stasera una delle mie letture di novembre, quando la temperatura era decisamente meno rigida e io cercavo, spesso sotto un albero quasi spoglio, di "navigare e nuotare in fiumi di inchiostro", "oltre la tristezza", "oltre il mio presente".

In questo post mi concentrerò soltanto su tre poesie della raccolta appartenenti a Ungaretti.

E' pur sempre un approfondimento utile e interessante per tutti, compresi noi laureati magistrali in Lettere, abituati a inquadrare questo poeta come "il poeta della grande Guerra" oppure "il poeta del mi illumino d'immenso".

12 SETTEMBRE 1966:

Sei comparsa al portone
in un vestito rosso
per dirmi che sei fuoco
che consuma e riaccende.

Una spina mi ha punto
delle tue rose rosse
perché succhiasse al dito,
come già tuo, il mio sangue.

Percorremmo la strada
che lacera il rigoglio
della selvaggia altura,
ma già da molto tempo
sapevo che soffrendo con temeraria fede,

l'età per vincere non conta.

Era di lunedì,
per stringerci le mani
e parlare felici
non si trovò rifugio
che in un giardino triste
della città convulsa.

Fossi in una scuola secondaria questa la spiegherei quasi verso per verso. 

In questo componimento si parla di un appuntamento. Bruna compare davanti alla porta dell'appartamento di Ungaretti con un vestito rosso. Io i vestiti rossi li metto soltanto a Natale. 

Bruna compare. Sembra un'improvvisa apparizione. 

E' "comparsa", che è diverso da "venuta" o "arrivata". Il comparire rivela la sorpresa del poeta nel vederla.

per dirmi che sei fuoco/che consuma e riaccende.= Il fuoco assume molti valori nel corso della storia della letteratura italiana: è simbolo di distruzione nel romanzo di Pavese La luna e i falò, riconduce alla passione nel Canzoniere di Petrarca, è simbolo di calore e di condivisione nella povertà e in un periodo di carestia nello splendido e famoso romanzo di Manzoni.

Bruna è in grado di portare una ventata di gioventù e di vitalità nell'animo del poeta e dunque, nell'animo di un uomo che indubbiamente ha avuto una vita dura: ha sperimentato sulla propria pelle la precoce perdita del padre (aveva due anni), le due guerre, la morte di un figlio di 9 anni per peritonite, la perdita della moglie. Mi ha commossa, tempo fa, l'ascolto di un'intervista in bianco e nero a un Giuseppe Ungaretti ormai anziano. Nel corso della registrazione Ungaretti diceva al suo interlocutore: la mia vita è stata dura, ma con l'aiuto di Dio sorrido ancora.

Una spina mi ha punto/delle tue rose rosse= Bruna è qui paragonata ad una pianta di rose rosse, simbolo, da sempre, di un vero innamoramento. Le rose però sono delicate, belle e... dotate di spine. 


perché succhiasse al dito,/come già tuo, il mio sangue.= Tu mi appartieni.

rigoglio= riferito alle chiome degli alberi in collina. La strada appare come un elemento costruito dall'uomo che "rovina" il paesaggio, che guasta la visione della natura.

selvaggia altura= Siamo sicuri che questa espressione rappresenti soltanto un elemento fisico?! Che possa alludere a quel che sarebbe la quotidianità del poeta se non ci fosse Bruna? Senza questa relazione la vita del poeta sarebbe fatta di solitudine.

ma già da molto tempo/sapevo che soffrendo con temeraria fede= più o meno come scrivevo poco fa: il soffrire rimanda ad una vita caratterizzata da numerosi momenti di dolore, la fede temeraria è invece riconducibile alla tenacia.

l'età per vincere non conta. Che significato ha qui secondo voi il verbo "vincere"?

"Vincere" in questo caso rimanda semplicemente alla felicità. Si può sempre esserlo. Indipendentemente dall'età. E' un qualcosa che ci spinge a cercare dentro noi stessi dei motivi per cui gioire o essere contenti. E ciò che conta sono i rapporti umani più sinceri, più costruttivi.

Era di lunedì= Il poeta menziona il giorno esatto dell'appuntamento. E la città convulsa è proprio la grande metropoli di San Paolo! 

giardino triste= Si tratta di un luogo che, pur non essendo un "locus amoenus" come quello dei Carmina Burana o come quelli dei madrigali di Tasso, favorisce l'armonia tra Giuseppe e Bruna.

Il giardino è triste forse per due motivi o per uno di questi due: o il tempo è un po' nuvoloso e grigio e dunque il sole non illumina piante, fili d'erba e aiuole oppure si tratta di un giardino pubblico poco curato, cosa assolutamente possibile nel Brasile del secolo scorso (e forse anche ora).

AREE LESSICALI:

Il lessico è molto semplice, privo di arcaismi e di forestierismi.

TEMPO= molto tempo, età, lunedì.

PASSIONE= rosso, fuoco, rose rosse, spina, sangue.

LESSICO DELL'AMBIENTE INTERNO= portone.

LESSICO AMBIENTE NATURALE= selvaggia altura, giardino, rigoglio.

LESSICO AMBIENTE URBANO= città, strada.

TEMPI VERBALI:

Nelle prime due strofe si trovano un congiuntivo e forme verbali al presente e al passato prossimo. Come mai? Perché il sentimento del poeta è indubbiamente valido nel momento in cui scrive.

Nelle ultime due strofe e nel verso isolato che le separa ci sono invece passato remoto, imperfetto, un infinito e un gerundio, dal momento che l'autore ricorda cosa è avvenuto in un giorno specifico, cioè, proprio in quel lunedì.

STELLA:

Stella, mia unica stella,
Nella povertà della notte, sola,
Per me, solo rifulgi,
Nella mia solitudine rifulgi;
Ma, per me, stella
Che mai non finirai d'illuminare,

Un tempo ti è concesso troppo breve,
Mi elargisci una luce
Che la disperazione in me
Non fa che acuire.

La stella è proprio Bruna: mia unica stella significa "unica relazione bella profonda e significativa di questo periodo".

povertà della notte= allusione ai momenti di malinconica solitudine di Ungaretti. 

sola,/Per me, solo rifulgi= Polittoto: la morfologia dell'aggettivo "sola" muta, nel giro di poco tempo, dal femminile al maschile.

Per me, solo rifulgi,/nella mia solitudine rifulgi;= epifora: stessa parola alla fine di due versi consecutivi! E c'è anche una figura etimologica: solo/solitudine: l'aggettivo che diviene, a breve distanza, un sostantivo con la medesima radice semantica). 

"Solo io vedo quanto sei splendida e solo io mi nutro della tua luce."

I tempi verbali prevalenti in questo caso sono presente e futuro.

Sintassi semplice, solo due relative, sottolineate, rispettivamente al verso sei e al verso nove.

Ma, per me, stella/Che mai non finirai d'illuminare,/Un tempo ti è concesso troppo breve= Sei e sarai importante ma, a causa della mia avanzata età, mi accompagnerai per un tempo breve.

Mi elargisci una luce= largior in latino significa "donare". Bruna è un dono per l'autore.

DONO:

Ora dormi, cuore inquieto,
Ora dormi, su, dormi.

Dormi, inverno,
Ti ha invaso, ti minaccia,
Grida: «T'ucciderò
E non avrai più sonno».

La mia bocca al tuo cuore, stai dicendo,
Offre la pace,
Su, dormi, dormi in pace,
Ascolta, su, l’innamorata tua,
Per vincere la morte, cuore inquieto.

Che lessico ripetitivo! Un'anafora già ai primi due versi e l'imperativo "dormi" ripetuto per ben tre volte in una breve strofa!

Ci sono due verbi all'imperativo qui: dormi e ascolta. Per il resto si tratta di voci verbali o al futuro, o al presente o all'infinito. 

"Stare + gerundio", come nel caso di stai dicendo, è costruzione perifrastica.

Gli ultimi due versi, ad ogni modo, si riferiscono proprio all'amore in grado di lenire la paura della morte.

Ad ogni modo, si possono distinguere alcune parole che fanno parte della sfera semantica della quiete (dormi, sonno, pace) e altre che rimandano alla violenza (minaccia, ti ucciderò) o all'angoscia (inquieto, invaso, grida, morte) o, in modo velato, alla vecchiaia (inverno).

Da sempre, sin dalla nascita della lirica nell'antica Grecia, l'autunno è segno di decadenza della vita mentre l'inverno è l'età avanzata.


5 gennaio 2022

"I'm your man": la felicità si ottiene premendo un pulsante?!

Too many voices, too many noises 

invisible wires keeping us apart.

Too many choices, but they're all disappointments

and they only steal me away from you.

Climb into our private bubble

let's get into all kinds of trouble.

(James Blunt, "I'll be your man", primavera 2010)

Nel 2010 ero al primo anno di liceo e sembra incredibile che siano passati dodici anni.

Poco prima di andare a vedere questo film ho pensato al titolo e ad alcune parole di questa canzone di James Blunt. 

Vi ho citato alcune frasi della prima strofa e ora vi dico anche l'interpretazione più facile a cui pensare: due persone si stanno frequentando e si incontrano in un ambiente affollato e con la musica di sottofondo. Ma loro riescono, grazie alla sintonia, a stare bene dimenticando le difficoltà del presente, a ignorare le voci e le figure circostanti e a intravedere una strada da percorrere insieme in futuro. Quel che il testo dice dopo è: words just get in the way, I'll be your man (...) What are we all looking for? Someone we just can′t ignore.

Le parole arriveranno lungo la strada se in questo momento non ci sono parole idonee per descrivere sentimenti e forte complicità.

E' strano iniziare la recensione del film con delle citazioni di James Blunt. Eppure, anche I'm your man inizia con una scena ambientata in un locale affollato e un po' buio nel quale le voci si confondono e la musica jazz suona in modo piuttosto forte. Ma tra Alma e Tom non accade ciò che invece succede ai due personaggi della canzone di James Blunt.

Il film è ambientato in un'imprecisata città tedesca.

Alma entra in questo locale affollato e piuttosto grande e lì incontra l'umanoide Tom.

Alma si sta sottoponendo ad un esperimento: relazionarsi con un automa fabbricato da una grande azienda che ha costruito un Tom progettato come compagno ideale per la protagonista. 

La sperimentazione comporta inoltre, per tutti coloro che vi si sottopongono, una convivenza obbligatoria di tre settimane con l'umanoide, dopodiché, se l'umano si sente felice e soddisfatto, può stipulare un contratto con l'azienda in modo tale da poter far durare sempre la convivenza con il compagno o la compagna automa. 

Non so se in futuro o durante questo secolo arriveremo a tanto, cioè, alle relazioni affettive tra umani e automi, però so già che in questi ultimi anni la robotica si sta sviluppando in modo considerevole: in alcuni ristoranti di Tokyo ad esempio ci sono già dei camerieri e dei cuochi automi e in alcuni alberghi di Texas e California i robot svolgono le funzioni di ristorazione e di pulizie.

E' possibile, anzi probabile, che quando sarò vecchia avrò un badante automa e sarò costretta ad accettarlo soprattutto se non sarò più né in salute né autonoma... ma che ne sa una macchina umanoide di sensazioni, di emozioni e di crescita culturale? Che ne sa una macchina dell'evoluzione del pensiero di un umano o di un'umana sempre in crescita?! 

Nel loro primo dialogo, Tom dice ad Alma che adora i componimenti poetici di Rilke e inizia a corteggiarla con delle espressioni poetiche a mio avviso contrassegnate da parossismo, cioè, esagerate dopo appena due minuti di contatto visivo: I tuoi splendidi occhi sono come laghi di montagna dentro i quali vorrei annegare.

Il mio algoritmo è fatto per soddisfare la tua felicità, dice Tom ad Alma qualche giorno dopo. 

Ma lei è veramente felice durante la convivenza con Tom? In realtà no, non si fa mai intenerire da gentilezze, sorrisi e romanticherie. Lo tratta sempre come se fosse una macchina, quale effettivamente è, al di là del suo aspetto umano. 

Noi, in qualità di pubblico, non sapremo mai i motivi esatti per cui Alma ha deciso di aderire all'esperimento dell'azienda di robotica. Vediamo soltanto la sua scontentezza e avvertiamo il suo sarcasmo in alcuni momenti: quando ad esempio una sera torna tardi dal suo lavoro e Tom le prepara una vasca piena di acqua calda con petali di rose. A suo parere, Alma deve rilassarsi dopo una giornata stressante e, di fronte all'incredulità della protagonista, le dice: "Questo è ciò che sogna il 93% delle donne tedesche."

Ecco qui:

"Tutti gli esseri umani vogliono essere felici"...

C'è una cosa che non ho mai detto negli scorsi anni quando ero animatrice adolescenti: non sono mai stata favorevole a proporre l'argomento "felicità" a dei ragazzini di prima superiore che a malapena sanno chi sono e che cosa vogliono nella vita. 

E' difficile per me definire il sostantivo "felicità" e questa difficoltà non ha nulla a che fare con i miei anni dedicati allo studio. Questo film però, uscito nell'ottobre 2021, già conosciuto a livello internazionale e definito da alcuni critici provocatorio e pungente, invita a farsi qualche domanda.

Dopo quel che ho vissuto nel 2021 inizio a mettere in discussione la mia idea che la felicità non esista. Perché, durante l'anno appena trascorso, sono cambiata, sono maturata ancora di più e ho conosciuto la vera infelicità: per mesi non sono riuscita a provare nessuna sensazione positiva, ero piena di impegni nonostante la pandemia ma sembravo anestetizzata, volevo sparire dalla faccia della Terra e, cosa ancor più grave, un giorno ho pensato a dei modi possibili per poterlo fare... Mi ero resa conto in realtà di non avere dei veri amici, mi sono resa conto che, per quanto mi impegnassi nelle relazioni, i miei falsi amici non soltanto mi mentivano ma applicavano ostinatamente delle etichette di disprezzo su di me. Ho subìto delle calunnie non da poco. Sul pettegolezzo, a mio avviso, si ironizza, ma sulla calunnia no, quella è una cicatrice di cui ti ricordi per un bel pezzo. 

E, oltre a ciò, c'è stata la malattia della nonna e io, che ancora non lavoravo, dovevo gestire buona parte delle faccende domestiche. E poi ho dovuto far fronte ad altri problemi che hanno coinvolto tutta la famiglia.

Sto molto meglio, anche grazie ai miei alunni. Mi ha fatto bene entrare in un ambiente scolastico.

La felicità non è una meta ma uno stile di vita, ho letto più di una volta sui social. Si può anche non condividere ma per me almeno si tratta di una massima che vuole farci pensare su ciò che di prezioso e di importante abbiamo nel quotidiano.

A questo proposito vorrei consigliarvi un breve video che tratta i temi di felicità ed egoismo. Non c'è nulla di reale dal momento che è messo in scena da attori, tuttavia, la vicenda rappresentata può accadere nella realtà di ognuno di noi: tutti noi possiamo trovarci sia nella situazione della donna bionda che sta vivendo un periodo impegnativo ma pieno di gratificazioni sia nelle condizioni della signora con i capelli castani che non riesce a dire all'amica che sta morendo e che non ha più niente.

Messaggio: non lasciare che la tua felicità divenga egoismo e mancanza di empatia verso gli altri.

Cos'è la felicità esattamente? Coincide con la realizzazione nel proprio lavoro, con un matrimonio che va bene, con l'arrivo dei figli? 

Progressivamente il film I'm your man ci fa conoscere bene la figura di Alma: è una docente universitaria al Dipartimento di Beni Culturali, è ricercatrice e studiosa delle scritture cuneiformi babilonesi e persiani del 4000 a.C., da anni vive sola in un appartamento e ha una sorella e un padre anziano che vie da solo, in una casa isolata vicina al bosco.

Alma conclude l'esperimento dopo dieci giorni, rivelando a Tom con lucidità e senza irritazione l'opinione che si è fatta a proposito delle relazioni tra umani e macchine dall'aspetto umano: questa convivenza è una recita: ti metto una coperta ma non sei in grado di sentire freddo, ti cucino un uovo sodo ma non senti i gusti.

Ribadisco che Tom è una macchina: gusto e olfatto non li conosce e, quanto alla vista e agli occhi, mi metto un po' a ridere ogni volta che ci penso, perché si tratta, nel caso del robot-Tom, di occhi azzurri sbarrati e sempre fissi, il che non fa di lui un uomo normale.
Ritengo importante anche riportare le ultime parole di Tom prima di uscire dall'appartamento: non ho neanche il privilegio di morire: dopo che lascerò casa tua verrò azzerato, non esisterò più.

Che pretesa questa di fabbricare degli automi pretendendo che si comportino come partner ideali e che diventino, a tutti gli effetti, come gli umani, con dei diritti civili, politici e sociali!
La natura umana non c'è: come sono stati creati così possono anche essere distrutti. Gli umanoidi non sanno niente di crescita, sviluppo durante l'adolescenza, contraddizioni di stati d'animo, fatica. In questo film sono dei "perfettini" ideati apposta per umani frustrati che non sopportano più la solitudine e che, in fin dei conti, nemmeno nutrono fiducia nel buono e nel positivo che è ancora possibile trovare nei rapporti con gli altri, in questa umanità del XXI° secolo comunque ferita e piena di difetti.
L'amore e la felicità non si raggiungono, per l'appunto, premendo un pulsante.
Eppure, in questo mondo di tecnologie avanzate, siamo e saremo abituati sempre di più a soddisfare domande, bisogni e desideri con sforzi minimi e in tempi rapidi.

Un'ultima cosa: in questa recentissima opera cinematografica è possibile riflettere anche sui danni che comporta il credere troppo nell'amore ideale. La letteratura italiana insegna benissimo che l'amore ideale è una proiezione di sé e delle proprie aspettative.


1 gennaio 2022

"The terminal": vale di più lo scrupoloso rispetto delle leggi o il rispetto per le persone?

Mi piace sempre rivedere questo film durante il periodo natalizio, visto che la vicenda rappresentata fa riflettere su alcune questioni che rinviano ai rapporti umani in un'epoca di globalizzazione.


TRAMA E AMBIENTAZIONE:

Moltissimi eventi del film si svolgono all'interno dell'aeroporto John Fitzgerald Kennedy di New York. Più che un aeroporto sembra un centro commerciale pieno di negozi, di ristoranti, di larghi corridoi e di scale mobili.

Ad ogni modo, il protagonista è Viktor Navorski che, giunto presso l'aeroporto dalla Krakozhia, stato immaginario dell'Europa Orientale in cui si è appena verificato un colpo di stato ed è appena iniziata una guerra civile, viene trattenuto dal direttore della sicurezza aeroportuale Frank Dixon.

All'interno degli uffici gli viene ritirato il passaporto e gli vengono negati sia il visto di ingresso per gli Stati Uniti sia il ritorno in Krakozhia, stato non più riconosciuto dal governo americano. 

Per questo Viktor si trova costretto a sostare per diversi mesi presso l'aeroporto Kennedy e l'uscita 67 diventa fin da subito una sorta di casa, soprattutto nelle ore dedicate al riposo notturno. 

Inizialmente Viktor conosce poco l'inglese e si ritrova completamente solo in un luogo che per qualsiasi altro viaggiatore è un posto di passaggio da una destinazione ad un'altra.

Lo avevo scritto in qualche post di un paio di anni fa ma riprendo volentieri questo argomento di geografia umana e di antropologia contemporanea: l'aeroporto, come una qualsiasi stazione e come un qualsiasi centro commerciale o supermercato, è un non- luogo.

Come ha affermato l'antropologo Marc Augé, le stazioni e gli aeroporti sono luoghi soltanto per chi vi lavora, mentre invece per i passeggeri i le stazioni e gli aeroporti sono dei non luoghi, cioè spazi di transizione dal momento che al loro interno non vengono costruiti rapporti sociali né vengono espresse forme culturali. Più o meno la stessa cosa vale per centri commerciali e supermercati: questi infatti sono dei non luoghi per chi fa spesa e shopping, mentre invece sono luoghi a tutti gli effetti per commessi, cassieri e addetti alle pulizie.

Una delle guardie che lavorano per Frank Dixon dice a Viktor ancora all'inizio del film: "C'è soltanto una cosa che si può fare al John Fitzgerald Kennedy: shopping!"

Ma questa è una frase che ha poco a che fare con la "situazione sospesa a tempo indeterminato" del protagonista.

Per Viktor l'aeroporto diviene effettivamente un luogo in cui vivere, imparare meglio l'inglese attraverso l'acquisto e la lettura di alcuni libri, relazionarsi con alcuni lavoratori e con una passeggera.

ALCUNI PERSONAGGI DELL'AEROPORTO:

Vorrei ora illustrarvi brevemente alcune figure che si incrociano con la situazione incredibile e assurda di Viktor.

Il primo è proprio Frank Dixon, una sorta di antagonista: dicevo sopra che è il capo della sicurezza aeroportuale. Si tratta di un uomo molto rigido e molto ligio alle regole. Per lui Viktor è soltanto un problema: vorrebbe che scappasse dall'aeroporto e invece questo non accade mai. 

Una volta gli offre, invano, l'opportunità di varcare le porte di uscita dall'aeroporto, ma non certo per generosità: "Per cinque minuti, da mezzogiorno, l'America sarà aperta", dice Frank a Viktor una mattina per poi sorridere e rivolgersi ad una delle guardie al suo servizio in questo modo: "Me ne sbarazzo, così dopo che sarà uscito dal nostro aeroporto diventerà un problema per qualcun altro."

Significativa è la scena in cui un viaggiatore russo viene trattenuto dagli uomini di Dixon per aver trasportato dei farmaci senza ricetta che doveva portare al padre ammalato in Canada. Qui l'interprete tra il signore russo e Dixon è Viktor che, con molta comprensione ed empatia, traduce in modo sbagliato ciò che l'uomo, disperato, gli urla, cioè, riferisce al direttore dell'aeroporto che le medicine sono per una capra. Negli Stati Uniti il regolamento dice che, per i viaggi, non è necessaria la ricetta per medicinali destinati agli animali.

Ad ogni modo, come coordinatore della sicurezza aeroportuale, Frank ostacola più di una volta la vita del protagonista all'interno dell'aeroporto: dal trasporto dei carrelli porta-bagagli Viktor ricavava delle monete per pranzo e cena ma Dixon, con l'assumere un addetto ai carrelli, vuole fare in modo che il krakozhiano" non sia più incentivato a ricavare monete: "Niente monetine, niente cibo. Niente cibo, quindi fuga dall'aeroporto".

Ma anche qui Frank si sbaglia, visto che Enrique Cruz, giovane addetto al servizio mensa per i lavoratori dell'aeroporto, ogni giorno inizia a offrire cibo gratuito a Viktor. Enrique Cruz avrà più o meno la mia età, è un ragazzo ingenuo e...timido. "Io ti assicuro i pasti ogni giorno ma tu devi ottenere informazioni su Dolores". Dolores è l'agente che timbra i documenti dei viaggiatori presso uno sportello. Ogni mattina Viktor si fa timbrare i documenti e i moduli (=e puntualmente, ogni mattina gli viene negato l'ingresso per New York city) per ottenere informazioni su di lei, sulle sue attività nel tempo libero, sul suo vissuto.

Poi c'è Gupta, l'addetto alle pulizie, un anziano dal carattere molto diretto e un po' brusco di origini indiane che nel '79 è fuggito dall'India dopo aver assassinato un poliziotto che lo ricattava.

E infine, ecco Amelia, una hostess di 39 anni amante di Max, uomo sposato e sempre in giro per il mondo come lei. 

Inizialmente la hostess crede che Viktor, indubbiamente attratto da lei, sia un viaggiatore abituale. Non nasce una storia d'amore tra i due, perché presto, subito dopo una cena insieme in un locale del piano superiore dell'aeroporto, si rendono conto delle loro grandi differenze.

Amelia sa che, pur essendo vicina all'età matura, non ha costruito relazioni stabili né in ambito lavorativo né in ambito affettivo: il rapporto con Max sarà sempre un vicolo cieco, dal momento che si tratta di un uomo incapace di essere responsabile e incapace di compiere delle scelte importanti e definitive.

Se Amelia scegliesse Viktor andrebbe sicuramente incontro a un futuro meno precario e sperimenterebbe un amore romantico e rispettoso, ma non ha la forza di percorrere un cammino di cambiamento nel suo modo di vedere le relazioni. E per di più è consapevole di essere in difetto: Stai alla larga da me, Viktor.

IL MOTIVO DEL VIAGGIO A NEW YORK DI VIKTOR:

Fa sorridere ma così è questo film: il motivo per il quale Viktor si reca a New York è soltanto quello di poter ottenere un autografo di un musicista jazz. Il padre di Viktor infatti era un appassionato di musica jazz, per questo quando era in vita collezionava gli autografi di cantanti e suonatori di questo stile. Ma gli mancava l'autografo di Benny Golson, piccolo obiettivo che Viktor riesce a conseguire una volta uscito dall'aeroporto.

Dopo nove mesi, quando la guerra civile in Krakhozia termina, Dixon vorrebbe assolutamente che Viktor ritornasse in Krakhozia e lo ricatta, sapendo bene che in quei mesi di permanenza l'apolide ha stretto legami di amicizia soprattutto con Enrique e Gupta, rappresentanti, in questo film, delle fasce sociali medio-basse degli Stati Uniti: "Se tu provi a mettere piede a New York City io licenzierò tutti i tuoi amici".

Ad ogni modo, Viktor non cede al ricatto e, sotto sotto, nella penultima scena del film, Frank Dixon sorride sotto i baffi nel vedere questa determinazione.

C'è soltanto una domanda che pongo a voi lettori, indipendentemente da fatto che conosciate o meno il film: secondo voi in The Terminal sono visibili le contraddizioni americane? 

Non voglio dirlo io, ma pensateci. Il film è del 2004: da una parte illustra un'America global e commerciale, dall'altra degli immigrati di New York  solidali con Viktor e la sua condizione, dall'altra ancora una mancanza di sensibilità, una mancata voglia di aiuto concreto nei confronti del protagonista... E' davvero così molteplice e contraddittoria l'America del Nord?!

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Ecco come è realmente finito il mio 2021= l'altro ieri ho rifiutato un incarico di insegnamento offertomi da una scuola superiore perché ho ragionato pensando prima di tutto al bene dei bambini.

Al di là del fatto che per le classi quarte le lezioni della settimana 10- 14 gennaio sono quasi del tutto pronte. 

Per la seconda ho trovato la filastrocca sul gatto Baffetto a proposito del ripasso sulle doppie ma devo organizzarmi meglio nei prossimi giorni, visto che sono rimasta indietro con una regola dell'ortografia che non sono riuscita a spiegare il 22 dicembre.

*Il film che voglio presentare prima del 10 gennaio è I'm your man. Proprio quel film che presenta la convivenza tra automi e umani e anzi... la possibilità di relazioni affettive con degli automi in un futuro possibile. Sembra una sciocchezza ma... il film confuta questa questione per rispondere, alla fine, attraverso la protagonista Alma, in modo profondo e disincantato.