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22 gennaio 2021

Leone Ginzburg, intellettuale antifascista di origini ebraiche:

Mancano davvero pochi giorni alla giornata della memoria. Quest'anno vorrei proporvi una sintesi della vita di Leone Ginzburg, primo marito dell'autrice di Lessico famigliare e di molti altri romanzi e racconti. 

Magari dal Paradiso Natalia sa che sto cercando, leggendo e reperendo tutte le fonti, le biografie, gli articoli e i saggi esistenti per scrivere una tesi su di lei. Certamente sono guidata nel lavoro, ho ricevuto anche diversi consigli ma sono arrivata ad un punto di ricerca in cui tutte le fonti su di lei che trovo negli elenchi delle biblioteche le voglio.

E forse lei sa anche che sto scrivendo un post sul mio blog ormai virale su quello che è stato il suo vero amore.

Ad ogni modo, sono un po' commossa oggi nel dedicare del tempo a Leone, giovane di straordinaria intelligenza.

Vi ricordo che in origine il cognome di questa autrice del Novecento era Levi dal momento che era figlia di Giuseppe Levi, medico e docente universitario di anatomia presso varie facoltà di medicina italiane (prima a Firenze, poi a Sassari, poi a Palermo, poi ancora a Torino e, all'inizio della seconda guerra mondiale, a Liegi in Belgio). Ginzburg era il cognome di Leone, che poi lei, rimasta vedova, ha assunto per sempre.

1. ORIGINI E FORMAZIONE CULTURALE DI LEONE GINZBURG:

Leone Ginzburg era nato a Odessa (Ucraina) il 9 aprile 1909 da una famiglia di origine ebraica. Era il terzo di tre figli. Fin dai primi anni di vita era solito trascorrere, con la madre e con i fratelli, l'estate a Viareggio. 

Odessa nel secolo scorso

Ben presto aveva imparato a parlare l'italiano come il russo. Nel 1914, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, di fronte ai pericoli di un viaggio di ritorno in Ucraina, sua madre Vera aveva affidato Leone alla governante Maria Segre e così  il bambino aveva frequentato le elementari a Viareggio. 

Alcuni anni più tardi, nel 1923, la famiglia di Leone si era trasferita a Torino e in questa città Leone aveva iniziato a frequentare il liceo Massimo d'Azeglio, scuola in cui aveva stretto amicizia, oltre che con Mario e con Alberto, fratelli di Natalia, anche con alcuni compagni di classe divenuti, alcuni anni dopo, figure culturali molto significative per l'Italia. Mi sto riferendo a Cesare Pavese, Vittorio Foa e Giulio Einaudi.

Leone era indubbiamente uno studente brillante, descritto sia da Foa che da Pavese come un ragazzo dall'intelligenza e dalla maturità precoci, affamato di letture e di conoscenze.

In un'intervista inoltre, Vittorio Foa ricordava molto positivamente il l'insegnante di lingua e letteratura italiana:

... Augusto Monti era un sincero antifascista e fu condannato con me dal Tribunale speciale nel 1936: egli non disse mai nelle sue lezioni la parola "libertà" ma ci leggeva Dante, Boccaccio e Ariosto  in modo da farci capire che l'arte è un valore che non può essere contaminato dalle contingenze politiche".

Dopo la maturità classica, il ragazzo si era iscritto a Legge ma, dopo appena un anno, era passato a Lettere. 

Durante gli anni in cui era studente universitario, Leone si incontrava ogni settimana al Caffè Rattazzi con Einaudi, Pavese, Foa e con il professor Monti per discutere di politica, di letteratura e di musica. 

A 21 anni, ovvero, la maggior età dell'epoca, Leone Ginzburg aveva ottenuto la cittadinanza italiana. 


A 22 anni questo brillantissimo ragazzo stava lavorando ad una traduzione di Anna Karenina e scriveva inoltre anche degli articoli di recensioni di letteratura russa e francese sulla rivista culturale La Critica. Non si faceva troppi problemi a manifestare il suo dissenso verso il fascismo.

Diceva Vittorio Foa a questo proposito: 

Egli aveva assunto la tradizione italiana come fondamento del suo antifascismo. Aveva bisogno di conquistare un'identità nazionale e dentro questa identità legittimare il suo antifascismo. Secondo me Leone sentiva che l'acquisizione di un'identità nazionale era una condizione indispensabile per potersi muovere politicamente.

Leone si era laureato nel 1932 con una tesi su Guy de Maupassant. Nello stesso anno, grazie ad una borsa di studio, aveva trascorso alcuni mesi a Parigi. Lì aveva incontrato Benedetto Croce e altri italiani antifascisti esiliati dalla dittatura di Mussolini, come Carlo Rosselli, Sion Segre ed Emilio Lussu. Con loro aveva fondato il movimento "Giustizia e Libertà".

Alla fine del 1932 Leone aveva ottenuto una cattedra all'Università di Torino in Letteratura russa, perduta nel 1934, visto che si era rifiutato di  prestare il consueto giuramento di fedeltà al Partito Fascista. 

Desidero che al mio insegnamento non siano poste condizioni se non tecniche o scientifiche. Non intendo perciò prestare il giuramento sopra accennato.

Così scriveva Leone in una lettera risalente all'8 gennaio 1934 al Rettore.

2. LEONE GINZBURG INCONTRA NATALIA:

Giugno 1933. Natalia, studentessa liceale di 17 anni (era nata nell'estate del '16), era stata rimandata al terzo anno di liceo con tre debiti: greco, latino e matematica. 

Studiare non le interessava, scriveva, scriveva sempre invece di studiare. D'altronde, per Giuseppe Levi, non era importante che le figlie si impegnassero nello studio; casomai era importante che si sposassero. In questo non era affatto diverso dai padri piccolo-borghesi del primo Novecento.

Comunque, in una sera di quel giugno molto caldo, Natalia era seduta di fronte alla scrivania della sua stanza e stava scrivendo un racconto che aveva deciso poi di intitolare Un'assenza.

In un suo saggio sulla tecnica narrativa di Natalia Ginzburg, la studiosa americana Clotilde Soave Bowe riassume i contenuti di questo racconto: ci sono due coniugi in crisi. 

Il personaggio più importante però è il marito e il racconto è narrato dal suo punto di vista: quando la moglie lo lascia per trasferirsi a San Remo, inizialmente lui pensa al suicidio ma non lo attua, anzi, inizia una squallida relazione con una prostituta.

Mario, fratello di Natalia, aveva fatto leggere Un'assenza a Leone. E a Leone era piaciuto molto, al punto tale che aveva deciso di farlo pubblicare sulla rivista Solaria. 

Nell'inverno 1934, Leone aveva poi inviato un secondo racconto di Natalia a Solaria, intitolato I bambini.

Natalia, sin da bambina, aveva avuto molta paura della violenza e dell'oppressione dei fascisti. 

Ma, nel biennio 1933-1934, non era molto informata sull'attività politica clandestina di Leone: in quel periodo, nemmeno immaginava che nel '38 quel giovane intellettuale sarebbe divenuto suo marito. 

Molte fonti biografiche dicono che per un po' di tempo lei si sentiva "inadeguata" di fronte alla personalità forte e determinata di Leone. D'altra parte, c'erano sette anni di differenza e quando si è dei giovani al di sotto dei 30 anni, spesso questo non è un fattore di poco conto: al momento del fidanzamento Natalia aveva 18 anni e Leone 25.


3. IL CARCERE E IL MATRIMONIO:

La partecipazione attiva al movimento di "Giustizia e Libertà", poi importato a Torino, e la costante distribuzione di opuscoli antifascisti erano costati a Leone l'arresto e la condanna a quattro anni di carcere presso il Tribunale Speciale. Siamo ancora nel 1934. 

Due anni dopo, grazie ad un'amnistia, era stato scarcerato. In quei due anni di carcere lui e Natalia si tenevano in contatto attraverso delle lettere. Leone era tornato libero dunque, ma era vigilato speciale e non poteva uscire dopo il tramonto: ogni sera la polizia suonava a casa sua per verificare che fosse davvero in casa. Come manteneva e come coltivava allora la sua relazione con Natalia? Durante i pomeriggi andavano a passeggio per Torino e a volte si fermavano in qualche caffè.

Nella seconda metà degli anni '30, Leone era stato assunto presso la casa Editrice Einaudi, fondata nel '33.

Natalia nel frattempo era riuscita a diplomarsi. Si era iscritta alla facoltà di Lettere ma, come ammetteva anche lei, studiava con disordine e senza impegno e aveva lasciato gli studi senza laurearsi mai.

E, il 12 febbraio del 1938, Natalia e Leone si erano sposati. Con lei che, nel corso degli anni e nel corso della sua crescita umana, era divenuta consapevole del fatto che era proprio Leone la persona giusta, con la quale si creava "un'atmosfera di pace infinita".

Fra l'adolescenza e la prima età adulta, Natalia aveva compreso che l'amore vero non è tanto quello narrato in alcune poesie e in alcuni libri in cui si idealizza la persona amata. O almeno, aveva compreso che questa fase di "idealizzazione" e di "sublimazione" non può durare per sempre ma matura in un affetto che accetta tutti i lati del carattere dell'altro. 

L'amore vero è sentirsi accolti, ascoltati, è dono di sé ed è sapere di potersi affidare. Con Leone le cose stavano esattamente così.

Nella seconda metà del '38 erano entrate in vigore le leggi razziali fasciste, motivo per cui Leone era divenuto apolide. Era iniziata una campagna antisemita molto violenta, sulla stampa e alle radio. 

Nicola Ginzburg, fratello di Leone, era emigrato in America con la moglie. Ma Leone non voleva allontanarsi dall'Italia e nemmeno Natalia.

Nel '39 era nato Carlo, primo figlio. L'anno dopo Andrea. Per Natalia, l'esperienza della maternità diviene travolgente, al punto tale che, per un periodo, persino la scrittura diventa insignificante.


4. IL CONFINO IN ABRUZZO:

Il 10 giugno 1940 l'Italia era entrata in guerra e Leone, considerato ancora un "cospiratore pericoloso", era stato mandato a Pizzoli in Abruzzo come internato di guerra. Non poteva lasciare Pizzoli senza permesso e ogni giorno era tenuto a presentarsi alla stazione di polizia. Natalia, che aveva appena partorito, lo aveva raggiunto con i figli alcuni mesi dopo.

Le prime pagine delle Piccole virtù iniziano proprio con il racconto, prettamente reale e autobiografico, dell'esilio dei coniugi Ginzburg a Pizzoli. In quei tre anni di esilio, Natalia aveva nel frattempo scritto altri racconti e un romanzo, dal titolo La strada che va in città, pubblicato sotto lo pseudonimo di Alessandra Tornimparte.

Sotto la supervisione di Leone, inoltre, Natalia in quegli anni stava traducendo anche La strada di Swann di Proust.

Nella primavera del '43 era nata Alessandra, l'ultima figlia di Natalia e Leone.

Il 25 luglio 1943, si era diffusa la notizia della caduta del regime fascista. Leone era immediatamente partito per Roma per prendere contatti con il Partito d'Azione, partito radical-democratico. Nell'autunno del '43, dopo l'armistizio e all'inizio della guerra civile tra nazi-fascisti, partigiani e alleati anglo-americani, Leone aveva assunto la direzione del Partito d'Azione e inoltre lavorava in una tipografia clandestina. Natalia lo aveva raggiunto a Roma il 1 novembre 1943, anche per sfuggire ai rastrellamenti che venivano attuati nei paesi in cui c'erano gli internati di guerra.


5. ARRESTO, PERSECUZIONE, AGONIA E MORTE:

Naturalmente Leone lavorava nella tipografia sotto falso nome ma, lo stesso, il 20 novembre 1943, era stato scoperto e arrestato. Dieci giorni dopo era stato trasferito nel braccio tedesco del carcere di Regina Coeli a Roma. E Natalia, per alcuni mesi, non ne aveva più saputo nulla. Sicuramente veniva torturato.

Come è morto?

E' morto in un modo orribile, che fa davvero piangere! Il 4 febbraio, una volta uscito sanguinante e con fratture multiple dall'ultimo interrogatorio, aveva detto: Non si devono odiare i tedeschi, dopo. Lo aveva sentito dire così Sandro Pertini, rinchiuso anche lui nella stessa zona del carcere. 

La notte era stato male, aveva chiesto all'infermiere di chiamare il dottore, ma l'infermiere gli aveva dato soltanto una tazzina di caffè. 

La mattina del 5 febbraio, Leone Ginzburg era stato trovato morto in cella. Aveva lasciato tre figli molto piccoli e una moglie vedova a ventisette anni.

Emilio Lussu, altro importante membro del Partito d'Azione, sperava di poter organizzare la sua fuga in quei giorni. Ovviamente non ci è riuscito ma è riuscito però a far entrare clandestinamente  a Regina Coeli Natalia che almeno ha potuto, con incredibile dolore, vederlo morto.

Qualche mese più tardi Natalia aveva composto una poesia dal titolo Memoria, in ricordo del suo ultimo incontro con Leone. Ve la riporto qui sotto:

Gli uomini vanno e vengono per le strade della città.
Comprano libri e giornali, muovono a imprese diverse.
Hanno roseo il viso, le labbra vivide e piene.
Sollevasti il lenzuolo per guardare il suo viso,
ti chinasti a baciarlo con un gesto consueto.
Ma era l’ultima volta. Era il viso consueto,
solo un poco più stanco. E il vestito era quello di sempre.
E le scarpe erano quelle di sempre. E le mani erano quelle che
spezzavano il pane e versavano il vino.
Oggi ancora nel tempo che passa sollevi il lenzuolo
a guardare il suo viso per l’ultima volta.
Se cammini per strada nessuno ti è accanto
Se hai paura nessuno ti prende la mano.
E non è tua la strada, non è tua la città.
Non è tua la città illuminata. La città illuminata è degli altri,
degli uomini che vanno e vengono comprando cibi e giornali.
Puoi affacciarti un poco alla quieta finestra
e guardare il silenzio il giardino nel buio.
Allora quando piangevi c’era la sua voce serena,
Allora quando ridevi c’era il suo riso sommesso.
Ma il cancello che a sera s’apriva resterà chiuso per sempre                                e deserta è la tua giovinezza, spento il fuoco, vuota la casa.








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