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19 febbraio 2014

La "Nedda "di Verga e la società nell'Ottocento

Nel corso del primo quadrimestre ho studiato anche Verga, il maggior esponente del Verismo, movimento culturale che mi è parso molto interessante.
Da qualche giorno a questa parte, oltre a studiare, trascorro il mio tempo libero leggendo la sua eccezionale raccolta di novelle che ho acquistato recentemente.
Alcune novelle mi coinvolgono emotivamente; soprattutto una, che io ritengo particolarmente avvincente: Nedda.
In questa novella, Verga delinea molto bene i sentimenti della protagonista e descrive con efficacia i faticosi lavori che, circa duecento anni fa, erano svolti dai ceti più umili.

"NEDDA"= La protagonista è una giovane siciliana che vive in condizioni di estrema povertà e che deve lavorare duramente per mantenere se stessa e la madre morente. All'inizio della vicenda, la ragazza lavora alla raccolta delle olive. Questo lavoro non si rivela molto redditizio, dal momento che le condizioni metereologiche non sono stabili. Nei giorni di pioggia infatti, le raccoglitrici non possono lavorare all'aperto! (Ma certo che le condizioni del tempo atmosferico non sono stabili durante la raccolta delle olive, io che sono una ragazza di campagna so bene che questa raccolta avviene in genere durante il mese di novembre e so anche che novembre solitamente non regala molto sole alla terra).
Verga dipinge un ritratto piuttosto curioso della portagonista: "Era una ragazza bruna, vestita miseramente, dall'attitudine timida e ruvida che danno la miseria e l'isolamento. Forse sarebbe stata bella, se gli stenti e le fatiche non avessero alterato profondamente non solo le sembianze gentili della donna, ma direi anche la forma umana. I suoi capelli erano neri, folti e arruffati, appena annodati con dello spago, avea denti bianchi come l'avorio e una certa grossolana avvenenza di lineamenti che rendevano attraente il suo sorriso. Gli occhi avea neri, grandi , nuotanti in un fluido azzurrino, quali li avrebbe invidiati una regina a quella povera figliuola raggomitolata sull' ultimo gradino della scala umana..."
Preoccupata per la salute della madre, Nedda si allontana dal luogo della raccolta delle olive e si reca a Ravanusa, il suo paese d'origine.

Dopo la morte della madre, lo Zio Giovanni la incita a cercare lavoro per mantenersi. Nedda viene disprezzata dalla società che la giudica un' insensibile: la ragazza infatti, per cercare di attenuare i gravi problemi economici, decide di riprendere a lavorare il giorno dopo  la morte della madre. Inoltre, non porta nemmeno l'abito nero per il lutto.
Intanto, il suo rapporto con Janu, un simpaticissimo giovane innamorato di lei, si intensifica. Janu è descritto come un giovanotto solare e come un gran lavoratore. Egli, prima di realizzare un suo grande sogno, ovvero, quello di sposarla, per guadagnare qualche soldo in più, decide di dedicarsi alla mietitura nella piana di Catania, luogo in cui purtroppo all'epoca era presente la malaria, terribile malattia.
Nedda ad un tratto scopre di aspettare un figlio e proprio per questo, dopo la morte di Janu in un incidente di lavoro, viene emarginata ulteriormente dalla società, che in quel tempo era solita considerare impure e volgari le ragazze madri.
La figlia di Nedda nasce rachitica. 
La novella si conclude con la morte della piccola bambina e con la triste frase, pronunciata da Nedda:" Benedetta voi, vergine santa! Che mi avete tolto la mia creatura per non farla soffrire come me".

Se notate, dopo la morte della madre, Nedda resta quasi sola al mondo; nella sua vita ci sono soltanto due persone che non la denigrano e che si dimostrano piuttosto compassionevoli con lei: lo Zio Giovanni il quale, preoccupato dal fatto che la ragazza sia rimasta orfana di genitori così giovane, desidera continuare ad aiutarla dal punto di vista economico, prestandole dei soldi e Janu, che, pervaso da un sentimento profondo per la giovane, si sforza di rallegrarla, anche con dei piccoli regali (un giorno per esempio, le porta un fazzoletto).
Ma i compaesani la evitano, la umiliano e la guardano con malizia perché lei, a causa della sua estrema povertà, non ha rispettato le tradizioni, la "purezza" e l' "etica". Giustamente metto i due termini tra virgolette, perché io ho sempre pensato che le ragazze-madri debbano essere aiutate non soltanto dalle loro famiglie ma anche dalla società. In effetti, quando c'è di mezzo l'avvento di una nuova vita che si sviluppa in un grembo materno, tutti, ma proprio tutti, dovrebbero adoperarsi per rendere il più piacevole possibile la nascita di quella nuova creatura. In una situazione come questa, gli umani dovrebbero agire per il bene del prossimo, trascurando sia l'eccessivo moralismo che la sessofobia.
Nelle sue opere Verga parla di una società che è sopraffatta da sentimenti negativi quali: l'indifferenza, l'incapacità di compatire gli altri, l'ignoranza e l'egoismo.
Riporto in queste ultime righe due esempi significativi:
In "Mastro Don Gesualdo", romanzo che si apre con l'episodio dell'incendio in casa Trao, è percepibile la reazione di indifferenza dei vicini dei Trao. Sembra quasi che la folla, con i suoi commenti sarcastici, consideri i Trao incapaci di custodire la propria dimora. Tra la folla, nessuno si angustia per il destino della casa di quella famiglia e Gesualdo inoltre, rispecchiando la mentalità individualista tipica della borghesia, continua a imprecare, sperando che la catasta di legna appoggiata a uno dei muri della sua casa non attiri le fiamme. Gesualdo pensa ai propri interessi, anch'egli è sordo alle urla disperate di alcuni componenti della famiglia Trao.
Anche nei "Malavoglia", quando si allude alla morte di Bastianazzo, causata dal naufragio della barca "Provvidenza" (ricordo che la scena del naufragio non è narrata direttamente, ma è raccontata dal punto di vista di chi sta a riva)  è possibile notare una società cinica e indifferente, che non conforta Maruzza e che non cerca di alleviare il suo dolore. Anzi, alcuni abitanti del paese si rivolgono a Padron 'Ntoni, capofamiglia, con ironia malevola e con battute di pessimo gusto.
Dunque anche qui la società è protesa verso l'egoismo e verso gli interessi personali, non considerando la gravità di una disgrazia che sconvolge la vita dei Malavoglia.





7 febbraio 2014

Cose che nessuno sa

Diverso tempo fa ho concluso la lettura di "Cose che nessuno sa", il secondo romanzo dell'ormai celebre professor D'Avenia.  E' una storia molto profonda che da un lato propone riflessioni interessanti sull'amore, sentimento meraviglioso ma al contempo molto difficile da applicare nella nostra vita quotidiana, mentre dall'altro, illustra le fragilità dell'essere umano e tra queste, la paura di amare e la fatica di perdonare se stessi e gli altri.

Non intendo svolgere un riassunto del romanzo. Vorrei focalizzarmi sui personaggi ed enunciare le mie impressioni.

La protagonista della vicenda è Margherita, una ragazzina di quattordici anni. Nelle prime pagine del libro, la troviamo seduta sulla prua di una barca guidata dal padre.  Margherita ha "occhi verdi, ridenti e malinconici, calamitati all'orizzonte: una linea troppo netta per non averne paura". Credo che queste parole delineino con molta chiarezza il carattere della protagonista e i suoi sentimenti. Ho sempre pensato che gli occhi dicano molto di una persona. Margherita è ansiosa nei confronti del futuro che l'attende, è preoccupata per l'inizio del primo anno di liceo. I due aggettivi riferiti agli occhi sembrano contraddittori ma in realtà, se ci si sofferma a riflettere per qualche istante, si comprende che designano una persona molto sensibile, sveglia e soddisfatta (ma solo nel primo capitolo!) della sua vita presente.

Il giorno prima dell'inizio dell'anno scolastico, la ragazzina ascolta dalla segreteria telefonica un terribile messaggio da parte del padre. Egli infatti le annuncia che non tornerà più a casa ma non le spiega il motivo. La vita della ragazzina cambia bruscamente e drammaticamente.
Margherita inizia a provare un dolore straziante causato appunto dall'improvvisa separazione dei genitori: piange in continuazione, mangia pochissimo, non riesce ad affrontare con serenità e con entusiasmo l'inizio del primo anno di liceo, si dimostra molto polemica con il giovane professore di lettere e si chiude in se stessa, rifiutando di dialogare con la madre.
La figura della madre mi ha fatto molta pena: Eleonora è indubbiamente una donna mite che si adopera per il bene dei suoi due figli;  però, di fronte ad una situazione così triste e così difficile, si dimostra disorientata e incapace di rispondere alla grande e intelligente domanda della figlia:
"Dov'è finito il mondo che mi avevi promesso?". In questa domanda c'è un esplicito riferimento a quel meraviglioso progetto di vita caratterizzato da tutti quei valori straordinari e profondi che un uomo e una donna si prefiggono quando decidono di unire le loro vite.
Andrea, il fratello minore di Margherita, è un vivace e simpatico bambino di cinque anni che inizialmente non comprende la situazione ma che ben presto inizia a chiedere notizie del padre.
Mi è piaciuta moltissimo la figura di nonna Teresa, donna calma e saggia che cerca di aiutare la nipote a superare il dolore. Quanto ho ammirato questa nonna! Mi ricorda molto la mia, che è una buona maestra di vita. Sono molto grata a mia nonna: pensate che da quando ho iniziato a vivere  l'adolescenza, si è adoperata molto per aiutarmi, con i suoi buoni consigli, a potenziare le mie capacità e a migliorare i miei difetti (ma ho ancora molta strada da fare!). Soprattutto grazie a lei ho imparato che la vita deve essere vissuta con spirito di accoglienza verso gli altri.
A scuola Margherita instaura un rapporto di amicizia con Marta, ragazzina solare e piena di energie, dotata di molta fantasia e incredibilmente comprensiva di fronte alla sofferenza altrui.
Sin dai primi giorni di scuola, la protagonista è attratta da Giulio, un ragazzo che frequenta la quarta liceo, bisognoso di amore e in costante conflitto con se stesso, incapace di perdonarsi di essere orfano. All'inizio del libro, a causa del suo comportamento un po' arrogante, sembrerebbe la tipica faccia da sberle... ma in realtà, la sua straffottenza nasconde un enorme dolore, una grande rabbia e, direi anche, una feroce avversione verso se stesso che riguarda proprio il suo essere stato abbandonato dai genitori. Queste parole che dice a un certo punto del libro sono penetrate dentro di me come una spina particolarmente appuntita: "Se tua madre ti abbandona, è perché fai schifo."

E il mitico prof., che bella figura!!!! Pieno di entusiasmo nei confronti del suo lavoro e anche nei confronti della vita. Il professore di Lettere di Margherita è simile a un mio insegnante il quale,
oltre a spiegare la sua materia con sincera passione, concilia abilmente la letteratura con le situazioni della vita reale.  
L'insegnante di Margherita ama i libri con tutto se stesso ed è alla ricerca di se stesso. Tuttavia, l'appassionato professore, proprio perché è alla ricerca di se stesso, non si sente pronto ad amare. E a questo proposito, ho ritenuto che Stella, la ragazza del prof., fosse un personaggio un po' scomodo: da una parte infatti, ammiravo la sua forza d'animo, la sua maturità e la sua ferma volontà di realizzare un progetto collettivo di vita, ma dall'altra la trovavo molto dura, dura e inflessibile al punto tale da non apprezzare un invito a cena da parte del prof. e da far pesare costantemente al professore le sue fragilità e le sue paure.

Tempo fa, ho ritenuto opportuno scrivere una mail al signor D' Avenia, affinchè chiarisse questa mia perplessità. Naturalmente mi sono complimentata per il romanzo e alla fine, riguardo alla figura di Stella, ho scritto esattamente così:"Perchè avrebbe dovuto scrivere su una lettera: "Ti amo" e "Voglio estrarre da te il tuo migliore tu", anziché pensare di dirglielo a voce? Ritengo sia molto più bello e significativo parlarsi con queste frasi faccia a faccia, invece  di continuare a evidenziare i difetti e le fragilità dell'altro durante un incontro e di scrivere poi belle letterine (anche se marcate da frasi pesanti e molto forti come:"Sei lo specchio della tua fragilità"). Secondo me avrebbe dovuto essere più comprensiva e avrebbe potuto anche stargli un po' più vicino per aiutarlo a superare i suoi timori. L'amore non richiede forse pazienza verso l'altro?  Ma chi sono io per giudicare le altre persone e le relazioni umane?!! Proprio io parlo di comprensione e di pazienza, io che sono una persona che tende a giudicare gli altri talvolta con intransigenza..."

Durezza verso me stessa, ipercriticità e permalosaggine: ecco le mie fragilità, visto che siamo in tema. Però almeno io le ammetto, le mie fragilità. Al contrario di molte persone!

Comunque l'illustre professor D'Avenia è stato molto gentile con me e ha chiarito i miei dubbi con queste parole: "... come tu dici l’amore esige comprensione e pazienza, che Stella ha avuto
con il professore per tutta la loro storia ma adesso sente l’esigenza che il loro amore cresca, che diventi più adulto e profondo e si rende conto che solo una forte scossa può farlo evolvere in meglio o farlo finire per sempre. Le scelte importanti della nostra vita quasi sempre le prendiamo quando sentiamo mancarci il terreno sotto ai piedi perché è lì che capiamo davvero cosa è importante per noi."