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30 gennaio 2021

"A spasso con Bob":

Film stupendo (visto 3 volte nel giro di una settimana da un'amante dei gatti come me) consigliatomi da Simone e basato su una storia vera e tratto dal romanzo scritto da James Bowen e intitolato A street cat named Bob.

Anche questo film dunque è un adattamento culturale ispirato ad un libro.


GLI ADATTAMENTI NELLA NOSTRA EPOCA:

Prima di iniziare ad esporre la trama del film vorrei spiegare che cosa sono gli adattamenti e in che cosa consistono esattamente.

Che cosa sono gli adattamenti? 

Adattare, etimologicamente, significa rendere idoneo. La cultura occidentale è molto ricca di adattamenti, sviluppati soprattutto a partire dal post-moderno (inizio anni '70). 

Tra gli esempi più recenti di adattamenti vorrei ricordare il film di Giacomo Campiotti basato sul romanzo di Alessandro D'Avenia Bianca come il latte, rossa come il sangue. Questo è un ottimo esempio di adattamento culturale secondo me: gli adattamenti sono "arte che deriva da altra arte", quindi, adattare significa interpretare e creare, quindi, non c'è affatto l'obbligo di prestare cieca fedeltà alla storia alla quale ci si rifà. 

Gli adattamenti possono implicare o un cambio di medium (dal romanzo al film), o un cambio di genere (ad esempio, dal racconto al copione teatrale) o addirittura un cambio di lingua (come ad esempio le traduzioni dal greco antico all'italiano contemporaneo di brani dall'Iliade per gli studenti delle scuole medie o per gli studenti di scuole superiori diverse dal liceo classico).

Impossibile dunque pretendere che un film sia esattamente uguale al romanzo di partenza. 

I film, come anche le serie televisive, sono degli audio-visivi, quindi:

A) Non possono rendere bene i pensieri dei personaggi, il "pensato ma non detto".

B) Le immagini di qualsiasi file audiovisivo scorrono continuamente, quindi, registi e sceneggiatori si ritrovano quasi sempre costretti a "tagliare" alcuni episodi presenti invece nei romanzi di partenza.

LINEE ESSENZIALI DELLA TRAMA DEL FILM:

Il film è ambientato nei quartieri periferici di Londra, caratterizzati da miseria, poca pulizia, traffico di droga e arredamenti delle case estremamente semplici. Una Londra che per forza non ho potuto conoscere quando, all'inizio della quarta liceo, sono andata una settimana in stage in Inghilterra.

Il protagonista James è un giovane artista di strada. All'inizio del film non ha una casa, è talmente povero da trovarsi costretto a cercare cibo nei cassonetti e, cosa ancor peggiore, è solo, è trattato male da tutti quelli che incontra ed è praticamente senza famiglia: i suoi genitori si sono separati circa vent'anni prima e suo padre, naturalmente, si è fatto un'altra famiglia. 
Per di più, James è dipendente dall'eroina.

E qui vorrei scrivere due parole sui poveri e sulla gente sola che si trova costretta a vivere per strada. La crisi sanitaria, sociale ed economica di questo periodo ha purtroppo incrementato le condizioni di povertà  non soltanto delle famiglie. E questo primo mese del 2021, con le sue temperature decisamente rigide, ha fatto abbastanza strage di clochard. E' stato un gennaio decisamente crudo e se lo dico io che di solito non soffro il freddo, vuol dire che è vero (stamattina ad esempio alle 8 e 20 c'erano -3°C!!).

A distanza di alcuni mesi sono ancora oltremodo scandalizzata da un discorso della virologa Ilaria Capua: "Il virus porterà la decrescita felice, saremo meno ricchi ma cambieremo il modo di gestire le risorse economiche". Fa male, fa molto male la signora Ilaria Capua a pontificare e a sentenziare dall'altra parte dell'Oceano Atlantico su argomenti e su questioni delle quali lei non è certo competente. Signora Capua, lei è di fatto in una campana di vetro, è ricca, è mantenuta dai suoi amici americani (trumpisti, in Florida sono quasi tutti trumpisti) e quindi non può sapere cosa sta accadendo in Italia. Io svolgo servizio come cassiera in un Emporio caritas: lo sa, signora Capua, che dall'altra parte della cassa vedo e incontro padri e madri di 40, 50 anni che devono garantire un futuro ai figli?! Ovviamente non mi danno soldi per gli alimenti di cui hanno bisogno: gli alimenti in un emporio caritas valgono un certo numero di punti, non di soldi. Ilaria, Capua, si rende conto che la gente ha bisogno di lavoro, di dignità e di libertà?! Non esiste solo il Covid!! 

E basta, basta, basta umiliare e mortificare i cittadini con il "giochetto" dei colori giallo, arancione e rosso che separa famiglie, parenti e amici!!!!! 

IO STO MALE PERCHE' IN QUESTO MODO NON POSSO PIU' COLTIVARE LE RELAZIONI CHE VORREI!!!

Tra l'altro, la Capua non diceva a marzo che il Covid-19 era soltanto un raffreddore? Ma siamo sicuri che sia veramente laureata e dottorata?! E' piuttosto saccente e presuntuosetta questa donna... Non credo sia una grande perdita per noi non averla più in Italia.

Ad ogni modo, tornando al film, c'è, già nella prima parte del film, una persona che prova compassione per la situazione di James: si tratta di Val, una sorta di assistente sociale.

E' molto bella e positiva la figura di Val perché, pur non conoscendo James, gli dà fiducia: non soltanto gli dà un tetto sotto la testa ma gli offre anche l'importante opportunità di seguire per qualche settimana un percorso che lo aiuti ad allontanarsi dall'eroina, ovvero, gli ordina di sostituire quotidianamente una dose di metadone a quella di eroina.

Un sera, non molti giorni dopo essersi stabilito nella sua casa popolare, James trova in cucina un gatto arancione che sta mangiando i suoi fiocchi di mais. Si tratta di un gatto randagio che James chiama "Bob". 

E, a partire da qui, due vite e due solitudini si intrecciano a meraviglia! 

James porta con sé Bob quando va a suonare per i quartieri di Londra; in realtà, il simpatico Bob gli sale sulla spalla, come se volesse vedere strade, palazzi e monumenti dalla stessa prospettiva di James.

Da quando Bob è presente nella sua vita quotidiana, i guadagni del giovane artista migliorano notevolmente, anche perché Bob incuriosisce e attrae i passanti standogli sempre accanto e riposando talvolta sopra la cassa armonica della chitarra.

Piuttosto significativa è la figura di Betty (Elisabeth), veterinaria che porta il peso di un passato doloroso dal momento che aveva un fratello pittore eroinomane. 

I momenti più toccanti del film sono sicuramente quelli in cui questa ragazza ricorda la morte del fratello maggiore come se avesse perduto per sempre una parte di lei: Mi proteggeva sempre. Aveva 28 anni.


JAMES BOWEN:

Vi dicevo all'inizio del post che questo film è un adattamento del libro di James Bowen, pubblicato nel 2012, divenuto best seller molto presto (ha venduto 1 milione di copie soltanto nel Regno Unito). 

James, londinese, nel 2007 era un tossicodipendente che cercava di uscire dalla sua dipendenza dall'eroina. Nell'autunno di quell'anno aveva incontrato un gatto randagio ferito e abbandonato per la strada e lo aveva chiamato Bob.

Pare che James Bowen sia riuscito a disintossicarsi grazie a un percorso di supporto psico-sociale e anche grazie alla compagnia del gatto!

PARISE, RACCONTO "ANIMA", I SILLABARI:

La prima volta che ho visto questo film ho pensato a questo racconto di Parise il cui protagonista è un cane di nome Bobi e la cui trama è estremamente semplice: Bobi è un cane randagio che cerca cibo per strada e anche nelle spazzature. Un uomo gli ha costruito un casotto con gli scatoloni Barilla, ma senza compromettersi più di così nei confronti di Bobi. 

Bobi lo attende per qualche giorno, forse con la speranza di venire adottato, di poter avere un padrone e una casa. Ma l'uomo non ritorna e il cane allora vaga per le strade semi-deserte e battute dal caldo sole di giugno. Trova la compagnia dei suoi simili, cioè, di altri cani.

Vi riporto il finale del racconto, proprio le ultime frasi:

Quello a tre zampe (il cane) tentò di ravvivare la domenica (il sole però stava calando) con due bussolotti, poi con l'inseguimento di un camion-rimorchio ma nessuno lo seguì salvo Bobi che si fermò dopo cento metri, ubriaco di fumo di nafta. Deviò a destra del camion-rimorchio barcollando e in quel momento fu investito da una motocicletta che frenò, sbandò e riprese la corsa. Il colpo gli fece molto male ma Bobi arrivò piano piano fino al casotto e lì, senza più aspettare il padrone che non arrivava mai, morì. Per puro caso, il giorno dopo, passò di lì il padrone, insomma, quello che Bobi era convinto fosse il padrone, e ricordando con grande dolore passeggero Bobi e certe sue distrazioni si domandò (o si disse?) una cosa molto bella e degna di lui: "I cani hanno l'anima".

La docente di Storia dell'italiano letterario la primavera scorsa, in una delle sue lezioni a distanza, aveva davvero ragione a dire che i Sillabari avrebbero dovuto essere rivisti dall'autore dal punto di vista della forma. Aveva riportato, nelle sue slides, altri esempi di racconti ma anche in questo brano Parise scrive come potrebbe scrivere un ragazzino che in italiano scritto ha un livello più che sufficiente ma non certo brillante:

1) Parentesi superflua (il sole però stava calando). Se l'autore ci teneva tanto a specificare che siamo quasi alla fine del giorno, poteva scriverlo poco prima della frase: Quello a tre zampe  tentò di ravvivare la domenica.

2) Correctio (con "insomma"), tipica della lingua orale. Ma io non lo accetterei nei temi e nella lingua scritta: insomma, quello che Bobi era convinto fosse il padrone.

3) con grande dolore passeggero: Che significa? Che la commozione dell'uomo per la morte di Bobi è sincera ma dura soltanto per un istante? Non è il modo adeguato di esprimerlo.

4) e certe sue distrazioni: Quali? Poco chiaro anche questo.

A di là della forma però, in questo breve racconto c'è un messaggio giusto, delicato: gli animali, anche se non sono creature pensanti, anche secondo me, soprattutto cani e gatti, hanno la capacità di comprendere chi vuole loro davvero bene e hanno dei sentimenti. Non solo: addirittura io arrivo a pensare che spesso, soprattutto i gatti, riescano a intuire gli stati d'animo dei padroni.

STORIA DI FUMINO:

Approfitto di questo post per raccontarvi la storia di questo bel gattino nero... Ex gattino, perché ormai ha poco più di un anno. Ma resta sempre il mio piccolo Fumino!


Io e i miei lo abbiamo accolto in casa ai primi giorni di novembre del 2019. Prima di essere adottato da noi, è stato rinchiuso, con i suoi fratellini, altri due gattini arancioni, in una scatola chiusa con lo scotch  vicino ai bidoni della spazzatura, nei pressi di Borgo Roma. Una signora, conoscente di un'altra nostra conoscente e compaesana, li ha trovati ma non poteva tenerli nel suo piccolo appartamento, e così ha diffuso via Whatsapp delle immagini e dei piccoli video dei tre gattini con la speranza di trovar loro delle "famiglie adottive".

Fumino (Fumo) è stato l'ultimo a trovare famiglia. E ha trovato noi! 

Per tutto l'inverno scorso è stato in casa ha diviso il mio studio con me: gli ho procurato un cestino, una coperta, una ciotola, una lettiera sotto ad una finestra e dietro al mio divano. Diverse volte  mi ha vista studiare, mi ha vista ripassare quello che era l'ampio programma di letterature comparate e ha sentito alcune lezioni di critica letteraria, di latino, di italiano letterario. Per questo è un gatto alfabetizzato!

E' cresciuto e si è "trasformato" nel modo di comportarsi: lo scorso anno, per qualche mese era molto agitato e nervoso, graffiava, e mordeva anche le nostre ciabatte e i nostri maglioni. Ma quando ha capito che qui era accudito, non abbandonato e maltrattato, ha iniziato a "cambiare carattere" e anche a diventare un pochino ruffiano.




22 gennaio 2021

Leone Ginzburg, intellettuale antifascista di origini ebraiche:

Mancano davvero pochi giorni alla giornata della memoria. Quest'anno vorrei proporvi una sintesi della vita di Leone Ginzburg, primo marito dell'autrice di Lessico famigliare e di molti altri romanzi e racconti. 

Magari dal Paradiso Natalia sa che sto cercando, leggendo e reperendo tutte le fonti, le biografie, gli articoli e i saggi esistenti per scrivere una tesi su di lei. Certamente sono guidata nel lavoro, ho ricevuto anche diversi consigli ma sono arrivata ad un punto di ricerca in cui tutte le fonti su di lei che trovo negli elenchi delle biblioteche le voglio.

E forse lei sa anche che sto scrivendo un post sul mio blog ormai virale su quello che è stato il suo vero amore.

Ad ogni modo, sono un po' commossa oggi nel dedicare del tempo a Leone, giovane di straordinaria intelligenza.

Vi ricordo che in origine il cognome di questa autrice del Novecento era Levi dal momento che era figlia di Giuseppe Levi, medico e docente universitario di anatomia presso varie facoltà di medicina italiane (prima a Firenze, poi a Sassari, poi a Palermo, poi ancora a Torino e, all'inizio della seconda guerra mondiale, a Liegi in Belgio). Ginzburg era il cognome di Leone, che poi lei, rimasta vedova, ha assunto per sempre.

1. ORIGINI E FORMAZIONE CULTURALE DI LEONE GINZBURG:

Leone Ginzburg era nato a Odessa (Ucraina) il 9 aprile 1909 da una famiglia di origine ebraica. Era il terzo di tre figli. Fin dai primi anni di vita era solito trascorrere, con la madre e con i fratelli, l'estate a Viareggio. 

Odessa nel secolo scorso

Ben presto aveva imparato a parlare l'italiano come il russo. Nel 1914, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, di fronte ai pericoli di un viaggio di ritorno in Ucraina, sua madre Vera aveva affidato Leone alla governante Maria Segre e così  il bambino aveva frequentato le elementari a Viareggio. 

Alcuni anni più tardi, nel 1923, la famiglia di Leone si era trasferita a Torino e in questa città Leone aveva iniziato a frequentare il liceo Massimo d'Azeglio, scuola in cui aveva stretto amicizia, oltre che con Mario e con Alberto, fratelli di Natalia, anche con alcuni compagni di classe divenuti, alcuni anni dopo, figure culturali molto significative per l'Italia. Mi sto riferendo a Cesare Pavese, Vittorio Foa e Giulio Einaudi.

Leone era indubbiamente uno studente brillante, descritto sia da Foa che da Pavese come un ragazzo dall'intelligenza e dalla maturità precoci, affamato di letture e di conoscenze.

In un'intervista inoltre, Vittorio Foa ricordava molto positivamente il l'insegnante di lingua e letteratura italiana:

... Augusto Monti era un sincero antifascista e fu condannato con me dal Tribunale speciale nel 1936: egli non disse mai nelle sue lezioni la parola "libertà" ma ci leggeva Dante, Boccaccio e Ariosto  in modo da farci capire che l'arte è un valore che non può essere contaminato dalle contingenze politiche".

Dopo la maturità classica, il ragazzo si era iscritto a Legge ma, dopo appena un anno, era passato a Lettere. 

Durante gli anni in cui era studente universitario, Leone si incontrava ogni settimana al Caffè Rattazzi con Einaudi, Pavese, Foa e con il professor Monti per discutere di politica, di letteratura e di musica. 

A 21 anni, ovvero, la maggior età dell'epoca, Leone Ginzburg aveva ottenuto la cittadinanza italiana. 


A 22 anni questo brillantissimo ragazzo stava lavorando ad una traduzione di Anna Karenina e scriveva inoltre anche degli articoli di recensioni di letteratura russa e francese sulla rivista culturale La Critica. Non si faceva troppi problemi a manifestare il suo dissenso verso il fascismo.

Diceva Vittorio Foa a questo proposito: 

Egli aveva assunto la tradizione italiana come fondamento del suo antifascismo. Aveva bisogno di conquistare un'identità nazionale e dentro questa identità legittimare il suo antifascismo. Secondo me Leone sentiva che l'acquisizione di un'identità nazionale era una condizione indispensabile per potersi muovere politicamente.

Leone si era laureato nel 1932 con una tesi su Guy de Maupassant. Nello stesso anno, grazie ad una borsa di studio, aveva trascorso alcuni mesi a Parigi. Lì aveva incontrato Benedetto Croce e altri italiani antifascisti esiliati dalla dittatura di Mussolini, come Carlo Rosselli, Sion Segre ed Emilio Lussu. Con loro aveva fondato il movimento "Giustizia e Libertà".

Alla fine del 1932 Leone aveva ottenuto una cattedra all'Università di Torino in Letteratura russa, perduta nel 1934, visto che si era rifiutato di  prestare il consueto giuramento di fedeltà al Partito Fascista. 

Desidero che al mio insegnamento non siano poste condizioni se non tecniche o scientifiche. Non intendo perciò prestare il giuramento sopra accennato.

Così scriveva Leone in una lettera risalente all'8 gennaio 1934 al Rettore.

2. LEONE GINZBURG INCONTRA NATALIA:

Giugno 1933. Natalia, studentessa liceale di 17 anni (era nata nell'estate del '16), era stata rimandata al terzo anno di liceo con tre debiti: greco, latino e matematica. 

Studiare non le interessava, scriveva, scriveva sempre invece di studiare. D'altronde, per Giuseppe Levi, non era importante che le figlie si impegnassero nello studio; casomai era importante che si sposassero. In questo non era affatto diverso dai padri piccolo-borghesi del primo Novecento.

Comunque, in una sera di quel giugno molto caldo, Natalia era seduta di fronte alla scrivania della sua stanza e stava scrivendo un racconto che aveva deciso poi di intitolare Un'assenza.

In un suo saggio sulla tecnica narrativa di Natalia Ginzburg, la studiosa americana Clotilde Soave Bowe riassume i contenuti di questo racconto: ci sono due coniugi in crisi. 

Il personaggio più importante però è il marito e il racconto è narrato dal suo punto di vista: quando la moglie lo lascia per trasferirsi a San Remo, inizialmente lui pensa al suicidio ma non lo attua, anzi, inizia una squallida relazione con una prostituta.

Mario, fratello di Natalia, aveva fatto leggere Un'assenza a Leone. E a Leone era piaciuto molto, al punto tale che aveva deciso di farlo pubblicare sulla rivista Solaria. 

Nell'inverno 1934, Leone aveva poi inviato un secondo racconto di Natalia a Solaria, intitolato I bambini.

Natalia, sin da bambina, aveva avuto molta paura della violenza e dell'oppressione dei fascisti. 

Ma, nel biennio 1933-1934, non era molto informata sull'attività politica clandestina di Leone: in quel periodo, nemmeno immaginava che nel '38 quel giovane intellettuale sarebbe divenuto suo marito. 

Molte fonti biografiche dicono che per un po' di tempo lei si sentiva "inadeguata" di fronte alla personalità forte e determinata di Leone. D'altra parte, c'erano sette anni di differenza e quando si è dei giovani al di sotto dei 30 anni, spesso questo non è un fattore di poco conto: al momento del fidanzamento Natalia aveva 18 anni e Leone 25.


3. IL CARCERE E IL MATRIMONIO:

La partecipazione attiva al movimento di "Giustizia e Libertà", poi importato a Torino, e la costante distribuzione di opuscoli antifascisti erano costati a Leone l'arresto e la condanna a quattro anni di carcere presso il Tribunale Speciale. Siamo ancora nel 1934. 

Due anni dopo, grazie ad un'amnistia, era stato scarcerato. In quei due anni di carcere lui e Natalia si tenevano in contatto attraverso delle lettere. Leone era tornato libero dunque, ma era vigilato speciale e non poteva uscire dopo il tramonto: ogni sera la polizia suonava a casa sua per verificare che fosse davvero in casa. Come manteneva e come coltivava allora la sua relazione con Natalia? Durante i pomeriggi andavano a passeggio per Torino e a volte si fermavano in qualche caffè.

Nella seconda metà degli anni '30, Leone era stato assunto presso la casa Editrice Einaudi, fondata nel '33.

Natalia nel frattempo era riuscita a diplomarsi. Si era iscritta alla facoltà di Lettere ma, come ammetteva anche lei, studiava con disordine e senza impegno e aveva lasciato gli studi senza laurearsi mai.

E, il 12 febbraio del 1938, Natalia e Leone si erano sposati. Con lei che, nel corso degli anni e nel corso della sua crescita umana, era divenuta consapevole del fatto che era proprio Leone la persona giusta, con la quale si creava "un'atmosfera di pace infinita".

Fra l'adolescenza e la prima età adulta, Natalia aveva compreso che l'amore vero non è tanto quello narrato in alcune poesie e in alcuni libri in cui si idealizza la persona amata. O almeno, aveva compreso che questa fase di "idealizzazione" e di "sublimazione" non può durare per sempre ma matura in un affetto che accetta tutti i lati del carattere dell'altro. 

L'amore vero è sentirsi accolti, ascoltati, è dono di sé ed è sapere di potersi affidare. Con Leone le cose stavano esattamente così.

Nella seconda metà del '38 erano entrate in vigore le leggi razziali fasciste, motivo per cui Leone era divenuto apolide. Era iniziata una campagna antisemita molto violenta, sulla stampa e alle radio. 

Nicola Ginzburg, fratello di Leone, era emigrato in America con la moglie. Ma Leone non voleva allontanarsi dall'Italia e nemmeno Natalia.

Nel '39 era nato Carlo, primo figlio. L'anno dopo Andrea. Per Natalia, l'esperienza della maternità diviene travolgente, al punto tale che, per un periodo, persino la scrittura diventa insignificante.


4. IL CONFINO IN ABRUZZO:

Il 10 giugno 1940 l'Italia era entrata in guerra e Leone, considerato ancora un "cospiratore pericoloso", era stato mandato a Pizzoli in Abruzzo come internato di guerra. Non poteva lasciare Pizzoli senza permesso e ogni giorno era tenuto a presentarsi alla stazione di polizia. Natalia, che aveva appena partorito, lo aveva raggiunto con i figli alcuni mesi dopo.

Le prime pagine delle Piccole virtù iniziano proprio con il racconto, prettamente reale e autobiografico, dell'esilio dei coniugi Ginzburg a Pizzoli. In quei tre anni di esilio, Natalia aveva nel frattempo scritto altri racconti e un romanzo, dal titolo La strada che va in città, pubblicato sotto lo pseudonimo di Alessandra Tornimparte.

Sotto la supervisione di Leone, inoltre, Natalia in quegli anni stava traducendo anche La strada di Swann di Proust.

Nella primavera del '43 era nata Alessandra, l'ultima figlia di Natalia e Leone.

Il 25 luglio 1943, si era diffusa la notizia della caduta del regime fascista. Leone era immediatamente partito per Roma per prendere contatti con il Partito d'Azione, partito radical-democratico. Nell'autunno del '43, dopo l'armistizio e all'inizio della guerra civile tra nazi-fascisti, partigiani e alleati anglo-americani, Leone aveva assunto la direzione del Partito d'Azione e inoltre lavorava in una tipografia clandestina. Natalia lo aveva raggiunto a Roma il 1 novembre 1943, anche per sfuggire ai rastrellamenti che venivano attuati nei paesi in cui c'erano gli internati di guerra.


5. ARRESTO, PERSECUZIONE, AGONIA E MORTE:

Naturalmente Leone lavorava nella tipografia sotto falso nome ma, lo stesso, il 20 novembre 1943, era stato scoperto e arrestato. Dieci giorni dopo era stato trasferito nel braccio tedesco del carcere di Regina Coeli a Roma. E Natalia, per alcuni mesi, non ne aveva più saputo nulla. Sicuramente veniva torturato.

Come è morto?

E' morto in un modo orribile, che fa davvero piangere! Il 4 febbraio, una volta uscito sanguinante e con fratture multiple dall'ultimo interrogatorio, aveva detto: Non si devono odiare i tedeschi, dopo. Lo aveva sentito dire così Sandro Pertini, rinchiuso anche lui nella stessa zona del carcere. 

La notte era stato male, aveva chiesto all'infermiere di chiamare il dottore, ma l'infermiere gli aveva dato soltanto una tazzina di caffè. 

La mattina del 5 febbraio, Leone Ginzburg era stato trovato morto in cella. Aveva lasciato tre figli molto piccoli e una moglie vedova a ventisette anni.

Emilio Lussu, altro importante membro del Partito d'Azione, sperava di poter organizzare la sua fuga in quei giorni. Ovviamente non ci è riuscito ma è riuscito però a far entrare clandestinamente  a Regina Coeli Natalia che almeno ha potuto, con incredibile dolore, vederlo morto.

Qualche mese più tardi Natalia aveva composto una poesia dal titolo Memoria, in ricordo del suo ultimo incontro con Leone. Ve la riporto qui sotto:

Gli uomini vanno e vengono per le strade della città.
Comprano libri e giornali, muovono a imprese diverse.
Hanno roseo il viso, le labbra vivide e piene.
Sollevasti il lenzuolo per guardare il suo viso,
ti chinasti a baciarlo con un gesto consueto.
Ma era l’ultima volta. Era il viso consueto,
solo un poco più stanco. E il vestito era quello di sempre.
E le scarpe erano quelle di sempre. E le mani erano quelle che
spezzavano il pane e versavano il vino.
Oggi ancora nel tempo che passa sollevi il lenzuolo
a guardare il suo viso per l’ultima volta.
Se cammini per strada nessuno ti è accanto
Se hai paura nessuno ti prende la mano.
E non è tua la strada, non è tua la città.
Non è tua la città illuminata. La città illuminata è degli altri,
degli uomini che vanno e vengono comprando cibi e giornali.
Puoi affacciarti un poco alla quieta finestra
e guardare il silenzio il giardino nel buio.
Allora quando piangevi c’era la sua voce serena,
Allora quando ridevi c’era il suo riso sommesso.
Ma il cancello che a sera s’apriva resterà chiuso per sempre                                e deserta è la tua giovinezza, spento il fuoco, vuota la casa.








15 gennaio 2021

"L'incredibile storia dell'isola delle rose":

Sono secoli che non recensisco più un film qui! Simone mi sta "ri-educando" ai film di valore o almeno, al cercare e vedere film basati su storie realmente accadute che riescano a darmi spunti di riflessione.

 ABBOZZO DI TRAMA:

Rimini, giugno 1968. Giorgio è un giovane laureato romagnolo che ha superato l'esame di stato per diventare ingegnere. 

Dal momento che si mostra piuttosto insofferente verso le regole sociali e verso le leggi, una mattina decide di recarsi con un amico ed ex compagno di università in acque internazionali per poter fondare uno stato libero: montando una piattaforma artificiale in mare aperto, i due uomini realizzano il progetto di costruire un'isola indipendente dallo stato italiano, chiamata l'Isola delle rose. Il presidente dell'Isola delle rose è proprio Giorgio e la lingua ufficiale è l'esperanto. 

Presso l'isola, durante l'estate del '68, accorrono molti giovani, trasportati attraverso delle motonavi.

Questo film presenta l'isola come una sorta di "paese dei balocchi per universitari e neolaureati", visto che mostra, per buona parte del film, un ambiente di 400 metri quadrati di bar e tavolini in cui sembra che si balli e che ci si diverta ogni giorno.


Questo però mi ha fatto pensare a quanti giovani vivono l'Università più o meno come se fossero nel paese dei balocchi. Mi hanno sempre fatto un pochino rabbia quelli che davano/danno al massimo due esami per anno accademico. AHOOO!!! Ma lo sapete che c'è gente del '98 che si è già laureata o che si sta laureando?! (Laurea triennale ovviamente).

A mio avviso non è così che la si vive, l'Università. Andare all'Università non consiste soltanto nel trascorrere delle mezz'ore al bar o a studiare "soltanto gli appunti che prendo a lezione" (non siamo né alle medie né al primo biennio di scuola superiore!!). E come lo passi un esame se non hai mai aperto libri e manuali in programma, che sono fondamentali?!

Gli anni accademici sono decisamente tosti, lo sono stati anche per chi, come me, ha scelto un percorso di studi adeguato ai propri interessi e alle proprie capacità. Se si vuole uscire in tempi decenti dall'Università è necessario affrontare seriamente il  percorso. Io i voti che ho me li guadagno, nulla mi è mai stato regalato.

IL TEMA DELLA LIBERTA':

E' stata una domanda che mi è sorta spontaneamente quando ho visto questo film, cioè, circa 10 giorni fa: che cos'è la libertà per Giorgio?! Cioè, per questo giovane uomo che ha appena terminato un ciclo di studi molto impegnativo, a che cosa equivale la libertà? A svincolarsi sia dalle regole sociali che da quelle di convivenza civile? O anche a "fare quello che voglio"? 

Perdonatemi, ma in un certo senso la libertà è "fare ciò che si vuole" o anche "fare ciò che piace": vuoi, in piena pandemia di morti e contagi da Covid-19, organizzare una festa con 126 invitati?! Puoi farlo, sei libero di farlo, ma poi assumiti le tue responsabilità e prendi atto delle conseguenze che ne derivano se metti a repentaglio la salute pubblica. 

Il virus c'è e purtroppo corre da una persona all'altra alla velocità di Saetta McQueen, sono stanca di dirlo e di ripeterlo e, detto sinceramente, ne ho le scatole piene della situazione attuale che non migliora nemmeno un po', anche per incompetenza degli attuali politici, non soltanto per irresponsabilità del "popolo".

In che cosa consiste per me la libertà?

Nell'essere se stessi. Nel costruirsi una propria identità, vera, autentica nei rapporti con gli altri e determinata nel realizzare dei progetti di vita, senza farsi condizionare dai giudizi altrui. 

In certi momenti ripenso al mio percorso di vita e arrivo puntualmente a concludere che la mia capacità di empatia verso gli altri è ciò che spesso mi rende libera. Ho il dono di sapermi immergere mentalmente e per alcuni secondi nelle situazioni altrui e di chiedermi sempre: come mi sentirei, cosa farei se fossi al suo posto? Sono queste domande che mi rendono spesso predisposta all'altruismo e al rispetto di ciò che è altro da me.

Sono convinta che nessuno possa e riesca a fuggire dalla società e dal proprio ruolo professionale e famigliare. Però, nella vita reale, ci si può stare. Ci si può stare accettando, pirandellianamente, sia la complessità del reale sia la complessità dell'IO, investito da responsabilità sociali, familiari e morali, caratterizzato da una psiche in continuo divenire, formata anche da quegli aspetti che non si conoscono o che non si vogliono riconoscere.

Poco distante dalla sponda veronese del lago di Garda, fra Brenzone e Malcesine, due paesini suggestivi ai piedi delle montagne, c'è un'isoletta stra-piena di alberi.


Non so il nome di quest'isoletta, so soltanto che, quando, alcuni anni fa, durante le vacanze di Natale, potevo trascorrere con i miei genitori qualche giorno al di fuori del mio comune, percorrevamo inevitabilmente con l'automobile la strada in riva al lago e, ad un tratto, compariva quest'isoletta piena di alberi sempreverdi. 

In certi momenti  particolarmente grigi, anche quando subivo le derisioni, le falsità e le doppie facce delle mie coetanee, quando non mi sentivo compresa dagli altri, ho immaginato di potermi trasferire lì: "Se ci fosse anche una casetta di legno", pensavo.

LA CONTESTAZIONE GIOVANILE DEL '68:

Ovviamente io non posso averla vissuta. 

L'hanno fatta, vissuta, o comunque magari vi hanno partecipato, soprattutto i nati tra la metà degli anni '40 e l'inizio degli anni '50.  

Il 1968 è l'anno della contestazione giovanile europea. Vorrei riportarvi in parte una poesia di Pier Paolo Pasolini intitolata "Il PCI ai giovani", relativa agli eventi del '68 in Italia, Pasolini aveva quasi 50 anni all'epoca e a proposito dei giovani borghesi contestatori si esprime così:

(...)

Avete facce di figli di papà.
Vi odio come odio i vostri papà.
Buona razza non mente.
Avete lo stesso occhio cattivo.
Siete pavidi, incerti, disperati
(benissimo!) ma sapete anche come essere
prepotenti, ricattatori e sicuri:
prerogative piccolo-borghesi, amici.

Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte
coi poliziotti,
io simpatizzavo coi poliziotti.
Perché i poliziotti sono figli di poveri.
Vengono da periferie, contadine o urbane che siano.
Quanto a me, conosco assai bene
il loro modo di esser stati bambini e ragazzi,
le preziose mille lire, il padre rimasto ragazzo anche lui,
a causa della miseria, che non dà autorità.

(...)

Hanno vent'anni, la vostra età, cari e care.

(...)

I ragazzi poliziotti
che voi per sacro teppismo (di eletta tradizione
risorgimentale)
di figli di papà, avete bastonato,
appartengono all’altra classe sociale.
A Valle Giulia, ieri, si è così avuto un frammento
di lotta di classe: e voi, cari (benché dalla parte
della ragione) eravate i ricchi,
mentre i poliziotti (che erano dalla parte
del torto) erano i poveri. Bella vittoria, dunque,
la vostra! In questi casi,
ai poliziotti si danno i fiori, cari.

Ad alcuni sessantottini dobbiamo comunque sicuramente un grazie per aver insistito nel rendere obbligatoria anche una sessione d'esami invernale, che tra l'altro, in triennale è stata quella che io ho voluto sfruttare di più. Prima dell'inizio degli anni '70, gli appelli di gennaio-febbraio non erano obbligatori né regolari per i docenti.

Ho uno zio che ha frequentato l'università a metà degli anni Settanta e, di tanto in tanto, mi dice che anche quel decennio del Novecento era piuttosto caotico, dal momento che sono avvenuti attacchi terroristici delle Brigate Nere e delle Brigate Rosse e dal momento che c'era confusione negli ambienti universitari: andavi a lezione e non trovavi il professore, assegnavano le aule piccole a docenti che durante il loro semestre avevano molti allievi che seguivano le loro lezioni, certi appelli "straordinari", cioè, fuori sessione, li mettevano alle 6 del mattino o alle 22 della sera...

Pasolini, come avete potuto leggere, è piuttosto duro nel giudicare i sessantottini, ma io credo che, tra di loro, ci fosse di tutto: sia dei giovani che contestavano il sistema di allora per chiedere opportunità e maggior spazio sociale (come le assemblee d'istituto), sia dei giovani aggressivi, estremamente polemici e prepotenti che creavano caos nelle strade cittadine.

La gioventù è futuro, certamente

Io sono stata adolescente durante la presidenza di Obama e giovane universitaria durante l'emergere della guerra fredda fra Cina e Stati Uniti, dei problemi planetari ecologico-ambientali e durante una pandemia. Tutti questi eventi dei quali sono stata informata mi portano a dire che la gioventù è anche il presente della nostra società.

Il protagonista ventiquattrenne di Into the wild dimostra che una gioventù seria, semplice e autentica può addirittura riuscire a far capire il vero senso della vita agli adulti anestetizzati dal consumismo e dalla frenesia.

Però, ritengo giusto evidenziare che buona parte dei ventenni-venticinquenni di adesso non sono affatto degli idealisti-rivoluzionari. 

Si tratta dei nativi o comunque quasi nativi digitali. 

Sono forse fin troppo realisti e disillusi riguardo alla vita, spesso perché nessuno, né in famiglia né al di fuori, li ascolta o li fa sentire accolti. Certi giovani di adesso stanno semplicemente a galla con una barchetta, in un mare aperto e troppo vasto che fa paura e che li fa sentire soli e inadeguati non soltanto di fronte a ciò che è imprevedibile ma anche di fronte al mondo dello studio, del lavoro, dell'affettività.

COSA C'E' DI VERO IN QUESTO FILM DI SYDNEY SIBILIA?

Nel '68, l'ingegnere Giorgio Rosa aveva davvero realizzato una piattaforma artificiale a sei miglia da Rimini, al largo della Riviera romagnola, desiderando che divenisse uno stato indipendente dalla penisola italiana. L'Isola delle Rose godeva di un inno nazionale, di una bandiera e di una lingua ufficiale, l'esperanto per l'appunto.

L'isola è stata demolita nel febbraio del '69. (Anche se l'avessero lasciata, dico io... Almeno sarebbe stato un ulteriore punto di ritrovo tra giovani!).

Massimo Franchini, in una recente intervista alla Stampa, dichiara a proposito dei mesi in cui è esistita la piattaforma: 

Nel '68 lavoravo sulla motonave di mio padre, la Marinella, in estate. Fra le 10.30 e le 11 trasportavamo i turisti per vedere l'Isola delle Rose. Non c'era, come invece c'è nel film, ombra di un bar. Forse però c'era un casinò. Ho sempre visto poche persone comunque sull'isola.



5 gennaio 2021

La transizione dal tempo di Natale al tempo ordinario:

Con domani termina il tempo di Natale e il 10 gennaio sarà la domenica in cui ci si ricorderà del Battesimo di Cristo. Fino ad allora si potranno tenere addobbi, albero e presepe (quest'anno mi dispiace davvero troppo toglierlo!)

Non so trovare un titolo migliore a questo post, ma vorrei qui proporvi la strofa di una poesia anglo-americana, un breve estratto del libro Semplice come il Natale di Fra' Mattia Negri e due dipinti sul Battesimo di Cristo.

"MUSEE DES BEAUX ARTS", W.H. AUDEN, 1940:

Nel 1938, Auden, poeta americano (nato a New York nel 1907), visita il Museo delle Belle Arti di Bruxelles. Rimane particolarmente colpito da alcuni dipinti di Pieter Bruegel, pittore olandese vissuto nel XVII° secolo. Sono soprattutto le opere di Bruegel a permettergli di sviluppare delle considerazioni sulla sofferenza umana che trascende spazio e tempo e riguarda ogni essere umano sulla Terra.

La poesia è composta da due strofe: la prima si riferisce ai dipinti relativi alla Natività di Gesù, l'altra invece riguarda un tema mitologico sviluppato a partire dall'osservazione del dipinto Paesaggio con la caduta di Icaro.

A me però qui interessa presentare e tradurre soltanto la prima strofa. Perdonate la mia traduzione abbastanza letterale.

About suffering they were never wrong,
The Old Masters: how well they understood
Its human position: how it takes place
While someone else is eating or opening a window or just walking dully along;
How, when the aged are reverently, passionately waiting
For the miraculous birth, there always must be
Children who did not specially want it to happen, skating
On a pond at the edge of the wood:
They never forgot
That even the dreadful martyrdom must run its course
Anyhow in a corner, some untidy spot
Where the dogs go on with their doggy life and the torturer's horse
Scratches its innocent behind on a tree.


Sulla sofferenza non hanno mai avuto torto

i Grandi Artisti: quanto bene avevano compreso

la condizione umana: come (questa) si fa spazio

mentre qualcun altro sta mangiando o sta aprendo una finestra o sta soltanto camminando pigramente

come, quando i vecchi stanno aspettando con riverenza ed entusiasmo

la miracolosa nascita, ci devono sempre essere

bambini che non desideravano in particolar modo che avvenisse mentre pattinano

lungo uno stagno alle soglie di un bosco,

loro (i vecchi) non hanno mai dimenticato

che anche il terribile martirio deve fare il suo corso

anche se in un angolo, in qualche luogo disordinato

dove i cani proseguono la loro vita animale e il cavallo del torturatore

graffia il suo innocente dietro un albero.

vv.3-4: la sofferenza c'è sempre, nel passato e nel presente. Mentre qualcuno sta aprendo una finestra dall'interno di casa sua o anche mentre sta semplicemente mangiando, qualcun altro, da qualche parte, soffre per qualcosa o per qualcuno o comunque subisce un'ingiustizia che genera una sofferenza atroce. Nel mondo e nelle vite quotidiane, male e bene sono compresenti.

v.6: for the miraculous birth: espressione riferita a una natività, non sappiamo se si tratta di un dipinto di Bruegel.

v.10: Dreadful è sinonimo di terrible, awful, appalling. 

Martyrdom: questo sì che è un quadro di Bruegel che raffigura il massacro degli innocenti in un modo singolare:



Il massacro è ambientato in un villaggio fiammingo innevato, quindi già per questo è un modo davvero insolito di rappresentare un episodio biblico. Più che una strage sembra il saccheggio di un villaggio da parte di soldati che sopraggiungono con lance e cavalli anche dallo sfondo. 
Personalmente, mi sento più coinvolta dalla rappresentazione di Giotto degli Scrovegni: lì il dolore e lo strazio traspaiono bene dai volti delle madri, che tra l'altro si trovano in primo piano a destra della composizione.
Qui in Bruegel invece, per quanto possa apparire suggestivo il villaggio innevato, mi sembra che manchi il pathos: ci sono molte figure ma di nessuna di esse lo spettatore può scorgere il volto in modo chiaro.

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ESTRATTO DA "SEMPLICE COME IL NATALE":

L'ho conosciuto, Fra' Mattia. E', oltre che un religioso appartenente ai frati minori dell'Umbria, un ottimo e attento educatore.
Era venuto per una paio di giorni nella mia parrocchia, nel periodo in cui ero all'inizio del corso magistrale e animatrice, per tentare di far comprendere agli animatori delle giuste e umane modalità pedagogiche ed educative per interagire con pre-adolescenti e adolescenti. Sapete che vi dico?(tanto posso dirlo, sono fuori da quasi un anno da quell'ambiente malsano di maleducazione, arroganze e pettegolezzi). Ha detto certamente molte cose interessanti, ma ha sprecato il suo tempo, ha buttato le perle ai porci proprio!!
Ad ogni modo a me, di nascosto dagli altri, aveva regalato un suo libro. 
Semplice come il Natale è composto da due parti e la prima è costituita da una serie di brevi capitoli in cui si ripercorre, con afflato poetico e con grande sensibilità nell'entrare nello stato d'animo degli "eroi del Natale", degli episodi evangelici importanti: l'annunciazione a Maria, la visita ad Elisabetta, il viaggio di Maria e Giuseppe da Nazareth a Betlemme, i pastori che accorrono presso Gesù, il viaggio dei Magi...
Ho scelto di riportarvi il testo del capitolo Cielo stellato. Non si tratta di una scelta casuale. 
Finora questo 2021 non mi sembra granché: il virus c'è eccome (eh certo, non può sparire fra la notte del 31 dicembre e la mattina del 1 gennaio!), i numeri di ricoveri e contagi non calano più e...  potrebbe iniziare una guerra civile negli Stati Uniti. Adesso è ancora più evidente che Trump, oltre a non voler consegnare la presidenza a Biden, ha diviso l'America. 
Non gli permetterà mai di governare.
Per cui, almeno per qualche minuto, questo testo di Fra' Mattia distoglie un po' dalle preoccupazioni e dai gravi problemi del mondo, ricordandoci che, per quanto sia ignoto e incerto il futuro, noi umani siamo fatti per sognare e per sperare. 
Leggetelo lentamente e attentamente e poi, consiglio mio, rileggete quella frase che vi ha colpito di più (io qui sotto riporterò la mia):

Il cielo affascina con miriadi di luci che lo abitano, e la sua notte trapuntata di stelle rapisce gli occhi di tanti che gli hanno consegnato il sonno aprendo il cuore alla meraviglia. La sua volta, solo apparentemente piatta, custodisce profondità nascoste, percorse da una luce che serba il ricordo di distanze abissali. Distanze di spazio e di tempo da percorrere a ritroso se si vuole accedere alla biblioteca del firmamento, che in ogni suo antico scaffale, conserva libri che narrano storie di costellazioni. E ogni pagina di cielo narra vicende lontane che si sono intrecciate con il destino degli uomini; pagine scritte nei cieli dal dito di Dio e trascritte dal dito dell'uomo sulla terra. Pensieri di cielo trascritti su carte lasciate alla custodia di antiche biblioteche nel mondo perché, giunto il tempo propizio, la ricerca insaziabile di qualche sapiente potesse credere che ciò che è scritto in cielo si realizza talvolta sulla terra.
Storie scritte nel cielo che risvegliano storie scritte nell'intimo dell'uomo, spazio celeste che rianima lo spazio celato nell'intimo di ogni individuo. Pagine che si trasformano in mappe dove le stelle divengono bussole capaci di dare una direzione alla vita, di coronare sogni, di mettere nell'anima il desiderio di viaggi verso terre lontane per prendere parte a eventi che possono dare  un senso nuovo alla storia e cambiarla per sempre. 
E se la stella polare ha guidato tanti marinai donando loro la rotta verso la meta, un'altra stella ha guidato chi ha cavalcato le onde del deserto per dare corpo a un'intuizione, per raccontare con la vita che vale la pena mettersi in gioco anche quando la meta è solo intravista. Perché talvolta i lineamenti dell'obiettivo si tratteggiano solo lungo il percorso.

-Il cielo affascina con miriadi di luci che lo abitano, e la sua notte trapuntata di stelle rapisce gli occhi di tanti che gli hanno consegnato il sonno aprendo il cuore alla meraviglia. 
La frase che mi ha colpita è proprio la prima ed è legata ad un sogno che ho fatto ieri notte: era metà luglio. Nella chiesa di Santa Maria Maggiore a Bussolengo Don Marco veniva per la seconda volta ordinato sacerdote. Più nessuno portava la mascherina, la chiesa era affollata e festosa. E io non riuscivo a smettere di piangere. 
Piangevo per una serie di motivi, più che altro legati agli stress subìti: perché avevo da pochissimo terminato l'Università (portavo, nel sogno di ieri notte, la corona d'alloro), perché la pandemia era da pochissimo finita, perché finalmente io e i miei amici, tutti seduti o accanto a me o nelle file poco più indietro, potevamo ritornare a radunarci e quindi a coltivare i nostri rapporti oltre le occasioni di servizio parrocchiale, perché il ragazzo che mi sta a cuore era inaspettatamente diventato più alto, più robusto e mi sorrideva accanto. 
Anch'io a volte ho l'impressione che il cielo sembri un'immensa e misteriosa città abitata da milioni, forse miliardi di stelle, che appaiono come delle luminose finestre lontane, aperte sulla vastità dell'Universo. Sono le stelle probabilmente a custodire i sogni (diurni e notturni) di ogni creatura del nostro pianeta, visto che desiderare, come scrive Frà Mattia qualche pagina più avanti, significa portare il cuore ad altezze stellari.

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GIOTTO, "IL BATTESIMO DI CRISTO", 1303 C.A.:


Anche questo dipinto fa parte del ciclo della Cappella degli Scrovegni di Padova. Al centro della scena c'è Gesù, immerso fino a metà del busto nel fiume Giordano mentre riceve il battesimo da Giovanni Battista che si sporge in avanti da una rupe. 

Dietro Giovanni ci sono un santo anziano e un giovane senza aureola, in attesa di essere battezzati. A sinistra compaiono quattro angeli che tengono le vesti di Cristo, pronti a ricoprirlo una volta terminato il rito. In alto, in una luce bianca e luminosa, Dio che, con un libro in braccio, si sporge a benedire il Figlio.

Altissima è la qualità del volto di Cristo, così come quello del Battista e dei due discepoli dietro di lui, ma, ad ogni modo, resta irrazionale il curvo livello delle acque che coprono Cristo ma lasciano asciutti gli altri presenti.


"IL BATTESIMO DI CRISTO", PIERO DELLA FRANCESCA, 1445:



Questo dipinto è ora conservato a Londra alla National Gallery ma era stato eseguito da Piero della Francesca su commissione dei monaci camaldolesi di Sansepolcro per onorare l'abate del loro ordine, Ambrogio Trasversari.

La figura di Gesù è al centro della composizione mentre a destra Giovanni Battista gli versa dell'acqua sulla testa. Al di sopra, la colomba, simbolo dello Spirito Santo, con le ali spiegate.

A sinistra, tre angeli che assistono al rito. 

L'albero accanto a Cristo, in primo piano, è un noce, in ricordo dell'antica denominazione della valle su cui sorge Sansepolcro: Val di Nocèa. Questo albero però è anche un'allusione alla morte in Croce.

Sullo sfondo compare il nitido paesaggio collinare italiano: c'è una veduta della valle del Tevere con una cittadina (all'altezza del fianco destro di Cristo), cinta da mura. La piccola città è Sansepolcro, luogo natale del pittore.