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27 settembre 2018

"Cronaca familiare", Vasco Pratolini:


Alla morte non c'è rimedio, alla vita però è bene rimanere "attaccati" (cit. Anna, 27/09/2018)

Il primo capitolo è preceduto da una nota:

Questo libro non è un'opera di fantasia. E' un colloquio dell'autore con suo fratello morto. L'autore, scrivendo, cercava consolazione, non altro. Egli ha il rimorso di avere appena intuita la spiritualità del fratello, e troppo tardi. Queste pagine si offrono quindi come una sterile espiazione.

In quest'opera letteraria, Pratolini racconta ai lettori il suo rapporto con il fratello minore.
La cronologia della narrazione va dal 1918 al 1945.
Il libro è suddiviso in tre parti.


CONTENUTI PRIMA PARTE:

Nella prima parte, Pratolini si concentra prevalentemente sullo stile di vita, completamente differente, che i due fratelli hanno condotto nell'infanzia.
Tuttavia, egli ci fornisce anche diverse notizie sui giorni che seguirono la nascita del fratello.

Quando la mamma morì tu avevi 25 giorni. Eri ormai lontano da lei sul colle. I contadini che ti custodivano ti davano il latte di una mucca pezzata; ne ebbi anch'io una volta che venimmo a trovarti con la nonna. Era un latte denso, tepido, un po' acre, mi disgustò; il disgusto fu tale che lo ributtai sporcandomi il vestito: la nonna mi dette uno schiaffo. A te quel latte piaceva, ne eri ghiotto, ti giovava. Eri un bambino bello grasso, biondo, con due grandi occhi celesti.

La madre dei due fratelli Pratolini era morta nell'estate del '18, in seguito alla febbre spagnola.
Si era ammalata subito dopo il parto.
Ai due bambini, entrambi molto piccoli (lo puntualizzo perché anche Vasco, nel '18 aveva 5 anni), rimaneva soltanto la nonna, in quel brutto periodo di fine guerra. Il loro padre infatti, rimasto gravemente ferito nei combattimenti, era rimasto per molto tempo in ospedale.
La nonna aveva allora affidato il più piccolo, Dante, a una famiglia di contadini che lavoravano presso i signori baroni di Villa Rossa.
La baronessa, commossa dalla breve storia del neonato (almeno così si riferisce), aveva deciso di affidarlo alle cure del suo maggiordomo, che ne era in seguito divenuto il padre adottivo, contro la volontà della nonna dei due fratelli.
C'è una frase che ricorre più di una volta all'interno di questa prima parte del romanzo. Credo sia il caso di soffermarsi per rifletterci sopra:

Io avevo cinque anni e non potevo volerti bene: dicevano tutti che la mamma era morta per colpa tua.

...E non avevano idea, gli adulti, di quale effetto devastante potesse avere un discorso del genere in un bambino.
La tragica morte di una donna molto giovane non è dipesa affatto dal figlio neonato: è stata una mera disgrazia, punto. Il corpo già indebolito dall'atto del partorire era più vulnerabile a quell'epidemia mortale.
Nell'ultimo anno di guerra si era diffusa in Europa la "febbre spagnola", malattia che, nella prima metà del XX secolo aveva notevolmente ridotto l'aspettativa di vita della gente.
Colpiva soprattutto donne, bambini e anziani.
Vasco ammette di aver odiato suo fratello fino all'età dell'adolescenza:

Il tuo protettore era il suo maggiordomo (del Barone); lo serviva da quarant'anni. Non conosceva orizzonti diversi da quelli intravisti con gli occhi del padrone. (...) Una notte sognai che ridendo (...) egli si piegava sulla tua culla e ti soffocava, ti uccideva. Io ero in un angolo della stanza, dietro le cortine, e non intervenivo nemmeno con un grido. Brancicavo il vuoto con la mano e ad un tratto una mano si univa alla mia; mi accorgevo di avere la mamma al fianco che assisteva anch'essa in silenzio all'assassinio. Questo sogno si è ripetuto a distanza di tempo fin verso i miei quindici anni.
A volte la mamma lasciava la mia mano e si avvicinava alla tua culla; lui spariva immediatamente.

E' un romanzo tristissimo.
Tristissimo, sempre nel corso della prima parte, è il fatto che Pratolini autore abbia come primo ricordo della propria vita la madre morta nel letto.

Ciascun uomo ha memoria della sua vita da un certo giorno in avanti. Per certuni il primo ricordo è un giocattolo, per certi altri il sapore di un cibo, un ambiente, una parola, un volto, più volti. La prima realtà di cui io ho cognizione esatta è la mamma nel suo letto di morte.

Credo di aver sviluppato abbastanza precocemente la facoltà della memoria.
Ma, a dire il vero, senza darmene vanto, direi che quasi tutti gli stadi del mio sviluppo psico-fisico sono avvenuti un po' precocemente: mi dicono dalla regia che a 10 mesi già correvo e che a due anni recitavo bene delle filastrocche dopo averle sentite una o due volte soltanto. A un anno e mezzo pare che avessi già la "cognizione della perdita definitiva di una persona": mi credevano troppo piccola per capire che mio nonno materno Augusto era morto; in realtà, in quel periodo mia madre ha sofferto anche per me oltre che per il suo genitore.
Ma di tutto questo io non ricordo nulla, anche se ero già dotata di buona memoria uditiva.
La memoria visiva si è sviluppata poco dopo.

Aprile '99
Il primissimo ricordo che mi porto dentro non è né bello né brutto: ero in panetteria con mio padre. Ero così piccola che non arrivavo nemmeno al bordo del bancone della cassa del negozio, nemmeno se mi alzavo in punta dei piedi. Economicamente si ragionava ancora con le lire, anche se si parlava già della nascita di un'altra  moneta chiamata euro.
Ovviamente io non ho mai imparato a ragionare con le lire.
La fornaia diceva a mio padre, con voce un po' alta e stridula: "Duemila e cinque".
Una volta usciti da lì chiedevo: "Siamo nel duemila e cinque?"
E mio padre, asciutto e chiaro come sempre: "No, siamo nel 1999."
Avevo tre anni e mezzo in quella foto.
Come potete vedere: capelli neri, dritti, lunghi quasi alle spalle. E una frangetta oscena sulla parte destra della fronte, tenuta da una molletta!
Ero una bambina molto introversa e un po' malinconica. Non stavo mai in classe alla scuola materna: ero sempre o con la bidella, o nella piscinetta delle palline di plastica o con Mirco, un bambino un pochino più piccolo di me  con disabilità gravissime. Ma mi piacevano soltanto lui e la bidella.
A Mirco mettevo tra le mani i miei pupazzi e glieli facevo accarezzare.
Ai miei tempi (e non è che sia passato poi tanto perché adesso sono una ragazza), una bambina così era considerata "una con problemi di comportamento" perché aveva pochissimi rapporti con i suoi coetanei.
Non ero felice, anzi, ero convinta di essere cattiva. Una volta l'ho detto a Mirco e lui, per tutta risposta si era messo a strillare.
Non camminava, non parlava, non poteva mangiare e bere da solo, ma forse capiva o intuiva qualcosina di ciò che io gli dicevo.
Non è che le maestrine "di allora" si sprecassero tanto ad attuare dei progetti didattico-educativi anche per aiutare casi come il mio! (sì, e comunque nemmeno alle elementari, alle medie e al liceo si sprecavano tanto da questo punto di vista).
Detestavo la scuola materna con tutta me stessa. Mi annoiavo, il programma era sempre lo stesso, ogni anno: le quattro stagioni.
Forse ora riuscite a intuire uno dei motivi per cui voglio diventare insegnante: per valorizzare i ragazzini che sono più o meno come ero io. Perché sia i ragazzini un po' più sensibili e un po' più maturi, sia quelli con situazioni familiari difficili io voglio valorizzarli e aiutarli a integrarsi nel gruppo-classe, non voglio perderli! Sono i primi da coltivare, senza togliere alcun sacrosanto diritto di essere ascoltati anche a tutti gli altri!
Per questo ho promesso a me stessa che, quando entrerò in una classe della scuola media del mio paese (è la stessa scuola che ho frequentato io e, oltre a ciò, preside e vicepreside non vedono l'ora che io termini definitivamente gli studi per potermi dare un lavoro probabilmente annuale, visto che negli ultimi anni di insegnanti di Lettere siamo carenti!), cercherò di "avere quattro occhi".
Poi, sono avvantaggiata proprio dal mio specifico mestiere, ovvero, quello di insegnare italiano, materia che, attraverso i temi e attraverso le letture di antologia, mi permetterà abbastanza facilmente di far emergere delle sensibilità particolari. Sia alle medie che alle superiori, l'approccio alle tracce e ai passi antologici deve essere critico-riflessivo-dialogico.

Ad ogni modo, tornando alla storia, la famiglia della Villa si permette addirittura di cambiare nome al bambino: sostituiscono "Dante" con "Ferruccio".
E lo tengono presso di loro, per molti anni, con la pretesa di assicurargli una vita agiata e confortevole.
Passano alcuni anni: Vasco cresce come un bambino spontaneo e vivace, Ferruccio invece è triste e già molto rigido, troppo abituato alle regole di una casa di nobili (mai parlare a voce troppo alta, mai strillare, mai toccare gli animali, mangiare poco e soltanto in determinati momenti, esporsi al sole il meno possibile).

CONTENUTI SECONDA PARTE:

A causa della povertà, Vasco era stato costretto a interrompere gli studi per lavorare come garzone di bottega.
Per tutta l'adolescenza i contatti con il fratello si erano interrotti, perché l'unico giorno in cui i baroni li ricevevano era il giovedì... Peccato che, nei giorni feriali, gli umili popolani lavorino!

Nel frattempo però il barone muore e gli abitanti di Villa Rossa, servitù compresa, cadono in miseria.
Ferruccio allora, uscito da quell'ambiente chiuso che non gli permetteva nessun tipo di contatto con il mondo esterno, si era trovato ad affrontare i suoi primi problemi di sopravvivenza, con il fratello Vasco al suo fianco: come e dove trovare lavoro, dove alloggiare...

Intorno ai loro vent'anni, i due fratelli iniziano per la prima volta a sentirsi tali: chiacchierano a lungo e si vedono quasi quotidianamente.
Vasco inizia a comprendere che il fratello è un'anima molto sensibile e delicata.
Il dialogo che riporto qui sotto riguarda il primo incontro tra Vasco e Ferruccio dopo molti anni.
Ferruccio, come scrivevo prima, è divenuto povero, Vasco invece vive in uno squallido e malsano monolocale. La loro nonna, in seguito ad un periodo di malattia, si trova in una casa per anziani diretta da delle religiose, in centro a Firenze.

E d'improvviso, come pochi minuti prima, tu dicesti:
"Allora la nonna perché non fa che piangere quando andiamo a trovarla?"
"Sei stato dalla nonna?"
"Anche oggi, per chiederle il tuo indirizzo. Lei mi ha detto che tu eri a Roma, ma io ti avevo visto l'altro ieri in via Strozzi. Allora ho capito che l'avevi abbandonata."
Ti eri voltato su un fianco, verso l'esterno, e mi guardavi alzando il capo.
"Non voglio che mi veda ridotto così male", ti dissi. 

Questa parte termina con gli esordi di tubercolosi di Vasco, che riesce a guarire dopo due anni di ricoveri in sanatorio:

Appena a casa mi addormentai profondamente. Mi destai con una forte oppressione al petto, mi mancava il respiro, andai alla finestra, l'apersi e l'aria fresca dell'alba mi scese giù per la gola come una martellata. Sentii al palato sapore di sangue. Poche ore dopo ero in un letto d'ospedale.

(...) 

Occorsero due anni di sanatorio, fra i monti e un lago. Ci scrivemmo spesso. Avevi dovuto interrompere gli studi e ti eri impiegato. Le tue lettere erano come tu le scrivevi: timide, schive, timorose di espandersi eppure brulicanti di affetto e di generosità.
In esse io riconoscevo una delle cose che mi attaccavano alla vita. Una delle essenziali.

CONTENUTI TERZA PARTE:


Vasco riesce a riprendere gli studi e ad ottenere i titoli necessari per poter insegnare.
Però si ammala gravemente Ferruccio.
Nel periodo della malattia egli riconosce, come maggiore causa della sua solitudine, il non aver mai conosciuto la madre.
Straziante. Struggente. Doloroso.
Ho pensato subito a una scena di Marcellino pane e vino. E' un film inverosimile ambientato in una Spagna povera e rurale, eppure, quella scena in cui il Crocifisso chiede al bambino se, ad una vita intera trascorsa con i frati preferisce conoscere la madre, farebbe piangere anche le rocce del Carega.
Io, ogni volta che penso a questi minuti del film, faccio una fatica tremenda a trattenere le lacrime.
Eh sì povero bambino, così piccolo come sei che ci stai a fare al mondo senza l'affetto di una mamma? Avrebbe potuto portarti in Cielo con lei, no?
Probabilmente sto esagerando con quest'ultima esclamazione.
Però avete presente che razza di angoscia si portano dentro le persone che non hanno mai conosciuto la propria madre oppure che non conservano nemmeno un ricordo di lei viva?
Eppure, la vita dei bambini orfani può essere comunque piacevole e molto degna di essere vissuta, se hanno delle persone premurose accanto a loro.
Non voglio dire che perdere la madre da neonati o a 5 anni significhi essere dei poveri disgraziati senza speranza. Il vuoto di una perdita così non lo colma nessuno, su questo sono d'accordo.
Però le ragioni per vivere le si possono trovare soprattutto nella bontà e nella gentilezza di parenti, amici e conoscenti. Alla morte non c'è rimedio, alla vita però è bene rimanere "attaccati", perché, anche se in questo mondo ci sono molte cose che non stanno andando bene (e personalmente, diverse cose che mi piacciono poco), è pur vero che ci sono molteplici ragioni per godere della bellezza e dell'amore! Le meraviglie dei paesaggi naturali, l'incanto di un sole che tramonta, la libertà di scegliere secondo coscienza, il sorriso di un amico vero...
Io questo dolore non posso comprenderlo perché una madre ce l'ho sempre avuta e ce l'ho e  fortunatamente è anche in salute; però posso provare ad immaginarlo.
Ho fatto abbastanza fatica a leggere questo romanzo; in certi punti mi faceva piangere al punto tale da farmi venire le cefalee.
Pochi giorni prima di morire, Ferruccio riferisce al fratello l'immagine edificante di un sogno:

Mi è apparsa la mamma mentre ero assopito. Questa volta mi ha parlato. Mi ha detto di stare quieto, che lei avrebbe pensato a me, a farmi guarire. L'ho vista proprio bene. Era vestita come una ragazza d'oggi, con le maniche corte e i capelli tutti sciolti sulle spalle.

Sapete cosa mi è accaduto circa due anni fa? Ho taciuto fino adesso, ma ora mi si presenta l'occasione propizia per condividere questo sogno.
Una notte ho sognato che mi trovavo in Croazia a Parenzo, città stupenda per il fatto che la chiesa di Sant'Eufemia, gioiellino artistico, all'esterno è dotata di terrazza con vista sul mare. Comunque, nel sogno ero appoggiata al muretto della terrazza con vista sull'Adriatico.
Dietro di me c'era appunto la chiesa di Sant'Eufemia.
Contemplavo il sole che tramontava dietro le barche. Ad un tratto, sento una mano che stringe la mia. Accanto a me scopro che c'è Gabriella. Allora divento una fontana di lacrime e le dico: "Resta con me, non te ne andare."
Lei in quel sogno non ha mai parlato. Mi ha sorriso, mi ha abbracciata e poi si è allontanata.
Mi sono svegliata serena, quella mattina, perché ho capito che quel sogno aveva salvato la memoria di Gabriella, per quel che mi riguardava.
Lei è morta a fine novembre 2015.  E io, dal giorno in cui se ne era andata per sempre, quando la pensavo, mi sforzavo di ricordarmi dei viaggi fatti insieme e di tutti i bei momenti condivisi, ma quel che in realtà era più vivo nella mia mente erano gli ultimi suoi mesi di vita, trascorsi a letto da inferma.
In famiglia non mi aiutavano: tutti noi abbiamo mal accettato la sua morte, l'abbiamo vista per lo più come un evento profondamente ingiusto.
Dopo quel sogno si sono ravvivati dentro di me tutti i ricordi piacevoli. Quando penso a lei, i primi concetti sono: viaggi, passione per l'arte, Croazia, Liguria, Germania, Toscana, Austria!

Rovigno- Rovinj
Avrei voglia di ritornare in Croazia. Sarei dispostissima a cambiare tre o quattro treni pur di arrivarci, non me ne fregherebbe una mazza di ritardi e disagi ferroviari.
Pur di stare un pochino lontana dalla superficialità e dai giudizi negativi e pesanti di certa gente.

Purtroppo non è successa la stessa cosa con il nonno Francesco.
Io ho visto mio nonno da morto. Nella bara aperta mi sembrava un bambino debole e indifeso.
Ecco qual'era per me "l'oggetto di pietà". Utilizzo un'espressione manzoniana dei Promessi sposi, che si trova al capitolo 34, quando Renzo vede la bambina Cecilia morta tra le braccia della madre.
Al corso di Letteratura italiana ci è appena stato assegnato il compito di trovare la parola "oggetto" all'interno del romanzo manzoniano, cercando soprattutto di rilevare i casi in cui il termine "oggetto" si riferisce a manufatti umani.
Pietà è un nome astratto, quindi "oggetto" in questo contesto significa "qualcosa che suscita un sentimento".
Nella frase "il suo sguardo si incontrò in un oggetto singolare di pietà", la parola "oggetto" si potrebbe parafrasare con "scena". "In una scena singolare di pietà".
Avrebbero il diritto-dovere di togliermi il titolo triennale in Lettere se non fossi in grado di contestualizzare la parola "oggetto".
Comunque, quello che mi rimane di mio nonno è per lo più l'immagine di un anziano molto malato, nel letto di casa sua, sofferente.

Vi riporto alcune frasi della penultima pagina del libro di Pratolini:

Era una mattina calda e ventilata, scendendo sulla barella rivedesti l'albero dal tronco scortecciato.
"accidenti com'è verde!" dicesti. Ma quando la barella scivolò sulle rotelle e fosti dentro l'autoambulanza, la tua disinvoltura cedette. Mi pigliasti una mano, piangevi con le labbra serrate fra i denti, poi le riapristi e per un attimo, sotto il naso e sul mento, vi fu un segno bianco, più bianco di tutto il resto del viso, tanto avevi stretto i denti. Il celeste dei tuoi occhi brillava tra le lacrime... Poi l'autoambulanza sparì nel viale. Allora confessai a me stesso di non averti accompagnato per non assistere alla tua morte. Voglio ricordarti vivo.







21 settembre 2018

La famiglia distrutta di Genesio (II):

Importante, all'interno dell'ultima parte di Ragazzi di vita, è notare che l'atto dell'attraversare l'Aniene assume diverse connotazioni simboliche.

Poco dopo aver manifestato il suo forte astio verso il padre, Genesio annuncia ai fratelli: "Oggi traverso il fiume".
Borgo Antico e Mariuccio si entusiasmano di fronte a questa intenzione.

"(...) «Mo' provo», disse poi, senza cambiar tono di voce.
«'O traversi?» chiese palpitante il più piccolino.
«Ma quale traversi», disse Genesio, «Fo na prova».
 «Che che vai fin' in mezzo?» chiese ancora Mariuccio.
«Sine», fece Genesio. S'alzò e si inerpicò su per la scarpata."

Notate che Genesio dice "Fo na prova". Il suo dolore è tale che lo spinge addirittura a tentare di sfidare il pericolo della corrente di un corso d'acqua.

"Genesio arrivò fino a metà dove la corrente faceva tante piccole onde, filando più forte e radunando in quel punto tutta la sporcizia del fiume, tante strisce nere d'olio e una specie di schiuma gialla che pareva formata da migliaia di sputi; poi voltò, si fece trasportare un pochetto in giù, stando fermo, finché arrivò più sotto del trampolino, poi ricominciò a nuotare verso la riva di qua."

Il suo primo attraversamento delle acque dell'Aniene si può tranquillamente chiamare "tentativo", perché Genesio arriva, nuotando, fino a metà, e poi ritorna dai fratelli. 
Tuttavia, questa prova non si conclude con una rinuncia nei confronti dell'impresa: l'autore infatti specifica che il ragazzino cerca di calcolare approssimativamente le distanze tra le due sponde opposte.

Il ragazzino in questione non ce la fa più a sopportare una situazione familiare oltremodo drammatica. E' solo con due fratelli che sono ancora più bambini di lui.
Il contesto sociale in cui è inserito gli è ostile: non ci sono adulti o figure che possano fungergli da conforto e, per di più, certi suoi coetanei hanno dato una calunniosa testimonianza ai poliziotti a proposito di un evento avvenuto pochi giorni prima, di cui Genesio e i suoi fratelli sono in realtà del tutto all'oscuro.
Quale atto di bullismo avrebbero mai potuto commettere i tre fratelli?
Si tratta sostanzialmente della morte di un ragazzino grassottello, soprannominato "er Piattoletta", bruciato vivo sulla cima di una collina fuori Roma. Ma gli autori di quest'omicidio colposo sono ben altri!

Pensiamo ora per alcuni minuti a delle simbologie: il paesaggio della borgata, come ho scritto nel post di martedì 18, è lo sfondo di situazioni di miseria economica (i soldi per poter vivere in una casa dignitosa non ci sono, i soldi per mangiare vengono rubati attraverso degli scippi furtivi a danno delle donne borghesi), morale (mariti che picchiano le mogli, ineducazione dei ragazzi, rapporto di assoluta indifferenza verso la Chiesa e le istituzioni) e culturale (nessun bambino va a scuola).
Il fiume è, in questo caso, possibilità di passaggio e quindi, possibilità di cambiamento.
Genesio nutre curiosità verso l'altra riva, forse perché gli sembra, da lontano, un luogo in cui egli potrebbe "rifondare" una piccola società di pace dove è bandita la violenza. O, più semplicemente, desidera apparire "grande e coraggioso" agli occhi dei due fratelli e anche ai propri occhi.
Ma l'uno non esclude l'altro anzi, per me si possono far convivere entrambe le ipotesi.
Questo passaggio all'altra sponda infonde però una serie di emozioni, diverse l'una dall'altra.
Prime fra tutte quante: la paura, perché il ragazzino si trova ad affrontare una forza della Natura con le sue sole capacità di stare a galla (Riccetto sa nuotare bene, Genesio sa sopravvivere soltanto all'acqua) e l'emozione di poter trovare qualcosa di positivo.

"Chissà, forse, se raggiungo l'altra riva, trovo non soltanto qualcosa di diverso, come un bel praticello al posto dei canneti e del fango, ma forse anche potrei trovare la forza di credere in un mondo migliore". Questo credo sia stato il pensiero principale nella mente di Genesio durante le sue prove di attraversamento.

Ogni volta che prendo in mano queste ultime pagine di questo romanzo ripenso ad una frase del capitolo 4 del Vangelo di Marco: "Passiamo all'altra riva". E' l'inizio dell'episodio della tempesta sedata.
E questa è un'esortazione di Gesù ai suoi discepoli ad affrontare il mare, non il fiume.
Eppure, anche se inserita in un contesto storico molto più antico e in tutt'altro ambiente, c'è sempre, come in queste pagine di Pasolini, il motivo del passaggio. In questo brano di Vangelo c'è un'esortazione implicita a credere nel futuro e ad impegnarsi ad affrontare difficoltà e sacrifici pur di vedere realizzati i propri sogni. Certamente, questa pagina di Nuovo Testamento allude anche all'esistenza ultraterrena, che gli uomini raggiungono dopo molti travagli.

Aggiungo un'ultima osservazione a proposito dell'attraversamento del fiume.
Genesio calcola con lo sguardo le distanze tra le due rive. Come quando la vita ti mette di fronte a delle scelte cruciali: con tutto l'equilibrio e la razionalità possibili cerchi di calcolare, e quindi di valutare le conseguenze delle decisioni che prenderai.

Salto alcune pagine relative a descrizioni dei giochi di alcuni ragazzi sulle rive dell'Aniene.
Anzi, di queste vi riferisco soltanto che, mentre Mariuccio e Borgo Antico per un po' si uniscono al gruppo dei giocatori, Genesio rimane "tutto solo come un eremita" a contemplare le rive.
Ripeto: Genesio è il figlio maggiore. Non può permettersi di giocare, non può permettersi attimi di spensieratezza.
E' un adolescente che si sta chiedendo: "Che scopo ha la mia vita? Posso attraversare questo fiume? Cosa ci sarà mai dall'altra parte?"

Commento brevemente il punto in cui i tre fratelli incontrano il Riccetto, che li avverte a proposito della polizia.
«Se ne semo iti de casa» rivela Genesio al Riccetto. 
La lingua di Genesio ha più latinismi sia del mio modo di esprimermi sia del linguaggio televisivo, assai sgrammaticato ora come ora.
"Iti" significa "andati", ed è una voce che deriva dal verbo latino irregolare "eo, is ivi, itum, ire".
Genesio, sebbene rimanga annichilito da quelle false accuse, non rivela al suo interlocutore le proprie emozioni. 
Mariuccio continua a negare la colpevolezza fino a scoppiare in pianto. Non così il fratello primogenito, forse già troppo abituato alle "mazzate della vita": 
"Genesio restò a sua volta impressionato da quella faccenda, ma tutto ripiegato con il torace contro i ginocchi, si tenne per sé il suo stupore, cominciando rapidamente a pensarci sopra."
Riccetto poi inizia a nuotare verso la riva opposta del fiume e Genesio, attratto da ciò che sta facendo un ragazzo più grande di lui, decide di imitarlo, dicendo però ai fratelli:
"Dopo se ne tornamo a casa, è mejo, sinnò mamma piagne".
Eccola qui che riemerge, la profonda pietà verso la figura materna.
Da quando sa di essere ricercato dalla polizia come un vero e proprio piccolo delinquente quale non è affatto, il ragazzino non pensa più ad attraversare il fiume in realtà.
La sua prima preoccupazione diviene la madre. Egli in effetti se la immagina sola in casa e in pensiero per i figli.
In quell'istante dunque, il progetto di Genesio di scappare di casa e ritornare alcuni anni dopo per eliminare il padre, svanisce. All'idea di un possibile futuro lontano da lì subentra la straziante realtà del presente: il serio rischio della galera e la madre angosciata a casa.

Genesio stavolta arriva all'altra sponda. Ma, mentre Riccetto ritorna subito, Genesio invece si ferma per alcuni minuti.

"Genesio invece se n'era rimasto solo sull'altra riva. S'era messo seduto come faceva lui sotto il torrentello della varecchina, sulla melma appastata di bianco. Lì sopra, alle sue spalle, come una frana dell'inferno, s'alzava la scarpata cespugliosa con il muraglione della fabbrica, da dove sporgevano verdi e marroni delle specie di cilindri, di serbatoi, tutto un mucchio di scatoloni di metallo, dove il sole riverberava quasi nero per la troppa luce."

Che cosa ha raggiunto? Niente di speciale. La riva opposta è ancor più piena di fanghiglia.
La parte di testo che ho riportato sopra in effetti non descrive affatto un paesaggio esaltante!
Fango e melma, fango e melma. 
Indubbiamente emblemi della sporcizia interiore del mondo adulto che circonda questi giovanissimi borgatari.
Eppure, il ragazzino rimane lì, semidisteso.
Il paesaggio è desolante, questo è vero, ma ricordiamoci sempre che il protagonista si trova dalla parte opposta del fiume, lontano e al sicuro da violenze domestiche e da false accuse.
Per un po', Genesio cerca di assaporare in pace un'atmosfera silenziosa.

Ai continui richiami dei due fratelli però, egli decide di ritornare all'altra sponda.
Ma c'è una difficoltà notevole: la corrente è divenuta molto più forte che non durante il percorso di andata per cui Genesio arriva rapidamente a metà del corso senza riuscire a raggiungere i fratelli.

"Come nuotava lui, alla cagnolina, gli serviva a stare a galla, non a venire avanti: la corrente, tenendolo sempre nel mezzo, cominciò a spostarlo in giù verso il ponte."

Egli lotta contro la corrente con tutte le proprie forze, senza successo.

Ed è proprio nelle ultime due pagine del romanzo che si consuma la tragedia:

"(...) non riusciva ad attraversare quella striscia che filava tutta piena di schiume, di segatura e d'olio bruciato, come una corrente dentro la corrente gialla del fiume. Ci restava nel mezzo e, anziché accostarsi a riva, veniva trascinato sempre in giù. Borgo Antico e Mariuccio con il cane scapitollarono giù dalla gobba del trampolino, e cominciarono a correre svelti, a quattro zampe quando non potevano con due, cadendo e rialzandosi, lungo il fango nero della riva, andando dietro a Genesio che veniva portato sempre più velocemente verso il ponte."

Oltre a Mariuccio e a Borgo Antico, c'è anche il Riccetto che assiste impotente alla scena.
Sei anni prima, durante una gita in barca con degli amici, lo stesso Riccetto aveva salvato una piccola rondine che stava per affogare nell'Aniene. E ora che sta annegando un ragazzino non fa nulla, per puro istinto di autoconservazione, caratteristica tipicamente borghese.

"Genesio ormai non ce la faceva più, povero ragazzino, e sbatteva in disordine le braccia, ma sempre senza chiedere aiuto. Ogni tanto affondava sotto il pelo della corrente e poi risortiva un poco più in basso; finalmente quando era già quasi vicino al ponte, dove la corrente rompeva e schiumeggiava sugli scogli, andò sotto per l'ultima volta, senza un grido, e si vide solo ancora per un poco affiorare la sua testina nera."

Mariuccio e Borgo Antico si mettono a urlare e a piangere. Persino al Riccetto viene da piangere, ma, invece di provare a portare il corpo di Genesio sulla terraferma, fugge.

Genesio non crescerà mai più. Rimarrà, all'interno di quella storia, un ragazzino sofferente, silenzioso e sensibile, presto dimenticato dal degrado morale dei miseri e mai conosciuto dal mondo agiato dei borghesi, ai quali forse fa molto comodo ignorare la realtà delle periferie romane.

Genesio è vittima del destino.
Riccetto invece, crescendo, è divenuto un giovane uomo immorale: impallidisce e scappa, senza chiamare i soccorsi e senza far nulla per salvare una vita ancora più giovane della sua.
Ci tiene troppo a se stesso per buttarsi tra la corrente.
Non è un insensibile, il Riccetto, però è un pavido.

La morte per annegamento di Genesio è probabilmente riconducibile a due interpretazioni che riguardano la figura di Pasolini e il contesto storico-sociale nel quale questo scrittore è inserito:

A) Pasolini, nel corso della propria triste esistenza, è sempre stato solo: come Genesio, aveva un padre violento ed è stato inoltre biecamente condannato dalla giustizia.
Ha subito più di un processo, Pier Paolo Pasolini. Uno di questi, per esempio, per aver scritto e fatto pubblicare Ragazzi di vita.
Essere stato l'autore di questo romanzo gli è costata l'accusa di "corruzione dei giovani", perché la lingua di quei personaggi è spesso scurrile e volgare, perché in questo libro sono narrate tutte le malefatte di una parte del popolo italiano che negli anni '50 "non era ancora stato educato alla civiltà".
In difesa di Pier Paolo erano intervenuti Giuseppe Ungaretti e Dario Fo'.
Dopo quel processo era stato assolto.

Pasolini tra l'altro era anche stato in carcere da innocente per quasi tre settimane, dal momento che un benzinaio lo aveva erroneamente accusato del furto di alcune taniche di benzina.
Genesio annega fisicamente, Pasolini psicologicamente.
Credo che questo scrittore più di una volta si sia sentito talmente oppresso dal disprezzo e dall'incomprensione della gente al punto tale da immaginare se stesso come un ragazzino incapace di affrontare la terribile corrente di un fiume.

B) L'impossibilità concreta, per un sottoproletario puro di cuore, di cambiare in positivo il proprio angosciante e deprimente stile di vita.
Pasolini era molto polemico nei confronti della televisione e del consumismo emergente.
Da genio quale era, prevedeva che l'aggressiva società dei consumi che in quegli anni stava nascendo avrebbe reso tutti apparentemente uguali: borghesi, proletari, contadini e sottoproletari.
O un sottoproletario si adegua allo stile consumistico e assume l'istinto di autoconservazione e l'ipocrisia, oppure è destinato ad annegare.
Il fiume appare come un'opportunità, che però fa annegare e morire chi, già oltremodo abbattuto dalla miseria,  prospetta o sogna un futuro assolutamente incontaminato dall'ingiustizia.
Il consumismo arricchisce economicamente, ma non interiormente.

Concludo la mia predica letteraria con una considerazione di Carnero:

"A proposito di questa ricorrenza ossessiva del motivo funebre si potrebbe sottolineare come essa si leghi all'incapacità, per così dire, di Pasolini a seguire i suoi personaggi oltre la soglia dell'età adulta.
O meglio, al suo disinteresse nei confronti di un mondo, quello adulto, che gli appare tanto corrotto quanto quello dell'infanzia e dell'adolescenza gli appare puro. In altre parole, facendo morire alcuni suoi giovani personaggi, è come se li salvasse dalla corruttela a cui, crescendo, sarebbero inevitabilmente destinati."

....PS= Mercoledì è il mio compleanno. Siccome non credo di avere tempo per scrivere un altro post prima del 26 (lunedì sono in Facoltà fino alle 19, aiuto!! e martedì mattina presto devo di nuovo essere in Ateneo per altre lezioni ancora), vi chiedo un favore: dedicatemi un piccolo pensiero nei prossimi giorni. Auguratemi che questo possa essere anche per me oltre che per voi un anno di attività gratificanti, di nuove relazioni positive, di soddisfazioni.
E' il miglior regalo che possiate farmi.

18 settembre 2018

La famiglia distrutta di Genesio (I):

Siamo nella seconda metà di settembre. Lo preciso per chi eventualmente ancora faticasse ad accettare che il tempo scorre molto velocemente, e che dunque con il tempo scorrono via anche la dolcezza della primavera e la bellezza dei lunghissimi giorni di sole dell'estate.
A settembre si respira il profumo dei grappoli maturi, si ammira una leggera foschia mattutina che abbraccia il cielo azzurro, ci si sofferma con lo sguardo sui luminosi raggi del sole che illuminano le foglie degli alberi ancora verdi.
Siamo in un periodo in cui bambini e ragazzi sono appena ritornati a scuola e in cui gli studenti universitari si stanno preparando per il nuovo anno accademico.
Per colpa della stupidità umana però, settembre è divenuto uno dei mesi più disgraziati dell'anno, perché ricominciano anche le vere e proprie "monade" televisive, perdonatemi la parolaccia nel mio dialetto che però ci sta!
Ricomincia "Uomini e donne", si annuncia già l'inizio del "Grande fratello" e, a partire da quest'anno, ci sarà anche la prima edizione di "Temptation Island vip". Ah, quindi non bastava l'edizione estiva senza vip di quest'ultimo programma?!!
Rivedrete coppie i cui componenti non sanno nemmeno lontanamente cosa significano "amore", "tenerezza" e "rispetto"! Rivedrete degli adulti irresponsabili, grossolani e spaventosamente immaturi.
E nei prossimi giorni, quando sarete online, vedrete sicuramente i commenti di diversi youtubers, vuoti quasi quanto i concorrenti e i conduttori di questi programmi, su questa prima edizione di "Temptation Island vip".

Io, anche con il prossimo post, cercherò di reagire come posso a questo genere di sotto-cultura.

Genesio è uno dei personaggi del romanzo Ragazzi di vita di Pasolini. E' il protagonista del capitolo ottavo del libro.

Quindi stasera e nei prossimi giorni potrete leggere la mia personale analisi di questa parte di romanzo. E capirete quanto male stanno i ragazzini che si trovano costretti a vivere, ogni giorno, con genitori che non si amano e che non si rispettano.
Cosa credete, i concorrenti di Temptation Island non si rendono conto di quanto è importante essere impegnati con una persona! Non sanno, o forse non vogliono sapere che impegno e che gioia comporta la possibilità di divenire genitori! (I concorrenti sono tutti dei possibili futuri genitori, purtroppo).

AVVERTENZA!!  Prima di iniziare vorrei aggiungere un'ulteriore precisazione. Questo e anche il prossimo post potrebbero impressionare i lettori particolarmente sensibili. Non sto impedendo a nessuno di leggere, voglio solo avvisare, per uno spiccato senso di correttezza.
Io per esempio ho fatto fatica ad addormentarmi alla fine della lettura di questo romanzo, incluso nella bibliografia del programma di un mio esame triennale. Una notte mi sono addormentata tardi perché pensavo alla tragica situazione sociale e familiare di questo ragazzino.
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Il capitolo ottavo di Ragazzi di vita, che tra l'altro è anche l'ultimo, inizia così:

"Era la domenica dopo mattina. Tutto il bel paesaggio che si poteva godere dall'autobus di San Basilio, nel lungo pezzo di strada senza fermate da Tiburtino a Ponte Mammolo, pareva fosse formato da tanti meravigliosi pezzi immersi nell'azzurro del cielo, da lì, sotto la scarpata, fino ai monti di Tivoli, che, svaniti contro un po' di vapore, circondavano le campagne tutte punteggiate d'alberi, ponticelli orti, fabbriche e case."

Lo avrete probabilmente intuito leggendo certi nomi propri dei luoghi sopra menzionati: ci troviamo a Roma; ed è la Roma degli anni '50. Però in quale luogo della città esattamente?
C'è un motivo ben preciso se vi ho sottolineato le ultime due righe. Orti, fabbriche, alberi e ponticelli possono tranquillamente esserci in alcune zone di una città, ma dove esattamente? Soprattutto nelle cosiddette "borgate", luoghi in cui la miseria economica, morale e culturale regnavano sovrane, almeno fino a 60 anni fa.
Le borgate sono abbastanza distanti dalle zone del centro di Roma, abitate e frequentate dai borghesi.
Sono ambienti che non appartengono né al mondo cittadino né al mondo rurale: ci sono sì degli elementi della natura ma ci sono anche elementi inquinanti, emblemi di sfruttamento del proletariato e di ingiustizia sociale: le fabbriche.
Nelle borgate romane non vivono i "proletari", ma i "sottoproletari", ovvero, tutte quelle persone che non sono dotate di una coscienza di classe, che non studiano e non lavorano, ma vivono di piccoli espedienti. I sottoproletari non sono alfabetizzati, sono politicamente disinformati e i più giovani solitamente non sanno distinguere il bene dal male. Compiono il male per sopravvivere (rubano) e non ne sono consapevoli, perché non sanno cosa significa l'onestà.
I proletari invece; e questo lo dimostra il romanzo di Pratolini Il quartiere, hanno un'istruzione elementare, coltivano la loro fede religiosa, lavorano con zelo e con sacrificio, sono persone semplici che credono nella famiglia.
Pasolini viene a conoscenza del triste mondo del sottoproletariato proprio negli anni' 50: lui all'epoca era un giovane trentenne, insegnante di Lettere alle medie, con aspirazioni verso la carriera di regista.
Vivendo per alcuni anni a Roma, egli esplora zone disprezzate dalla borghesia, la sua classe sociale di provenienza.

"(...) dei ragazzi delle borgate osserva e annota il lessico, gli atteggiamenti e i comportamenti, ma non lo fa con il distacco dello scrittore naturalista, bensì con un forte coinvolgimento umano ed emotivo.", scrive Carnero nell'ultimo volume del manuale scolastico Al cuore della letteratura

Poche righe dopo, nel romanzo:

"Tutto pareva verniciato a fresco, dopo la pioggia della sera prima, pure l'Aniene che, con la sua curva tra i campi, le distese di canne, le catapecchie, si snodava per i Prati Fiscali giù verso Monte Sacro. A godersi quel bel panorama, nell'autobus vuoto e arroventato, erano due carabinieri."

E' piena estate. C'è sole e caldo. La pioggia del giorno prima ha "lavato via" la polvere e si è fatta garante del cielo limpido.
Due carabinieri sono sull'autobus. Per quale motivo?
Perché stanno cercando Genesio, al quale certi compagni di avventure hanno attribuito un grave atto di bullismo che egli non ha commesso e di cui voi saprete nel prossimo post.
L'Aniene è un fiume che scorre tre i campi e le zone periferiche di Roma. E' un affluente del Tevere.

Seduti su una riva dell'Aniene, tra i canneti, ci sono tre fratelli: Genesio, Borgo Antico e Mariuccio.
Genesio è il più grande; il secondogenito è conosciuto attraverso quello strano soprannome (in Ragazzi di vita alcuni personaggi sono conosciuti ai lettori soltanto attraverso i loro soprannomi) e il terzo, decisamente un bambino, è Mariuccio.
Con loro c'è anche il cane Fido, che è affezionato loro più o meno come lo è a me il mio gatto.
Ad un tratto, Genesio prende in braccio Fido.

"(...) Genesio, ch'era buono di cuore e sempre combattuto, povero ragazzino, dalle emozioni e dagli affetti, nascondeva tutto dentro di sé, e parlava meno che poteva per non scoprirsi."

Io ho notato che Pasolini inserisce soltanto per questo personaggio una breve connotazione psicologica. Soltanto per Genesio. Perché, come avrete modo di comprendere più in basso, credo ci sia stata, nella composizione del libro, una sorta di identificazione tra Pasolini e Genesio.

"(...) nascondeva tutto dentro di sé": perché è il figlio più grande e di conseguenza è quello che sente maggiormente il "doloroso peso" di vivere in una non-famiglia.
Per quali motivi uno dovrebbe essere riservato? Ce ne sono diversi: per paura dei giudizi altrui, spesso taglienti, perché magari non ci si sente abbastanza in sintonia con gli altri, perché si è soli e non si ha nessun punto di riferimento con cui confidarsi o semplicemente perché a volte non si ritiene necessario rivelarsi agli altri.
La verità è che Genesio è solo. Ha i due fratellini e si sente responsabile nei loro confronti, per cui non può piangere di fronte a loro; se piangesse, priverebbe Mariuccio e Borgo Antico della certezza di poter confidare in lui. Genesio sente di dover essere forte per i suoi fratelli, almeno per loro.
Più o meno funziona così tra fratelli, vero? 
Il più grande (come anche il figlio unico) ha una percezione più profonda e consapevole della propria situazione familiare e conosce bene limiti e fragilità dei propri genitori. Ma con i fratelli minori cerca di non parlare molto sia di ciò che non gli piace della sua famiglia di origine sia di ciò che lo fa soffrire se vive all'interno di una situazione familiare drammatica. 
Essere considerato un modello, un esempio, una sicurezza, una persona forte da chi è più giovane lo fa stare meglio.
Genesio però non ha nessuna guida, nessun conforto umano a cui confidare la rabbia e il dolore che si porta dentro. Nessuno che sia ancora più grande di lui e che possa comprenderlo e ascoltarlo. Nessuno che possa risolvere la sua terribile situazione familiare. In questo senso è solo.
... A una persona così, seppur giovanissima, è già crollato il mondo addosso!...

"Il cagnoletto sul suo grembo si stava quasi a appennicare: ma tutti quattro, quella mattina, morivano di sonno: era la loro prima mattina di libertà (...)".

Già. Di libertà dal degrado morale degli adulti, soprattutto.

"La madre di Genesio, di Borgo Antico e di Mariuccio era una marchigiana che chissà in che modo, durante la guerra, aveva sposato un muratore di Andria. Beccava ogni giorno, povera donna, e s'era ridotta a fare una vita peggio delle bestie. Eppure, come lei diceva nei momenti di tregua alle vicine, ci teneva ancora alla buona educazione dei figli."

Ma come si fa a picchiare una donna che ti ha dato tre figli???!!!

Se fino ad un istante fa non stavate più nella pelle perché volevate scoprire in che senso la famiglia di Genesio è, come l'ho definita nel titolo, "una famiglia distrutta", ora ve ne siete resi conto. Ma volevo che fosse l'esatto punto del testo a svelarvelo.

In questo passaggio però è evidente la rabbia di Genesio:

"Genesio, fumando seriamente, se ne stette un po' zitto, poi fece ai fratelli: « Mo' quanno che semo grandi ammazzamo nostro padre ».
«Pure io» , disse pronto Mariuccio. 
«Tutti e tre assieme», confermò Genesio «l'avemo da ammazzà! E poi se n'annamo a abbità da n'antra parte co' mamma».
Sputò la cicca in acqua, con il suo sguardo serio e diritto che luccicava un po' umido.
«L'avrà menata pure stamattina» fece. Stette zitto per un po' per riuscire a vincersi, e poi ripetè con la sua solita voce sorda e inespressiva: «Mo quanno che semo grandi je famo vede noi je famo vede»."

Genesio trattiene le lacrime, pur soffrendo indicibilmente. Ha uno sguardo "serio e diritto che luccicava un po' umido". 
Si diceva poco prima che i giovani sottoproletari non sanno distinguere il bene dal male. Non è così nel caso di Genesio, con gli occhi pieni di lacrime che non vuole far scendere sulle guance.
Questo ragazzino è cresciuto con un sentimento di pietà e di benevolenza verso la madre e con una forte avversione verso il padre. 
A casa sua, quotidianamente il male distrugge una sana prospettiva familiare di dialogo e di amore.
Lo stesso Genesio è diviso tra bene e male: desiderio di proteggere la madre, voglia di eliminare il padre, personificazione del male.

Qualche considerazione linguistica mi sembra giusto farla: notate che Genesio parla in romano, tipo di italiano della zona in cui abita.
Questo è un elemento volto a conferire realismo al personaggio.
A Roma, come anche in alcune zone del Meridione, si tende a dire "quanno" anziché "quando".
In queste aree, la "d" dentale sonora di "quando" viene assimilata dalla "n": assume quindi del tutto i tratti di una nasale.
Anche per noi al nord  è facile collegare a "menare" il senso di "picchiare".
"Annamo" romano è corrispondente all'italiano "andiamo". In Veneto diciamo "nemo", senza doppie e soprattutto con la "e" come vocale chiusa.
Pare che il verbo "andare" derivi da una forma latina non molto frequente nelle versioni d'autore: "vàdere".
Quanto a quel finale "glielo facciamo vedere noi", a Verona è completamente diverso: "Ghe la femo vedar noantri".

Ma quanti anni ha Genesio? Vi starete chiedendo. Facciamo 14? No, non è pressapochismo il mio. Anche se l'autore del romanzo non specifica la sua età, è facile che ne abbia 14.
Lo si potrebbe intuire poche pagine più avanti, quando Genesio e i suoi fratelli incontrano il Riccetto, ragazzo più grande di loro che già compare nel primo capitolo.
All'inizio del romanzo Riccetto ha 14 anni, alla fine 20.
Il Riccetto, conoscendo la loro situazione e i loro guai, per un istante li commisera, perché pensa a quando aveva la loro età ed era "disprezzato dal mondo", quindi senza la benché minima attenzione degli adulti, costretto a rubare per sopravvivere. Per un attimo dunque, il Riccetto si ricorda il suo passato personale e dunque sa che la sua quotidianità di adolescente non era troppo diversa da quella di Genesio!

I ragazzini detestano la violenza, fisica e verbale. Chiunque eserciti su di loro o sulle persone che loro amano una qualsiasi forma di violenza, non ha (giustamente) alcuna possibilità di conquistarsi la loro stima. Mi sembra una elementare nozione di pedagogia questa!

Personalmente, credo che Pasolini si sia abbastanza identificato in Genesio, perché, pur essendo borghese, la sua situazione familiare era simile: suo padre era un militare che abbastanza spesso tornava a casa ubriaco e che quindi abbastanza spesso metteva le mani addosso alla madre del futuro scrittore.
Pier Paolo Pasolini era il primo di due figli.
Da ragazzino, Pier Paolo aveva sofferto un sacco a causa dei comportamenti violenti e aggressivi del padre. Crescendo, anch'egli aveva sviluppato un senso di profonda pietà e di grande benevolenza verso la figura materna. Probabilmente da bambino e da adolescente avrebbe voluto "portarsela via", lontano da un marito violento.
La seconda guerra mondiale ha avuto un risvolto positivo, in fin dei conti, ma uno soltanto: ha allontanato il padre di Pasolini come combattente in Africa, dove poi è stato fatto prigioniero dall'esercito inglese.
Nel '43 Pier Paolo si stava già laureando in Lettere: aveva terminato tutti gli esami con un paio d'anni di anticipo rispetto alla norma.
Era geniale. Triste ma sorprendentemente geniale!
Purtroppo però, per sfuggire ai bombardamenti che danneggiavano Bologna, città in cui studiava, aveva dovuto rifugiarsi a Casarsa, paesino friulano, luogo natale della madre.
Con una perfetta complicità con la figura materna, aveva fondato una scuola per i figli dei contadini e qui aveva intuito la sua vocazione all'insegnamento e aveva iniziato ad apprezzare la semplicità e la genuinità dei poveri.
A causa della guerra, Pasolini si era laureato con 110L nel novembre del '45.

Concludo il post con una considerazione molto significativa che il mio docente di Letteratura Italiana moderna e contemporanea fa nel suo saggio dedicato a Pasolini e intitolato Morire per le idee.

"I ragazzi di vita sono ragazzi nati e vissuti in un ambiente sociale privo di certezze: non c'è la sicurezza del lavoro, ma neanche quella della casa e della famiglia. Gli adulti sono ostili, abbruttiti dalla fatica e dalle frustrazioni: il rapporto tra le generazioni è segnato da una sorda e rancorosa ostilità reciproca. In assenza del cerchio protettivo degli affetti, i ragazzi sono costretti a crescere in fretta, a imparare presto ad arrangiarsi, a vivere di espedienti. I rapporti con gli adulti sono fortemente conflittuali, fino ai limiti estremi dell'aggressione fisica e finanche all'omicidio. Alla fine del settimo capitolo Alduccio litiga con la madre e cerca di accoltellarla, mentre Genesio promette ai fratellini che, una volta diventati grandi, uccideranno il padre."


12 settembre 2018

"L'eterno marito", F. Dostoevskij


In questo romanzo è presentata una situazione insolita... ma, nonostante ciò, il messaggio finale è stupendo!

Come nelle Notti bianche, anche in questo caso gli eventi si svolgono nel pieno del XIX° secolo a San Pietroburgo durante l'estate, periodo in cui nelle regioni e nelle città del Nord Europa le notti non sono mai totalmente buie.

San Pietroburgo e le città scandinave sono soggette a questo suggestivo fenomeno astronomico a causa delle loro elevate latitudini (si tratta di latitudini superiori o pari a 59°).
Da noi in Italia le notti estive sono piuttosto brevi, ma mai chiare.

Nel descrivere dettagliatamente le fasi del giorno, gli astronomi distinguono tra il crepuscolo civile, il crepuscolo nautico e il crepuscolo astronomico.
Il crepuscolo civile termina quando il sole è sceso di 6° sopra l'orizzonte. In questa fase le stelle non sono visibili.
Nei minuti che caratterizzano il crepuscolo nautico, i navigatori possono iniziare a orientarsi osservando le stelle. Ci sono ancora delle flebili luci in un cielo che si sta "tingendo" di blu.
Il sole scende oltre l'orizzonte di 12°.
La terza fase precede la vera e propria notte: il sole scende oltre l'orizzonte di 18°.
E a quel punto inizia la notte astronomica.
In un periodo compreso tra maggio e luglio, a San Pietroburgo la notte astronomica non inizia mai; quindi da mezzanotte in avanti il sole non riesce mai a scendere al di sotto dei 12°.
In questi due mesi dunque, il giorno solare dura dalle 3 a mezzanotte.

Qualche settimana fa ho sognato il mio matrimonio; e un particolare interessante di quel sogno me lo ricordo ancora bene: io e mio marito, alla fine dei festeggiamenti, ci eravamo affacciati sulla balaustra di una terrazza in riva al lago. Il sole si stava abbassando per tramontare. In quel momento io ho dato un'occhiata all'orologio da polso: con mio grande stupore, nonostante fosse già mezzanotte, il sole non era ancora scomparso all'orizzonte.
Di sottofondo sentivamo la melodia di "Perfect" di Ed Sheeran suonata con i violini.

Ad ogni modo, in questo meraviglioso contesto si svolge una guerra aperta tra due uomini: Pavel Pavlovic e Aleksej Vel'caninov.
Per quale motivo i due uomini confliggono? Per il fatto che, nove anni prima, entrambi hanno condiviso non soltanto gli stessi interessi, le stesse compagnie e la stessa professione, ma anche e soprattutto la stessa donna!
Natalja era moglie di Pavel, ma era una moglie fedifraga: l'autore della storia dichiara che, pur non essendo bellissima, era molto facile che con la sua disinvoltura e la sua esuberanza attraesse gli uomini.

Il romanzo inizia con il presentare Aleksej Vel'caninov come un uomo inquieto, malinconico, scontroso e irritabile. Alla soglia dei 40 anni già soffre di qualche vuoto di memoria e di repentini cambiamenti di umore.

"Negli ultimi tempi, soprattutto di notte, i suoi pensieri e sentimenti cambiavano quasi completamente rispetto ai suoi abituali, e non andavano assolutamente d'accordo con quelli che aveva nella prima metà della giornata. Era una cosa che lo colpiva profondamente."

"Vel'caninov si lamentava da parecchio tempo di perdere la memoria: si dimenticav il volto di persone conosciute, che quando lo incontravano rimanevano offese per questo fatto, oppure un libro che aveva letto soltanto qualche mese prima lo dimenticava, in questo lasso di tempo, talvolta completamente. Eppure, nonostante questa evidente perdita di memoria, della quale egli si preoccupava molto, tutto ciò che era accaduto in un passato lontano, dieci, quindici anni prima, ed era stato completamente dimenticato, tutto questo talvolta gli tornava alla mente d'improvviso e con una precisione così stupefacente e fin nei minimi particolari, che gli pareva di riviverli nuovamente."

Ciò che lo infastidisce inoltre è la vista, quasi quotidiana, di un uomo con un cappello nero che lo osserva intensamente a debita distanza.
Vel'caninov è sicuro di non averlo mai visto prima.
Eppure, una notte in cui è colto da insonnia, scostando le tende della finestra, lo vede, accanto al suo palazzo.
Proprio in quella notte chiara avviene il loro primo incontro dopo molto tempo: con grande irritazione, Aleksej riconosce in quel signore con il cappello nero il marito della sua ex-amante, venuto per dirgli che Natalja è deceduta a causa della tisi.
Aleksej non lo tratta affatto bene: angosciato da questa improvvisa apparizione, urla ed è molto nervoso.


Ciò che Vel'caninov si chiede con angoscia da quella notte in avanti è: Pavel Pavlovic sa o non sa che sono stato l'amante di sua moglie?

Pavel è un vedovo terribile.
Anzi, le prime impressioni che il lettore ha sono quelle di trovarsi a immaginare gli atti e i movimenti tipici di un pazzo psicotico: quasi sempre ubriaco, di tanto in tanto manifesta dei propositi di suicidio di fronte a Lisa, la figlioletta illegittima di otto anni.
Purtroppo Lisa fa una breve comparsa all'interno del libro, visto che muore di febbre alta pochi giorni dopo aver conosciuto Vel'caninov, il quale sospetta di esserne il padre biologico.

"Con l'affetto di Lisa-fantasticava-si sarebbe purificata e riscattata tutta la mia inutile vita precedente; invece che di me stesso, sfaticato, vizioso e finito, mi sarei curato per tutta la vita di un essere puro e meraviglioso, e tutto mi sarebbe stato perdonato, e tutto io stesso mi sarei perdonato."

Oltre a ciò, Pavel Pavlovic continua a pedinare Aleksej e lo costringe più di una volta a ospitarlo nel suo appartamento, visto che Pavel Pavlovic effettivamente non ha una dimora fissa a San Pietroburgo.
Pavel è un uomo che sta molto male dentro e fa stare male gli altri.
La rabbia e il risentimento gli hanno bruciato il cervello, decisamente.
Ho sospettato anche una forma di schizofrenia nei suoi atteggiamenti: da toni gentili e delicati passa improvvisamente a minacce e a insinuazioni maliziose e cattive.
Addirittura riesce a obbligare Aleksej ad accompagnarlo a visitare la sua promessa sposa: Nadja, una ragazzina di 16 anni che in realtà disprezza profondamente Pavel.

Quella sera stessa, a casa di Vel'caninov si introduce anche Aleksandr, un giovane di 19 anni che, con aria decisa e risentita, esorta Pavel a rinunciare a Nadja, dal momento che lei è in realtà la sua fidanzata ufficiale.

Ma sia Pavel sia Aleksej faticano a credere che un ragazzo così giovane abbia già il coraggio di intraprendere una scelta così importante.
Gli dicono: "Siete un ragazzo, per l'età che avete non siete nemmeno in grado di badare a voi stesso".
Ecco che ci risiamo con questo discorso cretino! State parlando di un diciannovenne; quindi uno che ha quasi vent'anni è decisamente un ex-bambino, chiaro??!!!
Soprattutto per i lettori adulti, voglio specificare che "giovane" non è sinonimo di "irresponsabile e inconsapevole di sé"!
Gli adulti che confondono questi tre aggettivi esistevano nel XIX° secolo ed esistono anche oggi, purtroppo.
I giovani che sanno bene quello che vogliono ci sono ancora. Quello che voi adulti dovete fare è solamente rispettarli!

Nel riprendere il filo della trama, aggiungo che il determinato Aleksandr lascia la casa di Vel'caninov
con animo indignato.
In quella notte, accade qualcosa di inaspettato e di drammatico: Pavel tenta di accoltellare Aleksej e lo ferisce alla mano destra. Aleksej riesce però a difendersi e a cacciare di casa l'ospite violento.

Ripeto la domanda che io, durante la lettura di quasi tutto il romanzo, mi sono fatta e che probabilmente alcuni di voi si staranno facendo: Pavel sapeva che sua moglie lo aveva tradito anche con Vel'caninov?

Soltanto nel penultimo capitolo scopriamo di sì: il signor Pavlovic parte per sempre, ma fa recapitare ad Aleksej una lettera che Natalja gli aveva scritto nove anni prima ma che non gli aveva mai spedito: in quello scritto, la donna voleva informarlo che la figlia dentro di lei era sua, non di Pavel.
Ed ecco dunque che Vel'caninov ottiene la conferma di essere stato il padre biologico di Lisa!

Due anni dopo i due uomini si rivedono.
Pavel si è risposato e appare più tranquillo. Anche Aleksej è più sereno e sentimentalmente impegnato con una donna.
Aleksej gli offre la mano, che porta ancora la cicatrice del taglio del coltello: "Se io vi tendo questa mano, voi potreste anche prenderla!"
E a quel punto Pavel si commuove: da quell'istante inizia a guarire veramente.
Questo è particolarmente interessante e bello: il perdono è l'unico mezzo che "riaggiusta" le relazioni e che svilisce l'odio, le incomprensioni e i propositi di vendetta.
Entrambi i protagonisti maschili di questo romanzo sono due "peccatori": uno perché ha intrattenuto una relazione sentimentale e sessuale con una donna sposata e quindi già impegnata su questo fronte, l'altro perché con i suoi diabolici piani di tortura psicologica meditava di attuare una vendetta crudele.

Una cosa ritengo utile puntualizzare: se Pavel Pavlovic non fosse appartenuto all'alta società non avrebbe certamente avuto il tempo di progettare vendette, di simulare il suicidio davanti a una bambina innocente e di preoccuparsi irragionevolmente del fatto che Aleksej volesse conquistare anche Nadja, la sua presunta promessa sposa!
Se Pavel Pavlovic fosse stato un artigiano o un operaio avrebbe lavorato duramente e non avrebbe certo avuto il "buontempo" di cercare gli ex-amanti della moglie per tormentarli.

IL SENSO DEL TITOLO:

Il significato dell'espressione "eterno marito" viene chiarita nei primi capitoli del romanzo:

"Secondo lui l'essenza di siffatti mariti stava per essere, per così dire, "eterni mariti" o, per dir meglio, nell'essere in vita loro soltanto mariti e nulla più. Un tal uomo nasce e si sviluppa unicamente per prender moglie e, ammogliatosi, immediatamente si trasforma in un accessorio della moglie (...)"

L'eterno marito sarebbe dunque una specie di vittima di una moglie adultera: sopporta tutti i tradimenti e le rimane comunque accanto, senza divorziare mai.
...Ciò che è assurdo in questo romanzo è il fatto che Pavel, l'eterno marito appunto, tollera i tradimenti della moglie quando lei è in vita, ma si vendica degli amanti una volta rimasto vedovo.


2 settembre 2018

"Le avventure di Tom Sawyer", Mark Twain:


L'autore pensava di scrivere un romanzo destinato soprattutto ai ragazzi...
In realtà (e di questo vi accorgerete dopo aver letto questo post) sono raccontati degli eventi che insegnano molto anche agli adulti. Per questo ho amato un sacco sia la storia che il protagonista ragazzino!

TRAMA:

Il romanzo, ambientato nel pieno del XIX° secolo, in una città sulle rive del Missouri chiamata St. Petersburg, ha per protagonista il vivacissimo adolescente Thomas Sawyer, soprannominato Tom da zia Polly e dai compagni di classe.
Tom, orfano di madre, vive con la zia e con il fratellastro Sid in un villaggio circondato da boschi e prati.
Del padre l'autore non fa menzione: si limita a dire soltanto che aveva avuto un altro figlio, Sid per l'appunto, da un'altra donna. Il protagonista dunque si ritrova privo anche della figura paterna.
Sid è molto antipatico: perfettino, precisino ma... pettegolo e odioso!
Non perde mai occasione per denunciare a zia Polly tutte le marachelle di Tom.

La narrazione è già divertente nel corso dei primi capitoli, quando il lettore constata che Tom è assolutamente incapace di stare fermo; ma diviene decisamente più avvincente quando il protagonista, insieme al suo migliore amico Huck, assiste in piena notte e di nascosto ad un sanguinoso delitto commesso da un pericoloso pellerossa davanti ad una tomba del cimitero del villaggio.
Questo terribile fatto è motivo di grande shock per Tom, i cui successivi sogni notturni vengono tormentati da immagini cruente.
Oltre a ciò, viene sottoposto alle premurose cure di zia Polly a causa di pallore e febbri.
La sua salute si aggrava quando, poche settimane dopo, viene chiamato in tribunale dal giudice per testimoniare ciò che ha visto quella notte.
Tutto il villaggio infatti sa che, al momento del delitto, c'erano soltanto 4 persone fuori casa (5 con Huck, ma Huck viene sempre ignorato): Muff Potter, accusato dell'omicidio, il medico assassinato, Joe il Pellerossa, il vero assassino che diabolicamente riesce a far imprigionare Muff Potter; e il piccolo-grande Thomas Sawyer, testimone oculare nascosto dietro un olmo, che sarebbe invece dovuto essere a casa sotto le coperte.
Con la sua veritiera versione dei fatti, Tom riesce a far scarcerare l'innocente Muff Potter. Malgrado ciò, le sue risposte alle domande del giudice fanno fuggire come un lampo Joe il Pellerossa.
Tom, in seguito alla tensione e al terrore, si ammala di morbillo.
Il ragazzino teme infatti che Joe il Pellerossa, presente in tribunale al momento della sua testimonianza, si vendichi su di lui in modo violento.

Poi accade che, insieme all'amico Huck, Tom inizia a cercare un tesoro nascosto che potrebbe renderlo ricco.
E' un gioco che diviene presto realtà: un pomeriggio infatti, all'interno di un rifugio, Tom e Huck scoprono che Joe il Pellerossa, con l'aiuto di un altro uomo, sta nascondendo un baule pieno di monete.
Per poco l'indiano assassino non li scopre!

L'episodio più inquietante avviene quando, durante un'uscita tra ragazzi, Tom e Becky, la ragazza che gli piace molto, si smarriscono all'interno di una grotta ampia e spaziosa. L'autore descrive così bene questo ambiente che sembra quasi di esserci con i due ragazzini!

"Continuarono (Tom e Becky) a voltare a destra e a sinistra, sempre più in giù nelle segrete profondità della grotta, tracciarono un altro segno e proseguirono in cerca di novità da riferire al mondo esterno. A un certo punto trovarono una caverna spaziosa dalla cui volta pendeva una moltitudine di stalattiti splendenti, lunghe e grosse quanto la gamba di un uomo; ne fecero il giro completo, meravigliandosi e ammirando, poi uscirono seguendo uno dei numerosi passaggi che terminavano in essa. Il passaggio li portò ben presto davanti a una sorgente incantevole, il cui bacino era incrostato da lucenti cristalli simili ai ricami della brina; si trovava nel bel mezzo di una caverna le cui pareti erano sostenute da molti fantastici pilastri, formati dal congiungimento di grandi stalattiti e stalagmiti, il risultato di millenni di gocce d'acqua."

I due ragazzi però si inoltrano troppo all'interno della grotta, per cui, a un certo punto, si rendono conto di non riuscire più a trovare la via d'uscita...
Mentre, dopo due giorni di fame e di angoscia, Tom e Becky si incamminano verso un'uscita, il protagonista individua con orrore l'ombra dell'indiano Joe dietro ad una roccia ad appena venti metri di distanza da lui.

Il finale farebbe esultare di gioia chiunque: Joe il Pellerossa viene ritrovato nella grotta morto di fame, alcuni giorni dopo l'inquietante avventura di Tom che ho riassunto sopra.
Successivamente, Tom e Huck ritornano nella grotta: sono infatti convinti che l'indiano abbia nascosto il tesoro pieno di monete all'interno del terreno di quell'ambiente oscuro.
Ed è proprio lì che lo ritrovano, scavando con zappe e badili.
Da ottimi amici quali sono, si dividono a metà il bottino e vanno entrambi incontro a un futuro di amore, di gioia e di agi: Huck, prima emarginato e disprezzato da tutti gli abitanti del villaggio in quanto figlio di gente poco raccomandabile, viene avviato agli studi e ad una carriera di affari.
Anche Tom, a causa di quel prezioso tesoro, diviene all'improvviso il ragazzo più coccolato e più lodato: già gli si prospettano degli studi in una delle più prestigiose facoltà di Legge degli States e, oltre a ciò, il giudice Thatcher, padre di Becky, gli promette in sposa sua figlia.

Dicevo poco prima: il finale farebbe esultare di gioia chiunque. Tutti tranne me, infatti.
Volevo soltanto che Joe il Pellerossa stesse per un bel po' di tempo tra le sbarre di un carcere e volevo anche la sua decapitazione come condanna.
Lo so che sembro incredibilmente impietosa ma, se penso a tutto quello che ha fatto passare al mio Tom, beh, allora dentro di me dico: "Meritava di essere condannato, non soltanto per l'omicidio di un uomo ma anche perché, con la sua cattiveria e la sua pericolosità, ha fatto soffrire troppo di paura un ragazzo!"

THOMAS SAWYER:

L'INDOLE DI TOM:

Tom è un ragazzino irrequieto: non è mai a casa, non apre mai un libro per studiare, non ascolta mai i consigli degli adulti, si ficca spesso nei guai.
Eppure, più ne combinava, più io l'adoravo! Più di una volta ho riso durante la lettura.

C'è da precisare che, nell'America puritana, i ragazzini erano oppressi dalla scuola: vi andavano sia nei giorni feriali sia la domenica mattina. Però, nel giorno festivo, ovvero la domenica mattina, c'era la scuola domenicale, dove si dovevano imparare a memoria delle parti della Bibbia.
Allora, è grave e ridicolo che un ragazzino abbastanza grandicello risponda "Davide e Golia!" alla domanda: "Chi furono i primi due discepoli chiamati da Gesù?", ma è ancora più grave e, a mio avviso tristissimo, il fatto che Tom, insieme ad altri due ragazzini (Huck e Joe), decida di rifugiarsi su un'isoletta del Missouri per poter fare il pirata fuorilegge, perché non si sente amato e apprezzato da nessuno.
Gli adulti dell'epoca erano molto scarsi in pedagogia: credevano infatti che i migliori modi di educare e di correggere i ragazzi fossero le bacchettate e le frustate, non il dialogo costruttivo, che poi, lo so per esperienza personale, dialogare con degli adolescenti è una delle cose più belle che si possano fare!
E' tristissimo il fatto che un adolescente non si senta amato e compreso, proprio in un'età in cui questo sarebbe di importanza fondamentale.
Durante un'intensa fase di crescita bisogna essere sicuri di poter confidare in qualche adulto "alleato" che sappia essere una guida e un punto di riferimento.
Non si può dire che, all'interno di questo libro, i grandi non provino nessuna benevolenza verso i bambini e gli adolescenti: quando Tom e Joe scompaiono tutto il villaggio è in grande lutto, tutti ricordano, con un sorrisetto tra le lacrime, con tenerezza e con simpatia, le scappatelle dei due ragazzini.
E intanto, più passano i giorni in cui i sommozzatori cerano invano i cadaveri dei tre ragazzini nel Missouri, più Tom è contento, perché pensa: "Finalmente si stanno preoccupando per me! Allora si disperano e pensano al peggio se non mi vedono più!"
Ho riso durante la lettura di questi capitoli che alternano la narrazione dei giochi dei tre ragazzi sull'isola ai pianti dei loro familiari.
Ma era un riso abbastanza amaro perché ripeto, è bruttissimo non sentirsi amati da nessuno quando si è così giovani.
Nascondersi per tristezza e per rabbia su un'isoletta disabitata e non uscire allo scoperto per smentire la notizia della propria morte è abbastanza crudele nei confronti dei grandi, ma, nel caso di Tom, significa anche voler dare un messaggio del genere: "Mi date un po' d'amore?".

E qui troviamo un monito che lo scrittore vuole dare ai lettori, soprattutto adulti: "I ragazzi vanno trattati bene! Per migliorarli, sono molto meglio la delicatezza e i guanti di velluto che non le violenze fisiche e il "pugno d'acciaio"!"

Ad un tratto, a Tom viene una brillante idea: convince i due amici a ritornare nel villaggio durante la cerimonia dei loro funerali.

"Il pastore rievocò molti episodi commoventi, inoltre, della vita dei dipartiti, che dimostravano la loro indole buona e generosa, e i fedeli poterono rendersi facilmente conto, adesso, di quanto erano stati nobili e splendidi quegli episodi e ricordare, non senza strazio, come, sul momento, fossero sembrati invece delle vere birbonate, tali da meritare la frusta. L'intera congregazione si commosse sempre e sempre più, man mano che il patetico racconto continuava, finché in ultimo, tutti cedettero al dolore e si unirono ai parenti orbati con un coro di strazianti singhiozzi, mentre il predicatore stesso, sopraffatto dai sentimenti, piangeva sul pulpito.
Vi fu, nel vestibolo, uno scalpiccio del quale nessuno si accorse; un momento dopo, la porta della chiesa cigolò; il pastore alzò gli occhi pieni di lacrime dietro il fazzoletto e trasecolò, rimanendo come paralizzato!
Dapprima un paio d'occhi, poi un altro, seguirono la direzione dello sguardo del celebrante, e poi, quasi assecondando un unico impulso, tutti i fedeli balzarono in piedi e guardarono con gli occhi sbarrati mentre i tre ragazzi defunti venivano avanti lungo il passaggio centrale, Tom per primo, seguito da Joe e da Huck: quest'ultimo, uno sfacelo di stracci penzolanti, facendosi piccolo dietro gli altri due. Erano rimasti nascosti fino ad allora nella deserta galleria del coro, ascoltando il loro stesso sermone funebre!"

Troppo forti: assistono ai loro funerali da vivi!!

Tom Sawyer è, a mio parere, dotato di una grande qualità: non è in grado di pensare soltanto a se stesso!
Quando infatti, in qualità di "redivivo", viene abbracciato da Zia Polly e ben accolto dal resto della comunità, dice: "Zia Polly, non è giusto! Qualcuno deve essere contento di rivedere Huck".
Huck è praticamente un senza famiglia: il padre è perennemente ubriaco e della madre l'autore non dà alcuna notizia.
Huck non va a scuola, non è istruito, dorme all'aperto, mangia quello che gli capita di trovare o quello che raccoglie nei boschi o nel fiume durante una pesca. Vive in mezzo alla Natura, in balia della Natura, senza essere considerato da nessuno.

Zia Polly è figlia della società statunitense del suo tempo: picchia il nipote ma lo ama. E, ogni volta che lo castiga, la signora si sente malissimo.
Dal canto suo però, anche Tom sta molto male: una strigliata lo ferisce anche più di una frustata.
Strano a dirsi, ma sono soprattutto i rimproveri dai toni molto duri che lo fanno piangere, non le punizioni corporali di un severissimo maestro incapace di interessare gli allievi allo studio.
Le giornate di scuola di Tom sono spesso caratterizzate da lunghe ore di insensato e noioso studio individuale.
Anche mia nonna, che non ha nemmeno finito le elementari poverina, sarebbe perfettamente in grado di fare la maestra in quel modo, sedendosi sulla sedia dietro la cattedra per farsi i cavolacci suoi!!
I ragazzi dovrebbero studiare cose che il maestro non spiega, anzi, si arrabbia e prende a frustate un ragazzino giustamente demotivato che gioca con un bastoncino e con una zecca sulla propria lavagnetta! ... Invece di domandarsi il motivo per cui non sta attento e invece di lavorare sul serio come insegnante!
A partire dall'autunno 2020 mi pagheranno per spiegare; e non soltanto l'analisi logica, l'ablativo assoluto, la perifrastica passiva e il Canzoniere di Petrarca! Mi pagheranno anche per la mia capacità di relazione con gli alunni e per la mia abilità ad interessarli di attualità oltre che di cultura!

Non voglio trascurare un particolare: Tom è dolcissimo!
Riconoscente verso Muff Potter, che più di una volta gli ha aggiustato l'aquilone, durante il periodo di prigionia di quest'ultimo, ogni giorno gli porta di nascosto qualcosa da mangiare e gli fa visita al di là delle sbarre della buia prigione.

 IL NOME DI THOMAS SAWYER A MIO AVVISO NON E' CASUALE!!!!

La mia simpatia verso questo ragazzino è evidente...
Per cui, prima di chiudere il post, vorrei chiarire dei significati precisi a proposito del nome completo del protagonista.

Parto dal cognome. In "Sawyer", notate che c'è il passato di "see" (=vedere)?
Il passato è proprio "saw": "vide, vedeva, ha visto".
Ecco, io ho pensato al fatto che Twain non abbia creato questo cognome a caso.
"Saw" in inglese corrisponde al perfetto greco οἶδα (oida), che ugualmente si traduce con "ho visto".

HO VISTO, quindi per questo IO SO.

Tom Sawyer ha visto la scena del delitto, ne è rimasto impressionato, ma, proprio perché lo ha visto, SA come sono andate esattamente le cose. Sa che è stato Joe il Pellerossa a piantare una coltellata al petto del medico e sa che Muff Potter, in quel preciso istante, era svenuto a causa di un colpo in testa infertogli dal giovane medico durante un litigio.
"Sawyer", quindi come a dire: testimone. Testimone di giustizia e di verità!

Anche il nome Thomas meriterebbe un'accurata ricerca, ma non da tesina etimologica, proprio da tesi di dottorato in linguistica, secondo me!
E' un nome che custodisce delle belle curiosità!!
Precisiamo innanzitutto che, proprio come il mio nome, nemmeno questo è un nome indoeuropeo.
Il mio nome deriva dall'ebraico, Thomas invece è aramaico, la lingua parlata da Gesù e dai suoi apostoli.
Non so bene come sia giunto in Europa un nome del genere, ma il punto è che è divenuto la variante multilingue dell'italiano "Tommaso"
Sì però in aramaico è "Toam", la "h" e la "s" sono state aggiunte dagli ecclesiastici europei molti secoli dopo, in epoca medievale, per "latinizzare" il nome.
Il significato? "Gemello".

Ma Tom Sawyer non ha gemelli.
Però ha più di un'anima gemella.
Twain, ad un certo punto del libro, dice che Joe Harper e Tom Sawyer sono più di due amici, sono due anime gemelle, perché talvolta capita che pensino alla stessa cosa nello stesso momento oppure che prendano una decisione alla quale entrambi hanno pensato.

E poi, io aggiungerei che anche con Huck c'è un'intesa perfetta, da anime gemelle simili, che tuttavia prendono l'uno qualcosa dell'altro: con Huck, Tom ha in comune la vivacità e l'irrequietezza.
Huck però è analfabeta, Tom gli insegna come tracciare le iniziali del suo nome.
Da Huck, Tom prende l'abitudine di uscire di notte e di dormire all'aperto.
Da Tom, Huck acquisisce la voglia di imbattersi in avventure strane e... parecchio pericolose!

Con Becky è diverso, ma anche Becky è un'anima gemella in un certo senso. I due ragazzi insieme si completano: l'una timidissima, l'altro molto spavaldo e spontaneo nei sentimenti. Lei con la lacrima a portata di palpebra, lui molto forte e molto rassicurante, anche nelle situazioni più sconfortanti, come l'episodio della caverna. Becky scolara modello, Tom il peggiore della classe, per rendimento e per comportamento. L'una molto introversa e riservata, l'altro molto "caloroso" e affettuoso.
Eppure, entrambi attratti l'uno dall'altra ed entrambi con alcuni lati caratteriali comuni: l'orgoglio, la sensibilità, la voglia di sognare.

Tom Sawyer in un certo senso è alla ricerca di "anime gemelle" e le trova e se le coltiva. Cresce con loro.

"Gemello" significa "nato nello stesso giorno e nello stesso anno di un altro individuo"; "anima gemella" significa non "essere esattamente uguale all'altro", come credevo io qualche tempo fa.
Significa "intesa, armonia, complementarietà".
Forse Twain conosceva un po' di significati di nomi propri e quindi forse ha messo al ragazzino il nome "Thomas" per uno scopo ben preciso: mettere in evidenza anche il fatto che egli non è solo al mondo, ma che può trarre delle soddisfazioni almeno nelle relazioni con ragazzi vicini alla sua età!

Oppure ha scelto questo nome per il protagonista semplicemente perché gli piaceva, senza farsi tutti gli intricati ragionamenti che sto facendo io!