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26 novembre 2021

Ciao nonna

Cara nonna,

grazie infinite per avermi accompagnata con affetto e premura in tutti questi anni.

Prima temevi di non vedermi ricevere la comunione, poi dicevi: "Non arriverò a vedere la Annina cresimata." 

Invece mi hai proprio vista crescere.

Per sei anni, nei giorni in cui tornavo dall'Università verso le cinque di pomeriggio, entravo in casa e, molto spesso, non mi toglievo nemmeno scarpe e giacca per servirti subito il tè caldo con i biscotti, mentre, seduta sul divano, leggevi o recitavi il rosario. 

Grazie infinite per aver contribuito a trasmettermi i valori dell'educazione cristiana. Grazie per avermi fatto comprendere, in tenera età, che i salmi sono delle poesie di lode a Dio e al Creato. La tua fede era forte e salda come uno scoglio sul quale si abbattono le onde. 

Sai, non te l'ho mai detto ma ho sempre pensato che tu fossi un cervello sprecato perché sei stata una bambina alla quale è stato negato il diritto allo studio.

Averti fatta studiare... Saresti potuta diventare "molte cose" a mio avviso: maestra, infermiera, psicologa.

Ti ricordi il periodo in cui ero alle elementari e alle medie? Nei pomeriggi primaverili ed estivi, forte dei miei ottimi voti, indignata del fatto che tu non avessi avuto nemmeno la possibilità di frequentare la quinta elementare, volevo insegnarti quel che a scuola imparavo io: l'analisi logica, un po' di geografia e di storia, qualcosa anche sulle figure geometriche. Eri bravissima. Avevi una mente sveglia e giovanile anche a 90 anni!! 

Proprio come me, in grammatica e nelle date storiche eri veramente forte. Averti fatta studiare...

Grazie a ciò che ti raccontavo, a cento anni hai imparato che "lingua volgare" significa "lingua parlata dal popolo", non "linguaggio osceno". Qualcosina di linguistica italiana sapevi già prima che io te la raccontassi un po', visto che dicevi: "Tuar deriva dal francese!" oppure "Menu è una parola francese!".

Eri una donna concreta, intelligente e piena di buonsenso. Era un piacere parlarti. Ricordo i miei sabati sera dei tempi della pre-adolescenza e dell'adolescenza, quando ti raccontavo "le novità della gioventù" e tu mi sostenevi, mi incoraggiavi a continuare a mantenere il mio senso di integrità al di là di derisioni e amicizie precarie che navigavano in un mare di doppie facce. 

Sei stata una contadina veneta onesta, pura, semplice. Hai condiviso parte del tuo lungo cammino di vita con il tuo amato marito Augusto. Insieme avete cresciuto quattro figli, insieme avete gustato ogni minuto di quelle serate in cui suonavate e cantavate. Mi hai detto che molte volte avete preso in mano chitarra e mandolino quando ero molto piccola e io, felice di sentire un po' di ritmo e di voci allegre, mi muovevo e sorridevo in una culla.    

Quando ero alla scuola materna mi portavi con te nel pollaio. La campagna era la tua passione, ti prendevi volentieri cura delle galline e dell'orto. Una volta mi ero offesa perché avevi tolto quelle tre piantine di insalata che avevo piantato da poco nel terreno. "A che serve arrabbiarsi?! Questa è lattuga in semenza, ti fa male se la mangi."

Hai avuto una giovinezza tempestosa, rovinata dal fascismo e dai bombardamenti e provata da una povertà economica che ha fortificato il tuo carattere e che non ti ha indurita o inaridita, anzi... Ti ha resa propensa alla condivisione, all'unità e alla solidarietà familiare. Nonna, non capiresti lo stile quotidiano di molte famiglia di ora, dove, bene che vada, genitori e figli si parlano raramente e sempre con il ronzìo di una televisione. E, male che vada, i genitori si separano e uno dei due mette i figli contro l'ex coniuge o l'ex convivente.

Tu per molti anni hai fatto volentieri a meno della televisione e, fortunatamente, non hai mai conosciuto né gli effetti deleteri delle relazioni virtuali né il vuoto protagonismo di chi, sui social, posta più volte al giorno selfie e foto per combattere la paura di sentirsi vuoto. Di questo a dire il vero non ti ho mai parlato... pensavo: "Meglio per lei che preghi e che legga e che ricordi quelle che sono state le sue gioie in famiglia".

Quando eri ragazza dovevi essere diligente e zelante nel tuo faticoso lavoro in filanda che comportava la sveglia alle quattro e mezza della mattina. Tuo fratello Giuseppe è morto giovane e sapevi che tua sorella Emma era sottomessa ad un marito prepotente e violento. Avevi, per un certo periodo, paura per me: "Attenta a chi sposerai! Non accettare umiliazioni. Tuo marito deve rispettarti e portarti su un piedistallo, inginocchiarsi dove cammini, perché tu vali. Sembri distante e fredda ma in realtà hai una bella testa e un cuore buono."

Come se fosse facile trovare una persona seria e genuina con i tempi che corrono...

Purtroppo per te, il Covid ti ha impedito, in questi ultimi due anni di vita, di andare a messa tutte le settimane. Ma direi che hai vissuto l'opportunità di vaccinarti con spirito sportivo e ottimistico, perché dicevi: "Cosa volete che siano due punturine?" 

Che belli i tempi in cui si poteva andare in ferie al mare o in Trentino con te! Ti piaceva di più la montagna e camminavi sorreggendo un grosso bastone di legno lungo i sentieri dei boschetti e lungo le vie di paesini come Fai della Paganella.

Grazie, grazie di tutto.

Una settimana fa, prima che io partissi per la GMG diocesana, mi hai raccontato di un sogno toccante e mi hai detto con gli occhi lucidi di gioia: "Ti faccio tanti auguri per il lavoro. Cominci. Pian piano, con un paio di supplenze, ma cominci presto."

Ora le tue sofferenze sono finite e anche le mie. Credo che ora sia finito anche per me il periodo in cui dormivo male e mi svegliavo alle cinque della mattina per piangere sulle tue miserie e sui tuoi mali.

Ora, cara nonna Anna, che hai scelto per me il tuo nome e che probabilmente mi hai voluta più tu dei miei genitori, sei in Paradiso in compagnia degli angeli e, secondo me, come una bambina vivace e spensierata, stai correndo felice lungo gli immensi prati dell'aldilà. 

Io al momento ho un vuoto. Sono da una parte arrabbiata per ciò che hai dovuto patire da inferma e, dall'altra, piena di gratitudine.

Sii felice, nonna. Ti prometto che mi impegnerò ad esserlo anch'io. Ti prometto che vivrò con intensità tutto ciò che mi aspetterà. Ti prometto che mi sforzerò sempre di credere che il male e il dolore non hanno l'ultima parola, perché, come dice una persona ultimamente a me molto cara, noi "siamo fatti per il cielo".



HO PERDUTO UNA DELLE POCHE PERSONE CHE MI VOLEVA BENE PER QUEL CHE SONO! 

ORA NON C'E' PIU' E PRIMA DI MORIRE VI ASSICURO CHE HA SOFFERTO MOLTO (CHE INGIUSTIZIA!).

CHIEDO RISPETTO E SILENZIO, PER ME E PER TUTTI I MEMBRI DELLA MIA FAMIGLIA!

IO NON HO BISOGNO DELLA COMPASSIONE DI NESSUNO. 

SONO FORTE DA SOLA. SONO SEMPRE STATA FORTE DA SOLA!


24 novembre 2021

"In the year 2889"

Eccolo qui, il film del '67 ambientato in un futuro lontano, una pellicola non facilmente reperibile e fruibile solamente in lingua inglese.

In the year 2889 è sia un film dell'orrore sia un film di fantascienza post-apocalittica ambientato negli Stati Uniti.

A) L'INIZIO DEL FILM E UN CONFRONTO CON UN PASSO DEL VANGELO DI MARCO:

Nei primi secondi è visibile lo scoppio della bomba atomica e una voce narrante dice:

Nel corso dei secoli i profeti ci hanno avvertito che un giorno, migliaia di anni di costruzioni e di progresso sarebbero potuti essere cancellati dalla mano distruttiva del potere. Ora quel giorno è arrivato. Il mondo intero è stato messo a tacere, annientato da bombe nucleari.

Devo ammettere che l'effetto dello scoppio cattura l'attenzione degli spettatori. 

C'è un passo del Vangelo di Marco al capitolo 13 nel quale Gesù fa riferimento alla fine del mondo come evento che prevede anche la visione del Figlio dell'Uomo:

In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscureràla luna non darà più la sua lucele stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremità della terra fino all'estremità del cielo.

Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l'estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte.
In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.
Quanto però a quel giorno o a quell'ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre.

Come avete potuto intuire, in questo passo del Nuovo Testamento la predizione sulla fine del mondo è molto diversa rispetto a quella del film, visto che non prevede né la comparsa di angeli né astri oscurati, ma solo bombardamenti, radiazioni e pericoli. 

Il mondo post-apocalittico di questo film è contaminato. I sette personaggi vivono isolati su una collina nella quale il livello di radioattività è meno alto dal momento che è protetta dalle scogliere. I personaggi devono sperare che non piova mai, altrimenti le nubi riverserebbero piogge dannose e piene di radiazioni e loro morirebbero. Oltre a ciò, nel boschetto oltre il giardino della casa in collina, si aggirano i mutanti, creature mostruose, telepatiche e antropofaghe. I mutanti sono anch'essi affetti da radiazioni.

Vorrei ora ricopiare alcune parti del commento che il teologo Silvano Fausti, morto pochi anni fa, ha scritto a questo proposito. Certi punti forse sono di interpretazione un po' libera e "filo-luterana":

Ciò che apparirà alla fine è la nostra gloria e allora si vedrà il Figlio dell'Uomo venire con molta potenza e gloria. Il senso della storia è la rivelazione del Figlio dell'Uomo e in lui ogni uomo, nella potenza piena della vita e nella gloria stessa di Dio. Interessanti, al versetto 24, sono quel "ma", indice del fatto che tutto il mal finirà; e il "dopo", che vuole comunicare che il mondo è nelle mani di Dio e quindi il male non ha l'ultima parola.

Il sole, principio della creazione, è oscurato. Proprio come il giorno della crocifissione di Gesù. Scrivono infatti gli evangelisti: "A mezzogiorno si fece buio su tutta la terra". La croce è la fine del male. Cosa ci può essere di peggio dell'uccisione dell'Unico Giusto?! Cosa può esserci di peggio della condanna ingiusta dell'Unico Santo?!

Il mondo vive per la luce di Dio e per la libertà degli uomini che sanno accoglierla. Il rifiuto di Dio distrugge il mondo.

Il Figlio dell'Uomo viene per il perdono: sulla croce ha già dato la vita per i peccatori perdonando i suoi crocifissori.

Il fico è una pianta domestica. In primavera spuntano i fiori e le foglie.  E i fichi ci sono anche in autunno, stagione di decadenza. Questo significa che, in qualsiasi stagione della nostra vita, siamo invitati ad amare Dio e il prossimo.


Quando vedremo guerre e calamità sapremo che il Signore è vicino. Come si dice negli Atti degli Apostoli (Ap.3, 20): "Sto alla porta e busso".
Il problema non è "Dov'è Dio?" ma se apriamo il nostro cuore per farlo entrare. Non esistono i cattivi, esistono gli sfortunati che non hanno mai sperimentato uno sguardo buono. Ognuno di noi aspetta uno sguardo che lo accolga così com'è. Allora può realmente esistere e vivere.

B) RIMANDI ALLA STORIA DEGLI ANNI '60:

In the year 2889 è un film fatto in un periodo di piena guerra fredda, dunque, il regista era sicuramente memore di ciò che era accaduto soltanto 5 anni prima, nell'ottobre 1962, quando a Cuba erano stati installati dei missili sovietici. Questo era un concreto rischio di un inizio di un terzo conflitto mondiale. Già dalla fine degli anni '40 i blocchi contrapposti, a livello geopolitico e culturale, erano gli Stati Uniti e l'Urss. All'inizio degli anni Sessanta, Kruscev era al governo dell'Urss e Kennedy era presidente degli Stati Uniti. Attraverso alcune trattative, i missili sovietici erano stati ritirati da Cuba e gli Stati Uniti, a loro volta, si erano impegnati a non invadere l'isola e a disinstallare i loro missili dalla Turchia e dalla Gran Bretagna.

C)CONTENUTI E PERSONAGGI: 

Una guerra nucleare ha sterminato quasi tutta l'umanità che era costituita da 3 miliardi di persone. 

John Ramsey, padre della giovane Johanna, vive con la figlia in una casa-rifugio in cima ad una collina nella quale, come affermavo prima, la quantità delle radiazioni risulta più bassa. Ma arrivano altri cinque ospiti con la speranza di sopravvivere. Si tratta di Tim, dei fratelli Steve e Granger e dei due fidanzati Micky e Jada.

Il signor Ramsey è poco propenso ad accoglierli dal momento che le scorte di cibo sono limitate. E' Johanna infatti ad insistere: "Papà, sono umani, non animali!".

Ci sarebbero altri piccoli gruppi di persone che formano delle piccole comunità isolate in Europa o nei pressi di New York e Los Angeles ma John, attraverso l'utilizzo della radio, scopre di non poter stabilire dei contatti con loro.

Durante quella convivenza tra sette persone molto diverse tra loro si scopre che:

*Jada era una ballerina alcolizzata. Si tratta di una ragazza superficiale e immatura. Successivamente sarà invidiosa e gelosa di Johanna a causa di Micky che dimostra interesse per quest'ultima. Micky cerca di sedurre una Johanna infastidita. L'ho soprannominato "Mr. Facciatosta" per i comportamenti troppo sfacciati e disinvolti. Prima della guerra nucleare commetteva furti e rapine.

* Steve, ragazzo genuino e mite, è un geologo attratto e ricambiato da Johanna. 

*Tim è un ubriacone di mezz'età.

*Granger, inizialmente affetto da radiazioni (ha in corpo 740 Roentgen), sopravvive. Chiede per cibo sempre carne fresca non contaminata, che Johanna gli procura di nascosto frugando nelle riserve nella cantina del padre. Però Granger si trasforma in mutante a poco a poco ed esce di casa di notte.

Se penso che all'inizio del film John dice: "Il contatore Geiger ci dà 632 Roentgen. Questo è più che sufficiente per uccidere un uomo".

*John è il più anziano dei sette personaggi. 

E' l'unico settantenne tra giovani di età compresa fra i 25 e i 30 anni, eccetto Tim che ne ha 50. La convivenza fra queste persone così diverse tra loro comporta non soltanto conflitti e competizioni, come ho da poco avuto modo di spiegare, ma anche omicidi. Alla fine del film restano solamente John, Johanna e Steve.

John è il più pragmatico e il più realista. Sua figlia invece rappresenta la solidarietà fra gli esseri umani anche nei periodi più bui e nelle catastrofi. 

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Il film si conclude con un piccolo segno di speranza: praticamente si scopre che la pioggia è in grado di far morire i mutanti e forse di ridare vita ad una terra ormai arida e quasi del tutto deserta.



17 novembre 2021

Il gabbiano", A. Cechov:

Il gabbiano è una commedia in quattro atti di Anton Cechov.

Nel post di questa settimana vorrei riassumere i contenuti dei quattro atti, provare a riflettere su una concezione di teatro che traspare in quest'opera e presentarvi inoltre anche il tema della morte e del decadimento, presenti soprattutto nell'ultimo atto.

ATTO I°:

La scena si svolge nella villa di campagna di Sorin, ex consigliere di Stato in pensione e zio del giovane Konstantin Trepliov, aspirante scrittore. La sorella di Sorin è la Arkàdina, attrice vedova da tempo che ha come amante Borìs Trigorin, romanziere.

In questo atto alcuni personaggi stanno per assistere ad un dramma, che inizierà al sorgere della luna, scritto e diretto da Konstantin. 

Nina, attrice in erba della quale Trepliov è innamorato, deve qui recitare la parte principale.

A questo punto vorrei riportare tre battute di un dialogo fra Nina e Konstantin:

NINA: Nella tua commedia è difficile recitare. Non vi sono figure vive.

TREPLIOV: Figure vive! Bisogna rappresentare la vita non com'è e non come deve essere, ma come ci appare nei sogni.

NINA: Nella tua commedia c'è poco intreccio, è tutta declamazione.

Nina non ha torto quando afferma che l'opera di Konstantin è "tutta declamazione"! Ve ne accorgerete quando citerò alcune parti di un lungo monologo che, al momento della rappresentazione, risulta quasi del tutto privo di azioni con specifiche finalità. Al corso di teatro ho imparato a distinguere tra movimento e azione (e, a dirla proprio tutta, la semantica dell'italiano dà pienamente ragione alla differenza che, secondo molti attori, intercorre tra queste due parole). Un qualsiasi movimento, come ad esempio spostarsi da una sedia ad un'altra, non ha finalità, l'azione invece sì. L'azione di sedersi per leggere o per suonare ha uno scopo, quindi, può rendere interessante il fare teatro.

Trepliov è convinto che l'opera teatrale non debba essere caratterizzata da contenuti attinenti con la vita reale (cioè veri e/o verosimili). Questa concezione si distanzia moltissimo dalla poetica di Alessandro Manzoni! 

Per Konstantin, il teatro è "sogno" e, come i lettori avranno modo di appurare successivamente, "surrealtà". E ora ragioniamo con alcune considerazioni che mescolano la storia della letteratura con la storia del teatro.

Ques'opera è stata scritta nel 1895. Collocato nel tempo, questo anno appartiene senza dubbio al periodo della Belle Epoque, epoca che prevede l'aumento dell'utilizzo dell'energia elettrica nelle città d'Europa, la nascita della radio e del cinema. In Italia, nel 1895 a governare c'è Umberto I di Savoia e in Parlamento troviamo la Sinistra Storica con le sue per lo più inefficaci riforme sociali.

Ad ogni modo, è il 28 dicembre 1895 quando i fratelli Lumière rendono pubblico il loro primo cortometraggio intitolato L'uscita dalle fabbriche Lumière: qui, ovviamente in bianco e nero, senza parole o sottotitoli e senza alcuna tecnica sonora né alcun espediente di montaggio (per i primi montaggi alternati bisogna attendere l'inizio degli anni '30 del Novecento), viene rappresentata l'uscita di alcuni lavoratori alla fine del loro turno in fabbrica. Cinema davvero molto attinente con il reale!

Ora torniamo indietro nel tempo: prima di Goldoni c'era, in Italia, la cosiddetta "commedia dell'arte", nella quale si dava molta importanza alle capacità di mimare degli attori e anche, naturalmente, alla loro abilità nel rappresentare in modo comico dei tipi fissi (non personaggi con psicologia e profondità di stati d'animo). Questo tipo di commedia prevedeva un "canovaccio", scritto nel quale venivano riassunte azioni ed eventi da mettere in scena, ma, attenzione, non erano scritte battute da mandare a memoria. Era dunque anche un teatro di improvvisazione.

Poi arriva Goldoni che, nel 1738, per il Momolo Cortesan, la sua prima commedia in dialetto veneziano, stila il copione soltanto per il protagonista. Nella sua riforma sul teatro italiano, Carlo Goldoni pian pianino abolisce i tipi fissi e le maschere a favore di personaggi dotati di determinazione (come Mirandolina) e di una specifica psicologia che li contraddistingue. E il copione viene esteso a tutti i personaggi.

La commedia dell'arte ha per protagonisti delle maschere conosciute dalla tradizione popolare (Arlecchino, Pulcinella, Colombina), mentre invece, nella commedia di Goldoni, compare la borghesia con i suoi valori, i suoi principi e la sua etica del lavoro, quindi in genere, un qualcosa di vicino alla realtà di quel tempo.

Cosa c'è stato nella letteratura russa prima del 1895? 

-Tolstoj, con la sua passione per la storia e per dei personaggi ben radicati nel contesto di primo Ottocento, riguardante il conflitto con la Francia napoleonica ("Guerra e Pace") e anche certamente per le vicende delle famiglie borghesi ("La felicità familiare", "Anna Karenina", "La morte di Ivan Il'ic").

-Dostoevskij, con le sue opere profondamente psicologiche, in grado di scandagliare le angosce e le inquietudini dell'animo umano, di personaggi che si trovano di fronte a sentimenti che nella vita reale sono da sempre eterni, come l'odio, la rabbia, la contraddizione interiore, la nostalgia, la disillusione ("Delitto e castigo", "Le notti bianche", "Povera gente", "Il giocatore", "L'eterno marito").

*Pasternak è del Primo Novecento e, non preoccupatevi, non mi sono dimenticata del Dott. Zivago.

Entrambi gli scrittori sono vicini e attinenti al reale, proprio come Verga in Italia che, nei Malavoglia tratta le condizioni degli umili e dei ceti bassi, in Mastro Don Gesualdo la melanconia e la solitudine esistenziale borghese. In Francia, con Zola succede più o meno la stessa cosa. 

In Regno Unito, con Dickens soprattutto, vengono creati romanzi sociali sulla povertà, sull'industrializzazione crescente di Londra e sui maltrattamenti verso i bambini ("Oliver Twist", "David Copperfield", "Tempi difficili"). Jane Austen, che di poco precede Dickens ma che fa parte comunque del primo Ottocento, parla di matrimoni, di ingressi in società delle ragazze piccolo-borghesi in età da marito, di doti, di sentimenti e di fraintendimenti che precedono i fidanzamenti e che spesso si rivelano formativi per  la crescita affettiva delle protagoniste. Anche qui: tutto vicino al reale.

E prima c'è Shakespeare: l'intensità dei sentimenti dei suoi personaggi, le situazioni di contrasti familiari... Anche Shakesperare, devo ammetterlo, era un fine psicologo.

Quindi, dopo queste considerazioni, possiamo desumere che l'Ottocento, in tutta Europa, è stato un secolo caratterizzato, in gran parte, da opere letterarie vicine o attinenti al reale, al sociale e al quotidiano.

Alcuni anni dopo il 1895, i pittori per primi e in seguito anche gli scrittori, avvertono il bisogno di fare l'opposto rispetto alla tradizione e da qui nascono l'astrattismo, il cubismo, l'espressionismo, il surrealismo e, dopo la bomba atomica del '45, negli Stati Uniti nasce l'informale con Pollock. In letteratura italiana da una parte compare il provocatorio movimento futurista che vorrebbe stravolgere persino le regole sintattiche, mentre dall'altra si intensifica il filone autobiografico e psicologico con leggero sfondo storico, sicuramente più inerente alla realtà borghese (poesie di Ungaretti, Il mio Carso di Slataper, i Canti Orfici di Dino Campana, i tre noti romanzi di Svevo).

A quanto sembra dunque, anche Trepliov è "stanco del reale, del verosimile, del sociale, del psicologico". La vita come ci appare nei sogni... E' una frase che sembra volersi distaccare da gran parte della tradizione, anche recente, per mettere in scena un'opera pseudo-fantascientifica. In effetti, Trepliov quella sera presenta sul palcoscenico un'opera ambientata in un remoto futuro, fra centomila anni.

Vi riporto alcune frasi recitate da Nina:

Gli uomini, i leoni, le aquile e le pernici, i cervi dalle ampie corna, le oche, i ragni, i muti pesci abitanti nell'acqua, le stelle marine e quegli esseri che non si potevano scorgere ad occhio nudo, - in breve tutte le vite, tutte le vite, tutte le vite, compiuto un malinconico ciclo, si spensero... (...) Freddo, freddo, freddo. Vuoto, vuoto, vuoto. Paura, paura, paura. I corpi delle creature viventi svanirono nella polvere, e l'eterna materia li mutò in pietre, in acqua, in nuvole, e le loro anime si fusero in una. (...) Sono sola. Una volta ogni cento anni io apro bocca per parlare, e la mia voce risuona squallida in questo vuoto, nessuno la sente...

Cosa significa per voi fare letteratura?

Quanto, secondo voi, è incisiva l'azione in un atto teatrale? 

Quale genere di letteratura e di teatro, a vostro avviso, è dotato di maggior qualità tra il verosimile e il fantastico?

ATTO II°:

Qualche giorno dopo la rappresentazione (che è stata in effetti un insuccesso), Trepliov uccide un gabbiano che consegna a Nina, inorridita. Nina non comprende il gesto del giovane, che invece, per noi lettori, è simbolo di insoddisfazione esistenziale e di ricerca della felicità. Konstantin crede che la sua felicità possa dipendere da una relazione con Nina. I gabbiani, come si accenna anche ad una poesia di Cardarelli che inizia così: Dove trovano pace i gabbiani? 

In effetti, i gabbiani sono uccelli nomadi e, come noi, non sono fatti per la staticità dal momento che "esistere" significa "essere in cammino".

Si scopre qui che Nina è attratta da Borìs Trigorin, scrittore continuamente ispirato per immagini:

Giorno e notte mi affligge un solo pensiero molesto: io devo scrivere, io devo scrivere, io devo... Ho appena finito una novella che subito, non so perché, devo scriverne un'altra, e poi una terza, e dopo la terza una quarta... Scrivo senza interruzione, cambiando i cavalli alle stazioni di posta, e non posso altrimenti. (...) Vedo una nuvola simile a un pianoforte. Penso: bisognerà accennare in qualche racconto che fluttuava una nuvola simile ad un pianoforte. (...) Colgo ogni parola, ogni frase, che io e lei pronunziamo e mi affretto a rinchiuderle tutte nel mio deposito letterario: potranno servirmi!

Secondo voi questo è autentico talento oppure è una compulsione ossessiva volta a riempire la vita, vuota di relazioni e, oserei dire, anche di vera interiorità?!

ATTO III°:

L'atto terzo è drammatico in tutti i sensi. Trigorin e la Arkadina partono per Mosca. Trepliov tenta il suicidio. Le condizioni di salute di Sorin peggiorano.

In questo punto del dramma diviene chiaro che la Arkadina non ama per nulla suo figlio, ragazzo che lei, in pratica, considera inutile e presuntuoso. Questa donna tiene molto di più all'amante che non al figlio, disperato e frustrato di fronte agli eventi della vita e privo di amore. Per la madre prova un affetto non ricambiato.

Il gabbiano morto nell'atto precedente rimanda quindi anche all'esistenza sola e triste di Trepliov.

ATTO IV°:

Tra il terzo e il quarto atto c'è uno stacco temporale di due anni. L'ultimo atto del dramma si svolge tutto nello studio di Trepliov. I lettori vengono a conoscenza del fatto che Nina ha girato mezza Russia in quel periodo come attrice, ma senza aver mai avuto un vero successo.

Qui entra anche il tema del decadimento fisico, con le condizioni di Sorin che peggiorano. Finora non ho mai nominato Dorn, medico amico da una vita di Sorin, persona che sarebbe dunque, a rigor di logica, idonea ad assisterlo e a curarlo.

Sorin in quest'atto non cammina più, fa la spola tra carrozzina, letto e divano. E' il più sobrio e il più buono dei personaggi. Ha sempre avuto una vita tranquilla. E ad un certo punto dice, in modo molto lucido: Che strano! Sono malato, sto peggiorando, eppure, non mi si dà nessuna medicina.

E per tutta risposta si sente dire da Dorn: Ma cosa pretendi? Ogni vita umana, secondo le leggi della natura, deve aver fine.

Ma che gran bel gusto che c'è ad essere amico di una persona così delicata e sensibile! Simpatia, empatia e professionalità portatemi via...!!!

Mai lasciare da soli gli ammalati, indipendentemente da fatto che abbiano 11, 18, 36, 40, 55, 60, 70, 95, 100 anni!! Li si accompagna fino alla fine. 

Certo che la morte, per ognuno di noi, è inevitabile, e un giorno lo sarà anche per la sottoscritta. Ogni vita umana ha fine.

Ma forse, ad un certo punto della vita, il pensiero e l'inevitabile dolore di dover andarsene per sempre, divengono più sopportabili se accanto si hanno persone che si preoccupano e si occupano di te. L'importante, credo, è non morire soli, in modo tale da sentire il calore umano nell'ultimo periodo di vita.

Vi cito Seneca: In hoc enim fallimur, quod mortem prospicimus: magna pars eius iam praeterit; quidquid aetatis retro est mors tenet.

(In questo infatti ci sbagliamo, dal momento che ci avviciniamo alla morte: gran parte di questa è già passata, qualunque periodo che è trascorso lo tiene la morte).

(Epistola a Lucilio, I)

Dorn, la Arkadina e Trigorin giocano a tombola. 

Trepliov è depresso. Mentre, nel primo e nel secondo atto, a questo personaggio vengono attribuite un buon numero di battute, qui quasi non parla. Perché a fine dramma si suicida, dopo aver strappato tutti i suoi manoscritti. 

Nina non lo ha mai veramente amato, lei è indifferente, assolutamente non propensa a consolare la sua sofferenza. Più volte, nel corso di un dialogo, dice a Konstantin: Io sono un gabbiano.

In questo caso il gabbiano rappresenta tutti i viaggi (a vuoto e senza buone prospettive di carriera) della ragazza da un teatro all'altro, alla ricerca appunto di felicità, successo, fama e ricchezza. Nina non si rende conto però di non decollare come attrice, al punto tale che dice, pochi istanti prima che Trepliov muoia: Arrivederci! Vieni a trovarmi quando sarò famosa!

...Senza rendersi conto dello strazio di chi ha davanti.

Trepliov muore prima dello zio e decide di morire a 27 anni. 

Quanto la mancanza d'amore è direttamente proporzionale alla voglia di morire?

KONSTANTIN TREPLIOV:

Devo ammetterlo, nel primo atto mi stava antipatico. Poi ho provato pietà, un profonda pietà.

Konstantin viene paragonato da alcuni critici all'Amleto di Shakespeare perché, come Amleto cerca di salvare sua madre Gertrude dallo zio Claudio, così Konstantin intuisce la vera natura (=insensibile e bieca) di Borìs e cerca di farlo capire a sua madre. Anzi, vi dirò di più: nel terzo atto Trepliov, che è colto (ma la cultura non dà felicità e una prova di ciò sono i nonni di chi appartiene alla mia generazione), cita alla madre l'Amleto: E perché indulgi nel vizio, cercando l'amore nell'abisso del crimine?

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-A conclusione di questa impegnativa (e pesante) tematica, per la prossima settimana è programmata la recensione del film In the year 2889, a mezza via tra l'horror e il fantascientifico. E' un film che ha ormai poco più di 50 anni, di valore, comprensibile se collocato storicamente. Però è apocalittico. Già solo per questo raccomando ai miei lettori di tenere lontani dal post della settimana prossima gli under 18 (ma direi anche i diciottenni se possibile) e raccomando caldamente ai ragazzi di quella fascia d'età di non leggere neanche per curiosità quel che scriverò su quel film. Soltanto per una settimana. Non è affatto una pellicola scandalosa, ma, a quell'età, si deve pensare alla vita e alle piccole soddisfazioni di ogni giorno, non alle guerre nucleari che devastano natura e umanità! Questi sono argomenti per giovani adulti e per adulti.



9 novembre 2021

Dante, "Paradiso", canto XXVI°:

 Struttura del Paradiso dantesco:

Vi presento, in questo post, i contenuti del ventiseiesimo canto del Paradiso, con l'inserimento di alcune strofe che fungono, almeno a mio avviso, da "colonne portanti" per la comprensione dei contenuti.

Siamo nel cielo delle Stelle Fisse (l'ottavo quindi).

vv. 1-12: Incontro con San Giovanni

de la fulgida fiamma che lo spense
uscì uno spiro che mi fece attento,               

dicendo: «Intanto che tu ti risense
de la vista che hai in me consunta,
ben è che ragionando la compense.               

Comincia dunque; e di' ove s'appunta
l'anima tua, e fa' ragion che sia
la vista in te smarrita e non defunta:               

perché la donna che per questa dia
region ti conduce, ha ne lo sguardo
la virtù ch'ebbe la man d'Anania».               

Dante, dalla fine del venticinquesimo canto, risulta accecato dalla luminosità di San Giovanni che è particolarmente intensa. Già nel corso delle prime strofe di questo canto, immediatamente successivo, inizia un dialogo molto importante tra Dante e questo santo. 

Approfitto però per darvi alcune informazioni su Giovanni apostolo, ricordato di solito il 27 dicembre: prima della chiamata di Gesù era pescatore al lago di Tiberiade, come il fratello Giacomo. Giovanni, al contrario di Marco, ha dunque conosciuto di persona Gesù: ha assistito alla sua trasfigurazione e... diversamente da Pietro e dagli altri discepoli, è stato vicino a Gesù nel momento del massimo dolore: lo prova quel passo, ambientato sul Calvario, nel quale Gesù lo affida alla madre Maria: ("Ecco tuo figlio!"). Dopo la Risurrezione di Gesù, Giovanni ha trascorso ad Efeso gran parte della sua vita, fino al 104 d.C, anno della sua morte. Si dice che si sia avvicinato ai 100 anni di vita...qualcosa che all'epoca era veramente straordinario!


Ad ogni modo, dicevo: Dante non ci vede più a causa dell'intensità (=fulgida fiamma) della luce di San Giovanni, per questo scrive "dubbiava", voce verbale che indica un senso di incertezza misto a timore. Vi ricordo che, fino alla metà dell'Ottocento, la desinenza degli imperfetti in "-va" era identica per prima e terza persona singolare. Per l'appunto, è il santo a rassicurarlo sul fatto che questa condizione di cecità è temporanea e non permanente (smarrita e non defunta). E gli consiglia di compensare questa momentanea perdita con il ragionare bene, questo significa la seconda strofa del canto.

C'è una menzione ad Anania. L'angelica Beatrice è paragonata ad Anania, discepolo che aveva restituito la vista a San Paolo, accecato sulla via di Damasco.

vv. 19-45: San Giovanni inizia ad interrogare Dante sulla carità

Quella medesima voce che paura
tolta m'avea del sùbito abbarbaglio,
di ragionare ancor mi mise in cura;               

e disse: «Certo a più angusto vaglio
ti conviene schiarar: dicer convienti
chi drizzò l'arco tuo a tal berzaglio».               

E io: «Per filosofici argomenti
e per autorità che quinci scende
cotale amor convien che in me si 'mprenti:               

ché 'l bene, in quanto ben, come s'intende,
così accende amore, e tanto maggio
quanto più di bontate in sé comprende.               

Dunque a l'essenza ov'è tanto avvantaggio,
che ciascun ben che fuor di lei si trova
altro non è ch'un lume di suo raggio,               

più che in altra convien che si mova
la mente, amando, di ciascun che cerne
il vero in che si fonda questa prova.               

Tal vero a l'intelletto mio sterne
colui che mi dimostra il primo amore
di tutte le sustanze sempiterne.               

Sternel la voce del verace autore,
che dice a Moisè, di sé parlando:
'Io ti farò vedere ogne valore'.               

Sternilmi tu ancora, incominciando
l'alto preconio che grida l'arcano
di qui là giù sovra ogne altro bando».               

Ma davvero ci attenderebbe una sorta di esame come questo quando e se finiremo in Paradiso?!

Ad ogni modo, San Giovanni chiede a Dante che cosa lo abbia indirizzato all'amore per Dio, stimolandolo dunque a ragionare. Dante gli risponde che il suo amore per Dio si è impresso sia attraverso delle argomentazioni filosofiche sia mediante i libri sacri ispirati da Dio. Dice anche, e questo sarà particolarmente piaciuto a San Giovanni, che Dio è il Sommo Bene e che ogni bene sulla Terra è il riflesso del bene di Dio. Questo glielo ha fatto capire (=sternel) innanzitutto Aristotele, che ha dimostrato cos'è ciò che le anime amano più di tutto, poi l'episodio biblico nel quale la voce di Dio ha detto a Mosè: ego ostendam omne bonum, e cioè, io ti mosterò tutto il bene, e infine Dante elogia il Vangelo di Giovanni, dal momento che è un testo che "esalta i misteri del Cielo" sin dai primi capitoli e sin dalle prime parole: In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. (...) Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi.

 Quel preconio del verso 44 è un latinismo per "annuncio". Ma, oltre a riferirsi ai contenuti del Vangelo di Giovanni, è anche un implicito riferimento alla Gloria di Gesù dopo il supplizio della croce. Da secoli infatti si canta, ogni sabato santo, il Preconio pasquale: Pasqua è gioia, Pasqua è luce, vinta è l'ombra della morte, è Risorto il nostro Re, ci riscatta libertà.

Dalla risposta di Dante a Giovanni si apprende che la CARITA' è l'amore per Dio. Soddisfatto, per San Giovanni Dante può riacquisire la vita.

Al verso 39 le sustanze sempiterne sono gli angeli e gli uomini o meglio, le intelligenze create da Dio. 

L'abbarbaglio è invece riferito all'improvvisa perdita della vista.

C'è ancora un'espressione sulla quale ritengo giusto soffermarmi, o meglio, una metafora: chi drizzò l'arco tuo a tal berzaglio, dove l'arco sta per l'inclinazione di Dante verso Dio e il bersaglio invece riguarda l'Entità di Dio. E' la prima volta che trovo questa metafora in ambito di questioni teologiche; nella letteratura italiana delle origini e del Trecento l'ho sempre trovata in ambito stilnovista o petrarchesco riferito all'innamoramento. 

vv. 91-96:

E cominciai: «O pomo che maturo
solo prodotto fosti, o padre antico
a cui ciascuna sposa è figlia e nuro,               

divoto quanto posso a te supplìco
perché mi parli: tu vedi mia voglia,
e per udirti tosto non la dico».  

Ho fatto un bel salto in avanti... 

Però, dopo aver superato l'esame di San Giovanni, Dante incontra Adamo, l'uom che non nacque, come viene detto appunto nel settimo canto del Paradiso. Adamo è infatti l'uomo già maturo, creato così da Dio, senza mai aver attraversato le fasi di crescita. Ciascuna donna è figlia di Adamo, in quanto appunto sua discendente, e nuora, perché sposata con qualcuno tra i discendenti di Adamo.

Dante qui è sicuro che Adamo riesca ad intuire tutto ciò che egli vorrebbe domandargli. Ed è così. Alcune strofe dopo infatti, Adamo narra e interpreta ciò che gli è accaduto durante la sua esperienza nel Paradiso terrestre.

vv. 115-132:

Or, figluol mio, non il gustar del legno
fu per sé la cagion di tanto essilio,
ma solamente il trapassar del segno.               

Quindi onde mosse tua donna Virgilio,
quattromilia trecento e due volumi
di sol desiderai questo concilio;               

e vidi lui tornare a tutt'i lumi
de la sua strada novecento trenta
fiate, mentre ch'io in terra fu' mi.               

La lingua ch'io parlai fu tutta spenta
innanzi che a l'ovra inconsummabile
fosse la gente di Nembròt attenta:               

ché nullo effetto mai razionabile,
per lo piacere uman che rinovella
seguendo il cielo, sempre fu durabile.               

Opera naturale è ch'uom favella;
ma così o così, natura lascia
poi fare a voi secondo che v'abbella.               

 Forse cominciate ad intuire il motivo per cui questo canto è uno dei miei preferiti del Paradiso: perché introduce delle questioni linguistiche e perché, se letto in profondità, ci permette di riflettere sulla glottologia (=studio delle lingue indoeuropee e delle loro somiglianze nel corso del tempo) e un pochino è possibile fare anche un richiamo alla linguistica italiana, materia nella quale mi sono laureata. In linguistica si studia in maniera scientifica e precisa (altroché la medicina e l'approssimazione di chi sarebbe tenuto ad applicarla con coscienza e con professionalità!!!) la grammatica, la sintassi e il lessico (inclusi ovviamente prestiti, calchi e parole composte) degli autori, tenendo anche conto di come questi concepiscono il "creare testi" e facendo dei riferimenti specifici alle condizioni storico-sociali del secolo nel quale sono vissuti e hanno operato (perché un Zanzotto e una Ginzburg degli anni '60 nutrono sfiducia nella comunicazione verbale? Per quale motivo Manzoni, già dal 1827, ritiene necessaria "la risciacquatura in Arno"? Qual'è il vero scopo del Manifesto del Futurismo di Marinetti che vuole stravolgere tutte le regole sintattiche dell'italiano? Che funzione ha la parola "ricordo" in Leopardi?).

Chiarisco il significato di un'espressione: ovra inconsummabile è la costruzione della Torre di Babele, mai condotta a termine e frutto della presunzione degli uomini.

Adamo parla così a Dante: Sono stato espulso dal giardino del Paradiso terrestre perché ho oltrepassato il limite che Dio mi aveva in realtà raccomandato di non oltrepassare.

Poco dopo afferma di essere stato nel Limbo per 4302 anni e asserisce che la sua vita terrena è durata in tutto 930 anni. Ci sono questi numeri inverosimili nella Genesi. La teologia non è la mia materia, anche se mi ha fatto bene in quest'ultimo periodo, ma so che ad Abramo ad un certo punto vengono attribuiti 120 anni, alla moglie Sara 90 quando Isacco è un ragazzo adolescente, a Matusalemme quasi un millennio (969...), a Noè circa 900. Età scritte e impresse allo scopo di meravigliare, nei tempi antichi, mentre, nei tempi moderni, per far capire che la misericordia di Dio e l'affidarsi a Dio rendono significativa e piena la vita umana. Credo le cose stiano più o meno così. Non c'è da prendere alla lettera la Genesi, è illogico.

D'altra parte, nel Nuovo Testamento, Elisabetta, cugina di Maria, ha 75 anni quando attende Giovanni il Battista. 

Ad ogni modo, la dispersione degli uomini voluta da Dio dopo la Torre di Babele, ha generato nuove lingue, e quella di Adamo, cioè, con ogni probabilità, l'ebraico, è scomparsa. Questa era quasi l'unica teoria linguistica esistente nel Medioevo. 

Per il primo albero genealogico delle lingue indoeuropee bisognerà attendere gli anni sessanta dell'Ottocento, con August Schleicher. Però è importante ricordare qui che Dante, già nei primissimi anni del Trecento, aveva intuito non soltanto che il volgare italiano deriva dal latino ma anche che, nelle zone della nostra penisola, i volgari presentavano delle differenze gli uni dagli altri (il bolognese era diverso dal fiorentino, ad esempio).

Adamo inoltre pronuncia un giudizio molto sensato sul rapporto tra uomo e lingua, affermando che è naturale che gli uomini esprimano in parole i pensieri e i sentimenti. E poi, riferisce a noi lettori del XXI°  secolo un'altra intuizione di Dante: la storia determina nascite, morti ed evoluzioni delle lingue.

Questo ci induce a riflettere sulla linguistica italiana; ed eccovi dunque alcune considerazioni e alcuni studi che ricordo, così a braccio:

(Blogger non mi permette più di stilare tabelle all'interno di un post)

*Alcune parole italiane derivate dal latino: notte (da noctem), dono (da donum), vita (da vitam), urbano (da urbanum, am, um a sua volta legato al sostantivo urbs, urbis, "città"), libro (da librum), fiore (da florem), nero (da nigrum, am, um). E molte altre...

I vocaboli della nostra lingua provenienti dal latino derivano tutti, come afferma il linguista Claudio Marazzini, dall'accusativo singolare, non dal nominativo o dall'ablativo.

*Alcune parole italiane derivate dal germanico medievale: bianco (da blank), guerra (da werra), guardia (da warda), albergo (da harijberg), banda (da bandwa), rocca (da rukka).

*Qualche prestito linguistico (o forestierismo) importato in italiano da una lingua straniera, esattamente così come è scritto e pronunciato: 

-dall'inglese: weekend, open day, austerity, badge, editor, fake, fake news, cameraman, barman e bar, audience, background, feedback e tutto il lessico relativo all'informatica: on e offlinebrowser, desktop, hardware, software...

-dal francese: menu, toilette, manicure, crepe, omelette, croissant, tailleur, chef.

-dal giapponese: kamikaze, karate.

-dallo spagnolo: tango, paella, flamenco, golpe, embargo.

-dall'arabo: i termini ragazzo/a derivano da raqqas.

 Da annoverare inoltre anche i calchi,  che consistono nel tradurre una parola per poterla trasferire da una lingua diversa da quella di origine.

-Alcuni calchi morfologici dell'italiano: grattacielo (da skyscraper), pellerossa (da redskin).

-Elenco di alcuni calchi semantici. I calchi semantici consistono nel dare nuovi significati a termini esistenti in una lingua e importati in un'altra, come in questi casi. Cioè: ingresso di significante ma cambiamento di significato.

Calco semantico molto recente: to realize in lingua inglese è riconducibile al nostro rendersi conto. Per noi, fino all'inizio degli anni Duemila, realizzare significava solamente concretizzare, compiere, riuscire a concludere un progetto. Ora, a causa dell'influsso dell'inglese nel settore informatico, tecnico ed economico, il nostro realizzare significa anche comprendere, accorgersi di.

Eccovi invece un calco semantico che risale all'Ottocento: il verbo italiano autorizzare ha un'origine francese e, fino ai tempi di Ugo Foscolo compreso, significava nella nostra lingua rendere autorevole. Dopo la morte di Napoleone e durante le guerre d'Indipendenza del Risorgimento, autorizzare ha assunto il significato di permettere, valore semantico che, già nel periodo di Verga e di D'Annunzio, era prevalso fino a cancellare l'originario rendere autorevole. 

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A distanza di circa un mese e mezzo da quel sogno strano che ha preceduto di poco il mio compleanno, posso affermare che, come mi diceva la signora in grigio, ho attraversato diversi cambiamenti nel mio stile di vita e nella mia quotidianità, ma non è ancora avvenuto quel che speravo... l'inizio della mia carriera lavorativa. Ieri ho sognato che una donna che conosco da anni e che per molto tempo ha prestato servizio presso la scuola media del mio paese mi annunciava una mia prossima assunzione per "cattedra rimasta scoperta". Mi diceva: "Il tuo collega, non di ruolo e precario come te, sebbene sia in graduatoria, ha inviato anche alcune MAD tra agosto e settembre, è appena stato chiamato in un liceo e preferisce insegnare italiano e latino in un liceo scientifico piuttosto che italiano, storia, cittadinanza e geografia alle medie. Si è liberato un posto che sarà tuo fra poco". Il punto è che sono arci-stufa di annunci e dei "vedrai che ti chiamano". Non voglio più annunci, voglio LA REALTA' DEI FATTI. E magari, più che una cattedra vuota, come regalo di Santa Lucia sarei contentissima se ottenessi una supplenza per congedo di maternità, anche alla secondaria di primo grado. Sarebbe un primo bel punteggio da registrare in graduatoria il prossimo anno. Poi è vero, i ragazzi me li terrei per circa sei mesi fino al 5 giugno, sarei carica di responsabilità... ma me la sentirei di affrontarle! Sento di essere fatta per questo, non per altri lavori.

1) Tanto per cominciare, ho cambiato attività in parrocchia e devo dire che sto molto meglio a collaborare per il catechismo con persone molto più adulte di me piuttosto che con il settore giovani. Insomma, non lo avrei mai detto, ma è un'attività che mi sta gratificando. 

2) Poi finalmente ho iniziato un corso di teatro che mi sta un po' cambiando: grazie a questa opportunità, ho un pochino allargato il giro di conoscenze e sto imparando a mettermi maggiormente in contatto con il mio corpo. Risultato: mi sento più forte io e, tutto ciò che comporta questo periodo difficile, lo affronto senza mai lamentarmi né deprimermi. Anche quando agisco... sono più decisa e manifesto più apertamente la rabbia e, per me, questo è molto positivo, soprattutto dopo anni di umiliazioni e di derisioni. E' come se avessi modificato il carattere in questo ultimo mese. Mi sento diversa. Vedete che ho fatto bene ad adottare lo slogan "meno volontariato e pensa un po' più a te stessa e al tuo benessere psichico"?

3) Con il fatto che la nonna, appena due settimane dopo il mio compleanno, è diventata un'inferma da accudire di continuo, ho imparato quanto sia brutta una vecchiaia in cattiva salute e ho imparato, se non rinforzato per abilità, quasi tutti i lavori di casa. Non mi sento inutile perché lavoro per la mia famiglia e al contempo alimento le mie passioni con alcune letture. Ho imparato anche che non tutti i medici lavorano con professionalità e umanità, non tutti fanno quel mestiere per passione o comunque, non tutti i medici sono sensibili nei confronti di un paziente che sta soffrendo e della sua famiglia: effettivamente, il medico di base di mia nonna si dimentica di lasciare le ricette dei medicinali, non l'ha mai visitata veramente visto che è venuta a casa nostra con un SUV enorme quanto Piazza Brà soltanto per guardarla dormire da lontano, quando la si cerca al telefono spesso non c'è... e avanti così. Un bagno di umiltà e un esame di coscienza mai, eh??! (anche perché hanno sempre ragione loro).

4) Siccome sono veramente stanca di cercare per forza la compagnia di qualcuno per divertirmi in modo semplice, come ad esempio per fare una semplice camminata, prendo solo io, da un mese e mezzo a questa parte, l'iniziativa. Vado da sola di proposito lungo sentieri di campagna e di lago che non conosco o che non percorro da tempo per assaporarmi lo spettacolo dell'autunno. Tutto meraviglioso!

5) Facevo un mucchio di attività quest'estate anche se non stavo bene. Ho l'ipovitaminosi D (carenza significativa di D2 e D3). Finalmente so che il mal di testa ricorrente, i formicolii ai polpastrelli delle mani, episodi di dolori alle articolazioni (anche di notte) senza aver subito cadute o incidenti e la schiena che abbastanza spesso scrocchia quando cammino sono dovuti soprattutto a questo. Mi sono decisa, dopo diversi mesi, ad ordinare le analisi a inizio ottobre, mi sto curando quotidianamente con il colecalciferolo a gocce (è un olio bianco insipido). Mi sono presa praticamente della "ragazzina viziata" dal medico di base perché "ho fatto le analisi senza un motivo particolarmente grave", ma me ne stra-frego. Devo stare bene anch'io! A lungo andare, l'ipovitaminosi D non curata diventa osteoporosi ed è fonte di malattie cardiovascolari, indipendentemente dall'età. Le mie analisi, al di là di questa carenza, hanno valori che sono nei limiti o comunque, appena sufficienti. 

Non sono una piaga e il mio male non è mentale ma reale. Vado a giorni: sabato era un'ottima giornata, mi sentivo molto bene. Oggi no, e anche stasera, scrivo anche se non sto bene. Almeno ho preso la consapevolezza che devo prendermi un po' più di cura di me anche  con più attività fisica.



1 novembre 2021

"Dialoghi dei morti", L. di Samòsata:

In occasione della giornata della commemorazione dei defunti ho deciso di presentarvi uno dei trenta Dialoghi dei morti di Luciano di Samòsata (120-180 d.C).

Si tratta del dialogo tra il filosofo Diogene e l'eroe Eracle. 

Ve lo presento innanzitutto per la buona componente di ironia da cui è caratterizzato, poi, per il fatto che è un testo che indubbiamente invita a porsi qualche domanda sull'anima, sulla vita ultraterrena e sul rapporto tra anima e corpo. Tuttavia, io mi concentrerò prevalentemente sugli aspetti più affascinanti del lessico.

Con questo post si apre un altro breve percorso tematico sulle tematiche di: morte, aldilà e decadenza della vita. 

Ho lavorato alla traduzione dal greco antico qualche settimana fa (è piuttosto letterale), l'ho rivista; dovrebbe essere esatta!

DIALOGO TRA DIOGENE ED ERACLE:

Diogene= Non è Eracle costui? Non può essere un altro, ma Eracle! Allora è morto, pur essendo figlio di Zeus? Dimmi, o vittorioso, sei morto? Io infatti sulla terra ti facevo sacrifici come a un dio!

Eracle= E sacrificavi giustamente: infatti lo stesso Eracle è in cielo con gli dei e possiede Ebe dalle belle caviglie, ma io sono la sua ombra.

Diogene= Ma come? Ombra del dio?  È possibile che qualcuno sia per metà un dio, per l'altra metà un mortale?

Eracle= Certamente: il famoso Eracle non è morto, ma io, che sono la sua stessa immagine.

Diogene=Ora lo so: a Plutone ha consegnato te come sostituto al posto suo e tu ora sei morto al posto suo.

Eracle= Qualcosa del genere.

Diogene=In che modo allora, sebbene sia coscienzioso, Eaco non ha riconosciuto che tu non sei lui ma ha accolto un presunto Eracle che gli stava vicino?

Eracle=Perché gli somigliavo perfettamente.

Diogene= Dici la verità, infatti gli somigli così perfettamente da essere lui stesso. Ma vedi appunto che non sia il contrario: cioè che tu sia Eracle e che l'immagine non abbia sposato Ebe presso gli dei.

Eracle= Sei sfrontato e troppo loquace! E se non smetti di deridermi saprai presto di quale dio sono l'immagine.

Diogene= L'arco è sfoderato e a portata di mano: ma io perché dovrei ancora temerti dal momento che sono morto una volta sola? Tuttavia dimmi, in nome di Eracle, quando quello era in vita, eri con lui sebbene fossi ombra anche allora? Oppure durante l'esistenza terrena eravate uno solo, ma dopo che siete morti, dopo esservi separati, quello è volato via tra gli dei e tu, l'ombra, come è probabile, sei andato nell'Ade?

Eracle=Non bisognerebbe rispondere a un uomo che deride così deliberatamente! Tuttavia ascolta anche questo: quanto di Anfitrione c'era in Eracle è morto e io sono quel tutto, ma quello che c'era di Zeus si trova in cielo tra gli dei.

Diogene= Ora capisco perfettamente: dici che Alcmena ha generato due Eracli contemporaneamente, uno da Anfitrione e l'altro da Zeus, così che non siete consapevoli di essere gemelli.

Eracle= No, insolente! Eravamo entrambi lo stesso.

Diogene= Non è facile capirlo, che i due Eracli erano messi insieme, a meno che, come un Ippocentauro, non foste uomo e dio congiunti.

Eracle= Ma non ti sembra che siamo tutti ugualmente formati da due parti, anima e corpo? Allora che cosa vieta che l'anima, la quale è originata da Zeus, sia in cielo, e la parte mortale, e quindi io, tra i morti?

Diogene= Ma carissimo Anfitrionide, parleresti giustamente se tu fossi un corpo, ma ora sei un'immagine senza corpo, così che corri il rischio ormai di creare un Eracle triplice.

Eracle= Come triplice?

Diogene= Più o meno così: se uno è in cielo, e tu l'ombra, in mezzo a noi, e il corpo sull'Eta, già diventato polvere, questi sono già tre e bada anche a quale padre pensare, come terzo, per il corpo.

Eracle= Sei arrogante e chiacchierone! Ma chi sei mai?

Diogene= L'immagine di Diogene di Sinope in persona, non, per Zeus, tra gli dei immortali, ma unito ai più illustri fra i morti, mentre mi prendo gioco di Omero e di questi discorsi assurdi.

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A) CHIARIMENTI SUI PERSONAGGI COINVOLTI E CITATI:

Eracle, nato a Tebe, era figlio di Zeus e di Alcmena. Per unirsi ad Alcmena, Zeus aveva assunto l'aspetto di Anfitrione, marito di Alcmena e figlio di Alceo, re di Tirinto.  Per questo Eracle è un semidio.

Ebe invece, per gli antichi greci, era la divinità della gioventù, figlia di Zeus e di Era. Deriva proprio dal sostantivo ἡβη, "gioventù".

Plutone è il dio degli Inferi.

Anche Eaco era figlio di Zeus. La madre è la ninfa Egina. 

Eaco era stato concepito sull'isola di Enopia. 

Si tramanda, a questo proposito, la gelosia di Era che, per vendetta, aveva avvelenato tutti i corsi d'acqua dell'isola e aveva fatto in modo che scoppiasse una grave carestia, anche a causa di forti venti caldi. 

Per questo Eaco, una volta divenuto adulto e re di Enopia, aveva supplicato in seguito Zeus, il quale aveva inviato sulla terra di Enopia una pioggia fresca in grado di ricambiare le acque avvelenate.

Eaco era considerato un sovrano giusto e imparziale. Per questo, dopo la sua morte, era stato annoverato da Zeus tra i giudici degli Inferi: doveva, più precisamente, occuparsi delle anime di provenienza europea.

L'Ippocentauro, parola composta da ἵππος "cavallo",  e κένταυρος, "centauro", era per metà uomo e per metà cavallo. 

Diogene era un filosofo cinico. Nell'antichità i Cinici sono sopravvissuti fino circa al IV° secolo d.C. Erano filosofi che proponevano il distacco da ricchezze, potere e beni materiali, il dominio delle passioni, l'indifferenza verso i mali della vita (malattia, esilio, morte). Oltre a ciò, Diogene sosteneva il limite della proprietà privata, l'abolizione dei ceti sociali e la comunione dei figli. Diogene è morto nel 323 a.C a Corinto, lo stesso giorno di Alessandro Magno. 

(Luciano di Samosata non ha mai aderito totalmente al Cinismo).

"Cinico" deriva da κύων, "cane". Questi filosofi erano chiamati/definiti così sia per la loro abitudine di vivere sulla strada e il loro deciso rifiuto delle convenzioni sociali.

Per i Cinici, Eracle era l'emblema del mondo primitivo, mentre invece Prometeo era simbolo del mondo civilizzato.

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B) APPROFONDIMENTO SUL LESSICO:

Ecco a voi le parole e le sfere semantiche sulle quali vale la pena soffermarsi.

1) εἴδωλον significa "immagine, apparizione". La radice è -ιδ-, da cui derivano ad esempio anche ὁράω, "vedere", εἶδος, "aspetto, figura"εἰδοποιέω, cioè, "formare un'immagine", e εἰδολικος, ovvero, "immaginario, simbolico"

Notate bene che da -ιδ- proviene buona parte del lessico greco relativo alla vista: sostantivi che hanno a che fare con i nostri italiani "immagine, figura, apparenza", un verbo che significa "vedere (in profondità)", un altro che significa "formare un'immagine" e aggettivi riguardanti la sfera dell'immaginario.

2) δυνατός è connesso con la sfera del possibile. Proprio come δύναμαι, "potere, essere forte". Se seguito da un infinito, questo verbo assume il senso di "essere capace di fare una determinata cosa". Importante qui è il richiamo del sostantivo δύναμις, cioè, "potenza, potere, autorità", diversamente da βία, "forza violenta, violenza, anche sessuale", da cui βιάζω, "fare violenza". βίαιος è l'aggettivo per "violento".

3) Anche se in piccola parte, è comunque presente il lessico del timore: φοβέω, "aver paura, temere, far fuggire"φόβος "spavento, fuga". Ci sono altri due termini: ὀρρωδία, "terrore" e φροντίς, "paura, preoccupazione e ansia". A φροντίς si collegano le parole φροντίζω, "pensare" ma anche "preoccuparsi per qualcosa" e φρήν, "anima, pensiero" (anche se originariamente significava "diaframma").

4) κόνις ha un equivalente in latino: cinis, che, allo stesso modo, sta per "cenere, polvere". κονιος è l'aggettivo per "polveroso".

5) Fondamentale risulta invece il lessico del generare, far nascere: i due verbi frequenti sono i sinonimi τίκτω (=mettere al mondo, partorire) e φύω (=far nascere, procreare). Da φύω scaturiscono anche φύσις (=natura, indole) e φυσικός (=naturale, congenito). 

E... mai dimenticarsi di γαμέω, (=sposarsi)γαμετή (=moglie)γαμέτης  (=marito), γάμος  (=nozze, matrimonio).

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C) DOMANDE CHE IL CONTENUTO INVITA A PORSI:

Al di là della sfrontatezza di Diogene e delle arrabbiature frequenti di Eracle, soprattutto la parte finale di questo dialogo ci stimola a riflettere su alcune questioni psico-teologiche a proposito della questione, molto ricorrente nelle Epistole di San Paolo, della risurrezione e di una vita eterna dopo la morte.

Sarebbe curioso vedere questa discussione tra Diogene ed Eracle rappresentata a teatro :-)

-Ad un tratto Eracle dice a Diogene: Ma non ti sembra che siamo tutti ugualmente formati da due parti, anima e corpo? Allora che cosa vieta che l'anima, la quale è originata da Zeus, sia in cielo, e la parte mortale, e quindi io, tra i morti?

Tutto ciò è molto vicino a quel che molti di noi ritengono: dopo la morte anima e corpo si separano (=e ciò è stato confermato anche da migliaia di persone che hanno sperimentato e narrato le loro esperienze di "pre-morte").  L'anima vola in cielo... Certo, ma vola incorporea? Qui, sulla Terra, dentro la tomba di un cimitero, rimangono le nostre quattro ossa dopo la decomposizione... ma siamo sicuri sia proprio questa la "fine" dei nostri corpi?

-Risulta difficile credere nella risurrezione della carne. Ma io mi chiedo: quando esattamente risorgerà il nostro corpo? Dopo la fine del mondo, dopo il giudizio universale? Oppure risorgerà poco tempo dopo la nostra morte? E con quale fisico risorgeremo? Quale aspetto ci verrà conferito o restituito, l'aspetto dell'infanzia, della gioventù o della vecchiaia?


A questo proposito vorrei riportare una parte della Lettera di San Paolo apostolo ai Romani (Rm 8, 19, 25):

La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio;  essa infatti è stata sottomessa alla caducità - non per suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa - e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Poiché nella speranza noi siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se visto, non è più speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo? Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza.

Ho riflettuto alcuni giorni fa su questo brano. E pensavo che la natura è indubbiamente fugace, sebbene uomo e donna siano stati creati "a immagine e somiglianza di Dio".

Noi, in quanto credenti, sappiamo che Gesù ha sofferto, è morto e risorto dopo aver donato se stesso all'umanità. Se lo sappiamo, non ci resta che attendere un destino pressoché identico al Suo. Per la maggior parte dei credenti la vita eterna è una speranza, più che un'attesa. Tuttavia, ho notato una sottigliezza tra "speranza" e "attesa": la speranza è il desiderio che si verifichi un avvenimento di cui non abbiamo certezze. 

L'attesa invece è vivere la vita terrena come se fosse l'anticamera della... della Gerusalemme Celeste, insomma. Attendere, per i cristiani, è uguale ad avere una forte e salda fede che ci fortifica. Una fede che ti convince a proposito della promessa di "un'altra vita".