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30 dicembre 2023

RIFLESSIONI CONDIVISE SULLA "LABEL THEORY" :

La prima parte di questo post si concentrerà su una spiegazione riguardante la "labelling theory" mentre la seconda sarà la recensione di una serie tv giapponese nella quale le etichette spiacevoli date a due figure femminili feriscono, creando divisioni e fraintendimenti.

A) LA "LABEL THEORY" IN SOCIOLOGIA DELLA DEVIANZA:

La label theory, conosciuta anche come teoria dell'etichettamento, afferma che le persone e i concetti vengono definiti "devianti" a seconda del contesto culturale che rispecchia sempre gli interessi delle classi dominanti influenti. 

L'etichetta ovviamente non ha carattere oggettivo ma si focalizza su alcune caratteristiche le quali, diventate stigmatizzanti, ricoprono globalmente una persona anche se a volte non sono veritiere.

Ad esempio, quando una persona viene etichettata come "tossicodipendente" solitamente viene percepita come falsa, "di maniera", trasandata... Proprio perché basate sull'apparenza, queste caratteristiche non vengono mai affibbiate ad un avvocato che, magari di nascosto, si fa di cocaina, ma è molto più facile attribuirle ad un senza tetto o ad un immigrato clandestino. 

La teoria dell'etichettamento è un meccanismo sociale, di difesa per tutti i comportamenti che in realtà interrompono una certa routine e una certa normalità. Una volta accortosi dell'etichetta che la società gli appioppa, il soggetto si auto-convince di essere così come viene etichettato dalla società.

Altro esempio: il musulmano viene spesso percepito come "il terrorista", "l'integralista islamico che minaccia la nostra cultura" o addirittura il "kamikaze che fa strage di vite umane" quando in realtà queste concettualizzazioni, vere soltanto per una parte di musulmani, derivano soprattutto dalle notizie che ascoltiamo durante i telegiornali o che leggiamo.

B) LE ETICHETTE DANNOSE IN "KIMI NI TODOKE", STORIA DEI GIORNI NOSTRI:

B1) TEMI E CONTENUTI DELLA SERIE TV:

Il mese scorso ho visto su Netflix una serie televisiva intitolata "Kimi ni todoke", uscita proprio nel 2023. Mi è piaciuta moltissimo!

Il titolo corrispondente in inglese è "From me to you" che in italiano si traduce con "Arrivare a te". Su questa piattaforma c'è anche l'anime, versione della stessa storia in cartoni animati, risalente al 2006.

Tuttavia vorrei concentrarmi sulla serie con gli attori in carne ed ossa.

Le vicende sono ambientate in un liceo a Kitahoro, in Hokkaido. 

Sawako Kuronuma, la protagonista, è una quindicenne introversa, molto sensibile, molto intelligente e molto portata per lo studio (nell'anime Sawako ha talento per la scrittura). Tuttavia non ha amici: viene emarginata da tutta la scuola a causa del suo aspetto fisico definito "inquietante": in effetti gli occhi e i capelli lunghi e neri di questa adolescente ricordano a chiunque Sadako, una personaggio femminile di un noto film horror nipponico. Nessuno chiama la protagonista "Sawako". All'inizio della serie per tutti lei è "Sadako", chiunque le sta alle larghe e lei è abituata ad essere invisibile. 

Questo soprannome è un'etichetta che pesa sulla formazione del carattere della ragazza, la quale, nei primi episodi della serie, appare intimidita, impacciata e persino sorpresa se qualcuno si accorge di lei.

Matthias nel paragrafo precedente ha illustrato e spiegato alcune delle etichette che definiscono delle categorie socio-culturali, ma può essere etichetta anche un soprannome o un pregiudizio nei confronti di qualcuno che impedisce di andare oltre le apparenze e di conoscerlo quindi più nel profondo.

So a che cosa sta pensando una parte di voi lettori... no, non mi sono propriamente identificata con Sawako. Anch'io sono stata etichettata anche con aggettivi pesanti, derisori e poco lusinghieri, sia a scuola, sia in facoltà sia in parrocchia, ma non voglio parlare di me. Ad ogni modo il mio carattere è un po' più simile a quello di Chizu, un'altra figura molto importante all'interno della storia. Perlomeno, Chizu è un personaggio molto rilevante nella serie tv e dicono anche nel manga, mentre non le viene dato molto spazio nell'anime.

Sawako è invisibile agli occhi dei coetanei. Fino al momento in cui Shota Kazehaya, un compagno di classe di questa adolescente, non rompe questi schemi: la saluta, le si avvicina, scambia con lei due parole ed è l'unico, nel secondo episodio della serie, a volersi sedere nel banco accanto a lei. 

Per chi conosce la teoria dell'enneagramma: Shota ha molti aspetti positivi che riguardano l'Enneatipo 1: molto serio, dotato di grande senso di integrità e di giustizia, conciliante ed equilibrato, sa essere anche solare, scherzoso, ha una vita sociale molto movimentata e detesta i pregiudizi. Se si arrabbia manifesta stizza nel tono di voce (tipico di questo genere di personalità), ma non esplode mai né si chiude in se stesso. Lo irrita il fatto che la compagna Kuronuma (in Giappone gli adolescenti, in contesto scolastico, si chiamano quasi sempre per cognome) venga chiamata "Sadako", e corregge i coetanei tutte le volte in cui ne ha l'occasione.

Shota vuole davvero bene alla protagonista della storia, è molto protettivo nei confronti di Sawako e questo suo atteggiamento fa in modo che, a poco a poco, Sawako superi con fatica le sue malinconie, i suoi complessi di inadeguatezza e la sua scarsissima autostima per affidarsi a lui. Tra i due nasce una vera e propria storia d'amore che li porta ad immaginare un futuro insieme.

Credo si possa riconoscere in Sawako diverse caratteristiche degli Enneatipi 4 che devono crescere e maturare, prendendo consapevolezza della bellezza e della bontà che c'è in loro.

Su esempio di Shota anche due ragazze, Ayane e Chizu (due Enneatipi 6 che poco si somigliano), iniziano ad avvicinarsi a Sawako diventando in breve tempo sue amiche. Ecco dunque che la potenza nefasta di quell'etichetta, causa dell'emarginazione di Sawako, si indebolisce.

Shota, Sawako, Chizu e Ayane sono nella stessa classe per tutti e quattro gli anni di liceo.

Di Ayane rimane impresso soltanto il fatto che esce da una relazione tossica e che, alla fine del liceo, decide di trasferirsi a Tokyo per studiare Economia in una prestigiosa università. Nient'altro. Mi è parsa una figura un po' fredda, che non cresce più di tanto nel corso della storia.

B2) FOCUS SU CHIZURU YOSHIDA:

Chizuru Yoshida è il suo nome completo. Per Sawako e Ayane lei è, affettuosamente, "Chizu-chan". 

Lei merita proprio un paragrafo a parte.


Chizuru è molto umana. Ha diverse qualità. 
Sensibile ma al contempo volitiva. Emotiva ma al contempo dotata di una personalità piuttosto forte. Ha delle paure e delle insicurezze ma le affronta. E' onesta fin nel midollo. Simpatica ma al contempo molto diretta, soprattutto con Sawako. In effetti fa sorridere il momento in cui Chizu urla a Sawako: "Sei stupida! Sei tu con i tuoi complessi e con la tua esasperante malinconia che fai allontanare Shota da te!" mentre Sawako piange in un angolino del cortile scolastico perché crede che Shota non la ricambi.
All'inizio della serie Chizuru risulta una studentessa mediocre, probabilmente perché porta sulle spalle la ferita dell'abbandono. L'amicizia con Sawako migliora notevolmente il suo rendimento scolastico e la rende più solare.

Nell'anime appare troppo emotiva e molto agitata, nella serie tv con attori, come già accennavo, viene molto approfondita.

Rifiutata dai genitori, da piccolissima Chizu è stata parcheggiata in un collegio per bambini con situazioni di forte disagio familiare. Sin dalle scuole medie, Chizuru si trova nella stessa classe con Ryu Sanada, un Enneatipo 9 che è riuscito a sviluppare molte qualità positive e preziose appartenenti a questo tipo di personalità, come la calma, la pazienza, la mitezza, un'introversione che gli permette un'ampia larghezza di vedute. Ryu è molto sportivo, adora il baseball e alla fine del liceo si iscrive a Scienze dello Sport.

Una delle migliori scene della serie tv è proprio quella in cui Ryu bacia Chizuru sussurrandole: "Quando finirò l'università ci sposeremo e saremo famiglia". Che non è proprio come dire "metteremo su famiglia" oppure "diventeremo una famiglia". E' questa la frase che fa amare Ryu alle spettatrici.

I 9 sono veramente preziosi per me. Pensate a quel che sto costruendo con Matthias ad esempio.

I Nove sono quei tipi di persone con un carattere complementare al mio, con cui vado più d'accordo e che di solito suscitano in me delle sincere e forti risposte emotive proprio per quello che sono e per la ricchezza interiore che hanno, al di là dei loro vissuti familiari.

Ryu è un introverso sereno e pacato, Sawako un'introversa tormentata.

Ryu sa dalla prima media di amare Chizu. La ragazza impiega qualche anno per capire che Ryu è per lei in realtà molto più che un migliore amico. Invece Ryu, sin dai primi episodi della serie, dice apertamente che "non sostituirebbe Chizuru con nessun'altra. Chizuru è diversa da qualsiasi altra ragazza, è speciale, è straordinaria". A detta di Ryu la principale qualità di Chizuru è la sincerità.

Anche Chizu, per un periodo, viene etichettata. E in modo insultante e offensivo. Non appena le bulle della scuola, tra cui la vipera Ume Kurumi, si accorgono che Sawako va particolarmente d'accordo con Chizu, iniziano a diffondere voci molto volgari soprattutto sul conto di quest'ultima, impegnandosi a farle credere che sia stata Sawako a diffondere queste dicerie schifose.

Praticamente Chizu diventa oggetto di diffamazioni tremende. Le danno, molto ingiustamente, della "tr**a n*nf*m*n* che è stata con cento uomini", cercando di mettere zizzania soprattutto tra Chizu e Sawako. Inizialmente Chizuru non crede a questi pettegolezzi falsissimi ma poi, a furia di sentirli, si sente offesa, amareggiata, dubita di poter continuare ad essere amica di Sawako. Quando, in lacrime, confida i suoi dubbi a Ryu, lui la rassicura, aiutandola a ritrovare la fiducia per Sawako, la quale però, deprimendosi, non fa nulla per smentire le voci se non su spinta di Kazehaya.

Ah ecco, dettaglio non trascurabile: né a Ryu né a Shota importa di queste cattiverie, che di solito sono femminili purtroppo. Purtroppo le ragazze a volte possono inventare angherie psicologiche orrende.

E tenete conto che nei primi sei episodi della serie Kurumi è una ragazza influente e popolare all'interno del liceo di Kitahoro, quindi la sociologia ha ragione a sostenere che le classi dominanti o comunque le persone più influenti all'interno di un'organizzazione sociale possono etichettare alcune persone danneggiando i loro rapporti sociali.

Chizuru viene definita ed etichettata per ciò che non è. Questo soltanto perché alla perfida Kurumi dà fastidio la rottura di una consueta dinamica sociale: era normale che Sawako fosse emarginata e ignorata da chiunque. Chizuru, avendo voluto avvicinarsi a Sawako, ha interrotto questa triste normalità. Poi sì, Kurumi ha anche un altro motivo per diffondere questi pettegolezzi malfamanti: a lei piace Shota ma non è ricambiata. E non sopporta il fatto che Kazehaya si relazioni con Sawako.

Termino il post con un commento trovato sul web a proposito dei personaggi di questa serie:

Sawako conosce se stessa attraverso il sentimento che prova per Shota, si innamora e cresce, fino a comprendere quanto sia Shota, con il suo perenne sorriso gentile che nasconde una fragilità mai esposta, ad avere bisogno di lei, dandogli quella dolce sicurezza che da solo non riuscirebbe ad avere. Cresce anche Chizu, contraria alle convenzioni femminili, ma che nasconde una tenerezza e una emotività uniche. Cresce Ryu, il cui motto è sempre stato quello di “lavorare in silenzio” e che trova se stesso nell’uso delle parole: è sua la dichiarazione d’amore più bella che potrete vedere nella serie tv.

Un altro aspetto interessante di questa serie è il modo in cui i giapponesi trascorrono le festività e le ricorrenze: il Natale è una festa conviviale e occasione di socializzazione in cui ci si scambiano i regali, a Capodanno in molti si recano nei templi, dotati di stand con cioccolata calda, per un breve rito, San Valentino per i giapponesi è anche una festa in cui si celebrano non solo gli innamorati ma anche gli amici regalando loro cioccolatini...

BUON 2024!!! ✨️💫✌️🤗

26 dicembre 2023

La chiesa di Santo Stefano protomartire a Verona:

A) BREVI NOTIZIE SUL PRIMO MARTIRE CRISTIANO:

Santo Stefano è il primo martire cristiano, lapidato nel 34 d.C. nella valle del Cedron.

Gli Apostoli lo avevano scelto affinché, in qualità di diacono, prestasse servizio presso le mense.

Stefano è stato condannato alla lapidazione dal momento che lo avevano accusato di pronunciare blasfemie contro Mosé e contro Dio.

Saulo ( quel che poi è diventato San Paolo) ha  a s s i s t i t o  a l l a  sua lapidazione.


B) CENNI STORICI:


La chiesa di Santo Stefano protomartire si trova presso il Lungadige re Teodorico, circa 300 metri dopo la chiesa rinascimentale di San Giorgio in Braida e quasi di fronte a Ponte Pietra.

Sullo stesso luogo, nel II° secolo d.C., si ergeva un tempio romano dedicato al culto di Iside e Serapide, divinità orientali.

Questa chiesa rappresenta la più antica testimonianza di una comunità cristiana veronese. Infatti sorge su una parte di terreno precedentemente adibito a cimitero lungo quella che in età romana era la Via Claudia Augusta.

Nei primi secoli dopo Cristo, questa era una pieve in cui si amministrava il sacramento del Battesimo il giovedì santo.


Dell’epoca paleocristiana rimangono la parte esterna dell’abside e la parte del transetto che guarda verso l’Adige. Il tiburio è di forma ottagonale.



Nel X° secolo, accanto a questo edificio sacro, era stato costruito un ospedale per il ricovero e la cura di pellegrini e infermi. Il presbiterio è stato rifatto su stile pre-romanico dopo la distruzione che l’invasione degli Ungari ha comportato, nel X° secolo.

La facciata, ricostruita dopo il terremoto del 1117, è in cotto e tufo con rosone e semplice protiro.

Ai lati del portone vi sono alcune iscrizioni, i cui autori sono tuttora ignoti, in latino medievale  riguardanti vicende di storia politica e civile come ad esempio la gelata dell’Adige o l’arrivo dell’Imperatore.


C) STRUTTURA INTERNA DELLA CHIESA:


Lo spazio all’interno è organizzato in tre navate scandite da solidi pilastri.

Le volte a botte che coprono il transetto risalgono alla prima metà del Cinquecento, mentre invece il soffitto a cassettoni delle navate risale al primo Novecento.


D) LA CRIPTA:



Il soffitto è coperto da volte a crociera decorate a motivi floreali e vegetali che richiamano alla vita eterna, premio riservato ai santi e ai martiri. 

Le colonne centrali, ovvero, quelle più vicine all'altare, sono in granito di Assuan (Egitto).

Dietro l'altare vi sono due affreschi che risalgono al Cinquecento: si tratta della Strage degli Innocenti e dell'Annunciazione.


E) PRESBITERIO E TRANSETTO:


Ai lati della scala che conduce al presbiterio ci sono due affreschi di Battista Del Moro, anche questi di epoca rinascimentale, relativi alla vita di Santo Stefano: a destra l’Ordinazione diaconale del santo e a sinistra la sua sepoltura.




Nei pressi dell'altare è presente la statua di San Pietro "in Cattedra". Si tratta di una statua del XIII° secolo. L'autore è Enrico da Regino.



La scultura, a lato del presbiterio e originariamente policroma, rappresenta un San Pietro benedicente.

Sull’altare si trova la «Cathedra episcopale» formata da tre lastre di pietra incastrate tra loro. E’ possibile che, dopo il 492 d.C., questa chiesa fosse stata un luogo in cui si svolgevano funzioni sussidiarie della cattedrale.



La sommità interna della cupola che sormonta il presbiterio è stata affrescata da Domenico Brusasorzi (pittore di Verona operativo nel Cinquecento) e raffigura il Cristo Glorioso con gli Evangelisti.


In una parete del transetto c’è una Pala di Brusasorzi di Cristo che porta la Croce rivolto a Santo Stefano sulla cui testa è evidente il sasso della lapidazione.


Sul lato sinistro del transetto troviamo un affresco di Martino da Verona, databile negli ultimi anni del Trecento.



In quest'opera la Madonna viene rappresentata in due momenti teologici importanti:  al momento dell’Annunciazione e quando viene incoronata dal Padre e dal Figlio.


F) LA CAPPELLA DEI MARTIRI:



E' stata commissionata, nel XVII° secolo, da Giulio Varaldi.

La cappella ha una forma cubica con struttura a calotta.

Qui vengono conservate preziose reliquie (secondo una leggenda): le ossa di quattro bambini vittime della strage degli Innocenti, quelle dei quaranta martiri della prima comunità cristiana veronese e quelle dei primi cinque vescovi veronesi.


Sulla sommità della cupola interna della cappella è raffigurata l’Assunzione di Maria.

I dipinti della cappella, decorata alle pareti con stucchi dorati realizzati da David Reti, raffigurano i «Quaranta Martiri», la «Strage degli Innocenti» e i «Cinque Santi Vescovi».

Quest’ultimo è un dipinto che risente dell’influenza di Caravaggio dal momento che i personaggi emergono dall’ombra.


G) PICCOLA RIFLESSIONE SUL DIPINTO DI PASQUALE OTTINO:

Vi propongo alcune domande di riflessione sul dipinto principale di questa cappella, la "Strage degli Innocenti" di Pasquale Ottino.

Se volete cimentarvi nel creare una vostra lettura di quest'opera, prima di tutto aprite il link sottostante nel quale potrete osservarla bene per qualche minuto.

Nel caso in cui vedeste le figure allargate, muovete la freccia del mouse a sinistra oppure verso destra.



Dopo che vi siete presi qualche minuto di attenta osservazione chiedetevi:

-L'opera rende abbastanza bene il crudele dramma dell'episodio che, coloro che sono particolarmente credenti, ricordano il 28 dicembre?

-La donna in basso a destra con le mani giunte quale stato d'animo potrebbe provare secondo voi? Disperazione, malinconia profonda, raccoglimento, amarezza, rabbia?

-Per quale/ quali motivi l'artista ha scelto di rappresentare in primo piano al centro un soldato che, con una spada dalla punta affilata, sta per uccidere uno dei bambini?

-Avete notato che in basso il dipinto risulta (anche dal vivo) piuttosto scuro e in alto invece, dove si stagliano le architetture e dove l'angelo vola, è chiaro e luminoso? Sarà forse un'allusione all'aldilà radioso e sereno che attende i martiri? O semplicemente è una decisione di Ottino ambientare la scena in una bella giornata di sole?

18 dicembre 2023

"La salita verso casa", K. Nishi:

"La vita non è una questione di come sopravvivere alla tempesta, 

ma di come danzare nella pioggia…"

(K. Gibran)

Grazie, Gino.

La Sua lettera aperta durante i funerali di Giulia ha toccato le corde dell'anima di coloro che, come me, auspicano ad un rinnovamento etico e culturale delle coscienze e della società.

Grazie per il contributo che Lei e sua figlia state dando e continuerete a dare dal punto di vista civico e sociale. 

E' quasi il 2024, sarebbe ora di parità di genere, sarebbe ora di sradicare la mentalità maschilista che concepisce la donna soltanto come un oggetto di possess. Ora più che mai è il momento di impegnarsi a costruire un mondo più cooperativo, più solidale, in cui le persone manifestino maggior sensibilità. 

Vi auguro che il ricordo doloroso ma al contempo luminoso di Giulia vi dia la forza di donare una significativa e toccante testimonianza di umanità, alla faccia degli insensibili leoni da tastiera che vi hanno fatto del male in queste ultime settimane.

14 dicembre 2023

"AUTORITRATTO DI UN REPORTER", R. KAPUSCINSKI:

Il contenuto di questo libro si basa su interviste ad un reporter polacco che dà risposte a proposito del suo lavoro.

Rizard Kapuscinski è stato un corrispondente di guerra.

Autoritratto di un reporter è suddiviso in cinque parti che io e Matthias vi illustriamo.

I contributi di Matthias sono evidenziati in rosso.

PARTE PRIMA:

Queste prime pagine prevedono il viaggio come tema centrale.

Kapuscinski elenca le tipologie di viaggi: si viaggia certamente per godersi ferie e relax ma anche per necessità, per motivi di lavoro, per conoscere continenti e nuovi paesi oppure per allargare i propri orizzonti in ambito di conoscenze storico-artistiche.

In qualità di giornalista, Rizard ha dovuto compiere diversi viaggi etnografici per conoscere meglio il mondo, dotato di una assai vasta ricchezza culturale. 

Il viaggio etnografico comporta naturalmente fatiche fisiche ma anche intellettive dal momento che implica un'eccellente capacità di ascolto ricettivo.

Kapuscinski definisce la sua professione come quella di un traduttore ma non da una lingua ad un'altra, bensì da una cultura ad un'altra.

Il mondo è in effetti multiculturale, per questo è fondamentale che tra le culture si creino rapporti di di intesa e di collaborazione, non di dipendenza e di subordinazione.

Nel XXI° secolo il nostro pianeta è globalizzato. Lo dimostrano il proliferare di ristoranti etnici, le migrazioni, la diffusione di libri di autori extra-europei, il commercio di frutta, verdura e prodotti provenienti da luoghi esotici o molto lontani dal nostro.

Brevi riflessioni storico-sociologiche sul concetto di cultura e società:

Non riesco a trovare una definizione precisa ed esauriente di ciò che è "cultura". Per me la cultura è un concetto troppo liquido. 

Ricordo che nel 1912 Bronislaw Malinowski definiva la "cultura" come l'insieme di risposte ai bisogni di gruppi sociali: nessuna cultura vale più di un'altra o può essere considerata migliore di un'altra e non dev'esserci gerarchizzazione visto che sono solo diverse tra loro. 

Io invece trovo che certe culture siano migliori rispetto ad altre, per esempio si vive meglio nei paesi dove il diritto non equipara il peccato religioso al reato rispetto a dove il peccato religioso equivale ad un reato punibile con la tortura e con la pena di morte. Ma affermo questo a seconda della mia scala di valori che a livello oggettivo non riesco a giustificare.

Excursus storico-sociologico sul rapporto magia-religione-società

Il giornalista polacco, in questa prima sezione di libro, cita l'opera Il ramo d'oro di Frazer. Per questo autore la magia nasce prima nella religione. I popoli primitivi cercavano di dominare le forze della natura tramite la magia, poi si sono affidati agli dei e dunque alla religione. Per Frazer la religione era un impedimento per gli uomini perché non permetteva loro di comprendere il mondo naturale. In epoca industriale, con lo sviluppo della scienza, l'uomo diventa capace di spiegare concretamente la realtà.

Il testo di Frazer oggi per la sociologia è superato. 

Centovent'anni fa Durkheim lo ha criticato nel saggio Le forme elementari della vita religiosa, contestando innanzitutto il fatto che la magia fosse nota prima della religione e affermando inoltre che la religione fosse molto legata alla società e ai meccanismi sociali. 

Durkheim infatti pensava: "La società va a pezzi per la crisi della religione" dal momento che, a suo parere, la religione razionalizza l'ordine sociale, quindi le cerimonie e le rappresentazioni religiose esprimerebbero a suo dire delle realtà collettive e in quest'ottica i riti sono modi di agire che nascono in gruppi costituiti e che dunque riproducono gli stati mentali dei gruppi sociali stessi.

Secondo Durkheim quindi, religione e società non si possono scindere, altrimenti si finisce in stato di anonimia che lentamente porta al disfacimento.

A questo risponde Goffmann negli anni '50-60 dicendo che in realtà il sacro permane in microritualità presenti nelle interazioni quotidiane. Nel nostro complesso mondo contemporaneo ci sono vari spazi di socializzazione ed è difficile mantenere un'unitarietà. 

Perché per ogni spazio l'individuo deve adeguarsi ad un ruolo attoriale e gli altri pretendono il suo adeguamento in modo da rispettare tale sacralità. Quando ciò non avviene c'è il sacrilegio, comportamento che viene sanzionato.

PARTE SECONDA:

"Il mio pezzo, fortemente critico, si intitolava "Anche questa è la verità su Nowa Huta e il nostro giornale era riuscito a pubblicarlo. Nowa Huta era considerata la prova tangibile del nostro trionfo economico. Vi avevo lavorato da studente, conoscevo le sue terribili condizioni di vita e di lavoro. Quando l'articolo uscì, ci fu un gran baccano e dovetti nascondermi... Come nascondersi? Sì, mi dettero rifugio certi operai miei amici. Il baccano, comunque, durò a lungo. Alla fine fu creata una commissione per verificare le mie affermazioni. La commissione confermò tutto quello che avevo detto e... mi fu conferita la Croce d'oro al merito. Avevo ventitrè anni. Questo mi incoraggiò. Capii che scrivere era rischioso e che, in sostanza, lo scrivere non stava in ciò che si pubblicava, quanto alle sue conseguenze."

La seconda parte inizia con la narrazione di questo episodio. Ciò che si scrive tormenta e scuote le coscienze della gente.

Kapuscinski prosegue a rispondere poi ad altre domande, quasi tutte relative alla multietnicità e alla ricchezza notevole del mondo.

Ognuno di noi è legato agli altri. 

Eppure, quando era giovane, il dispaccio giornalistico lo costringeva a fare riassunti brevi e superficiali che appiattivano la ricchezza del mondo. Gli si diceva che solo lo scrittore di romanzi poteva permettersi di dilungarsi sulle sfumature, mentre invece il reporter era obbligato a condensare il più possibile le informazioni essenziali.

Questo compito del reporter non è facile, soprattutto perché ognuno di noi vede il mondo e la storia in modo diverso. Questo lo dimostra una cronaca del 1968 intitolata La notte di Tlateloco, relativa ad una tragedia raccontata da più di cento persone che vi avevano assistito e i loro racconti divergevano l'uno dall'altro.

Kapuscinski ci sta facendo capire che ognuno, in fin dei conti, è un mondo a sé e che essere noi stessi significa dibattere e accettare conflitti.

Ma se, come riteneva Pirandello, siamo Uno, nessuno e centomila, significa che anche la lettura degli eventi si possa considerare tale? 

Mi spiego meglio:

-La lettura degli eventi è una perché ci capita di pensare che la nostra visione sia la più corretta.

-Nessuna lettura dei fatti in realtà è quella più giusta perché nelle interpretazioni e nei ricordi umani non c'è oggettività.

-Le letture e le versioni degli eventi sono centomila perché ogni persona ivi coinvolta dà una propria interpretazione.

PARTE TERZA:

Oltre a viaggiare è importantissimo anche leggere.

"Di qualunque angolo della Terra ci si voglia occupare, c'è già stata scritta sull'argomento una quantità di libri impossibile da conoscere se non in minima parte. Come mi regolo nella scelta delle fonti? Molto dipende dall'intuito, che mi dice che cosa sia o non sia autentico. L'intuito è comunque aiutato dall'esperienza: sapendo come sono fatti il Brasile o la Tanzania, mi basta un particolare per distinguere il vero dal falso."

Le fonti sono molteplici ma, quelle più frequentemente utilizzate, sono : le testimonianze della gente, i documenti legali, i libri e gli articoli, l'ambiente con atmosfera e clima.

Insomma, il nostro sapere è la somma di più punti di vista.

PARTE QUARTA:

Afferma Kapuscinski:

"Considero il mio lavoro come una missione. Non scrivo per soldi o per successo (...)"

"La carriera mia aiuta a diffondere idee, valori e pensieri che voglio far arrivare."

Anche in questa sezione si valorizza la lettura e il reporter si sofferma sul "lettore di massa":

"Ci si lamenta della crisi del libro e del fatto che nel mondo non ci sia più dell'uno per cento dei lettori. Nello stesso tempo vengono fuori sempre più case editrici e sempre più libri. E' che la popolazione mondiale è in continua crescita. Però non bisogna scrivere per le masse: il lettore di massa è un lettore d'altro genere. Non tutti gli scrittori ci tengono ad avere un successo di massa."

La lettura è un'attività elitaria. Lo è sempre stata e sempre lo sarà. Sono presenti più case editrici e scrittori perché i costi di accesso sono diminuiti esponenzialmente. Ma non mi sembra che vendano migliaia di libri, almeno qui in Italia, dove si legge poco.

Comunque penso che una persona non potrebbe mai leggere tutti i libri che possono portare conoscenza.

PARTE QUINTA:

Quest'ultima sezione è dedicata ai media. Leggete bene come Kapuscinski considera il ruolo dei media nel XXI° secolo:

"L'atteggiamento dei media mondiali nei confronti del Terzo Mondo è cambiato. I media si concentrano sempre di più sulle società sviluppate. Se proprio devono parlare del Terzo Mondo, lo fanno soprattutto in occasione di qualche massacro, come in Ruanda, o quando accade qualcosa di veramente incredibile e drammatico. Non informano sulla vita quotidiana della gente. I giornalisti sono rimasti gli stessi di prima, quello che è cambiato è il tipo di servizio richiesto: sono i capi dei media a non trovare interessanti quegli argomenti. La verità è che i "media" si concentrano sui "picchi" del mondo, mentre i "bassi strati" vengono completamente ignorati."

Penso che non ci sia mai stato interesse per le società del Terzo Mondo, anche perché la maggior parte di quello che succedeva là aveva minime conseguenze qui. Ora con le maggiori connessioni e la maggior velocità di viaggi e comunicazioni ci sono più influenze ma l'interesse è rimasto tale. Per me sono le persone che non trovano interesse altrimenti ci sarebbe più domanda e le tv si adeguerebbero.

A me colpisce molto il modo in cui questo giornalista reporter parla della verità. Entrambi vi invitiamo a riflettere su questo estratto:

"Lo sviluppo dei media ci ha posto davanti a uno dei principali problemi etici, quello della verità e della menzogna. Nel Medioevo, il mezzo di comunicazione era la lettera. Se chi scriveva mentiva, ingannava una data persona. Poi Hitler riuscì ad ingannarne quaranta milioni e Stalin duecento. Oggi certi programmi televisivi vengono seguiti da un miliardo di persone. Se c'è dentro una bugia, verrà moltiplicata miliardi di volte e il peso dell'abuso diventerà incomparabilmente maggiore. Per questo è così importante che i processi di democratizzazione in atto vadano a buon fine. Solo la democrazia può limitare la sfera d'azione della menzogna."


9 dicembre 2023

"Le strane storie di Fukiage", B. Yoshimoto:

"Banana Yoshimoto" è lo pseudonimo di Mahoko Yoshimoto, scrittrice giapponese di successo internazionale dagli anni '90 con il suo primo romanzo bestseller intitolato Kitchen.

Sto per recensire un libro a tratti strano e a tratti profondo dal momento che, soprattutto attraverso alcune frasi particolarmente belle, ricorda al lettore l'importanza quotidiana delle relazioni e della fiducia reciproca.

Qualche mese fa ero attratta dal disegno della copertina di questo romanzo, per questo ho voluto leggerlo. Al momento, è l'unico libro che ho di questa scrittrice.

A) TRAMA:

Mimi e Kodachi sono due gemelle. 

Nate e cresciute a Fukiage, cittadina affascinante ma al contempo misteriosa, a dieci anni vengono affidate a Kodama e a Masami, amici dei loro genitori: questi ultimi sono rimasti vittime di un incidente stradale che ha ucciso il padre e ha ridotto la madre in coma.

Una volta cresciute e divenute maggiorenni, le due ragazze decidono di trasferirsi a Tokyo per costruirsi un futuro e per seguire le loro personali inclinazioni il più lontano possibile dal loro enorme dramma familiare.

Mimi, oltre a studiare per conseguire una laurea in Letteratura, lavora come receptionist part-time in alcune palestre e, di tanto in tanto, scrive dei brevi articoli per arrotondare le paghe mensili.

Kodachi invece frequenta un istituto di moda e, dopo il diploma, inizia a confezionare costumi per la compagnia teatrale di un conoscente e, a volte, cuce abiti da cerimonia.

Ma improvvisamente, Kodachi svanisce. 

Molto preoccupata, Mimi ritorna a Fukiage per cercarla. 

Per ritrovarla dovrà incontrare personaggi molto particolari, come ad esempio Isamu, un uomo-lupo che vive da solo in una grande e lussuosa villa.

Mimi ha poche speranze: crede che sua madre non possa più risvegliarsi. Kodachi invece, con ottimismo, spera proprio in questo, nonostante il passare degli anni:

Riuscivo a vedere solo nostra madre stesa su quel letto d'ospedale. Un misero barlume della speranza che provavo ogni volta fissandola, dicendomi che avrebbe riaperto gli occhi da un momento all'altro. Come il sapore dolce-amaro di una vaga illusione, l'ultimo incontro con qualcuno che amavamo e se n'è andato e che rivedremo solo per restituirgli qualche cosa che aveva lasciato a casa nostra.

B) RELAZIONI TRA SORELLE:

Mimi e Kodachi sono profondamente diverse: caratteri diversi, talenti diversi, progetti di vita differenti. 

Kodachi è solare, amichevole, vivace, sensibile, allegra. Mimi è introversa, malinconica, riflessiva. 

La narrazione è in prima persona, dal punto di vista di Mimi.

Eppure, tra le due ragazze c'è un forte legame di intesa e di sintonia:

Saremo state sempre alleate, e io sapevo di potermi fidare di Kodachi. Mi potevo fidare anche se litigavamo, perché non avrebbe mai mentito, avrebbe avuto sempre una parola gentile nei miei confronti. Facevamo di tutto per stare sempre vicine ed era stato così, aggrappandoci l'una all'altra, che eravamo riuscite a superare la premature scomparsa di nostro padre. Non eravamo gemelle omozigote, ma ci capivamo alla perfezione.

Più avanti, Mimi rivelerà ai lettori che gli esseri umani, compresi i gemelli, sono tutti diversi. Ognuno di noi è solo. Ma sappiamo apprezzarci vicendevolmente. 

Cosa significa per voi quel "ognuno di noi è solo"? Che l'altro per noi è insondabile? Oppure che, per quanto si possa essere legati a qualcuno, non lo si conoscerà e non lo si comprenderà mai nel profondo?

C) FIDUCIA:

Indubbiamente in questo libro si evidenziano le difficoltà, oltre che l'importanza, dei legami familiari. Tuttavia, la fiducia è una componente fondamentale di questa storia.

La fiducia è una luce che illumina il cuore e risplende dall'interno delle persone, pensa Mimi un pomeriggio, quando va a visitare Isamu.

Tra Isamu e Mimi nasce, nel giro di poco tempo, una meravigliosa amicizia, una perfetta intesa, grazie ai loro dialoghi significativi nelle quali si intrecciano le loro solitudini. 

La limpidezza dell'acqua che scorreva nella fontana raccontava la solitudine e la desolazione del mondo in cui viveva Isamu. Ebbi l'impressione di essere stata trasportata lì dalla corrente per mandare in frantumi quella quotidianità cupa e tranquilla.

D) L'ESPERIENZA:

E' così che funziona il mondo. E' in continuo movimento, in continua trasformazione, scorre senza fermarsi mai. E vivere significa farne esperienza.

Quanto siete d'accordo con queste affermazioni?

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Sebbene sia un libro molto singolare in alcuni passaggi, dal momento che si parla di UFO, di creature caratterizzate al contempo da tratti umani e animaleschi, di incerti confini tra sogno e realtà, trovo che al suo interno vi siano dei valori che gli uomini e le donne di ogni tempo non devono mai dimenticare.

Nel corso della narrazione traspare la passione della Yoshimoto per la cucina dell'Estremo Oriente. 

Compaiono infatti alcuni piatti tipici, spiegati in un glossario in fondo al libro, come l'awkeotsang, una varietà taiwanese di fico in gelatina con dolcificanti e succo di limone, l'imoni, una zuppa di tubero e di carne, il konbu, una varietà di alga dalle foglie molto larghe che proviene dai mari dello Hokkaido.