Visualizzazioni totali

26 settembre 2015

Ho 20 anni... incredibile ma vero!!


20 Anni= quattro lustri= un quinto di secolo! 

Mi sono fatta ben due regali: giovedì ho visitato l'Expo a Milano e ieri notte sono stata in Lessinia: una giovane ed energica istruttrice della palestra che frequento ha organizzato un'uscita in montagna, nei pressi di Erbezzo. La luna, quasi piena, illuminava il sentiero sassoso; le stelle brillavano lontane e alcune innocue nuvolette passeggiavano per le immense vie del cielo. Inutile dire che anche la compagnia era fantastica!!
Abbiamo camminato per un po', abbiamo cenato in un rifugio caldo e accogliente e siamo ripartiti molto tardi. Sono tornata a casa contenta: la compagnia di persone buone, gentili, generose e solari mi gratifica sempre!
Ieri sera alla malga...
Mi sono alzata tardissimo e ho aiutato mia mamma a svolgere alcune faccende domestiche. Subito dopo pranzo: ciambella farcita con il cioccolato, cucinata dalla mia fantastica zia Marcella!! E poi... un sacco di telefonate, di messaggi, di post su Fb che sinceramente non avrei mai pensato di ricevere... ma sono contenta ancora una volta: questa è la dimostrazione del fatto che non sono sola e che molte persone mi pensano, mi vogliono bene e mi portano nel loro cuore!
Appena venuta al mondo!!
A questo proposito, vorrei condividere con voi lettori (e soprattutto con i miei lettori più affezionati e più sensibili, ovvero, con quelli che apprezzano per davvero ciò che scrivo e non nutrono alcuna invidia e alcuna malizia nei miei confronti) alcune parti di una lettera d'auguri scritta da mia madre:
"Carissima Anna, come scordare le 2 e 54 del 26 settembre 1995?? Hai fatto il tuo ingresso solenne nel mondo con grande chiasso e protesta. (sì perché in effetti dicono che quando sono uscita dal grembo materno mi sono messa a strillare come un'aquila e ho svegliato praticamente mezzo ospedale!!) Come scordare il tuo irto ciuffo nero e il tuo visino rosso paonazzo per il dispetto? Quel tuo arrivo nel mondo ha causato sofferenza anche a te ma è bastato accarezzarti e metterti sulla mia pancia e sul cuore per calmarti: hai subito capito di essere stata accolta ed amata. Questa nascita è come la vita: occorre amare, essere amati, saper staccarsi e ritrovarsi, emozionarsi e sentire che su noi genitori e su chi ti ama potrai sempre contare. (...) La mia bimba è ora una ragazza determinata che si impegna e crede nel futuro e sa anche che non tutto è roseo e perfetto. (...)

... che il mondo sia contento della tua presenza!! (...)"

Ah, le mamme... le mamme ricordano sempre con grande entusiasmo il giorno in cui hanno partorito i loro figli e li hanno presi tra le braccia per la prima volta!!!

Oggi c'è un bel sole che mi accarezza il viso. Alcune farfalle volano tra i delicati fili d'erba del mio giardino.

Ho 20 anni... incredibile ma vero!!!
Mi sento carica di energie e di aspettative verso il futuro! Ho una vita piuttosto piena e continuo a studiare con passione: più passa il tempo e più sono convinta di aver fatto bene a iscrivermi a Lettere. Permettetemi di affermare che la letteratura è lo specchio della vita e che alcuni grandi autori del passato come Mimnermo, Saffo, Alceo, Orazio, Petrarca, Tasso e Leopardi trattano tematiche molto attuali.
Prendete il mitico Petrarca (1304-1374), vissuto nel pieno del XIV secolo: "solo et pensoso i più deserti campi, /vo mesurando a passi tardi e lenti/ e li occhi porto per fuggire intenti/ ove vestigio uman l'arena stampi"... Petrarca cerca luoghi solitari per poter riflettere sul proprio stato d'animo tormentato, rifugge la compagnia di qualsiasi essere umano... ecco, a volte questo non capita anche a voi nella vita reale quando c'è qualcosa che vi tormenta o che vi angoscia? Oppure quando trascorrete quasi un'intera giornata con la persona che amate? Vi tremano le gambe ma nel cuore è vivo un fuoco scoppiettante... insomma, provate dei sentimenti talmente forti che, alla fine della giornata, avete bisogno di meditare su ciò che è accaduto e avete bisogno di farlo da soli in un posto poco frequentato.

Ad ogni modo, negli ultimi mesi ho ripensato spesso al mio breve passato.
Non ho nostalgia dell'adolescenza, perché credo di averla vissuta pienamente: ho sfruttato soprattutto le mie energie mentali, ho sviluppato un buon senso critico, ho partecipato a diverse iniziative culturali organizzate dal mio liceo e ho scoperto la mia passione per la poesia. Ho scritto molte poesie, soprattutto sul tema della natura.
Di tanto in tanto però, penso alla mia infanzia con le lacrime agli occhi: ultimamente ricordo anche alcuni eventi che sono accaduti prima dei miei cinque anni; per esempio quando, durante una passeggiata in montagna con alcuni amici di famiglia, mio padre mi portava sulle spalle e io stringevo una margherita tra le mani. Di questo ho un ricordo abbastanza nitido; e avrò avuto circa tre anni. Nelle ultime settimane ho sfogliato molto spesso gli album fotografici di famiglia. Ho sorriso quando mi sono vista travestita da regina nel carnevale del 1999: mio zio Vincenzo mi teneva per mano. Stavamo passeggiando lungo le rive dell'Adige, vicino al Ponte Pietra.

Ho già vent'anni. Vent'anni vissuti in una casa circondata da sette campi, con una famiglia meravigliosa che mi ha sempre sostenuta nei momenti di ansia, di malinconia e di sconforto.
Vent'anni carichi di esperienze significative, di ricordi ora piacevoli ora dolorosi, di attimi di felicità e di momenti tristi e difficili. Alcune persone sono entrate nella mia vita in modo significativo e si sono comportate in modo estremamente leale con me, perché sono sempre state disposte ad ascoltarmi con i loro dolci sorrisi sulle labbra. Devo moltissimo anche a loro.



22 settembre 2015

"Diario di un killer sentimentale":


Altro romanzo intrigante e curioso, scritto da Sepulveda, un autore sudamericano praticamente contemporaneo a Garcìa Marquez. Solo che Garcìa Marquez era colombiano, Sepulveda invece era cileno. 

Il killer sentimentale di cui si tratta è uno scrupoloso professionista dell'assassinio, molto abile nell'eseguire gli incarichi, molto richiesto e molto ben pagato.
La narrazione, in prima persona, è organizzata in una forma molto simile a quella diaristica, dal momento che invece dei capitoli, si trovano le diciture: "Prima giornata", "Seconda giornata", "Terza giornata" e così via, fino a narrare gli avvenimenti che accadono in un'intera settimana. Però, mentre le pagine di un diario sono sempre corredate da una data o comunque da indicazioni temporali ben precise, il "diario" di questo killer non contiene alcuna annotazione cronologico-temporale. In compenso, sono piuttosto precise le indicazioni relative ai luoghi.

L'inizio della vicenda si svolge a Madrid, città in cui il nostro protagonista, di cui i lettori non sapranno mai il nome, atterra. Una volta giunto all'albergo, riceve una busta: "Dentro c'era la foto di un tipo che non mi piacque: giovane, sui trentacinque anni, snello, belle presenza, seduto davanti a un lungo tavolo in compagnia di altri cinque tizi che gli assomigliavano. (...) Un minimo di etica professionale vieta di chiedere cosa hanno combinato i tipi che uno deve liquidare, ma guardando la foto provai della curiosità e la cosa mi dette fastidio. Nella busta non c'era altro e andava bene così. Dovevo prendere familiarità con quel viso, osservare i dettagli che ne avrebbero rivelato la forza o la debolezza."
Per la prima volta nella sua brillante carriera di assassino, il protagonista, solitamente abituato a passare da un incarico all'altro senza alcun indugio e senza porsi domande, arriva a chiedersi il motivo per cui dovrebbe assassinare l'uomo che vede nella fotografia.
Pochi istanti dopo, una rapida occhiata all'orologio della sua stanza d'albergo gli ricorda che mancano poche ore all'atterraggio dell'aereo proveniente dal Messico sul quale si è imbarcata la sua amante. E qui, la sua mente ritorna un po' indietro nel tempo: viene descritto infatti il loro primo incontro e anche gli sviluppi della loro relazione. Ne riporto alcune parti:
"Voleva diventare una traduttrice e come tutte le intellettuali era abbastanza ingenua da bersi qualunque storia, per cui non feci alcuna fatica a convincerla che ero il rappresentante di una società aeronautica e che perciò dovevo viaggiare molto." 

"(...) io violai varie regole sulla sicurezza, soprattutto quelle che si basano sulla solitudine e sull'anonimato, sul restare uno sconosciuto, sul non essere altro che un'ombra. E così l'appartamento dei contatti divenne l'ufficio dove dovevo andare ogni giorno, mentre il pomeriggio e la sera ne dividevamo un altro che iniziò a puzzare di casa borghese perché venivano i suoi amici e si facevano feste. In quei tre anni portai a termine vari incarichi in Asia e in America e credo addirittura di aver superato me stesso come professionista perché agivo alla svelta per tornare da lei."

Ma, colpo di scena, la sua amante, che egli chiama e continuerà a chiamare "la mia gran figa francese", gli invia un fax che si rivela scioccante:"Non mi aspettare. Mi dispiace ma non verrò. Ho conosciuto un uomo che mi ha fatto vedere il mondo in maniera completamente diversa. Ti voglio bene, ma credo di essermi innamorata di lui. Resterò in Messico per altre due settimane prima di entrare a Parigi. Là parleremo di tutto. (...)"
Questa rivelazione lo sconvolge, al punto tale che il killer cade in uno stato di prostrazione: cerca conforto nell'alcool, nei rapporti con delle prostitute, nei lunghi dialoghi sia tra se stesso e il suo doppio, sia tra se stesso e la foto della sua futura vittima, il cui nome è Victor Mujica. Addirittura arriva a dire al Mujica fotografato: "Non so che cosa hai combinato, ma sei fottuto. Forse ti consolerà il fatto che verrai ucciso da uno non meno fottuto di te e la cosa più strana è che ti invidio perché non appena ti avrò ficcato in corpo un paio di pallottole di piombo per te sarà tutto finito, mentre io, dovrò continuare a vivere."

Il "killer sentimentale" è profondamente angosciato. Proprio i sentimenti negativi che nutre nell'animo saranno la causa dei suoi molti sbagli professionali che mettono in pericolo la riuscita
dell’omicidio, di questo incarico particolarmente difficile che lo costringe a continui spostamenti geografici: uno degli errori più gravi che commette è quando, in una caffetteria di Istanbul, gli rivela di avere l'ordine di ucciderlo.
Tutti questi errori portano il suo capo, denominato anche come: "l'uomo degli incarichi" a decidere di mandarlo in pensione in anticipo. Prima però, il killer dovrà assassinare Victor Mujica.
Prima di congedarlo, "l'uomo degli incarichi" gli rivela anche che Mujica collabora con varie organizzazioni di trafficanti di droga negli Stati Uniti, motivo per cui deve essere eliminato dalla faccia della Terra.

Colpo di scena in finale: il nostro killer giunge a Città del Messico e, all'interno della sede dell'organizzazione del traffico di eroina di cui la sua vittima fa parte, trova il suo "incarico"
in compagnia della sua ex fidanzata!

Lo stile del romanzo è piuttosto ironico e la conclusione, in quanto inaspettata, coglie il lettore di sorpresa. Ad ogni modo, ciò che rende interessante il romanzo è proprio l'indole del killer, abile assassino razionale e calcolatore ma al contempo anche vulnerabile, sensibile alle sofferenze d'amore.


 "Il volto umano non mente mai: è l'unica cartina che segna tutti i territori in cui abbiamo vissuto."

A mio parere, questa è una frase molto significativa. E mi trovo d'accordo! Intanto, ho pensato ai volti delle persone anziane: le rughe, le macchie, le occhiaie sembrano quasi tracciare una mappa della loro vita, del loro lungo passato caratterizzato da gioie, da momenti di serenità, da speranze giovanili, da rimorsi... Io nel volto di mia nonna vedo tutto questo. Quando osservo bene le sue rughe e i suoi occhi, mi rendo conto di quanto lei abbia lavorato in gioventù per garantire una vita dignitosa a se stessa e ai propri figli, di quanto abbia sofferto, durante la guerra, la lontananza del fidanzato e del fratello.
Marc Levy, scrittore francese dei giorni nostri, scrive:
"Le rughe della vecchiaia formano le più belle scritture della vita, quelle sulle quali i bambini imparano a leggere i loro sogni."

La prima parte della frase comunque riguarda tutti e non soltanto i più anziani: soprattutto gli occhi rivelano il vero stato d'animo di un individuo... quando vedi piangere la persona che ami, logicamente ti rattristi e le chiedi che cosa c'é che non va. E anche se lei, magari per non farti preoccupare troppo, ti dice: "Sto bene, è tutto a posto", tu comunque capisci che non è affatto così, perché ti accorgi che dai suoi occhi traspare sofferenza, malinconia, senso di delusione.
Se ami davvero qualcuno, allora sei anche perfettamente in grado di comprendere quello che i suoi occhi esprimono. Il bello è che quando vedi piangere la persona che ami, non solo ti assale il desiderio di stringerla forte, ma addirittura vorresti proteggerla dal male e dal dolore del mondo. Però ti rendi conto che questo è impossibile, perché la vita di ogni essere umano non è un cielo senza nuvole. E quindi non ti resta che amarla e starle vicino.

Penso ad un aforisma di Nietsche, che mi è rimasto impresso:"Si può mentire con la bocca: ma con l'espressione che si ha in quel momento si dice pur sempre la verità."




15 settembre 2015

La tematica dell'alba in alcuni componimenti poetici:


Molto spesso in letteratura vengono delineati o evocati suggestivi paesaggi naturali. Il sorgere del sole affascina molti poeti.
In questo post vorrei proprio riflettere su alcuni componimenti relativi alla tematica dell'alba.


TORQUATO TASSO:
 (Madrigale n°143)

"Ecco mormorar l'onde
e tremolar le fronde
a l'aura mattutina e gli arboscelli,
e sopra i verdi rami i vaghi augelli
cantar soavemente
e rider l'oriente:
ecco già l'alba appare
e si specchia nel mare,
e rasserena il cielo,
e le campagne imperla il dolce gelo, e gli alti monti indora.
O bella e vaga aurora,
l'aura è tua messaggera, e tu de l'aura
ch'ogni arso cor restaura."


Torquato Tasso, noto soprattutto per il suo poema "La Gerusalemme Liberata", è stato anche un abile compositore di madrigali. Egli ha saputo infatti sfruttare pienamente le potenzialità espressive di questo genere poetico, dal momento che ha dimostrato di saper rappresentare in modo suggestivo non soltanto i paesaggi naturali ma anche i suoi stati d'animo.
In questo componimento, gli elementi naturali vengono colti in rapida successione.
A me sembra un quadro idilliaco: si ode il sussurro delle onde del mare, i rami degli alberi tremano al soffio della brezza mattutina, il dolce canto degli uccelli si diffonde nell'aria limpida... e ad oriente brilla la luce. Anzi, sembra proprio che, alla venuta dell'alba, il cielo sorrida lieto. Ricordo alcuni versi di un altro madrigale di Tasso intitolato "Ore, fermate il volo", dove è presente l'espressione "lucido oriente" che allude proprio ad un cielo limpido, rischiarato dalla prima luce del mattino.
Molto efficaci anche i versi: "e le campagne imperla il dolce gelo/e gli alti monti indora". Con sincero stupore lirico, Tasso ammira gli effetti che i raggi del sole generano sugli elementi naturali: le gocce di rugiada ("dolce gelo") brillano come perle e i profili dei monti si addolciscono, divengono dorati.


Negli ultimi tre versi, il poeta evoca la donna amata con il termine "l'aura" che allude al nome di Laura Peperara, arpista mantovana di nobile famiglia con la quale egli aveva avuto una breve relazione sentimentale. Su questo aspetto però egli non è per nulla originale: due secoli prima, Petrarca scriveva: "Erano i capei d'oro a l'aura sparsi", e anche qui,"l'aura" evoca il nome dell'amata. L'ultima parte del componimento fa pensare inoltre a un concetto espresso in "Ore, fermate il volo": "E voi, Aure veloci/portate i miei sospiri/là dove Laura spiri/e riportate a me sue chiare voci/sì che l'ascolti io solo". Qui Tasso chiede ai venticelli (="aure veloci") di far arrivare i suoi sospiri a Laura e di riportargli la sua bella voce cristallina.


  VITTORIA COLONNA:
 
  "Quando ’l gran lume appar ne l'oriente,
  che ’l nero manto della notte sgombra,
  e 'l freddo gel ch'alor la terra ingombra
  dissolve e scaccia col suo raggio ardente,
 
 de l'usate mie pene alquanto lente,
 per l’ inganno del sonno, me ringombra,
  ond’ ogni mio piacer risolve in ombra,
   alor che'n ciascun lato ha l’ altre spente.

  Oh viver mio noioso, oh aversa sorte!
  Cerco l’ oscurità, fuggo la luce,
  odio la vita, ognor bramo la morte.
 

Quel ch’ agli occhi altrui nuoce, a’ miei riluce,
  perché chiudendo lor s’apron le porte
a la cagion, ch’ al mio Sol mi conduce."


Vittoria Colonna era una nobile napoletana vissuta nel Cinquecento, una delle poche ad aver avuto la possibilità di accedere alla cultura letteraria. Questo sonetto è dedicato al defunto marito Ferrante d'Avalos.
L'arrivo del giorno scaccia il "nero manto della notte" e illumina la terra con il suo "raggio ardente", ma alimenta un forte sentimento di dolore nell'animo della donna. Mentre il sonno e la notte affievolivano le sue sofferenze, il sorgere del sole le provoca una sensazione di disagio che la induce a cercare l'oscurità, la morte.
I versi "cerco l'oscurità, fuggo la luce/ odio la vita, ognor bramo (=desidero continuamente) la morte" esprimono un sincero dolore esistenziale e una profonda nostalgia per il marito. Qui probabilmente Vittoria Colonna si è ispirata al sonetto di Petrarca "Pace non trovo et non ò da far guerra": anche Petrarca, per esprimere la sua angoscia, ricorre all'accostamento di termini dal significato molto diverso, come in questi versi:  
"(v. 2): "et temo, et spero; et ardo, et son un ghiaccio/et ò in odio me stesso, et amo altrui (v.11)."

Nell'ultima terzina, l'autrice invoca le tenebre affinché queste, inducendola a riposare, le permettano di vedere Ferrante in sogno.

Sebbene avesse sposato Ferrante per ragioni di convenienza economica e politica; dopo essere rimasta vedova, Vittoria Colonna ha dedicato tutta la sua produzione poetica alla memoria del marito. All'epoca quasi tutti i matrimoni tra i nobili erano combinati, ma poteva davvero capitare che sentimenti di affetto vivo e profondo per il coniuge nascessero durante la vita matrimoniale e non prima del matrimonio?
Ad ogni modo, a proposito di innamoramento, ultimamente sono restia a credere nei "colpi di fulmine". 
Quelli accadono soltanto nei film e nelle storie romantiche, ma nella vita reale, le attrazioni immediate e fatali sono solo illusioni.
Anzi, credo che sia proprio con il tempo che si impara ad amare davvero una persona.
Man mano che il tempo scorre, ci si accorge che la luce dei suoi occhi e la dolcezza del suo sorriso sono ciò che rendono meravigliosa la nostra vita.


TAGORE:
(Canto n°10)

"Oh, rendi nitida la mia anima 
nella cascata della luce mattutina,
detergi la polvere che mi copre e mi nasconde,
impigliata nella rete del sonno.
Tocca dolcemente con la verga d'oro 
la fronte della prima
aurora.
Il vento soffia dal cuore dell'Universo,
il pazzo vento della vita, carico di canto.
Fa' che il mio cuore risuoni al suo tocco delicato."



Non poteva mancare nemmeno Tagore, il poeta indiano al quale ho dedicato un post alcuni mesi fa!
All'inizio del componimento, Tagore sembra supplicare l'alba affinché la suggestiva luce del sole mattutino renda limpido il suo animo. Credo che in questa poesia l'alba sia garante di una sorta di purificazione interiore: la suggestiva luce del mattino invita il poeta non soltanto a rinnovare il proprio inno alla vita e ma anche a compiere buone azioni nel corso della giornata.
Nei primi quattro versi del canto è possibile notare la contrapposizione tra la luce mattutina, simbolo di gioia e il sonno, elemento strettamente legato alla pigrizia, alla malinconia e forse anche al peccato.

Infine, Tagore augura a se stesso di venire inondato dal vento della vita, un vento che proviene dal cuore dell'Universo, entità che sembra emanare energia vitale. E qui, il poeta manifesta il desiderio di sentirsi in armonia con il creato. In un certo senso, questo concetto mi ricorda i versi 29-31 della poesia "Fiumi" di Ungaretti: "mi sono riconosciuto/una docile fibra/dell’Universo"
In quasi tutta la produzione poetica di Ungaretti vi è la consapevolezza della fragilità della vita umana, sottoposta all'imprevedibilità del destino e a molte sofferenze. Ma nonostante il dolore, la guerra, la morte improvvisa e violenta dei suoi commilitoni, Ungaretti avverte un sentimento di profonda fraternità con la natura e si sente parte del Creato. Ed è proprio questa sensazione di armonia con l'immensità dell'Universo che lo stimola a vivere intensamente e a scrivere, in altre liriche, parole come: "La morte/si sconta/vivendo" ("Sono una creatura"-5 Agosto 1916).


7 settembre 2015

"L'uomo che guardava passare i treni", Georges Simenon:


Ho appena terminato la lettura di questo interessante romanzo che, a mio avviso, offre ai lettori diversi spunti di riflessione.

Inizialmente, la vicenda è ambientata a Groninga, una cittadina che si trova oggi nella parte settentrionale dei Paesi Bassi.
Kees Popinga, esponente dell'alta borghesia olandese, lavora orgogliosamente come impiegato presso la "Julius de Coster en Zoon", una ditta di forniture navali. Ha un'alta opinione di sé e vive con la moglie e i due figli nella villa più elegante del quartiere. Tuttavia, sin dall'inizio il lettore comprende che il signor Popinga non dialoga né con la moglie né con i figli e non manifesta loro alcun segno di affetto.
E' importante notare che Simenon, nel corso del libro, insiste piuttosto spesso sul fatto che Kees non riesca e non sia mai riuscito a comprendere la personalità della figlia Frida, strana ragazza dagli "occhioni scuri che non si capiva quel che volessero esprimere".
Tra l'altro, la vita quotidiana della famiglia Popinga, perfettamente ancorata agli ideali della borghesia dell'epoca, è monotona e malinconica.

Una sera, dopo aver cenato, Kees esce di casa e incontra in un'osteria Julius de Coster, direttore della ditta in cui lavora. Quest'ultimo, mezzo ubriaco, oltre a rivelargli che l'azienda è fallita per bancarotta fraudolenta, lo tratta con cinismo e con sarcasmo:"Prego, vuoti il bicchiere (...) Beva caro signor Popinga, e si convinca che le resterà sempre questa consolazione (...)" 
"Per parte mia, devo aggiungere che ogni settimana andavo ad Amsterdam da Pamela. Si ricorda Pamela signor Popinga? Io la mantenevo ad Amsterdam (...). Comincia a capire, signor Popinga? Non è ancora abbastanza ubriaco per capire quanto le dico? Approfitti dell'occasione, la supplico. Domani, quando penserà a tutto questo, diventerà un altro uomo e magari combinerà qualcosa nella vita." 
"Lei ha conseguito il brevetto di capitano di lungo corso, del quale va fiero... La ditta de Coster possiede cinque clipper di cui è suo compito specifico occuparsi... bene, le è sfuggito che uno di questi ha sempre e solo praticato il contrabbando e un altro è stato affondato su mio ordine in vista del premio di assicurazione! Beva signor Popinga, alla sua salute e alla sua felicità!" 
Dunque, per poter mantenere l'amante, De Coster amministrava con disonestà la ditta navale! Per Kees Popinga, la notizia del fallimento dell'azienda per la quale lavorava da anni è un duro colpo, perché all'improvviso egli sente l'incombente minaccia di un tracollo finanziario.
Così, senza spiegare nulla alla moglie e ai figli, prende un treno diretto ad Amsterdam per poter conquistare, o meglio possedere Pamela, la quale reagisce con una risata isterica alle avances di Kees. Innervosito dalla risata della giovane donna, Popinga finisce per strangolarla con un asciugamano.

Dopo il delitto, a notte fonda, il nostro protagonista fugge a Parigi, dove inizia la sua nuova vita, un'esistenza ancora più infelice e squallida della quotidianità borghese che aveva vissuto fino a poco prima. Kees infatti, ricercato dalla polizia per il delitto commesso, passa le sue giornate a girovagare per i quartieri della capitale francese. Nei suoi dieci giorni da fuggiasco, Popinga viene a contatto con una piccola banda di malviventi, frequenta osterie e alberghi dove sente molto spesso il bisogno di dormire con una donna, senza tuttavia consumare rapporti.
E' singolare notare che Popinga, orgoglioso e desideroso di celebrità, acquista ogni giorno molti giornali per poter leggere ciò che si scrive di lui e del suo tranquillo passato di borghese. Addirittura arriva a sfidare i redattori di alcuni giornali scrivendo loro delle lunghissime lettere che contestano le notizie, come questa (ne riporto soltanto alcune parti):
" Non sono di ottima famiglia. Ma lei capirà che a mia moglie, il cui padre era borgomastro, preme di raccontare queste cose ai giornalisti. Mia madre era levatrice e mio padre architetto. Solo che toccava a mia madre mandare avanti la baracca. Mio padre infatti, quando andava a trovare i clienti si tratteneva a chiacchierare e a bere, troppo allegro e socievole com'era per natura. Poi dimenticava di fissare il prezzo (...)  Lei vede bene, signor caporedattore, che mia moglie non ha detto la verità. (...) Conobbi mia moglie proprio quando terminai gli studi. Lei ora afferma, perché è più dignitoso, che il nostro è stato un matrimonio d'amore. Non è vero. Mia moglie abitava in un piccolo paese (...) e voleva vivere in una grande città come Groninga. Per parte mia, mi lusingava sposare la figlia di un uomo ricco e stimato (...) Pare, sempre in base alla signora Popinga, che per sedici anni io sia stato un buon marito e un buon padre. Non è più vero di tutto il resto. Se non ho mai tradito mia moglie è perché a Groninga si verrebbe subito a saperlo e la signora Popinga mia avrebbe reso la vita impossibile. (...) Quanto ad essere un buon padre, non lo credo. Non ho mai detestato i miei figli. Quando sono nati, ho detto che erano belli per compiacere maman, ma li trovavo orrendi. Si dice che mia figlia Frida è intelligente perché non parla mai, ma se non parla è perché, ne sono convinto, non ha niente da dire. Quanto al ragazzo, sono incline a pensare che non combinerà niente di buono nella vita."
Il romanzo, piuttosto lungo e impegnativo, è permeato da un pungente sarcasmo, che più di una volta induce il lettore a ridere amaramente.
Fanno inoltre sorridere le definizioni che i giornali danno di Popinga... eccone alcune:
"Il satiro di Amsterdam", "Il folle d'Olanda".

 Dopo essere stato derubato da un abile borseggiatore americano dei suoi milleduecento franchi, Kees pensa di suicidarsi sdraiandosi sui binari della stazione di Parigi, dove però viene riconosciuto e arrestato da alcuni agenti. Ma non finisce in carcere.
Infatti, dal momento che tutti, giornalisti, psichiatri e membri della polizia, lo avevano ritenuto o pazzo o paranoico, viene internato in un manicomio ad Amsterdam.
Il tempo scorre... Ma, ogni settimana, Popinga riceve le visite della moglie che lo informa a proposito dei successi scolastici e professionali dei loro due figli: Frida, oltre a divenire una giornalista affermata,  diviene anche la promessa sposa di un ragazzo sensibile e di ottima famiglia, il figlio minore Carl invece, vince una borsa di studio ed entra in una rinomata Accademia Navale.


INTERPRETAZIONE DELLA TRAMA DEL ROMANZO:

La trama è molto più complessa di come l'ho scritta io qui sopra. Ad ogni modo, mi premeva soprattutto enunciarne i contenuti fondamentali per poi approdare alla parte interpretativa.
Io sono propensa a vedere la singolare vicenda di Kees Popinga in questo modo: all'inizio del romanzo, il protagonista ha un lavoro redditizio, conduce una vita agiata ed ha molta, forse troppa, fiducia nei propri mezzi e nella sua intelligenza. E' proprio l'immagine del borghese dell'ottocento (e Popinga in effetti è un borghese del XIX secolo): ottimista, orgoglioso, fiducioso nella scienza e nei progressi della tecnica.
Ad un tratto però, il direttore della ditta in cui lavora, gli rivela di aver praticato affari loschi e, una volta informato a proposito del fallimento dell'azienda per la quale lavorava, Popinga sente che il mondo gli sta crollando addosso e allora vengono meno anche tutti quei principi in cui aveva creduto e sperato.
Reagisce quindi in modo abnorme: diviene un assassino, un insensibile e un diabolico fuggiasco. Perché il termine più adatto per poter definire Kees Popinga secondo me è diabolico, non pazzo. Se fosse pazzo, non avrebbe nemmeno la capacità di riflettere su che cosa fare e su dove andare per non farsi beccare. Invece Popinga è lucido, lucido e diabolico. E anche privo di rimorsi per il delitto che ha commesso. Diviene un vagabondo per le vie di Parigi. Il suo continuo girovagare senza una meta mi fa pensare all'infelice stato d'animo degli uomini del Secondo Novecento. Essi, dopo due sanguinose guerre mondiali, hanno compreso che:
A) I totalitarismi (nazismo, fascismo e comunismo) non promuovono né la libertà né il progresso; semmai distruggono il mondo con i pregiudizi razziali, con l'odio, con la violenza, con la soppressione della libertà di stampa e di opinione.
B) La scienza non è sempre sinonimo di progresso, anzi... durante le due guerre mondiali le camere a gas sono servite a sterminare milioni di ebrei, zingari, omosessuali e diversamente abili. La bomba atomica inoltre, progettata da alcuni fisici americani, ha provocato gravissimi danni al popolo giapponese, danni le cui conseguenze si riflettono ancora oggi a distanza di molti decenni, sull'ambiente e sulle generazioni.
C) Neppure la democrazia è una perfetta forma di governo e non garantisce mai l'uguaglianza sostanziale tra gli individui. Anche in uno stato democratico le disuguaglianze economiche e culturali possono essere ben accentuate, soprattutto negli ambienti cittadini.
D) A proposito di economia: il capitalismo, già molto competitivo in sé, genera spesso e inevitabilmente oppressione e dispotismi.

Per questi motivi dunque, gli uomini del Secondo Novecento appaiono angosciati, privi di solide ideologie e di validi punti di riferimento, schiacciati dall'orrore della storia ma al contempo consapevoli di esserne in parte responsabili. Come Popinga è in parte responsabile della rovina della sua azienda.


GLI OCCHIONI DI FRIDA:
Frida come la immagino io

Frida, la figlia incompresa dal proprio padre. Frida, forse l'unico personaggio veramente positivo di questo libro. Kees la sottovaluta molto, ma non a caso la pensa spesso durante i suoi vagabondaggi. Julius de Coster definisce gli occhi di Frida "languidi" che "piangono senza piangere". Languidi come quelli di un artista, di un poeta, di un intellettuale pienamente consapevole del dolore del mondo. Gli occhi languidi indicano solitamente una personalità sensibile, profonda, malinconica ma attenta alla realtà e alla sofferenza che pervade il pianeta. Frida è altro da Kees. E' la sua primogenita ma è altro da lui perché non è cinica né superba.
Frida svolge probabilmente il ruolo dell'intellettuale che osserva l'egoismo e la brama di potere degli altri uomini con occhi attenti e tutt'altro che inespressivi.


INTERPRETAZIONE DEL TITOLO DEL ROMANZO:

Anche il titolo è  curioso! E contiene un messaggio piuttosto importante, dal valore universale. Si riferisce soprattutto allo stile di vita borghese di Popinga.
Nel corso del primo capitolo si dice: "Non si sarebbe mai permesso di pensare ufficialmente che al mondo possa esistere un luogo più dolce del proprio focolare. Appunto per questo arrossiva quando gli capitava di udire un treno passare e si scopriva una strana angoscia che poteva far pensare ad una nostalgia."

Il protagonista osserva il passaggio dei treni. In questo caso forse i treni rappresentano le occasioni che la vita quotidiana offre a Popinga, delle occasioni che gli potrebbero permettere sia di ripensare alla propria esistenza sia di migliorare il rapporto con la moglie e con i figli.
Ma Popinga le osserva, quasi spaventato, e non le coglie. Così la sua vita è monotona e fredda, priva di calore umano.
Popinga prende il treno da Groninga ad Amsterdam, certamente, ma per realizzare un suo desiderio, ovvero, per poter sparire lasciando nei guai la moglie e i figli. Non dico che il nostro protagonista non sia in grado di scegliere; affermo però che egli sceglie pensando solo a se stesso, senza preoccuparsi degli stati d'animo dei suoi familiari e dei suoi conoscenti.